Dagli anni dell'immediato secondo dopoguerra, lungo un percorso spesso difficile e contrastato, la costruzione dell'autonomia è stato un processo ampio, che ha investito i rapporti tra poteri centrali e locali e ha impegnato governi, diplomazie e cittadinanza. Il confronto democratico ha garantito la possibilità di affrontare le molte questioni aperte con spirito costruttivo e capacità di innovazione istituzionale, in un rapporto di dialogo tra centro e periferia. Dall'Accordo Degasperi-Gruber al Pacchetto. il ministro degli Esteri italiano Alcide Degasperi e il ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber concordano e firmano l'Accordo di Parigi, 5 settembre 1946 9 Eredità. La presenza di comunità linguistiche e nazionali diverse costituisce il tratto dominante della storia di questa provincia alpina di confine. Da area di coabitazione, scambio e mescolanza, l'età dei nazionalismi ha trasformato una significativa realtà territoriale, posta tra il mondo tedesco e quello italiano, in zona di contesa e conflitto. A cavallo tra Otto e Novecento anche agli occhi dei viaggiatori in transito l'Alto Adige appariva, a seconda si provenisse da Nord o rispettivamente da Sud, come la più meridionale provincia tedesca o, viceversa, la più settentrionale provincia italiana. Con la fine della prima guerra mondiale, dopo aver appartenuto per sei secoli alla Casa d'Austria, il Tirolo venne diviso da nuovi confini nazionali, disegnati dopo il crollo dell'impero austro-ungarico. Già con la sigla del Patto di Londra (1915) il Regno d'Italia si era assicurato il possesso del Trentino e del Tirolo cisalpino fino al Brennero, in cambio della discesa in guerra a fianco della Triplice Intesa. Successivamente in sede di trattative per la pace a Saint-Germain (1919) tali nuove acquisizioni territoriali vennero confermate. Sulla decisione di tracciare il nuovo confine del Brennero pesarono motivi di ordine militare e strategico, visto che si trattava di un'importante barriera geografica e naturale, mentre per gli Alleati si giustificava come una sorta di compensazione per la rinuncia italiana ai territori della Dalmazia e soprattutto Fiume. L'annessione al Regno d'Italia della parte meridionale del Tirolo, che comprendeva la provincia altoatesina con prevalenza di popolazione di madrelingua tedesca e il Trentino con prevalenza di popolazione di madrelingua italiana, fu una cesura profonda che riproponeva, dentro un contesto statuale diverso, la questione dei rapporti tra potere centrale e minoranze etno-linguistiche che aspiravano all'autogoverno locale. L'avvento del fascismo chiuse per i sudtirolesi anche i piccoli spiragli sulla concessione di forme di autonomia locale, che il confronto con gli esponenti degli ultimi governi liberali aveva provato ad aprire. In particolare durante il governo di Francesco Saverio Nitti giugno 1919 giugno 1920) i rappresentanti politici della popolazione sudtirolese, riuniti nel Deutscher Verband (Unione tedesca), presentarono a Roma un disegno di legge che prevedeva l'istituzione di una provincia unica (senza il Trentino) dotata di ampie competenze di autogoverno. La forte reazione dei nazionalisti, insieme ai convinti assertori del centralismo e dell'unitarietà dello Stato, fece capire che non vi erano le condizioni politiche affinché una tale proposta potesse essere accolta. Caduti i governi liberali, sotto le insegne del regime mussoliniano prese avvio un radicale programma di snazionalizzazione della provincia atesina. Vennero colpiti i più elementari diritti della minoranza di lingua tedesca e L'avvento del fascismo chiuse i piccoli spiragli sulla concessione di forme di autonomia locale, che gli ultimi governi liberali avevano provato ad aprire. 10 anche i sudtirolesi, che seppero opporre alla dittatura forme di resistenza passiva. Ventennio la politica di italianizzazione dell'Alto Adige fece leva su una massiccia immigrazione dalle vecchie province, favorita dall'impianto di nuove industrie, soprattutto nel capoluogo Bolzano, e da opere di bonifica. A dare un'ulteriore spinta all'arrivo di italiani contribuirono le opzioni del 1939, che posero le condizioni per un esodo forzato dei sudtirolesi verso la Germania nazista. All'atto della caduta del fascismo l'Alto Adige contava la presenza di una consistente minoranza di lingua italiana, che rappresentava circa un terzo della popolazione complessiva. Si trattava di una presenza spalmata in modo disomogeneo sul territorio provinciale, condensata soprattutto nelle realtà urbane. La penetrazione italiana, che si era fermata ai primi tornanti delle valli, non era riuscita a cancellare il carattere tedesco dell'Alto Adige, così come Mussolini aveva pianificato. Carattere che riemerse come tratto dominante durante i diciotto mesi dell'occupazione nazista. Fascismo e nazismo aprirono profonde fratture tra le comunità e al loro stesso interno, sia alimentando reciproci pregiudizi tra italiani e sudtirolesi sia fornendo sufficienti motivi a entrambi i gruppi di identificarsi come vittime dei regimi e minoranze in lotta. La penetrazione italiana, che si era fermata ai primi tornanti delle valli, non era riuscita a cancellare il carattere tedesco dell'Alto Adige. Emblema della dittatura fascista: inaugurazione del Monumento alla Vittoria a Bolzano, 12 luglio 1928 11. L'Alto Adige nelle mani dei Grandi. Con la fine del secondo conflitto mondiale il futuro dell'Alto Adige restava incerto. La lotta contro il nazifascismo era stata combattuta localmente da un movimento resistenziale in cui erano presenti una componente di lingua italiana, raccolta intorno al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), e una di lingua tedesca che faceva capo all'Andreas Hofer-Bund (AHB), gruppo fondato da sudtirolesi non optanti (Dableiber). Uniti dall'obiettivo comune di abbattere le dittature, CLN e AHB divergevano sugli orientamenti circa il futuro assetto territoriale della provincia di Bolzano: i primi sostenevano l'ipotesi che l'Alto Adige rimanesse all'Italia, i secondi auspicavano il diritto all'autodeterminazione dei sudtirolesi e l'annessione all'Austria. Fu, quest'ultima, anche la posizione politica assunta dalla Südtiroler Volkspartei (SVP), partito di raccolta della minoranza di lingua tedesca nato l'8 maggio 1945, i cui membri fondatori erano prevalentemente Dableiber. La questione altoatesina, lungi dall'essere un problema che potesse essere risolto localmente, divenne oggetto di trattative sui tavoli delle potenze vincitrici, quasi a confermare la dimensione internazionale quale carattere iscritto nella sua storia, dall'annessione a oggi. Il mantenimento o meno del confine del Brennero era una decisione legata agli interessi e ai rapporti di forza tra USA, URSS, Regno Unito e Francia. L'Europa si preparava a diventare il banco di prova della guerra fredda e anche il futuro territoriale dell'Alto Adige, dentro alla ridefinizione dei confini statutali, diventava una pedina da giocare sullo scacchiere continentale. Per la sua importanza geopolitica di frontiera a ridosso della zona di influenza sovietica fino al 1955 la parte orientale dell'Austria era occupata dall'URSS), nonché per la presenza di un forte partito comunista (Partito Comunista Italiano), furono soprattutto le autorità statunitensi, interessate a porre un argine all'espansionismo sovietico, a considerare l'Italia come un Paese da sostenere con ogni mezzo. L'eventuale perdita dell'Alto Adige l'avrebbe indebolita, compromettendo la stabilizzazione di un paese considerato strategico per il consolidamento della linea di demarcazione con il blocco orientale. Tra le ragioni che determinarono il mantenimento dell'Alto Adige all'Italia, anche le questioni economiche ebbero un peso rilevante. Lo sfruttamento intensivo del cosiddetto carbone bianco, avvenuto nel Ventennio grazie alla costruzione di grandi impianti per la produzione di energia idroelettrica, era una risorsa indispensabile per la ricostruzione del Paese. Da esso traeva alimento la produzione industriale delle fabbriche del Nord. Si trattava di una ricchezza di cui avrebbe beneficiato l'intera popolazione altoatesina. La determinazione dei ministri degli esteri alla Conferenza dei Quattro a Parigi (1946), riconfermando la decisione già presa nel settembre 1945, sancì definitivamente il mantenimento del confine del Brennero. La richiesta di annessione portata avanti dall'Austria fu respinta. 12. La decisione dei Grandi sul confine del Brennero apriva la questione del trattamento della minoranza di lingua tedesca all'interno dello Stato italiano, sulla cui soluzione pesavano i rapporti politici tra Roma e Vienna che le divergenze sul futuro dell'Alto Adige avevano reso più difficili. Londra, attraverso il suo ministro degli Esteri Ernest Bevin, prese l'iniziativa svolgendo un'opera di mediazione che portò Italia e Austria al tavolo delle trattative bilaterali. Vista in una dimensione europea, agli occhi degli Alleati la ricerca di una risoluzione diplomatica alla questione altoatesina avrebbe favorito in prospettiva rapporti amichevoli e di fiducia tra due Paesi a ridosso della cortina di ferro. Sguardo lungo e fiducia reciproca furono anche alla base dell'accordo firmato a Parigi il 5 settembre 1946 dai ministri degli Esteri italiano e austriaco, Alcide Degasperi e Karl Gruber. Nei tre punti in cui esso era articolato si prevedeva la completa uguaglianza di diritti degli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni a salvaguardia del carattere etnico e dello sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca. Veniva ripristinata, inoltre, la scuola in lingua tedesca e ristabiliti i nomi di famiglia tedeschi, italianizzati durante il fascismo. Era previsto l'uso della lingua tedesca nelle amministrazioni pubbliche e l'uguaglianza di diritti per l'ammissione a pubblici uffici, al fine di una più soddisfacente distribuzione degli impieghi tra i due gruppi etnici. Nel secondo punto l'Italia si impegnava a concedere l'esercizio di un potere legislativo ed esecutivo autonomo, lasciando però aperto il quadro territoriale in cui tale autonomia sarebbe stata applicata. Chiudeva il testo dell'accordo il punto relativo alla revisione delle opzioni di cittadinanza del 1939, in uno spirito di equità e di comprensione, e una serie di impegni per facilitare il transito transfrontaliero di persone e merci tra Austria e Italia, nonché il riconoscimento della validità di alcuni titoli di studio e diplomi universitari. L'Accordo Degasperi-Gruber, inserito come Allegato IV nel Trattato di pace con l'Italia, era il frutto di una mediazione alta che implicava, secondo l'ambasciatore italiano a Londra Nicolò Carandini, un reciproco sacrificio rispettivamente della sovranità italiana e delle aspirazioni territoriali austriache. Un segnale di distensione che si fondava sullo spirito di buona fede dei suoi contraenti e sul loro impegno a concretizzare con coraggio i punti dell'accordo. Sulla determinazione del contenuto e dell'estensione dell'autonomia la questione sarebbe rimasta aperta alla soluzione che il governo italiano avrebbe ritenuto di adottare dopo essersi consultato con i rappresentanti della minoranza di lingua tedesca. Al centro, a far da contrappeso ai molti problemi nuovi da risolvere, non restavano solo la fiducia e il dialogo tra le parti, senza i quali alcun passo avanti sarebbe stato possibile. I contraenti avevano riconosciuto con lungimiranza l'autonomia quale pietra angolare della ricostruzione degli assetti politico-sociali ed economici di una provincia di confine, in una logica di buone relazioni diplomatiche tra Paesi di un'Europa in costruzione. Un festoso benvenuto: i soldati della Wehrmacht vengono accolti come liberatori a Rencio, 9 settembre 1943 13. A pochi mesi dalla Liberazione l'euforia per la fine della guerra aveva presto lasciato il campo a crescenti tensioni tra la popolazione di lingua tedesca e italiana davanti all'incertezza sul futuro dell'Alto Adige. Nel registrare l'andamento dello spirito pubblico la relazione mensile dell'Arma dei Carabinieri del settembre 1945 parlava di un insanabile contrasto tra i due gruppi etnici, dovuto al fatto che ciascun gruppo si credeva un po' come padrone di casa. Pur con linguaggio colloquiale e diretto l'annotazione illustrava con rara efficacia come i sudtirolesi e gli italiani si ponessero di fronte alla questione altoatesina: i primi rivendicavano diritti storici sul territorio e intendevano tornare a essere protagonisti dello sviluppo della propria Heimat dopo la lunga oppressione subita; i secondi consideravano acquisite e non contrattabili le posizioni di privilegio conquistate nel Ventennio. Ancora nel primo decennio del secondo dopoguerra la suddivisione sociale del lavoro, ereditata dal fascismo, restava fortemente dominata dal fattore etnico: i sudtirolesi risultavano prevalentemente occupati nel settore primario (67 per cento), mentre gli italiani lavoravano soprattutto nell'industria (62 per cento) e nel terziario, in particolare nella pubblica amministrazione 35 per cento). Squilibri erano presenti anche nella distribuzione territoriale della popolazione, con una prevalenza di sudtirolesi nelle aree rurali e nei piccoli centri, mentre gli italiani si concentravano nelle aree urbane soprattutto nel capoluogo, Bolzano). I problemi dovuti alla lenta ripresa delle attività produttive, alla mancanza di alloggi, all'approvvigionamento, al costo della vita, rendevano ancora più inestricabile l'intreccio tra questioni sociali ed etniche. La ripresa dell'industria e la costruzione di alloggi popolari da parte del governo italiano erano visti dalla minoranza di lingua tedesca come strumenti per perpetuare la politica di italianizzazione condotta dal fascismo. Lo stesso valeva per l'arrivo di profughi, reduci, sfollati, persone in cerca di casa e lavoro provenienti da altre province italiane, considerato al pari di una minaccia di sovversione degli equilibri tra i gruppi linguistici in Alto Adige. Simili timori erano alimentati dal destino ancora incerto che sarebbe toccato alla gran massa dei sudtirolesi optanti, in particolare coloro che si erano trasferiti oltre Brennero. La ricostruzione in Alto Adige, così come nel resto d'Italia, dovette fare i conti anche con i limiti dei processi di epurazione. Le tensioni e la contrapposizione tra italiani e sudtirolesi nell'immediato secondo dopoguerra alimentò dinamiche che portarono a un reciproco arroccamento etnico, favorendo la mancata piena presa di coscienza delle compromissioni della propria parte con il nazismo e il fascismo. Prevalsero logiche assolutorie e bisogno di rimozione rispetto agli anni delle dittature, più in linea con l'esigenza di rafforzare il proprio gruppo di appartenenza e fornire un'immagine integra e non corrotta della propria identità. La contrapposizione tra italiani e sudtirolesi nell'immediato secondo dopoguerra alimentò dinamiche che portarono a un reciproco arroccamento etnico. Il mantenimento del confine al Brennero: truppe americane al Brennero, maggio 1945 14. L'Accordo Degasperi-Gruber: un principio ordinatore moderno e di esempio, che si prestava alla soluzione del più generale problema delle minoranze in Europa. il ministro degli Esteri italiano Attilio Piccioni (secondo da sinistra) e