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Unga_1 - 1935-1953 - La terra promessa.txt
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Unga_1 - 1935-1953 - La terra promessa.txt
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CANZONE
descrive lo stato d’animo del poeta
-
Nude, le braccia di segreti sazie,
A nuoto hanno del Lete svolto il fondo,
Adagio sciolto le veementi grazie
E le stanchezze onde luce fu il mondo.
-
Nulla è muto più della strana strada
Dove foglia non nasce o cade o sverna,
Dove nessuna cosa pena o aggrada,
Dove la veglia mai, mai il sonno alterna.
-
Tutto si sporse poi, entro trasparenze,
Nell’ora credula, quando, la quiete
Stanca, da dissepolte arborescenze
Riestesasi misura delle mete,
Estenuandosi in iridi echi, amore
Dall’aereo greto trasalì sorpreso
Roseo facendo il buio e, in quel colore,
Più d’ogni vita un arco, il sonno, teso.
-
Preda dell’impalpabile propagine
Di muri, eterni dei minuti eredi,
Sempre ci esclude più, la prima immagine
Ma, a lampi, rompe il gelo e riconquide.
-
Più sfugga vera, l’ossessiva mira,
E sia bella, più tocca a nudo calma
E, germe, appena schietta idea, d’ira,
Rifreme, avversa al nulla, in breve salma.
-
Rivi indovina, suscita la palma:
Dita dedale svela, se sospira.
Prepari gli attimi con cruda lama,
Devasti, carceri, con vaga lama,
Desoli gli animi con sorda lama,
Non distrarrò da lei mai l’occhio fisso
Sebbene, orribile da spoglio abisso,
Non si conosca forma che da fama.
-
E se, tuttora fuoco d’avventura,
Tornati gli attimi da angoscia a brama,
D’Itaca varco le fuggenti mura,
So, ultima metamorfosi all’aurora,
Oramai so che il filo della trama
Umana, pare rompersi in quell’ora.
-
Nulla più nuovo parve della strada
Dove lo spazio mai non si degrada
Per la luce o per tenebra, o altro tempo.
-
-
-
DI PERSONA MORTA
DIVENUTAMI CARA
SENTENDONE PARLARE
-
Si dilegui la morte
Dal muto nostro sguardo
E la violenza della nostra pena
S’acqueti per un attimo,
Nella stanza calma riapparso
Il tuo felice incedere.
-
Oh bellezza flessuosa, è Aprile
E lo splendore giovane degli anni
Tu riconduci,
Con la tua mitezza,
Dove più è acre l’attesa malinconica.
-
Di nuovo
Dall’assorta fronte,
I tuoi pensieri che ritrovi
Fra i famigliari oggetti,
Incantano,
Ma, carezzevole, la tua parola
Rivivere già fa,
Più a fondo,
Il brevemente dolore assopito
Di chi t’amò e perdutamente
A solo amarti nel ricordo
È ora punito.
-
-
-
CORI DESCRITTIVI
DI STATI D’ANIMO DI DIDONE
-
I
Dileguandosi l’ombra,
-
In lontananza d’anni,
-
Quando non laceravano gli affanni,
-
L’allora, odi, puerile
Petto ergersi bramato
E l’occhio tuo allarmato
Fuoco incauto svelare dell’Aprile
Da un’odorosa gota.
-
Scherno, spettro solerte
Che rendi il tempo inerte
E lungamente la sua furia nota:
-
II cuore roso, sgombra!
-
Ma potrà, mute lotte
Sopite, dileguarsi da età, notte?
-
II
La sera si prolunga
Per un sospeso fuoco
E un fremito nell’erbe a poco a poco
Pare infinito a sorte ricongiunga.
-
Lunare allora inavvertita nacque
Eco, e si fuse al brivido dell’acque.
Non so chi fu più vivo,
Il sussurrio sino all’ebbro rivo
O l’attenta che tenera si tacque.