il ministro degli Esteri austriaco Bruno Kreisky (secondo da destra) a Venezia, 3 agosto 1962. Attentati in serie: distrutte le case popolari per gli immigrati italiani in via Resia a Bolzano, 27 marzo 1961 15. I primi passi dell'autonomia. La dittatura fascista aveva chiuso ogni spiraglio alle richieste di autogoverno ma non era riuscita a sradicare l'autonomismo. Prima del 1914, subito dopo l'annessione e poi nel corso della Resistenza, il confronto sull'assetto territoriale e sul trattamento delle minoranze aveva tenuto alto il dibattito politico. I molti progetti di ordinamento autonomo elaborati nell'immediato secondo dopoguerra in Trentino-Alto Adige testimoniavano un fervore autonomistico, che attraversava forze politiche e associazionismo locale. Una vivace discussione su centralismo e regionalismo si sviluppò a Roma, durante i lavori dell'Assemblea costituente, così come a Trento e a Bolzano. Contrasti, ripensamenti e istanze diverse furono alla base della maturazione progressiva di una concezione originale e avanzata di autonomia, cui fece da sfondo e da garante l'Accordo di Parigi, ispirato a forme di limitazione della sovranità e protezione internazionale delle minoranze etniche. Un principio ordinatore moderno e di esempio, che si prestava alla soluzione del più generale problema delle minoranze in Europa. Nell'Accordo Degasperi-Gruber restava tuttavia irrisolta la questione del quadro territoriale nel quale l'autonomia sarebbe stata applicata e ciò fu ragione di controversie tra il governo di Roma e i rappresentanti della minoranza di lingua tedesca. La posizione di Degasperi fu fin dall'inizio favorevole a un'autonomia regionale in comune con il Trentino, sia per rispondere alle aspirazioni autonomistiche dei trentini sia per equilibrare le componenti etniche territoriali. Per la Südtiroler Volkspartei (SVP) l'obiettivo restava invece l'autonomia per l'Alto Adige. L'iniziativa di predisporre un progetto che avrebbe dovuto definire il quadro territoriale e i contenuti dell'autonomia era in capo al governo, cui spettava anche il compito di consultare i rappresentanti della popolazione di lingua tedesca come prevedeva il punto 2 dell'accordo. Le prime proposte di statuto per la regione tridentina elaborate nel 1946 da Silvio Innocenti, consigliere di Degasperi, non trovarono in loco il necessario consenso da parte delle forze politiche, in primis la SVP che insisteva sulla dimensione esclusivamente provinciale dell'autonomia. Nell'aprile del 1947 il partito della stella alpina presentò al capo del governo un proprio progetto che prevedeva la costituzione di due regioni ognuna a sé stante, il. Südtirol e il Trentino, legate da organi comuni le Assemblee e le Giunte riunite) titolari di competenze legislative e amministrative su materie di comune interesse. Tale proposta fu accolta da Degasperi come disponibilità al confronto da parte della SVP e utile punto di riferimento per la Commissione, detta dei Sette per il numero dei suoi componenti, nel frattempo nominata dallo stesso Degasperi per redigere un nuovo e definitivo schema di statuto. L'assenza di rappresentanze locali al suo interno espose la Commissione alle critiche delle forze politiche trentine e altoatesine, che si vedevano escluse dalla trattazione del problema e consideravano con diffidenza la sua gestione romana. I rapporti tra Roma e Bolzano si inasprirono con l'approvazione nell'Assemblea Costituente dell'articolo 116 della Costituzione, che attribuiva forme e condizioni particolari di autonomia a cinque regioni italiane tra cui il Trentino-Alto Adige. Il riferimento esplicito alla Regione Trentino-Alto Adige suscitò vivaci reazioni polemiche da parte della SVP e fu percepito come una sorta di tradimento di Degasperi, accusato di aver condotto un doppio gioco a danno dei sudtirolesi. Il 2 novembre 1947 alla presentazione alle forze politiche regionali della bozza di statuto elaborata dalla Commissione non mancarono critiche, proteste e richieste di modifiche. La SVP, insoddisfatta, chiese invano di riaprire le consultazioni, ciononostante presentò le proprie proposte correttive. Agli inizi del nuovo anno, dopo intense trattative con i rappresentanti del governo, la delegazione sudtirolese riuscì a ottenere significative modifiche allo statuto: la restituzione alla provincia di Bolzano dei comuni di Egna e Salorno, numerose competenze legislative vennero trasferite dalla Regione alle singole province e venne introdotto l'articolo 14, in base al quale la Regione avrebbe esercitato normalmente le funzioni amministrative delegandole alle province. Una clausola, quest'ultima, la cui mancata applicazione fu al centro dell'aspro scontro politico che accompagnò la crisi della prima stagione dell'autonomia. Lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige fu approvato dall'Assemblea costituente il 31 gennaio 1948 e promulgato con Legge Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5. 16. Le avvisaglie della crisi. A meno di dieci anni dalla sua entrata in vigore il primo statuto mostrava la sua inadeguatezza come strumento per l'attuazione dell'autonomia e la tenuta dei rapporti tra Roma, Trento e Bolzano. I motivi di insoddisfazione da parte dei sudtirolesi non mancavano, la parificazione delle due lingue restava un enunciato, l'impiego pubblico era appannaggio degli italiani, l'edilizia popolare rispondeva più alle esigenze della popolazione di lingua italiana. Il governo italiano non procedeva con il rilascio delle norme di attuazione e senza deleghe sulle competenze l'autonomia provinciale restava sul piano della promessa. L'uscita di scena di Degasperi e Gruber (1953), autorevoli garanti della lettera e dello spirito dell'accordo, corrispose all'apertura di una nuova fase politica anche nei rapporti con l'Austria. Lo stesso Degasperi, alla fine del suo mandato alla presidenza del Consiglio, aveva spronato gli esponenti della Democrazia cristiana (DC) regionale a realizzare al meglio quanto previsto dall'Accordo di Parigi e dallo statuto. Presto l'Austria avrebbe ottenuto il Trattato di Stato (1955) e, sollecitata dai sudtirolesi, si sarebbe presentata in politica estera come potenza tutrice della minoranza di lingua tedesca. In Italia i governi centristi del dopo Degasperi si dimostravano nel frattempo più preoccupati di rafforzare il centralismo che disposti a dare corso al decentramento dei poteri previsto dalla carta costituzionale. Di fronte agli scarsi passi avanti nell'applicazione delle norme dello statuto da parte del governo italiano, crebbe all'interno della SVP il fronte di chi dubitava che il dialogo tra Roma e Bolzano potesse dare buoni frutti. La richiesta di plebiscito per Trieste, lanciata dal presidente del Consiglio Giuseppe Pella nel settembre 1953, fu l'occasione per la SVP di sollevare il problema del diritto di autodeterminazione negato alla minoranza sudtirolese nell'immediato secondo dopoguerra. Ne seguì l'avvio di una campagna di sensibilizzazione e mobilitazione sulla questione altoatesina. L'obiettivo era duplice, da una parte risvegliare l'attenzione internazionale sull'Alto Adige e, dall'altra, esercitare pressioni affinché Vienna sposasse per intero la causa dei sudtirolesi, riaprendo l'intera vertenza altoatesina. Circa un mese dopo ed esattamente il 28 ottobre anniversario della marcia su Roma, data scelta non a caso, il canonico Michael Gamper, indiscussa autorità morale e guida non solo spirituale della minoranza di lingua tedesca, denunciò la Todesmarsch (marcia della morte) dei sudtirolesi, a causa di una presunta massiccia e continua immigrazione di italiani in Alto Adige. La denuncia, peraltro basata su calcoli demografici errati, ebbe una larga eco. A Innsbruck vi furono manifestazioni e prese di posizione politiche del governo tirolese, che richiamò il dovere nazionale di prestare aiuto ai fratelli sudtirolesi per il riconoscimento dei loro diritti. La presentazione nel febbraio 1954 di un memoriale della SVP al governo italiano sulla mancata applicazione dell'Accordo Degasperi-Gruber fu l'atto politico che aprì la fase di contestazione. Le osservazioni della presidenza del Consiglio al documento si aprivano con il dubbio di fondo che i rappresentanti della minoranza di lingua tedesca mirassero ad altro scopo: Erano presupposti tutt'altro che favorevoli all'avvio di un necessario e urgente confronto di merito sulle questioni sollevate dal memoriale. La macchina si è messa in moto, la metafora usata dall'ambasciatore austriaco Johann Schwarzenberg a colloquio con il suo omologo italiano Vittorio Zoppi, dopo la manifestazione che si era svolta a Innsbruck il 24 novembre 1953 per fermare la Todesmarsch dei sudtirolesi e le concomitanti dichiarazioni del neo eletto presidente della Dieta del Tirolo Alois Grauß (ÖVP) sul “dovere nazionale” di prestare aiuto ai fratelli sudtirolesi, annunciava la rapida evoluzione della crisi nei rapporti tra Roma, Bolzano e Vienna con al centro la questione altoatesina. Il cortocircuito della politica italiana sull'atteggiamento da tenersi nei confronti delle richieste della minoranza di lingua tedesca fu tra i precipitati di questa crisi. Le rappresentanze diplomatiche in Austria, che avevano il polso di quanto stava accadendo oltre il Brennero, sostenevano la necessità di piccole aperture. Al contrario, la presidenza del Consiglio insisteva non solo nel non concedere nulla ma non intendeva nemmeno avviare consultazioni con Vienna in merito all'attuazione dell'Accordo di Parigi, considerata una questione interna da risolversi tra Roma e Bolzano. La linea di chiusura scelta dal governo italiano sortì l'effetto atteso di indebolire la leadership della SVP. Ma a essere colpiti furono gli esponenti della corrente borghese-liberale moderata (Erich Amonn e Josef Raffeiner) e nel partito si aprirono ampi spazi di manovra per chi intendeva rimettere al centro la Volkstumspolitik (politica etnica) nonché avviare un'azione più ferma con Roma. A quel punto, politicamente, alle chiusure del governo non avrebbe corrisposto l'indebolimento bensì l'irrigidimento della SVP. Ciò che di fatto avvenne nel 1957 quando la dirigenza del partito fu assunta da un gruppo di giovani, tra questi il futuro Obmann Silvius Magnago, che propugnavano una politica dei fatti contrapposta a quella delle parole. A livello locale cominciarono a registrarsi tensioni tra forze dell'ordine e popolazione tedesca, la destra tricolore riconquistò le piazze facendosi interprete dei timori degli italiani e saltarono in aria i primi tralicci. Tutti segnali di un inasprimento del clima in atto. Con l'adunata di Castel Firmiano, da cui Magnago lanciò il Los von Trient! (Via da Trento!), il gruppo di lingua tedesca diede una dimostrazione pacifica di compattezza nel rigettare un'autonomia considerata solo di facciata. Il passo successivo fu l'uscita della SVP dalla giunta regionale nel 1959, atto finale della crisi del primo statuto. L'attenzione dei sudtirolesi era ormai rivolta oltre il confine per cogliere, tra gli esempi di minoranze oppresse, movimenti indipendentisti e modelli di soluzione internazionale, ragioni per riaprire la questione altoatesina. Conquistata la piena sovranità con il Trattato di Stato, l'entrata in gioco a pieno titolo dell'Austria, terzo polo di una partita che fino ad allora si era sostanzialmente La disputa sull'Alto Adige davanti all'ONU: Su iniziativa austriaca, nel 1960 l'ONU discusse sull'Alto Adige, che ebbe così il proprio battesimo internazionale. La soluzione della controversia, secondo la risoluzione approvata dall'Assemblea Generale, andava cercata nella prosecuzione delle trattative bilaterali tra l'Italia e l'Austria. Un invito al dialogo e una conferma del diritto di Vienna di occuparsi della questione altoatesina. L'imbuto della violenza. Alla fine degli anni cinquanta la crisi del primo statuto era ormai conclamata e sui piani politico e diplomatico non vi erano soluzioni alla portata. Il governo italiano escludeva la possibilità di concedere maggiori spazi di autonomia al gruppo di lingua tedesca, il quale a sua volta insisteva sul proprio diritto all'autogoverno in provincia di Bolzano. La questione altoatesina scivolava progressivamente verso un problema di ordine pubblico. Fonti fiduciarie e rapporti delle forze dell'ordine segnalavano il crescente attivismo dei circoli irredentisti e una recrudescenza degli attentati dinamitardi. Frange radicali organizzate, che spingevano verso l'autodeterminazione e il distacco dall'Italia, avevano trovato spazio per inserirsi nella più generale protesta della minoranza sudtirolese contro il governo italiano. Nell'adunata di Castel Firmiano militanti del neo costituito Befreiungsausschuss Südtirol comitato di liberazione del Sudtirolo, BAS), organizzazione clandestina che fu responsabile della stagione delle bombe in Alto Adige, distribuirono un volantino che incitava i sudtirolesi a prepararsi alla battaglia per la propria esistenza, per un Sudtirolo libero. Il loro motto non era il Los von Trient!, bensì il Los von Rom! (via da Roma!) con un confuso e velleitario riferimento alla lotta di liberazione dei popoli che in quegli anni combattevano contro il colonialismo. Le bombe a firma BAS cominciarono a scoppiare nel 1957 e colpirono inizialmente obiettivi simbolici monumenti e lapidi, compresa la tomba di Ettore Tolomei). Si registrò un progressivo salto di qualità nella pianificazione dell'uso di mezzi violenti, ormai concepiti come arma politica. L'occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario dell'insurrezione tirolese capeggiata da Andreas Hofer (1809-1959) venne ad assumere in Austria, così come in Alto Adige, un grande significato politico-ideologico. Era un'importante manifestazione ufficiale che si prestava anche ai gruppi più radicali per soffiare sul fuoco della secessione. I motivi di preoccupazione per lo stato di tensione etnica e politica che si sarebbe potuto generare, erano aggravati dal fatto che tali celebrazioni sarebbero durate per un anno intero e avrebbero avuto al centro proprio la Südtirolfrage (questione sudtirolese). In un crescendo di attentati, s'intensificarono anche i contatti tra i militanti sudtirolesi e nordtirolesi del BAS e il primo giugno 1961 in una riunione segreta a Zernez, in Svizzera, fu pianificata la cosiddetta notte dei fuochi. Le bombe che scoppiarono e che inaugurarono una lunga stagione di terrore in Alto Adige non causarono solo danni materiali, ma anche vittime. L'effetto che produssero, a dispetto di ciò che si attendevano i dinamitardi, non fu quello di portare a soluzione il problema bensì di inasprirlo. La Chiesa locale e la SVP condannarono da subito gli attentati e anche nella maggioranza della popolazione sudtirolese prevalse la convinzione che la violenza fosse la reazione sbagliata. La risposta dello Stato non si fece attendere e il territorio altoatesino venne militarizzato. I riflettori dei media italiani si accesero per la prima volta su un mondo tanto distante da essere considerato straniero e ora anche ostile. L'immagine dell'Alto Adige si appiattì sugli attentati e sulle conseguenze, poco o nulla emerse sulle cause così come sui retroscena della repressione. Prevalse la convinzione che la violenza fosse la reazione sbagliata. 19. La risposta dello Stato italiano alla notte dei fuochi non si fermò solo sul piano della reazione e della repressione dei fatti di reato. In un clima non certo favorevole, anche per l'impressione che la violenza terroristica pagasse ai fini di costringere a una svolta, la proposta avanzata dal governo di un diretto confronto interno sui problemi dell'Alto Adige risultò determinante per la ripresa del dialogo tra le parti. Era l'ora della responsabilità per tutti gli attori in causa, a partire dall'unanime condanna degli attentati. Per la prima volta dopo l'annessione si ponevano le basi di una verifica politica aperta tra governo e minoranza di lingua tedesca. Con la Commissione dei Diciannove, costituita su iniziativa del ministro dell'Interno Mario Scelba, il problema dell'Alto Adige tornava nell'alveo delle questioni politiche interne, nei nodi dei rapporti tra Roma e Bolzano che per primi dovevano essere sciolti. La Commissione era un organo consultivo investito di un compito delicatissimo: rendere possibile una soluzione concordata. Berloffa, suo ispiratore, ne richiamò l'assoluta rilevanza in una lettera a Scelba il giorno prima dell'insediamento della Commissione: Sta impegnando le teste più responsabili dell'Alto Adige: guai se dovesse fallire. La SVP, guidata da Silvius Magnago, manifestò con convinzione la volontà di contribuire alla necessaria ripresa e la disponibilità a riavviare il confronto. Nel novembre 1961, a pochi mesi dall'inizio dei lavori della Commissione dei Diciannove, si tenne a Bolzano il VI Convegno Amici e Collaboratori del Mulino sul tema Una politica per l'Alto Adige. La manifesta propensione autonomista, l'orientamento critico nei confronti del centralismo statale e lo spirito federalista che animava gli organizzatori del convegno permisero un franco confronto tra le parti anche in loco. DC altoatesina (Lidia Menapace e Giuseppe Farias) e l'autorevolezza degli altri relatori, tra questi Altiero Spinelli e Umberto Segre, non solo qualificò i lavori del convegno ma confermò il valore di un orientamento e di un metodo, quello del dialogo, che furono propri della Commissione dei Diciannove e dello spirito con cui il centrosinistra approcciò la questione altoatesina negli anni a seguire. Un contributo pacificatore importante venne anche dalla Chiesa locale che, attraverso il magistero del vescovo Joseph Gargitter, fu di costante richiamo ai valori dell'ascolto, della solidarietà, del rispetto dello Stato e delle minoranze. Nel 1964 la decisione di modificare i confini delle diocesi di Trento e Bressanone, facendoli coincidere con quelli delle due province, oltre alle motivazioni pastorali che l'avevano suggerita, parve indicare la direzione del nuovo assetto dell'autonomia. I lavori della Commissione dei Diciannove si protrassero dal settembre 1961 all'aprile 1964 e furono accompagnati da una recrudescenza degli attentati terroristici. Le questioni sul tavolo erano molte e complesse, tante le materie da trattare, dalla scuola all'uso della lingua, dalla riserva di posti negli impieghi statali riservati agli appartenenti al gruppo linguistico tedesco all'edilizia popolare, dalla revisione delle opzioni al potenziamento dell'autonomia provinciale. Non mancavano aspetti legati all'economia, al commercio e al credito. I risultati della Commissione, raccolti nella relazione che fu consegnata al governo italiano, erano incoraggianti. Erano migliorati nel frattempo anche i rapporti tra Bolzano e Trento e i rispettivi partiti di maggioranza. Il compromesso raggiunto rafforzava le autonomie provinciali e avrebbe pertanto rafforzato anche il Trentino. Nel dicembre 1963 Aldo Moro, nuovo presidente del Consiglio, fece cenno diretto nel suo discorso programmatico ai lavori della Commissione dei Diciannove, quale base per giungere a una soluzione della vertenza altoatesina. Era nato il primo governo di centro sinistra organico, che ebbe positive ricadute sull'Alto Adige. Il metodo del confronto e della ricerca di intese tra governo e rappresentanti delle popolazioni locali aveva aperto una strada maestra sia per costruire la nuova casa dell'autonomia sulla base di una rinnovata fiducia tra le parti, sia per favorire buoni rapporti tra Italia e Austria. I risultati della Commissione avevano consentito il raggiungimento di un accordo tra i rispettivi ministri degli Esteri, i socialdemocratici Giuseppe Saragat e Bruno Kreisky, per il superamento della controversia. Ciò che fu definito il Pacchetto Saragat-Kreisky non ebbe però seguito, la SVP giudicò insoddisfacente l'intesa e insufficienti i risultati raggiunti in merito all'attribuzione di alcune competenze alla Provincia di Bolzano. Le trattative bilaterali entrarono in una situazione di sostanziale stallo per circa un anno e mezzo, mentre riprese il confronto diretto tra Roma e Bolzano. Azioni terroristiche sempre più cruente e con un carico maggiore di vittime, i cui effetti si riverberarono anche sul deciso peggioramento delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, furono ulteriori ostacoli lungo il cammino né lineare né breve della risoluzione del problema altoatesino. In queste difficili fasi della vertenza fu determinante il ruolo attivo assunto da Aldo. I personali e riservati incontri seppero creare un reciproco clima di rispetto e fiducia, necessario per procedere verso la soluzione della vertenza con la soddisfazione di tutte le parti. 21Con l'accoglimento del Pacchetto, dapprima da parte dell'assemblea SVP, il 23 novembre 1969, e quindi dai parlamenti italiano e austriaco nel 1971, si gettano le basi politiche del secondo. Alla Provincia di Bolzano vengono assegnate una serie di competenze legislative e funzioni amministrative, in parte primarie e in parte secondarie. Dopo l'insoddisfacente statuto del 1948, il nuovo documento punta a mettere fine a decenni di conflitto e a tutelare le minoranze etniche della Provincia autonoma. 43. Tappe e orientamenti dell'autonomia altoatesina dal 1972. L'autonomia è un processo negoziale aperto. dopo quattordici ore di dibattito, Silvius Magnago riesce a ottenere la maggioranza per l'approvazione del Pacchetto, 22 novembre 1969 45 Un grande sforzo iniziato in sordina. La nuova era dell'autonomia inizia in sordina. Ed è per puro caso che il 20 gennaio 1972, giorno in cui entra in vigore il nuovo statuto, sia in calendario una riunione del Consiglio provinciale. Lo storico momento, infatti, viene ricordato solo nelle parole introduttive del presidente dell'aula consiliare, Silvio Nicolodi: Ci dobbiamo e sono sicuro ci vogliamo impegnare a operare affinché la fiducia in noi riposta non sia delusa. Niente squilli di tromba o espressioni di esultanza, insomma. L'ammonimento lanciato da Nicolodi non deludere la fiducia riposta in noi può essere interpretato in due modi. Nel 1969, con l'accoglimento del Pacchetto, la SVP fatica non poco a concedere fiducia allo Stato italiano. Il quale, da parte sua e malgrado la propria concezione centralistica, concede all'Alto Adige ampi diritti di autogoverno e riconosce le minoranze del territorio. Gli strumenti di tutela del gruppo linguistico tedesco, così come le misure graduali destinate alla popolazione ladina, superano oggi come allora gli standard europei. Per entrambe le parti in causa, l'esercizio della fiducia consiste sia nella messa alla prova di un'autonomia amministrativa all'interno di uno Stato centralista sia nella pacifica convivenza di una maggioranza nazionale con una minoranza linguistica. E al contempo è una grande dimostrazione di forza. Fino all'entrata in vigore del secondo Statuto di autonomia, infatti, il Consiglio provinciale emette mediamente una decina di leggi l'anno. Nell'era della nuova autonomia, nei primi dodici mesi le leggi licenziate sono ben quarantasette. I campi di intervento spaziano dai temi storicamente scottanti alle impostazioni per il futuro passando per i nuovi regolamenti del commercio: il ripristino dei nomi tedeschi italianizzati durante il fascismo, la tutela della flora alpina, la legge sulla raccolta dei funghi, la riorganizzazione del settore degli acconciatori, la manutenzione delle strade comunali e la rete elettrica. La legge provinciale di riforma dell'edilizia abitativa, varata nel luglio del 1972, rispecchia il doppio carattere della nuova autonomia, sospesa tra correttivi del passato e linee programmatiche per il futuro, tra tutela delle minoranze e spazi di manovra sociali, economici e politici: da un lato punta a sostituire i sussidi statali per gli alloggi, che dando la precedenza alla popolazione di lingua italiana vengono percepiti come incentivo all'immigrazione tanto da rappresentare la scintilla sia della grande manifestazione di Castel Firmiano del 1957, sia degli attentati a cantieri edili statali; dall'altro lato la legge permette nuove opportunità di politica sociale e pianificazione abitativa. Ben presto i giornali iniziano a riferire di solenni cerimonie di consegna delle chiavi di alloggi sociali a famiglie bisognose, mentre gli aiuti alle cooperative edilizie e la concessione di prestiti a tassi di favore offrono ad ampie fasce di popolazione la possibilità di avere una casa di proprietà. La legge urbanistica provinciale, approvata in quello stesso 1972, mostra su un altro livello come l'intento di tutelare la minoranza linguistica si intrecci con la pianificazione del futuro: le norme restrittive sullo sfruttamento dei terreni intendono da una parte evitare nuove immigrazioni ma anche frenare la frammentazione del paesaggio e lo sfruttamento eccessivo dell'ambiente. Per coprire il fabbisogno edilizio, mantenendolo al contempo entro i limiti, vengono concessi contributi per la ristrutturazione di vecchi edifici e si individuano nuove aree residenziali. E se nei centri urbani a maggioranza italiana l'edilizia abitativa ristagna, nella periferia di lingua tedesca i cantieri spuntano come funghi dopo la pioggia. 46. In seguito alla presa in carico dallo Stato di numerose competenze amministrative, il bilancio provinciale si gonfia rapidamente: dai 77,2 miliardi di lire del 1973 si passa ai 103 del 1974, che l'anno successivo raddoppiano arrivando a 210 miliardi. Rispetto al misero bilancio del 1961, anno di inizio delle trattative per l'autonomia, la dotazione finanziaria della Provincia di Bolzano è adesso venti volte più alta. Per gestire una tale quantità di denaro e le relative incombenze, il Consiglio provinciale approva leggi su leggi mentre da un giorno all'altro nascono dal nulla nuovi uffici. Contestualmente però, il governo altoatesino ha fin da subito il suo bel daffare per difendere i diritti acquisiti. È appena il febbraio del 1972, quando vengono impugnate davanti alla Corte costituzionale le prime norme di attuazione dell'autonomia perché ritenute inadeguate. Roma con una mano dà e con l'altra toglie, scrive il 18 maggio 1972 il settimanale Volksbote, organo di stampa della SVP, commentando il pesante respingimento della cosiddetta legge sull'elettricità che di fatto inaugura la decennale querelle sulla competenza in materia di approvvigionamento energetico. A fine 1972, delle settantaquattro nuove leggi provinciali emanate, appena tredici sono effettivamente entrate in vigore. Nel suo tradizionale discorso natalizio, il presidente della Provincia Silvius Magnago ricorda la promessa fatta all'atto dell'accoglimento del Pacchetto, ovvero che anche il minimo taglio e simili tagli e svuotamenti possono essere causati da pessime norme di attuazione potrebbe annullare il consenso accordato in occasione dell'assemblea provinciale. Il governo centrale intanto continua a rimandare sistematicamente al mittente le nuove normative provinciali. Persino alcune leggi di scarso rilievo politico, come l'albo professionale dei giardinieri o la regolamentazione del maso chiuso, vengono inizialmente rigettate. Tuttavia, secondo Remo Ferretti, per tanti anni segretario provinciale della Democrazia Cristiana (DC), questa situazione non dipende da un atteggiamento astioso del governo italiano bensì dal sovraccarico dell'apparato burocratico romano, al quale il concetto di legislazione autonoma era del tutto estraneo. La SVP invece, alla luce delle esperienze vissute negli ultimi decenni, subodora una macchinazione politica. Il Pacchetto altoatesino con le sue centotrentasette misure, venticinque sotto-misure e trentun note aggiuntive è in parecchi passaggi un costrutto di sfiducia istituzionalizzata, per usare le parole del professore di diritto pubblico comparato Joseph Marko. L'esercizio della fiducia, per entrambe le parti, consiste nella messa alla prova di un'autonomia amministrativa all'interno di uno Stato centralista. 47. I fiori lungo la strada. Silvius Magnago ama ripetere questa frase, quando nelle trattative con Roma si tratta di cogliere al volo le occasioni che volta per volta si presentano. Ed è una frase che lascia capire quanto lo storico politico sudtirolese sia paziente e allo stesso tempo tenace. Ben presto però il Landeshauptmann deve fare i conti con le pressioni provenienti dal suo stesso partito. L'insabbiamento del Pacchetto diventa un'espressione ricorrente del linguaggio politico, e parallelamente cresce il malcontento della popolazione italiana verso la politica di autonomia. Nel 1976 entrano in vigore la proporzionale etnica e l'obbligo di bilinguismo nella pubblica amministrazione, due strumenti di tutela fortemente voluti dalla SVP e fortemente contestati in quanto vanno a intaccare gli interessi e i privilegi della popolazione di lingua italiana. Introducendo la ripartizione dei posti di lavoro pubblici e degli alloggi sociali in base alla consistenza dei gruppi linguistici, si vuole porre rimedio a una ingiustizia che si trascina da parecchi anni. Se infatti fino a quel momento il personale della pubblica amministrazione è nella quasi totalità di lingua italiana, adesso in base alla proporzionale etnica due terzi dei posti vanno riservati al gruppo linguistico tedesco, un terzo a quello italiano e una percentuale del 4 per cento circa alla popolazione ladina. Per la popolazione italiana, che fino ad allora non vede alcun motivo per imparare il tedesco, la richiesta con annessa verifica della conoscenza della seconda lingua provinciale viene vista come una chiusura all'accesso al pubblico impiego, che rappresenta il più importante e pressoché esclusivo sbocco lavorativo. In maniera altrettanto sensibile, anche la proporzionale applicata all'edilizia sociale colpisce il gruppo linguistico italiano. E poiché il consenso politico all'autonomia della parte italiana giunge solo dai circoli elitari dei partiti di centrosinistra, la popolazione italiana che fino ad allora non viene mai coinvolta si sente colta di sorpresa e tradita. Nel 1985, nel giro di un solo mese, vengono raccolte 22.758 firme contro lo Statuto di autonomia, che in un volantino veniva definito strumento diabolico di oppressione della minoranza italiana in Alto Adige. Riunione del Comitato di contatto presso la Cancelleria federale di Vienna, Silvius Magnago e il cancelliere federale Bruno Kreisky, 29 ottobre 1979. Incontro tra Silvius Magnago e il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, Roma, 12 ottobre 1982 48. Poiché nel 1976 la percentuale dei dipendenti statali di lingua tedesca o ladina è solo del 