-
III
Ora il vento s’è fatto silenzioso
E silenzioso il mare;
Tutto tace; ma grido
Il grido, sola, del mio cuore,
Grido d’amore, grido di vergogna
Del mio cuore che brucia
Da quando ti mirai e m’hai guardata
E più non sono che un oggetto debole.
-
Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata.
-
IV
Solo ho nell’anima coperti schianti,
Equatori selvosi, su paduli
Brumali grumi di vapori dove
Delira il desiderio,
Nel sonno, di non essere mai nati.
-
V
Non divezzati ancora, ma pupilli
Cui troppo in fretta crescano impazienze,
L’ansia ci trasportava lungo il sonno
Verso quale altro altrove?
Si colorì e l’aroma prese a spargere
Così quella primizia
Che, per tenere astuzie
Schiudendosi sorpresa nella luce,
Offrì solo la vera succulenza
Più tardi, già accaniti noi alle veglie.
-
VI
Tutti gl’inganni suoi perso ha il mistero,
A vita lunga solita corona,
E, in se stesso mutato,
Concede il fiele dei rimorsi a gocce.
-
-
VII
Nella tenebra, muta
Cammini in campi vuoti d’ogni grano:
Altero al lato tuo più niuno aspetti.
-
VIII
Viene dal mio al tuo viso il tuo segreto;
Replica il mio le care tue fattezze;
Nulla contengono di più i nostri occhi
E, disperato, il nostro amore effimero
Eterno freme in vele d’un indugio.
-
IX
Non più m’attraggono i paesaggi erranti
Del mare, né dell’alba il lacerante
Pallore sopra queste o quelle foglie;
Nemmeno più contrasto col macigno,
Antica notte che sugli occhi porto.
-
Le immagini a che prò
Per me dimenticata?
-
X
Non odi del platano,
Foglia non odi a un tratto scricchiolare
Che cade lungo il fiume sulle selci?
-
Il mio declino abbellirò, stasera;
A foglie secche si vedrà congiunto
Un bagliore roseo.
-
XI
E senza darsi quiete
Poiché lo spazio loro fuga d’una
Nuvola offriva ai nostri intimi fuochi,
Covandosi a vicenda
Le ingenue anime nostre
Gemelle si svegliarono, già in corsa.
-
XII
A bufera s’è aperto, al buio, un porto
Che dissero sicuro.
-
Fu golfo constellato
E pareva immutabile il suo cielo;
Ma ora, com’è mutato!
-
XIII
Sceso dall’incantevole sua cuspide,
Se ancora sorgere dovesse
Il suo amore, impassibile farebbe
Numerare le innumere sue spine
Spargendosi nelle ore, nei minuti.
-
XIV
Per patirne la luce,
Gli sguardi tuoi, che si accigliavano
Smarriti ai cupidi, agl’intrepidi
Suoi occhi che a te non si soffermerebbero
Mai più, ormai mai più.
-
Per patirne l’estraneo, il folle
Orgoglio che tuttora adori,
A tuoi torti con vana implorazione
La sorte imputerebbero
Gli ormai tuoi occhi opachi, secchi;
Ma grazia alcuna più non troverebbero,
Nemmeno da sprizzarne un solo raggio,
Od una sola lacrima,
Gli occhi tuoi opachi, secchi,
-
Opachi, senza raggi.
-
XV
Non vedresti che torti tuoi, deserta,
Senza più un fumo che alla soglia avvii
Del sonno, sommessamente.
-
XVI
Non sfocerebbero ombre da verdure
Come nel tempo ch’eri agguato roseo
E tornava a distendersi la notte
Con i sospiri di sfumare in prato,
E a prime dorature ti sfrangiavi,
Incerte, furtiva, in dormiveglia.
-
XVII
Trarresti dal crepuscolo
Un’ala interminabile.
Con le sue piume più fugaci
A distratte strie ombreggiando,
Senza fine la sabbia
Forse ravviveresti.
-
XVIII
Lasciò i campi alle spighe l’ira avversi,
E la città, poco più tardi,
Anche le sue macerie perse.