13,9 per cento, si decide che questa disparità debba essere sanata entro il 2002. Per gli italiani ciò significa che, durante questa lunga fase di transizione, i posti di lavoro a disposizione non saranno un terzo del totale bensì appena il 6 per cento. In parecchi uffici, dove l'eccesso di italiani è consistente, per diversi anni non ci saranno nuove assunzioni per il gruppo italiano, per cui da quel momento ogni bando di concorso pubblicato è fonte di malumore. La popolazione di lingua tedesca e ladina, di contro, non è ancora pronta per l'apertura del mercato del lavoro statale. I decenni di esclusione dal pubblico impiego, l'economia ancora fortemente improntata all'agricoltura, all'artigianato e al commercio al dettaglio, il ritardo nella politica dell'istruzione: tutto questo fa sì che nella pubblica amministrazione manchi personale in possesso dei titoli di studio necessari laurea e persino maturità per ricoprire le posizioni dirigenziali. E mentre la costruenda amministrazione provinciale, e successivamente anche quelle comunali, generano un effetto trainante, al contrario le aziende statali come le Poste o le Ferrovie rimangono per tanti sudtirolesi un mondo estraneo e, almeno inizialmente, poco attraente. Ne consegue che il debutto della proporzionale sia alquanto lento. Nel 1981, a cinque anni dalla sua introduzione, vengono banditi ottanta concorsi per un totale di 2.081 posti, ma gli assunti sono appena 625. Tanti concorsi vengono annullati all'ultimo momento, alla visita medica per l'assunzione alle Ferrovie il tasso di esclusione dei candidati tedeschi è di gran lunga più alto di quello dei candidati italiani. Alla fine, il decreto sulla proporzionale viene temporaneamente sospeso, poiché in contraddizione con la riforma sulla legge dei servizi degli impieghi statali. Di questo differimento della copertura dei posti vacanti profittano in particolare le. Con la proporzionale etnica e con l'obbligo di bilinguismo nella pubblica amministrazione entrano in vigore due strumenti di tutela tanto fortemente voluti quanto fortemente contestati. Lo sviluppo dell'autonomia: sessione ordinaria del governo provinciale, 1972 49. Ma come mai un diritto appena concesso viene sabotato già nella sua fase iniziale? La causa è in parte da ricondurre all'intransigenza della SVP nel pretendere una puntigliosa applicazione delle norme sull'autonomia. Cosicché, mentre la proporzionale e l'obbligo di bilinguismo risultano inapplicati e già contestati, rimangono completamente fuori dal dibattito altre importanti norme di attuazione come l'ordinamento finanziario, l'uso della lingua tedesca nella giustizia, nelle forze dell'ordine e negli uffici amministrativi, la regolamentazione delle competenze nel settore energetico e nella comunicazione. Nel 1981 il termine decisamente ottimistico indicato nell'articolo 108 dello Statuto di autonomia per l'adozione di tutte le norme di attuazione due anni è già stato superato di cinque anni. La sensazione che ci sia la volontà di ostacolare l'autonomia porta la componente tedesca ad alcuni irrigidimenti che rendono il processo di autonomia per nulla conciliante. La popolazione di lingua italiana inizia a manifestare il cosiddetto disagio, associato a una sensazione di non appartenenza che per tanti anni le rende difficile partecipare attivamente alla formazione dell'autonomia. Opzioni 1981 e gabbia etnica. Nel dibattito politico la proporzionale si trasforma ben presto da strumento di suddivisione a strumento di divisione. Da parte tedesca si rafforza la volontà di demarcazione, condensata nella leggendaria espressione dell'assessore provinciale alla scuola e alla cultura di lingua tedesca Anton Zelger: Quanto più chiaramente ci separeremo, tanto più riusciremo a capirci. Dietro questa frase c'è l'idea di un'autonomia che può svilupparsi al meglio solo attraverso un'accurata separazione dei gruppi etnici, ovvero separando scuole, luoghi di cultura, biblioteche, associazioni e così via. Potete sempre vedervi al bar, replica Silvius Magnago a chi afferma che, così facendo, si precludono le possibilità di incontro e riconciliazione tra i due gruppi linguistici. La tensione diventa ancor più evidente in occasione del censimento decennale del 1981. Per applicare la proporzionale nella maniera più precisa possibile, per la prima volta la dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico non viene più richiesta in forma anonima perché altrimenti questa la motivazione sarebbe troppo facile imbrogliare. Potrebbe infatti capitare, per esempio, che al censimento una persona si dichiari italiana per rafforzare il proprio gruppo linguistico, poi però, al momento di cercare lavoro, si dichiari tedesco. La dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico getta benzina sul fuoco: protesta contro le gabbie etniche, 1981 50. Tra i due schieramenti si situa il movimento interetnico che fa riferimento ad Alexander Langer. Attraverso il paragone con le Opzioni del 1939 e la metafora della gabbia etnica, si alimentano le preoccupazioni su una spaccatura della società e si chiede di rifiutare la dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico. Per la sua politica della mescolanza, Langer viene accusato di essere il becchino della minoranza sudtirolese. Il rifiuto della dichiarazione viene reso difficile dalla conseguente perdita automatica dei diritti regolamentati dalla proporzionale in materia di alloggi sociali, pubblico impiego, diritto di voto passivo in organi che non prevedono la dichiarazione a posteriori come il Consiglio comunale; per Consiglio provinciale e parlamento invece è consentito). Alla fine, solo il 2,2 per cento della popolazione non dichiara alcuna appartenenza linguistica, sia per essersi rifiutata sia per essere di nazionalità straniera. Rispetto al 1971 la popolazione di lingua tedesca aumenta di due punti percentuali, quella ladina dello 0,4 per cento. Per contro gli italiani, presenti in prevalenza nei centri urbani, subiscono un decremento dovuto sia al calo delle nascite sia all'autonomia, facendo sorgere in loro una forte preoccupazione su quale sia realmente il loro posto in un Alto Adige autonomo. L'autonomia non può essere lo strumento per cacciare la popolazione italiana dall'Alto Adige, si inquieta il segretario provinciale della DC Danilo Postal. Il terreno su cui si fonda l'autonomia inizia a sgretolarsi, e uno dei sintomi è la recrudescenza della violenza di stampo politico. Già nel 1978 avvengono degli attentati contro obiettivi tedeschi la villa di Silvius Magnago e alcune funivie) e italiani il Monumento alla Vittoria, per citarne uno). Nel 1984, anno della commemorazione dei moti tirolesi del 1809, inizia l'escalation del gruppo terroristico Ein Tirol, che ha l'obiettivo dichiarato di ostacolare la chiusura del Pacchetto e mantenere aperta la strada dell'autodeterminazione. Gli attentati non trovano comunque sostegno politico, anche perché attorno all'ex attentatore della fine degli anni sessanta Karl Außerer si era formato un miscuglio di cieco patriottismo, criminali prezzolati e agenti provocatori. Nella popolazione italiana intanto avviene un deciso spostamento politico a destra. Il Movimento Sociale Italiano (MSI), partito di derivazione fascista che in Italia ha un peso politico insignificante, alle elezioni comunali di Bolzano del 1985 diventa il primo partito italiano, traguardo che raggiunge anche alle parlamentari del 1987 e alle elezioni provinciali del 1988. Da parte tedesca si registra, nel 1983, la comparsa del Südtiroler Heimatbund, un movimento politico autonomo nato da una costola della SVP con l'obiettivo di formare un Freistaat Südtirol (Stato libero sudtirolese). Tra diversi alti e bassi, il movimento separatista per ultimo sotto il nome di Südtiroler Freiheit) non è mai riuscito ad affermarsi sulle forze favorevoli all'autonomia. I temi conflittuali vengono superati solo gradualmente e l'esplosività politica della proporzionale viene disinnescata grazie al crescente benessere e alla pressoché totale assenza di disoccupazione. Una protesta silenziosa: il 9 settembre 1984 gli Schützen sfilano a Innsbruck per commemorare il 175° anniversario dell'insurrezione tirolese capeggiata da Andreas Hofer 51. Un cambio di generazione e di paradigma. L'autonomia va di pari passo con la ripresa economica, favorita anche dalla dotazione finanziaria e dalle conseguenti opportunità di modellarla e sostenerla. Il boom del turismo e la proliferazione di moderne imprese artigianali e medie industrie riguardano inizialmente soprattutto le zone di lingua tedesca e ladina, ma la prosperità che ne deriva va a beneficio di tutti i gruppi linguistici del territorio. Con il ritiro di Silvius Magnago, nel 1989, in Alto Adige si inaugura un deciso cambio di stile politico. Oltre al grande vecchio della politica altoatesina, altre due figure simbolo della prima era dell'autonomia passano in secondo piano: Anton Zelger decide di non ricandidarsi, Alfons Benedikter apprezzato per la sua ristrettiva politica urbanistica ma criticato da alcuni settori dell'economia passa sui banchi dell'opposizione. Il nuovo presidente della Giunta provinciale, Luis Durnwalder, si propone come il Landeshauptmann dell'apertura. In effetti riesce a parlare agli italiani e a convincerli, almeno in parte, della bontà dell'autonomia. In maniche di camicia, Durnwalder cancella il modo ascetico di lavorare dei suoi predecessori, allenta le rigide norme urbanistiche, apre porte e portoni a un'economia più coraggiosa. Dopo tanti anni di rifiuto di un'università in Alto Adige, sospettata di essere uno strumento intellettuale di colonizzazione romana, il nuovo presidente provinciale passa alla storia come il fondatore della Libera Università di Bolzano. Aperture, benché di carattere provvisorio, si registrano anche in settori politicamente delicati come la scuola e gli asili. Intuendo che i propri figli, per avere. La sensazione che ci sia la volontà di ostacolare l'autonomia porta la componente tedesca ad alcuni irrigidimenti. linguistico se ne permette l'assegnazione all'altro gruppo, prevedendone la compensazione nei bandi futuri. A livello pratico, inoltre, la proporzionale favorisce la mescolanza etnica in luoghi di lavoro prima prettamente italiani. E poiché gli enti statali, in seguito a privatizzazioni e riduzione del personale passato a Provincia e Comuni, perdono sempre più d'importanza, la proporzionale diventa piuttosto una garanzia per la popolazione italiana negli ambiti lavorativi a maggioranza tedesca. Nell'edilizia sociale viene inoltre introdotto, oltre al criterio di assegnazione etnica, anche il principio del fabbisogno personale. Questa elasticità fa sì che anche la dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico, aspramente contestata per decenni, perda i suoi lati più spigolosi. Già in precedenza, peraltro, l'opposizione si è affievolita: quando nel 1995 Alexander Langer si vede rifiutare la candidatura a sindaco di Bolzano per non aver consegnato la dichiarazione etnica, la sua accorata protesta rimane in gran parte inascoltata. 52 un buon futuro in Alto Adige, devono imparare il tedesco, i genitori italiani iniziano a iscriverli negli asili e nelle scuole elementari in lingua tedesca. La loro richiesta di strutture bilingui o multilingui non viene accolta, tuttavia si accordano gradualmente alcune concessioni, come per esempio corsi privati di tedesco negli asili italiani e l'aumento delle ore di insegnamento della seconda lingua nelle scuole. Il numero crescente di famiglie bilingui e i recenti movimenti migratori rappresentano una sfida per le future politiche educative: il modello di autonomia, tarato su tre distinti gruppi linguistici, deve confrontarsi con una realtà europea sempre più interculturale. Il declino della conoscenza dell'italiano da parte della popolazione tedesca, e la contemporanea stagnazione della conoscenza del tedesco presso il gruppo italiano, fanno capire quanto la ricchezza della varietà linguistica sia ancora misconosciuta. Di incoraggiante vi è il fatto che la popolazione ladina, con le sue scuole italo-tedesche paritetiche, vanti un ottimo livello di conoscenza delle due lingue e al contempo mantenga vivo un idioma marginale come il ladino. Gli importanti sviluppi registrati a cavallo tra vecchio e nuovo millennio globalizzazione, neoliberalismo economico, introduzione della moneta unica europea, crisi finanziaria non risparmiano neanche un sistema di tutela come l'autonomia altoatesina. Con la chiusura del Pacchetto nel 1992 e la dichiarazione congiunta italo-austriaca di risoluzione della controversia la cosiddetta quietanza liberatoria), che mette fine al conflitto pendente davanti all'ONU dal 1960, lo status di autonomia raggiunto viene ancorato nei limiti del possibile a livello internazionale. Contestualmente si afferma il concetto di un'autonomia dinamica, obbligata ad adattarsi alle nuove circostanze. Nel 2001, con la riforma della Costituzione italiana, le nuove competenze concesse alle regioni possono essere estese anche alle province autonome. Per l'Alto Adige questo significa acquisire nuove competenze in diversi settori come energia, scienza e ricerca, relazioni e accordi internazionali, commercio estero, sicurezza sul lavoro, protezione civile, scuola, sport, aviazione civile e (tramite la Regione) sistema pensionistico. Il principio della verifica delle leggi provinciali viene capovolto: non è più il governo centrale a respingere le norme e la Provincia a ricorrere alla Corte costituzionale, ma adesso le leggi promulgate a Bolzano entrano in vigore e Roma può eventualmente impugnarle. Tuttavia, la Corte costituzionale concede anche allo Stato le cosiddette competenze trasversali in caso di interessi preponderanti. In caso di violazione di accordi internazionali o di possibili pericoli, lo Stato può intervenire direttamente anche negli ambiti dell'autonomia attraverso il potere di sostituzione. Lo stesso principio vale per l'ordinamento finanziario. Con la riforma del 1989, la Provincia di Bolzano riceve di ritorno i nove decimi delle imposte riscosse in Alto Adige. Ma poiché lo Stato continua a effettuare spese in Alto Adige, si genera un eccesso di finanziamento. Sulla scia della crisi finanziaria lo Stato esercita quindi pressioni per un adeguamento, sfociato nell'Accordo di Milano siglato nel 2009 da Durnwalder con il quale viene tutelato il finanziamento all'autonomia altoatesina: l'Alto Adige mantiene la quota fissa del 90 per cento del gettito fiscale e riceve il diritto di introdurre imposte locali nelle proprie aree di competenza, in cambio si impegna a effettuare pagamenti compensativi per i comuni frontalieri e ad assumere ulteriori competenze a costo zero per sgravare il bilancio statale. Dopo diversi tentativi del governo di ammorbidire la normativa, nel 2014 il neoeletto presidente provinciale Arno Kompatscher riesce a negoziare un patto di garanzia. In cambio di un contributo fisso di solidarietà destinato alla copertura del debito pubblico, la regolamentazione finanziaria viene consolidata e assicurata a livello internazionale tramite il coinvolgimento dell'Austria. Il bilancio provinciale del 2022 prevede entrate per 6,5 miliardi di euro. Nel 1973, con i dati convertiti e corretti tenendo conto dell'inflazione, è di 675 milioni di euro, a dimostrazione di come in mezzo secolo l'autonomia sia progredita in termini di competenze e dotazione finanziaria. Favorita anche dalla dotazione finanziaria, l'autonomia va di pari passo con la ripresa economica. 