-
Àrdee errare cineree solo vedo
Tra paludi e cespugli,
Terrorizzate urlanti presso i nidi
E gli escrementi dei voraci figli
Anche se appaia solo una cornacchia.
-
Per fetori s’estende
La fama che ti resta,
Ed altro segno più di te non mostri
Se non le paralitiche
Forme della viltà
Se ai tuoi sgradevoli gridi ti guardo.
-
XIX
Deposto hai la superbia negli orrori,
Nei desolati errori.
-
-
-
RECITATIVO DI PALINURO
Per l’uragano all’apice di furia
Vicino non intesi farsi il sonno;
Olio fu dilagante a smanie d’onde,
Aperto campo a libertà di pace,
Di effusione infinita il finto emblema
Dalla nuca prostrandomi mortale.
-
Avversità del corpo ebbi mortale
Ai sogni sceso dell’incerta furia
Che annebbiava sprofondi nel suo emblema
Ed, astuta amnesia, afono sonno,
Da echi remoti inviperiva pace
Solo accordando a sfinitezze onde.
-
Non posero a risposta tregua le onde,
Non mai accanite a gara più mortale,
Quanto credendo pausa ai sensi, pace;
Raddrizzandosi a danno l’altra furia,
Non seppi più chi, l’uragano o il sonno,
Mi logorava a suo deserto emblema.
-
D’àugure sciolse l’occhio allora emblema
Dando fuoco di me a sideree onde;
Fu, per arti virginee, angelo in sonno;
Di scienza accrebbe l’ansietà mortale;
Fu, al bacio, in cuore ancora tarlo in furia.
Senza più dubbi caddi né più pace.
-
Tale per sempre mi fuggì la pace;
Per strenua fedeltà decaddi a emblema
Di disperanza e, preda d’ogni furia,
Riscosso via via a insulti freddi d’onde,
Ingigantivo d’impeto mortale,
Più folle d’esse, folle sfida al sonno.
-
Erto più su più mi legava il sonno,
Dietro allo scafo a pezzi della pace
Struggeva gli occhi crudeltà mortale;
Piloto vinto d’un disperso emblema,
Vanità per riaverlo emulai d’onde;
Ma nelle vene già impietriva furia
-
Crescente d’ultimo e più arcano sonno,
E più su d’onde e emblema della pace
Così divenni furia non mortale.
-
-
-
VARIAZIONI SU NULLA
-
Quel nonnulla di sabbia che trascorre
Dalla clessidra muto e va posandosi,
E, fugaci, le impronte sul carnato,
Sul carnato che muore, d’una nube...
-
Poi mano che rovescia la clessidra,
Il ritorno per muoversi, di sabbia,
Il farsi argentea tacito di nube
Ai primi brevi lividi dell’alba...
-
La mano in ombra la clessidra volse,
E, di sabbia, il nonnulla che trascorre
Silente, è unica cosa che ormai s’oda
E, essendo udita, in buio non scompaia.
-
-
-
SEGRETO DEL POETA
-
Solo ho amica la notte.
Sempre potrò trascorrere con essa
D’attimo in attimo, non ore vane;
Ma tempo cui il mio palpito trasmetto
Come m’aggrada, senza mai distrarmene.
-
Avviene quando sento,
Mentre riprende a distaccarsi da ombre,
La speranza immutabile
In me che fuoco nuovamente scova
E nel silenzio restituendo va,
A gesti tuoi terreni
Talmente amati che immortali parvero,
Luce.
-
-
-
FINALE
-
Più non muggisce, non sussurra il mare,
Il mare.
-
Senza i sogni, incolore campo è il mare,
Il mare.
-
Fa pietà anche il mare,
Il mare.
-
Muovono nuvole irriflesse il mare,
Il mare.
-
A fumi tristi cedé il letto il mare,
Il mare.
-
Morto è anche lui, vedi, il mare,
Il mare.
-