53. Il confine del Brennero sparisce: I ministri dell'Interno italiano e austriaco, Giorgio Napolitano e Karl Schlögl, alla celebrazione della rimozione della sbarra di confine del Brennero, 1° aprile 1998. Il 1° gennaio 1995, giorno in cui l'Austria diventa uno Stato membro dell'UE, i governatori provinciali Luis Durnwalder e Wendelin Weingartner si incontrarono al bar del confine 54. Tendenze, orientamenti e sfide. L'abbondanza di aree di competenza rende l'Alto Adige una sorta di laboratorio nel quale sono condensati, in uno spazio assai ridotto, i problemi del presente e le questioni future delle democrazie europee. Se da un lato l'autonomia offre notevoli opportunità di autogestione, queste sono condizionate allo stesso tempo dagli sviluppi e dalle influenze globali. La complessità della moderna amministrazione, la necessità di una rigorosa austerità nell'utilizzo dei fondi pubblici, la distinzione sfumata tra politica e amministrazione e tra pubblico e privato, i complessi rapporti giuridici tra Comuni, Provincia, Stato e Unione Europea: tutto questo richiede alla politica di autonomia un impegno decisamente alto. Clima, fenomeni migratori e pandemia sono solo gli esempi più recenti di come le questioni globali richiedano risposte anche a livello locale. Certo, tutela delle minoranze etniche e salvaguardia dei diritti di autonomia nei confronti del governo centrale continuano a essere i punti di riferimento della politica autonomista altoatesina; essi, tuttavia, non possono essere gli unici fulcri attorno ai quali si organizza e si svolge la vita politica. Le misure autonome intraprese durante la pandemia di Covid-19, oppure gli allentamenti relativi alla tutela di determinate specie animali in contrasto con le normative nazionali e comunitarie, generano gruppi di interesse e di opinione che vanno al di là dell'appartenenza etnica. Anche le questioni etnicamente conflittuali ancora in sospeso, come la toponomastica, possono polarizzare ciclicamente il dibattito politico e mediatico, ma non provocano più uno sconvolgimento duraturo del clima politico. Anche nel 2002, quando il Comune di Bolzano in seguito a un referendum è costretto a ripristinare il vecchio nome di “piazza della Vittoria” dopo averlo cambiato in piazza della Pace, la rabbia della popolazione di lingua tedesca si placa più velocemente di quanto si temesse. il bassorilievo di Mussolini, commissionato dal partito fascista all'artista altoatesino Hans Piffrader, è stato depotenziato nel 2017 grazie alla frase di Hannah Arend Nessuno ha il diritto di obbedire 55. È vero che le elezioni provinciali del 2008 vedono un forte incremento dei partiti etnici Südtiroler Freiheit e Freiheitlichen, che insieme all'altro movimento patriottico Union für Südtirol conquistano oltre il 20 per cento dei consensi. Ma è altrettanto vero che quei successi elettorali non sono dovuti tanto alla polarizzazione italo-tedesca, quanto all'immagine ringiovanita e più liberale di questi partiti nonché, in gran parte, all'acuirsi della questione migratoria, che rappresenta un terreno comune con i partiti della destra italiana. Il fatto che nel contempo non si verifichi un'oscillazione in senso contrario del pendolo etnico da parte italiana, denota una perdita di centralità dei conflitti etnopolitici a favore di un pluralismo dei temi e delle strategie elettorali. Alle provinciali del 2013 la SVP perde, per la prima volta, la maggioranza assoluta; è il segnale che la ferrea coesione delle minoranze linguistiche a scapito della pluralità politica è stata alla fine indebolita dalla sua stessa storia di successo. La svolta più rilevante, in tali elezioni, è senz'altro la staffetta generazionale all'interno della SVP tra Luis Durnwalder e Arno Kompatscher. Queste tendenze si sono già manifestate e sono proseguite di conseguenza. Significativa in tal senso è la forte crescita elettorale registrata nel 2018 da Lega e Team K, due partiti che, riguardo all'affermazione dell'autonomia e al posizionamento etnico, non sono allineati alle tradizionali linee di conflitto. Questo dimostra anche come i dibattiti politici si concentrino e si infiammino meno sulle questioni etniche e sempre più su questioni trasversali come la migrazione, lo Stato d'ordine opposto alla società liberale (Lega) o la volontà di profondi cambiamenti nelle strutture e negli stili della politica Movimento Cinque Stelle, Team K). Lo stesso discorso si può fare per i Verdi, la cui concezione dell'autonomia trasversale ai gruppi linguistici perde il valore provocatorio degli anni pionieristici, portando il partito ecologista a porsi come opposizione critico-costruttiva su un'ampia gamma di tematiche. Da parte sua la. SVP, pur mantenendo la pretesa di essere il partito di raccolta delle minoranze, si è ampiamente allineata ai partiti popolari europei. L'autonomia non è quindi più misurata in termini di controversie etniche, quanto piuttosto discussa in termini di pregi e difetti. La critica che storicamente viene mossa all'autonomia, ovvero che in quanto soluzione parziale non rimedi all'ingiustizia storica causata dall'annessione nel 1919/1920, nell'opposizione separatista di lingua tedesca Südtiroler Freiheit, Freiheitlichen) si mescola con la critica alla cattiva gestione e alla condizione di quello Stato italiano al quale l'Alto Adige, malgrado l'autonomia di cui gode, rimarrà sempre legato. D'altra parte, l'autonomia rappresenta il quadro d'azione della politica in Alto Adige, per cui su di essa ricadono anche le carenze amministrative, le questioni politico-giuridiche e gli obiettivi conflittuali irrisolti. Molte delle critiche comunque possono essere intese come una normalizzazione, alla quale non viene ancora riconosciuto il suo valore positivo. Così, a cinquant'anni dall'entrata in vigore del secondo statuto, l'autonomia si ritrova da un lato nel luccichio di un modello spesso ammirato all'esterno e dall'altro nell'ombra dei propri limiti. Limiti che, sebbene nello scambio politico a volte siano ancora interpretati in senso etnico, in molti casi sono più legati a spostamenti tra filosofie statali centraliste e federaliste, che a loro volta sono soggetti alla pretesa di controllo da parte della Comunità Europea. Difendere i diritti e negoziare i conflitti di competenza con Roma e Bruxelles è ormai diventata un'attività politica tanto impegnativa quanto quotidiana, con effetti drastici per esempio sul bilancio provinciale, ma solo in casi rarissimi questo porta a una maggiore attrattività verso la politica autonomistica. La quale, al contrario, non solo paga la sindrome di assuefazione a diritti che si danno per scontati, ma è soggetta a critiche per tutto ciò che ha meno successo o che semplicemente non può essere realizzato. Un tentativo di allentare la propria limitatezza e i vincoli nazionali dell'autonomia è rappresentato dalla cooperazione sovraregionale con il Trentino e il Tirolo, denominata Euregio. Concepita come una sorta di progetto alternativo all'autodeterminazione, fin dalla sua fondazione formale nel 1998 e ulteriormente rafforzata nel 2011 dalla sua istituzionalizzazione come GECT (Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale) l'Euroregione cerca di concretizzare la cooperazione transfrontaliera a livello economico, scientifico e, per quanto possibile, anche a un livello più vicino ai cittadini, per esempio con l'introduzione del biglietto unico per il trasporto pubblico all'interno dell'Euregio. Non è invece chiaro il rapporto tra l'Alto Adige e la Regione Trentino-Alto Adige. Nel 1957 il controllo dell'Alto Adige da parte della maggioranza regionale (italiana) porta al Los von Trient di Castel Firmiano dando un'importante spinta. L'autonomia non è un diritto acquisito, bensì un processo negoziale aperto per un'azione indipendente e responsabile. la fondazione del GECT Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino nel 2011 a Castel Thun. Da sinistra i governatori provinciali Günther Platter, Lorenzo Dellai e Luis Durnwalder 57. Sostenitori dell'Alto Adige: l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi, il presidente della Provincia Arno Kompatscher e l'ex cancelliere federale Heinz Fischer alla Giornata dell'Autonomia a Bolzano, 5 settembre 2021 alla politica autonomista. Come gli interessi degli Stati nazionali e le eredità storiche possano contrastare una prospettiva che trascende i confini, non solo geografici, è stato recentemente dimostrato con chiarezza da due tematiche controverse. Lo smantellamento delle sbarre al confine del Brennero, celebrato con l'accordo di Schengen del 1992, si è interrotto bruscamente anche se temporaneamente dopo l'ondata di profughi del 2015, allorquando l'Austria organizza militarmente e logisticamente la chiusura del confine italiano più settentrionale. L'idea, lanciata nel 2017, di esprimere e rafforzare le sensibilità passate e presenti dell'Alto Adige attraverso la doppia cittadinanza italo-austriaca, è finora fallita e non solo per l'opposizione dell'Italia: da parte sudtirolese si comincia improvvisamente a discutere su quali gruppi linguistici abbiano il diritto di farlo; in Austria la questione mette in luce l'ambivalenza di una politica nazionale che nega lo stesso diritto alle minoranze interne e ai gruppi della diaspora di natura migratoria. Da questo dibattito emerge la necessità di un salto di qualità nella cultura della memoria dell'Alto Adige, che spesso si accontenta di tematizzare le ingiustizie subite alimentando quindi narrazioni conflittuali invece di portarle all'interno di un dialogo, con una nuova narrazione della migrazione che potrebbe inserire in nuovi contesti l'immigrazione italiana sotto il fascismo e l'emigrazione sudtirolese verso il Reich nel 1939. Il fatto che le minoranze sviluppino dalla propria storia una maggiore sensibilità per le altre e nuove minoranze, è anche in Alto Adige un potenziale inespresso. Lo spostamento dell'attenzione dal carattere di tutela etnica dell'autonomia a una concezione territoriale di autogoverno che vada a beneficio di tutte le persone che vivono qui, è espressione dello status di protezione ampiamente garantito alle minoranze linguistiche. Questo potrebbe suggerire il passaggio dalla tutela delle lingue minoritarie alla ricchezza del multilinguismo, abbastanza presente 58 nella retorica ma di fatto praticato con molta cautela. Ciò riguarda sia il modo in cui il multilinguismo viene affrontato nelle scuole, sia la valorizzazione di realtà familiari e sociali che non rientrano nella tripartizione linguistica provinciale, ma che potrebbero arricchirla. Questa è certamente una sfida centrale per il futuro, poiché lo Statuto di autonomia è in molti ambiti orientato verso tre gruppi linguistici chiaramente definiti. Il superamento delle identità tra i gruppi linguistici e la diversità della società migratoria europea esigono in futuro una politica creativa. I dati sconfortanti sulla conoscenza della seconda lingua si veda lo studio Kolipsi II di Eurac Research), sia da parte italiana che tedesca, potrebbero essere uno stimolo in tal senso. Un tentativo di sviluppare ulteriormente l'autonomia, e quindi di ottenere orientamenti per il futuro, è la Convenzione sull'autonomia del 2016. Questa iniziativa su larga scala, tesa a coinvolgere ampi settori della società attraverso un Forum dei 100, viene in parte risucchiata nel vortice delle questioni etno-politiche che di solito si scatenano in queste occasioni. Dai resoconti degli otto gruppi di lavoro, integrati dalle relazioni di minoranza, emerge una tendenza tra la cauta conservazione di ciò che è stato raggiunto, il rafforzamento delle competenze e qualche cauta apertura, soprattutto relativa al multilinguismo, alla società plurale e all'elaborazione di politiche partecipative. La lezione che si può trarre è che gli sforzi per sviluppare politiche orientate ai bisogni della popolazione devono essere sempre e nuovamente ricercati e osati. La piccolezza e quindi anche la ristrettezza dell'Alto Adige, con le sue relazioni familiari, le dipendenze e gli intrecci privati-professionali-politici-mediatici, rendono difficile avere uno sguardo sereno sulle questioni della vita quotidiana attuale e del prossimo futuro. Tuttavia, questa piccolezza rappresenta anche un'opportunità: molte cose si possono cambiare in tempi rapidissimi, i piccoli interventi raggiungono il loro obiettivo e il loro gruppo target senza fare troppi giri, i gruppi e i movimenti sociali sono più facili da riconoscere e coinvolgere, gli interessi possono essere negoziati più apertamente, i conflitti possono essere discussi quasi direttamente. L'autonomia offre quindi la possibilità di realizzare entrambi gli scenari: L'autonomia potrebbe essere intesa come un laboratorio per testare e ottimizzare su piccola scala ciò che sembra essere così difficile a livello mondiale: procedure amministrative trasparenti ed eque, rafforzamento delle minoranze all'interno delle minoranze anche in termini di origine geografica e sociale, genere, disabilità sociale), co-creazione partecipativa come risposta al calo dell'affluenza alle urne, costruzione della pace come lavoro costruttivo sui conflitti. L'autonomia, sia nella sua accezione che nella concezione altoatesina, non è un diritto acquisito, bensì un processo negoziale aperto per un'azione indipendente e responsabile. 59. Il significato del secondo Statuto di autonomia per il gruppo etnico ladino dell'Alto Adige. Per il gruppo etnico ladino, il secondo Statuto di autonomia del 1972 riveste una tale importanza da poter essere sostanzialmente definito come il primo, vero statuto. Lo statuto del 1948, infatti, si limitava a riconoscere l'esistenza della popolazione ladina nella regione, ad accennare a una vaga assicurazione dell'insegnamento del ladino nelle scuole elementari e all'obbligo da parte di Provincia e Regione di rispettare i toponimi, la cultura e le tradizioni della popolazione ladina. Solo con lo statuto del 1972 sono state introdotte anche misure di tutela specifiche. A livello istituzionale, queste includono la rappresentanza obbligatoria dei ladini nel Consiglio provinciale dell'Alto Adige e nel Consiglio regionale, ma anche il ricorso costituzionale diretto, ossia il diritto di impugnare una legge provinciale o regionale davanti alla Corte costituzionale nel caso in cui vi si ravvedano violazioni al principio di uguaglianza dei diritti tra i gruppi etnici. Determinante ai fini dell'autonomia culturale risulta essere il modello della scuola paritetica così come l'obbligo, da parte della Provincia di Bolzano, di assegnare le risorse di bilancio destinate a scopi culturali non solo in proporzione diretta alla loro consistenza, ma anche in relazione all'entità dei bisogni di ciascun gruppo linguistico. La garanzia di questi fondi ha reso possibile, tra l'altro, la creazione dell'Istituto culturale ladino Micurà de Rü nel 1976 e del Museum Ladin Ćiastel de Tor nel 2001, nonché le trasmissioni ladine alla radio e alla televisione. Benché lo statuto del 1972 abbia comportato un notevole salto di qualità nella tutela dei ladini, dal loro punto di vista la prima versione presentava degli svantaggi, alcuni anche gravi, rispetto agli altri due gruppi linguistici. Per esempio, era assente il diritto all'uso della lingua nella vita pubblica, indispensabile per la tutela delle minoranze, diritto che è stato codificato tramite norma d'attuazione solamente nel 1988. Altre carenze sono state in gran parte colmate nella fase della cosiddetta autonomia dinamica, attraverso le riforme del 2001 e del 2017. Con la legge costituzionale n. 2/2001 è stata garantita la rappresentanza ladina nel governo provinciale e ne è stata consentita la presenza nel governo provinciale, anche in deroga alla proporzionale. Inoltre, è stato ammorbidito il principio paritetico applicato alla presidenza del Consiglio provinciale altoatesino e del Consiglio regionale, consentendo almeno l'accesso dell'etnia ladina a queste cariche. La legge costituzionale n. 1/2017 ha poi concesso l'accesso dei ladini alla Commissione dei Sei e alla Commissione dei Dodici due organi che svolgono un ruolo essenziale nella stesura dei regolamenti attuativi la cui composizione era precedentemente regolata su base paritetica. Grazie alla stessa riforma il principio paritetico è stato ammorbidito anche in merito alla carica di vicepresidente della Giunta provinciale altoatesina, rendendone possibile l'accesso, fino a quel momento loro interdetto, anche ai ladini. Tuttavia, il principio di parità si applica ancora in alcuni settori, come per esempio quello del tribunale amministrativo, e questo comporta inevitabilmente l'esclusione del gruppo etnico ladino. In questi restanti ambiti, pertanto, dal punto di vista dei ladini lo statuto presenta ancora delle criticità. Esclusa di fatto dall'Accordo di Parigi, per la popolazione ladina la risoluzione della controversia siglata nel 1992 è stata di grande importanza, in quanto per la prima volta veniva garantita a livello internazionale la tutela dei ladini. Nel complesso il secondo Statuto di autonomia, integrato con le due riforme sopra citate, ha creato le condizioni quadro per una ripresa economica e culturale anche a beneficio dei ladini, così come naturalmente anche la risoluzione pacifica dei conflitti garantita dall'autonomia. 59 60. Ogni persona è figlia del suo tempo e vede il mondo in cui vive con gli occhi delle esperienze che ha vissuto. Si può ipotizzare quindi che, per un cinquantenne, l'autonomia abbia un significato diverso rispetto a quello che le attribuisce chi è nato nel 1922 o nel 1942? Martha Flies Ebner, 100 anni. Per me autonomia significa libertà. Quando i testimoni del tempo raccontano le proprie esperienze, i dati storici apparentemente aridi diventano personali, umani e, soprattutto, comprensibili alle nuove generazioni. Quasi nessuno è stato così vicino alla storia dell'Alto Adige le guerre, la ricostruzione, il rafforzamento dell'autonomia come Martha Flies Ebner con i suoi cento anni di vita. Quando Martha Ebner, alla fine degli anni venti del secolo scorso, iniziò ad andare a scuola, i fascisti avevano già vietato l'insegnamento del tedesco nelle scuole dell'Alto Adige, al fine di italianizzare la popolazione secondo i dettami della dittatura: A quel tempo frequentavo la Marienschule di Bolzano, gestita privatamente da suore. Ne conoscevo personalmente alcune e sapevo che la maggior parte di loro era di lingua tedesca. Ma durante le lezioni si parlava solo italiano e noi bambini non capivamo una parola. La situazione diventava particolarmente pesante quando c'era l'insegnante di ginnastica, un italiano che sorvegliava le attività ricreative. A nessun bambino piaceva la sua lezione. Era un vero fanatico e non ci lasciava nemmeno parlare brevemente in tedesco durante le pause. Nel pomeriggio, per imparare il tedesco gli scolari andavano al convitto Marieninternat, di fronte alla scuola. E, cosa alquanto sconcertante, con le stesse suore che al mattino insegnavano in italiano. I nostri genitori ci avevano insegnato a non mentire. Allo stesso tempo però non dovevamo tradire le suore... Non sapevamo più come muoverci. Io fui fortunata ad andarmene a 14 anni a Landshut, in Baviera, dove frequentai tre anni di scuola superiore e non ebbi problemi a recuperare quello che mi ero persa. Quando dopo la guerra le lezioni in tedesco furono reintrodotte in Alto Adige, fu difficile trovare insegnanti di tedesco. La mia generazione non ha imparato bene il tedesco. Dalle lezioni segrete di tedesco che suo zio, il canonico Michael Gamper, aveva contribuito ad avviare nelle cosiddette Katakombenschulen (chiamate così perché clandestine), alle numerose richieste di intervista per il suo centesimo compleanno nel giugno 2022, Martha Ebner ha condotto una vita assai piena, spesa tra famiglia, politica ed editoria. Seguì con interesse l'impegno dello zio contro il fascismo e il nazismo, e successivamente anche quello del marito Toni Ebner come membro fondatore della Südtiroler Volkspartei. Quando il canonico Gamper rilevò la casa editrice Athesia dopo la guerra, anche gli Ebner collaborarono e infine gli succedettero alla sua morte nel 1956. Ancora oggi Martha Ebner dirige la redazione della rivista Die Südtiroler Frau, si impegna per le pari opportunità e guida la sua Fiat Panda. L'impegno di quei politici che, nei negoziati per l'autonomia, hanno fatto un passo avanti e poi due indietro, non sarà mai abbastanza riconosciuto. All'epoca la popolazione probabilmente non si rendeva conto di quanto tempo ci sarebbe voluto per ristabilire il tedesco come lingua ufficiale. Ai politici di oggi auguro di avere la forza di continuare a lottare e di non essere impazienti. Spero anche che le giovani generazioni apprezzino il lavoro e gli sforzi compiuti e mantengano vivo l'interesse per la politica. Perché l'autonomia non è affatto una cosa scontata! A proposito: cosa significa autonomia per Martha Ebner? Per me autonomia significa essere libera di vivere da sudtirolese e di realizzarmi come tale. La lingua e la cultura fanno parte della dignità umana e come tali sono inviolabili. 63 64Anna Palfrader, 70 anni. Anna Palfrader è nata nel maso Col di Marebbe: è la quinta di tredici figli, due dei quali morti in età infantile. Malgrado le origini rurali, la sua sete di conoscenza e la sua ambizione l'hanno portata in uno dei mondi più innovativi dagli anni ottanta in poi: Lei è cresciuta in un maso abbastanza isolato rispetto ai vari nuclei abitati del comune di Marebbe: come si viveva a quei tempi? Vengo da un ambiente semplice, nel nostro maso si allevavano mucche, maiali, pecore, cavalli e galline. Avevamo anche campi di patate e di grano e per quanto riguarda il cibo eravamo quasi autosufficienti; compravamo solo lo zucchero, l'olio e altre cose che non avevamo in casa. Non andavamo quasi mai in giro, ma in famiglia c'erano già persone a sufficienza per combinare guai... Ho frequentato la scuola media a Brunico e vivevo nel collegio delle Orsoline, come mia sorella maggiore Tresele, che però vedevo raramente. Nelle prime classi c'erano regole più severe rispetto alle altre, per esempio potevamo tornare a casa solo per Ognissanti e a Natale. Avevo tanta nostalgia di casa e all'inizio, da ladina, avevo anche difficoltà con il dialetto tedesco, per cui ho faticato a farmi delle amicizie. C'era però una ragazza con un padre italiano, che quindi era considerata un tipo un po' speciale, e così abbiamo fatto amicizia. Quando ho frequentato le scuole superiori invece ho vissuto con mia sorella in un alloggio privato. I nostri genitori erano tranquilli, l'importante è che andassimo bene a scuola. Ogni sabato tornavamo a casa, prendevamo il bus fino a San Vigilio o a Longega e camminavamo poi per un'ora o due fino a Col. Dopo la scuola ho insegnato a San Candido, La Villa, Ora e Bolzano. Nel 1978, quando sono rimasta incinta, siamo tornati a Marebbe, su a Cianorè, nel maso di mio marito. Il lavoro è stato molto importante per Lei? Sì, ho insegnato per trentanove anni e per lo più a tempo pieno, solo negli ultimi anni a tempo parziale. All'epoca non era facile per le madri che volevano lavorare. Quando ho avuto le mie due figlie, ho preso un anno di congedo non retribuito, l'assegno di maternità praticamente non esisteva. Ma fare solo la vita da contadina sarebbe stato molto duro per me, per quanto idilliaco possa sembrare. Amo lavorare in un altro contesto, a contatto con altre persone. Ho avuto la fortuna di poter spostare la mia cattedra di ruolo da Ora all'ITC di Brunico e di poter seguire un corso specialistico di informatica per l'insegnamento. Fu una grande sfida organizzativa, perché avevo una famiglia e non da ultimo a causa dei lunghi viaggi in auto da affrontare con qualsiasi tempo. Ma mi piaceva, quindi non ho mollato. Negli anni ottanta e novanta l'ITC di Brunico era considerato un istituto all'avanguardia: merito anche dell'autonomia dell'Alto Adige? A quei tempi l'EDP e l'informatica erano una novità assoluta in l'Alto Adige. Poi la digitalizzazione ha fatto il suo corso e ha cambiato tutto, e il passaggio dalle schede perforate come supporto dati all'odierna tecnologia degli smartphone è stato velocissimo. I corsi di formazione specialistici venivano offerti a Innsbruck o a Stoccarda, in Alto Adige non c'era ancora nulla del genere. Questa innovazione poté essere avviata solo grazie all'autonomia. Le scuole altoatesine disponevano di attrezzature più moderne rispetto ad altre regioni italiane, perché venivano presi a modello i sistemi innovativi di Austria e Germania. La Provincia ha investito molto per la formazione continua e per l'acquisto di nuove attrezzature. Tuttavia, l'autonomia ha comportato anche degli svantaggi per la mia carriera. All'epoca non c'erano molti apprendistati nel mio settore e la proporzionale rendeva difficile fare esperienze lavorative al di fuori delle valli ladine. In quanto ladini, si era quasi costretti a cambiare l'appartenenza al gruppo linguistico. 69 70. È molto più di una semplice provincia. Luigi Ruggera è nato e cresciuto a Bressanone, dove ha frequentato le scuole di lingua italiana, conseguendo la maturità al liceo linguistico Dante Alighieri. Vive tuttora a Bressanone, anche se da oltre vent'anni il giornalista del Corriere dell'Alto Adige lavora a Bolzano, occupandosi principalmente di cronaca giudiziaria. L'anno della Sua nascita è lo stesso di quello del secondo Statuto. Cosa significa l'autonomia per Lei? Il secondo statuto entrò in vigore pochi mesi prima della mia nascita, anche se poi per la sua completa attuazione ci vollero ancora diversi anni. Considero l'impatto di questa forma di governo provinciale sulla vita quotidiana sicuramente positivo, in quanto la centralità delle istituzioni provinciali e un regime finanziario favorevole comportano in molti ambiti una gestione efficace della cosa pubblica. Credo che questo sia abbastanza evidente. L'autonomia ha sicuramente degli effetti positivi anche sul mio settore lavorativo in quanto noi giornalisti possiamo raccontare una realtà molto più ricca e complessa di quanto potrebbe apparire una provincia con poco più di 500.000 abitanti. Il Consiglio provinciale, per esempio, ha competenza legislativa in molte materie ed è questo a rendere il nostro territorio così interessante: è molto più di una semplice provincia. Riscontra anche degli aspetti più problematici? A mio avviso, gli aspetti più problematici riguardano un'applicazione forse troppo rigida della proporzionale etnica e la mancata apertura a forme più concrete di reale convivenza, come potrebbe esserlo per esempio una scuola mistilingue. Cosa si augura per l'autonomia del futuro? Per il futuro mi auguro che l'autonomia possa aggiornarsi per rispecchiare meglio le esigenze di una società che, come altrove, in questo mezzo secolo è cambiata molto. Ovviamente senza dimenticare che l'autonomia, comunque, è frutto di una particolare vicenda storica e della presenza di diversi gruppi linguistici. 73 74Alidad Shiri, 30 anni. C'è sempre il confronto con l'altra lingua e cultura. Fugge dalla guerra in Afghanistan da solo, legato sotto un camion, a 14 anni. Oggi è laureato, scrittore e giornalista. Si racconta nel suo libro Via dalla pazza guerra, che avrà modo di presentare in varie occasioni, affinché il mondo non distolga lo sguardo dal suo Paese di nascita. E accolga il tema dell'immigrazione, i nuovi concittadini e le nuove concittadine con la dovuta correttezza. Che idea si è fatto della vita in Alto Adige? Ho sempre notato che in Alto Adige c'è un reciproco riconoscimento e rispetto verso i gruppi etnici e linguistici diverso dal proprio. Studiando e parlando con le persone anziane, ho conosciuto la storia della presenza dei tre gruppi sul territorio, e della convivenza che non è stata facile. Un lavoro lungo e paziente dei politici di una volta, capaci e competenti, ha portato allo Statuto di autonomia agganciato a livello internazionale e all'ONU, dove anche il mio Paese di origine ha avuto un ruolo molto importante nel riconoscimento. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di un territorio con uno statuto autonomo? Tutti possono riscontrare i vantaggi, basta viaggiare un po' all'interno dello Stato italiano. Si tratta di vantaggi economici, della valorizzazione del bellissimo paesaggio, anche di vantaggi culturali perché c'è sempre il confronto con l'altra lingua e cultura. Ma soprattutto una politica intelligente che ha evitato lo spopolamento delle zone di montagna, incoraggiando i contadini con le agevolazioni a rimanere nei loro masi, incentivando anche il turismo, la modernizzazione dell'agricoltura, il collegamento con i centri più grandi tramite tante strade ben curate e servizi di trasporto efficienti, che tante zone d'Italia ci invidiano. Gli svantaggi possono essere forse la chiusura nel proprio benessere economico, non curandosi delle difficoltà di altre zone che non hanno l'autonomia. Comunque vedo anche segni di solidarietà da parte della nostra Provincia. L'anno scorso si è laureato in filosofia politica a Trento presentando una tesi intitolata L'Afghanistan e la tragedia della politica, un tema pressoché inedito a livello accademico in Italia e in Alto Adige. Cosa possiamo imparare da questa tragedia? Nella mia tesi avevo anticipato quello che purtroppo è avvenuto alcuni mesi dopo. Era già molto palese, e io che sono nato e cresciuto in Afghanistan, ho sempre seguito anche da lontano la tragedia che si viveva e cercavo di informare l'opinione pubblica attraverso i miei articoli. Da parte della comunità internazionale c'è stato un errore di strategia. Non si è considerato che i tre quarti della popolazione vivono in zone rurali e non in grandi centri. L'aiuto invece era concentrato quasi esclusivamente nelle grandi città. Ci sono anche altri fattori che hanno portato alla tragedia della politica: il progetto di pashtunizzazione da parte del presidente afghano, Ashraf Ghani, che aveva messo nei posti chiave dell'esercito e dell'amministrazione uomini di etnia pashtun, l'analfabetismo religioso, politico e filosofico, che ha fatto sì che il popolo potesse essere manipolato. Questo può far riflettere sull'importanza dell'istruzione. Quando manca, il popolo è molto vulnerabile. Eppure stava nascendo qualcosa di nuovo, nelle università si studiavano i filosofi e i sociologi occidentali, da Platone a Max Weber. Però per la maturazione del pensiero occorre molto tempo. Un modello autonomo potrebbe essere auspicabile per un futuro di convivenza in Afghanistan? No, purtroppo dati i quarantatré anni di guerra, funzionano solo i rapporti di forza e di sopraffazione delle minoranze in Afghanistan. Prima è necessario incrementare il livello culturale generale perché si arrivi all'elementare rispetto dei diritti fondamentali degli altri. Si deve sviluppare una cultura della pace, della convivenza tra gruppi diversi, della non violenza nella soluzione dei conflitti, dell'operare insieme per il bene comune. Per ora non c'è nessuno spirito che unisce i popoli. 77 78. Il plurilinguismo è la base di un'autonomia vissuta. Magdalena Ferdigg vive a Millan e ha un debole per il volontariato: fa parte dei locali vigili del fuoco volontari, del direttivo della Katholische Jungschar Südtirols (Gioventù Cattolica dell'Alto Adige) ed è membro del collettivo di autrici altoatesine Die Glühbirne. Quando le chiediamo in che misura l'autonomia altoatesina incida sulla sua vita quotidiana, lì per lì vorrebbe rispondere per niente ma... Magdalena, Lei è decisamente molto attiva nel volontariato: come riesce a conciliare tutti gli impegni? Dopo la maturità al Fallmerayer Gymnasium sono entrata subito nel mondo del lavoro e oggi sono supplente in una scuola elementare, un impiego che si concilia perfettamente con le mie attività. Mi piace anche cantare, ballare e disegnare. Soprattutto mi piace farmi ispirare, fare esperienze nuove e sono molto aperta. Infatti il mio motto è: guarda e ascolta il più possibile ovunque, altrimenti potresti perderti molte cose belle. In che misura l'autonomia incide sulla Sua vita e sulla quotidianità? In prima battuta mi verrebbe da dire per niente, ma sarebbe sbagliato. In effetti basta rifletterci un po': sono cresciuta in un sistema scolastico di lingua tedesca, nel quale adesso lavoro, che però si trova in Italia. Il sistema associativo, come quello che esiste in Alto Adige, non si ritrova in nessun'altra regione italiana. Molte tradizioni, molti dei nostri costumi hanno altre radici, così come la nostra lingua madre... sono tutte testimonianze di una storia che non è iniziata in Italia. Per me l'autonomia è soprattutto la nostra storia, che ancora oggi ci forma e di cui ancora oggi siamo responsabili. L'autonomia insomma ci accompagna ogni giorno. Che cosa trova di buono e di meno buono in tutto questo? Di recente ho partecipato a una manifestazione alla quale erano presenti persone sia di lingua tedesca che di quella italiana. Al termine c'è stata una tavola rotonda in cui ognuno ha parlato nella propria lingua madre e tutti si sono capiti benissimo! Le conversazioni sono state interessanti e nessuno ha dovuto sudare per trovare le parole in una lingua che non è la propria. Per me questo significa bilinguismo vissuto e, in ultima analisi, autonomia vissuta. Cosa si augura per l'autonomia del futuro? Per me è un peccato che non si riesca a coinvolgere un gruppo linguistico in alcune tradizioni dell'altro. Per esempio, è molto difficile attirare italiani nelle associazioni di lingua tedesca dei paesi, come i vigili del fuoco; probabilmente la stessa cosa accade viceversa. Per questo vorrei che nel sistema scolastico ci fossero più punti di contatto tra i tre gruppi linguistici, per creare maggiore unità e far sì che le nostre vite non scorrano semplicemente parallele, come accade ancora in molti ambiti. Le lingue ci aprono il mondo. Qui cresciamo con le influenze di due o tre mentalità diverse e da un incontro aperto possono nascere cose entusiasmanti. 79 80 L'importante è parlarsi. La scuola primaria di San Martino in Passiria è stata concepita secondo approcci pedagogici riformisti e considera le competenze individuali dei bambini la base su cui approntare l'insegnamento. Non c'è insomma nulla che non possa essere affrontato in modo adatto ai bambini. Questo discorso vale anche per il tema dell'autonomia? Quando Marie Verdorfer e Mara Grasl arrivano a scuola, la loro giornata tipo non inizia né con una classica materia d'insegnamento né in una classe con compagni della stessa età, ma con una conversazione in cerchio con gli altri scolari del proprio gruppo. Qui vengono concordati paritariamente gli obiettivi di apprendimento, ai quali i bambini contribuiscono manifestando i loro interessi. I gruppi sono composti da bambini di età diverse all'interno di un triennio o di un biennio. l'apprendimento avviene in aule specialistiche e laboratori didattici. Quando l'insegnante Stefan Reiterer propone il tema dell'autonomia,. Marie e Mara, insieme ad altri sette bambini, accettano immediatamente. Guardano tutti insieme il film 100 Jahre Südtirol 100 anni di Alto Adige) di Andreas Pfeifer, giornalista dell'ORF. L'entusiasmo per l'argomento è grande. I bambini fanno continui riferimenti alla storia delle proprie famiglie, raccontano di bisnonni che hanno dovuto imparare il tedesco di nascosto, hanno vissuto la guerra e hanno anche fatto contrabbando di merci attraverso i confini. Hitler era un uomo malvagio e il capo dei nazisti, ma tutti pensavano che li stesse salvando, racconta Marie, poi ha fatto amicizia con il 'duce' italiano. Come mai il duce, cioè Mussolini, volesse essere amico di un fanatico del pangermanesimo come Hitler, per lei rimane tuttavia un mistero. Forse perché entrambi erano così malvagi?, si chiede. I bambini sono particolarmente toccati dal tema della notte dei fuochi, quando hanno fatto saltare i tralicci perché la gente non si trovava bene con l'Italia. Prima erano austriaci e stavano meglio, dice Mara. Lei sa che l'Alto Adige è stato annesso all'Italia dopo la prima guerra mondiale e racconta di Silvius Magnago: Lui diceva che l'Alto Adige aveva bisogno di maggiori diritti per imparare il tedesco. E la gente poi ha protestato per questo. Nella discussione di gruppo sul terrorismo e sulle bombe emergono ben presto i parallelismi con la guerra in Ucraina. Le bambine sono molto orgogliose delle loro tre compagne di classe ucraine, che in pochi mesi hanno già imparato tanto della lingua tedesca. Insieme giocano ad acchiapparella, perché tutti i bambini del mondo conoscono questo gioco, dice Mara con convinzione. Poi il maestro Stefan chiede al gruppo: di cosa hanno bisogno le persone nelle zone di guerra per andare nuovamente d'accordo? Cooperazione, regole, parlarsi, rispondono i bambini. Bambini che magari non sono in grado di spiegare in dettaglio come, grazie anche all'autonomia, funzionano queste cose nella loro provincia. Ma sanno che funzionano. Bastian Schwarz, Noah Pircher, Mara Raffl,. Mara Grasl, Lena Hofer, Fabian Ennemoser,. Marie Verdorfer, Jana Lamprecht, Maja Prünster, 10 anni. (da in alto a sinistra) 82. Cosa significa autonomia? L'autonomia è un diritto? Se così fosse, è riconducibile a un dovere oppure a un obbligo? Spesso invochiamo valori come l'autonomia. (diritto all'autodeterminazione) e la libertà (intesa come autorealizzazione), tuttavia, abbiamo riflettuto anche sulle responsabilità che comportano? 83. Appello per un'autonomia etica. L'autonomia come impegno 85. Un'analisi dei concetti. In Alto Adige si parla continuamente di autonomia. Il più delle volte riferendosi soprattutto alla forma concreta, politica e giuridica, dell'autogoverno. Ma cosa significa autonomia in senso più esteso? Come può essere vissuta l'autonomia su un piano personale? Quali sono i prerequisiti e le condizioni per riuscire a realizzarla? La disciplina scientifica in grado di contribuire a chiarire questi interrogativi è la filosofia pratica. L'etica, in qualità di branca della filosofia pratica, studia i presupposti e le valutazioni dell'agire umano accertando quale comportamento sia socialmente desiderabile o indesiderabile, ciò che percepiamo ovvero consideriamo un'azione onesta, corretta o equa. L'azione morale costituisce il cuore dell'etica che non verte solo sulla conoscenza fine a sé stessa, bensì su una prassi di responsabilità volta ad aiutare le persone ad agire in modo eticamente corretto, cioè a prendere decisioni socialmente desiderabili o quantomeno accettabili. La mera conoscenza non è sufficiente, in quanto etica deve necessariamente tradursi in azione. Tuttavia, essa non suggerisce come applicare questo principio nelle singole situazioni quotidiane. Ciò è e rimane compito di un giudizio pratico, di una coscienza formata e delle varie esperienze di vita dell'individuo agente. Sui diritti e doveri umani. La tradizione dei diritti umani risale a tempi assai più remoti di quanto si possa presumere. L'antica Persia è considerata il loro paese d'origine; nel 539 a.C. gli eserciti di Ciro il Grande conquistarono la città di Babilonia. Ciro conclamò l'uguaglianza dei popoli in tutti i luoghi del mondo allora noti. I suoi editti furono incisi utilizzando una scrittura cuneiforme su di un cilindro di argilla, noto come Cilindro di Ciro, considerato la prima dichiarazione dei diritti umani della storia. Essi sono universali, validi ovunque e per ogni persona, e sono inalienabili, cioè non possono essere ceduti. In quanto diritti naturali fondati sulla legge naturale dell'uomo, essi si collocano al di sopra di ogni diritto positivo, cioè al di sopra dei diritti costituiti dall'uomo stesso. Sono indivisibili e inviolabili da legislazioni statali, poiché possono essere realizzati solo nella loro interezza. I diritti umani implicano diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. Pressoché tutti gli Stati del mondo hanno ratificato convenzioni internazionali a tutela dei diritti dell'uomo e/o hanno provveduto a garantire esplicitamente i diritti umani nelle rispettive costituzioni. Affinché questi siano tangibilmente attuabili, ogni individuo è tenuto a rispettare i diritti umani altrui. A dispetto di ciò, è necessario disporre di strumenti contrattuali validi in grado di riconoscere e garantire la legittimità universale dei diritti umani. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è stata proclamata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948. Pur essendo una dichiarazione universale e globale, non è formalmente vincolante. Per questa ragione sono state varate numerose convenzioni a livello intergovernativo, che variano in termini di vincolo e pensiero. Le più importanti sono la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo del 1953, la 86 Convenzione Americana dei Diritti Umani del 1969, la Carta Africana dei Diritti dell'Uomo e dei Popoli del 1981, la Carta Araba dei Diritti dell'Uomo del 1994 e la Carta Asiatica dei Diritti Umani del 2012. Inoltre vi sono numerosi trattati e accordi regionali che sanciscono il rispetto dei diritti umani. Tra questi va indubbiamente annoverato anche lo Statuto di autonomia altoatesino, in quanto mezzo di prevenzione di conflitti e di tutela dei diritti umani delle minoranze. Le convenzioni per i diritti umani tutelano il diritto delle minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche di condurre una vita priva di ogni tipo di discriminazioni e secondo la propria cultura, di professare e praticare una particolare religione e di parlare la propria lingua. In tutti gli accordi sopra citati, l'autonomia è considerata una categoria politica in grado di offrire a ogni istituzione sociale la possibilità di determinare i propri interessi, indipendentemente da autorità diverse dalle proprie e di emanare opportune leggi. Tuttavia, a ogni diritto corrispondono anche dei doveri. Mentre i diritti sono rivendicazioni che possiamo avanzare nei confronti degli altri o dello Stato, i nostri doveri consistono nel garantire che le rivendicazioni degli altri vengano realmente soddisfatte. Al fine di integrare i Diritti Umani Universali con doveri altrettanto universali, nel 1997, in occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha varato la Carta Universale dei Doveri Fondamentali delle Organizzazioni Umane, su iniziativa del Consiglio InterAction un'associazione di ex capi di Stato e di governo, tra cui Helmut Schmidt, Jimmy Carter, Valéry Giscard d'Estaing, Shimon Peres). Lo scopo principale di questa dichiarazione, costituita da diciannove articoli, è un atteggiamento di benevolenza, ovvero una condotta pacifica, nonché l'impegno di trattare gli altri con gentilezza e comprensione e all'occorrenza dimostrarsi concretamente solidali nei loro confronti. L'atteggiamento di benevolenza dovrebbe fondare le proprie origini in una reciproca indulgenza: Tratta gli altri come vorresti essere trattato. I primi quattro articoli della Carta Universale dei Doveri Fondamentali delle Organizzazioni Umane ne enunciano i principi. Il primo articolo recita: Ogni individuo, indipendentemente da sesso, origine etnica, condizione sociale, opinioni politiche, lingua, età, nazionalità o religione, ha il dovere di trattare tutti gli esseri umani con umanità. Il secondo articolo sostiene che: Nessuno deve incoraggiare comportamenti disumani di alcun tipo, ma tutti hanno il dovere di promuovere la dignità e il rispetto dell'altro. Il terzo articolo specifica che: Nessun individuo, gruppo o organizzazione, Stato, esercito o forza di polizia è posto al di là del bene e del male; in quanto tutti soggetti a norme morali. Ogni individuo ha il dovere in ogni circostanza di promuovere il bene e di scongiurare il male. Infine, il quarto afferma che: Tutti gli uomini, dotati di ragione e coscienza, devono, uniti da uno spirito di solidarietà, assumersi la responsabilità verso tutti e tutto, famiglie e comunità, razze, nazionalità e religioni: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. 87. Predisposizione di un'autonomia etica. Di seguito, si cercherà di delineare per la prima volta un'autonomia etica nel senso di filosofia pratica basata su dieci principi che, oltre alla filosofia, si avvalorerà anche di scienze psicologiche e pedagogiche. A tal fine è necessario chiarire alcuni concetti fondamentali strettamente legati alla nozione di autonomia, come la ragione, l'autodeterminazione, il fine in sé, il coraggio e l'indipendenza. In filosofia il concetto di autonomia è generalmente definito come la capacità delle persone di concepirsi come esseri liberi in grado di agire basandosi su di essa. Una delle definizioni di libertà più convincenti è quella del filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804) che ne indica i limiti in modo tanto succinto quanto mirato: La libertà dell'individuo termina dove comincia la libertà altrui. Di conseguenza, la libertà non è realizzabile in assenza di valori fondamentali come il rispetto, la responsabilità e la considerazione del prossimo. Secondo Kant ogni individuo è vincolato dalla propria coscienza ed è responsabile delle conseguenze delle proprie azioni da un punto di vista sia pratico che morale. Vincoli come umanità, non violenza e rispetto per la vita, veridicità e tolleranza fungono da bussola morale. La libertà quindi può essere certamente intesa come diritto anche se, come accennato, i diritti comportano sempre dei doveri, in assenza dei quali tali diritti non sono realizzabili a lungo termine. Lo scrittore francese Albert Camus 19131960) afferma che la libertà [...] non è fatta soprattutto di privilegi, bensì è fatta di doveri. Ciò dovrebbe rendere indubbio il fatto che la nostra pretesa di privilegi possa essere soddisfatta esclusivamente adempiendo anche i nostri doveri. Il concetto di autonomia al quale, in quanto categoria filosofica, è rivolta principalmente la nostra attenzione, è di portata assai più ampia. Con la rivendicazione Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Sapere aude!), Kant pone in evidenza che gli esseri umani nel prendere decisioni non possono affidarsi ad autorità e tradizione, ma unicamente alla propria ragione. Di conseguenza per Kant autonomia significa determinazione della volontà per mezzo della ragione: l'autonomia della volontà è il principio supremo, ovvero la conformità di pensiero e di azione ai valori morali riconducibili a decisioni libere e guidate dalla ragione. In tal senso la concezione di valori morali significa orientamento a principi come il bene o l'equo, in grado di porre limiti all'egoismo, promuovendo comportamenti socialmente desiderabili. Kant con la dottrina dell'autonomia dell'etica, si contrappone sia al principio di felicità come fine dell'azione umana, sia alla dottrina morale cattolica del proprio tempo. Il punto di vista kantiano è assai più vicino all'etica protestante secondo la quale l'azione da buon cristiano si esaurisce nel seguire meramente la propria fede in Dio. Ciò nonostante, come si evince dall'opera Critica della ragion pratica, si prefissa di costituire un'etica della ragione in grado di trascendere le confessioni e le religioni: Nell'elaborazione di un'autonomia etica il primo principio potrebbe essere così formulato: Ogni individuo ha il dovere di adoperarsi per una visione razionale del mondo. Per azione guidata dalla ragione s'intende la laicizzazione, avvenuta durante il processo di secolarizzazione, che nel corso dell'Illuminismo contribuisce a scindere sempre più le questioni di condotta di vita dalla sovranità interpretativa della religione, consegnandole 88 alla ragione del singolo individuo. Anche le ideologie politiche rivendicano una sovranità interpretativa e le idee e le teorie derivanti da esse costituiscono e giustificano l'azione politica. Le ideologie non si limitano a spiegare il mondo, ma azzardano a condizionarlo. Questo è uno dei motivi per cui numerosi pensatori, come Georg Wilhelm. Friedrich Hegel, Karl Marx o Sigmund Freud, con le loro critiche alle ideologie, nel corso della storia del pensiero filosofico si sono adoperati per smascherare condizioni sociali che pongono limiti al pensiero del singolo individuo. La possibilità di esercitare la propria autonomia per Immanuel Kant consiste nel superamento di qualsiasi forma di dipendenza e di eteronomia ideologica. Ciò ha validità altresì nel caso in cui le stesse, come per esempio religione o politica, in apparenza paiono offrire una sorta di sicurezza. Laddove una visione razionale del mondo è uno dei capisaldi di un'etica dell'autonomia, la morale è l'altro. Non è possibile infatti scindere il concetto di autonomia di Kant da quello morale. Solo nel momento in cui l'uomo, in quanto essere ragionevole libero, si prefigge di seguire l'imperativo categorico e di agire solo secondo quella massima che tu puoi volere, al tempo stesso, che divenga una legge universale, agisce moralmente. Per Kant un'azione è considerata morale se osserva un principio la cui validità è ammissibile per tutti, sempre e senza eccezioni. L'autonomia trova la propria realizzazione esclusivamente in questa forma: come costituzione ed espressione di un agire ragionevole, ovvero di autodeterminazione ragionata. In applicazione dell'imperativo categorico, il secondo principio di un'autonomia etica è dunque: Tutti i membri della società sono tenuti ad agire esclusivamente in modo tale, che le loro azioni possano elevarsi a principio generale. 89. I principi sono riconducibili ai valori. L'agire quotidiano pone costantemente a confrontarci con l'importanza dei valori e del loro riconoscimento collettivo. I valori, o la concezione comune degli stessi, sono prerogative morali socialmente desiderabili. Sono valori come la solidarietà, il rispetto e la considerazione, che se non realizzati esclusivamente in ambito amicale o familiare, ma condivisi, per esempio nella quotidianità lavorativa o nella vita sociale, a rendere possibile una convivenza. Immanuel Kant affronta un ulteriore importante aspetto in grado di incidere sul nostro intelletto e sui nostri processi decisionali, ovvero gli stimoli che percepiamo attraverso i sensi. Per essi Kant intende tutto ciò che è percepibile attraverso i nostri sensi. Per il filosofo, stimoli come desideri, passioni e interessi equivalgono a una sorta di determinazione esterna della nostra coscienza. Kant è convinto che la sola facoltà di percezione sensoriale non sia sufficiente a rendere gli esseri umani esseri razionali. Spetta quindi alla ragione riconoscere gli aspetti etici e morali nonché le conseguenze delle nostre azioni. Il compito filosofico-morale della ragione consiste quindi nell'attuare grazie a essa la nostra autodeterminazione. Tuttavia, siamo in grado di gestire in modo autodeterminato l'influsso diretto di stimoli sensoriali esclusivamente se ne prendiamo mentalmente le distanze, per esempio nel corso di un processo decisionale, cioè riflettendo. Per Kant la nostra volontà è autonoma unicamente nel momento in cui essa si prefigge le proprie leggi, mutando da determinazione esterna (eteronomia) a (estesa) autodeterminazione (autonomia). Da ciò è possibile dedurre il terzo principio di un'autonomia etica: L'azione autodeterminata non può essere determinata da desideri, passioni e interessi e/o vincoli a essi associati. 90. La formulazione di Kant del fine in sé funge da presupposto per un ulteriore principio di autonomia etica, il cosiddetto concetto di auto-scopo che recita: Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo Fondazione della metafisica dei costumi). La sostanziale distinzione tra finalità risiede tra ciò che ha un prezzo (le cose), e ciò che ha un valore come la dignità (le persone). Queste ultime, in quanto esseri razionali autonomi, non possono mai essere considerate mezzi per ottenere un fine, ma sempre ed esclusivamente come fini in sé e per sé. Pertanto, onde perseguire fini superiori, possono coalizzarsi esclusivamente di loro spontanea volontà. Il quarto principio di un'autonomia etica quindi sancisce che: Il filosofo, sociologo e principale rappresentante della Scuola di Francoforte, Theodor W. Adorno (1903-1969), riprende il concetto di autonomia kantiano applicandolo alla teoria sociale. Durante il nazionalsocialismo Adorno emigrò negli Stati Uniti, fece ritorno in Germania e divenne uno degli intellettuali più autorevole del dopoguerra. Nel corso dell'intervento radiofonico del 1966, L'educazione dopo Auschwitz, afferma che: L'unica forza reale contro il principio di Auschwitz sarebbe l'autonomia, se posso usare l'espressione kantiana: la forza della riflessione, dell'autodeterminazione, della non partecipazione. Agire autonomamente significa: non rendersi partecipe! Non rendersi partecipe significa non permettere a nulla di accadere passivamente, o non agire, senza porsi la questione di giustificare il proprio comportamento. Non rendersi partecipe significa anche non sottrarsi alle proprie responsabilità. Al contrario rendersi partecipe, a seconda della situazione, è il risultato di sconsideratezza, egoismo o mancanza di responsabilità o coscienza. Rendersi partecipi è una sorta di atteggiamento di tolleranza o di benevolo sostegno nei confronti di raggruppamenti che agiscono in modo immorale. Simpatizzanti, seguaci o conformisti si adattano alle condizioni prevalenti in base a considerazioni opportunistiche; gli opportunisti agiscono in modo sconsiderato e senza scrupoli. Tutti perseguono l'obiettivo del tornaconto personale. L'antinomia del rendersi partecipi è il coraggio civile. 91. Questo aspetto di coraggio quotidiano implica, in una situazione spiacevole o minacciosa, la capacità e la volontà di porre, nel difendere una causa considerata giusta, in secondo piano la propria persona. La persona coraggiosa si impegna a difendere i valori e i principi sociali di fondamentale importanza quali la difesa dei diritti dei deboli e/o il ribellarsi contro azioni arbitrarie dello Stato , per il bene comune. Il coraggio civile è un modello di disobbedienza civile che necessita di una coscienza etica onde divenire una sorta di filosofia di vita messa in pratica (Siegbert A. Warwitz). Anche la psicologia si occupa della correlazione tra eteronomia e autonomia. La psicologia della personalità considera eteronomia e autodeterminazione impulsi umani fondamentali, in grado di assoggettare la personalità di ogni individuo a una costante tensione tra vicinanza e distanza. In Le quattro forme dell'angoscia, lo psicoanalista e scrittore Fritz Riemann (1902-1979) ha illustrato come la paura di divenire sé stessi possa, in determinate circostanze, portare a un aumento del bisogno di attaccamento e che la paura di donare sé stessi o di dipendenza possa sfociare in un eccessivo desiderio di autonomia. Prendendo spunto da tale presupposto, è possibile determinare il sesto principio di un'autonomia etica: Innumerevoli studi psicologici hanno confermato che la paura è una cattiva consigliera perché in condizioni di paura il pensiero e l'azione sono incentrati esclusivamente sulla sopravvivenza. Nel momento in cui ci troviamo in modalità di sopravvivenza, le nostre reazioni si riducono a due opzioni: La nostra intelligenza, come ambito mentale valutativo e decisionale, a seconda della situazione, si riduce in proporzione all'aumento dello stato ansioso. Una via d'uscita consiste nel respingere, servendosi del pensiero razionale, il più rapidamente possibile lo stato di paura, sino a superarlo. Il miglior antidoto alla paura è il coraggio. Il coraggio permette di passare da un pensiero statico a uno dinamico. Dimostrare coraggio significa fare ciò che riteniamo giusto secondo i concetti morali individuali e collettivi, nonostante gli svantaggi che ci si può aspettare. Il coraggio civile è una sorta di azione sociale, non una caratteristica permanente individuale perché anche se i propri valori, come la giustizia o la tolleranza, sono condivisi dalla maggioranza di una società, siamo sempre e solo noi che nel caso concreto abbiamo l'onere di prendere decisioni. Sostanzialmente il coraggio civile è il nucleo fondante della nostra società civile, perché è la democrazia stessa ad avere le proprie origini nel coraggio civile come esigenza sociale-morale e ogni forma di democrazia vive tuttora di esso. 92. Alla filosofia e alla psicologia si annette una terza disciplina scientifica, in quanto anch'essa ricopre, in merito a un'autonomia etica, un considerevole ruolo: la pedagogia, intesa come educazione e formazione infantile e giovanile. Nelle società democratiche educazione e socializzazione perseguono, nel ciclo di vita adolescenziale, l'obiettivo di promuovere l'emancipazione dell'individuo dall'educatore, dalla società e dalla cultura che lo circonda, onde permettergli di condurre una vita libera e indipendente. Poiché l'educazione avviene essenzialmente attraverso l'orientamento, si pone la questione in quale misura esso debba trovare applicazione nel promuovere l'indipendenza. Quale grado di indipendenza autonomia) è accettabile e ammissibile in gruppi, comunità o società nel loro complesso? Questi interrogativi sono volutamente lasciati senza risposta, ciò nonostante è possibile stabilire il settimo principio di un'autonomia etica: Un presupposto consiste nel fatto che il nostro diritto decisionale autonomo e il nostro stato di autodeterminazione cessino ove violiamo i diritti degli altri e andiamo contro l'ordine sociale o i valori morali. Il principio di autodeterminazione dell'individuo è garantito dai nostri diritti fondamentali e dovrebbe altresì trovare espressione in un ordinamento giuridico generale. Contrariamente ai regimi totalitari, nelle democrazie occidentali l'autodeterminazione e l'autonomia individuale non sono concessioni da parte dello Stato all'individuo, ma libertà elargite all'individuo nei confronti dello Stato in quanto diritto umano. Una restrizione temporanea per la salvaguardia dell'ordine pubblico può essere volontariamente o costituzionalmente legittimata. Tuttavia, l'essenza della libertà individuale per principio non è soggetta a restrizioni da parte dello Stato. Il quesito fondamentale da porsi è in quale genere di società vogliamo vivere. Una lettura fortemente raccomandata per le future generazioni autonome è il pamphlet Indignatevi! edito nel 2011 dall'ex partigiano della resistenza francese Stéphane Hessel (1917-2013). In questo suo lascito alle giovani generazioni, Hessel sollecita a condurre una vita impegnata, a una rivolta non violenta, a un'indignazione nel senso dell'antico Leitmotiv della Resistenza, in quanto la cosa peggiore che possiamo fare a noi stessi e al mondo, è l'indifferenza nei confronti di condizioni sociali e politiche. Nella discriminazione degli stranieri, nei tagli sociali, nella libertà di stampa minacciata, nell'accesso limitato all'istruzione, nella crisi economica e ambientale globale individua una minaccia ai diritti fondamentali sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, perorando che essi vengano riaffermati. Tuttavia, il pamphlet di Hessel rappresenta una visione del tutto ottimista della storia, che egli concepisce come sequenza di progressi volti al miglioramento, in quanto Creare è resistere. Resistere è creare. 93. L'appello di Hessel è intenzionalmente rivolto ai giovani e da esso consegue l'ottavo principio di un'autonomia etica: Incoraggiamo le generazioni future a sviluppare un pensiero autonomo e responsabile! L'indipendenza e l'autonomia sono osteggiate o addirittura ostacolate fondamentalmente da vincoli o limitazioni sociali, come per esempio le difficoltà economiche. Ma anche le pressioni psicologiche possono rendere il raggiungimento di un'autonomia problematico o addirittura impossibile. Le carenze di capacità individuali possono contribuire a far sì che un'autonomia non sia desiderata o ricercata. La dipendenza, sotto certi aspetti, può apparire più vantaggiosa dell'autonomia, che può richiedere sforzi intellettuali ed emotivi. L'assunzione di responsabilità sociali e politiche è sempre correlata all'esigenza da parte dei membri di una società di creare le condizioni e le opportunità per lo sviluppo di un'azione autonoma. Pertanto il nono principio di un'autonomia etica è dato: La leadership politica deve creare le condizioni giuridiche e sociopolitiche volte a favorire un'azione autonoma. 94. Per una prassi della responsabilità. Nessuna disposizione della presente Dichiarazione può essere interpretata come assegnazione ad uno Stato, ad un gruppo o ad una persona, di un diritto ad intraprendere un'attività o a compiere un atto volto all'annullamento di doveri, diritti e libertà enunciati nella presente Dichiarazione nonché nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948, recita l'articolo 19 della Carta Universale dei Doveri Fondamentali delle Organizzazioni Umane. Tuttavia, il diritto non è in grado di autotutelarsi, essendo ciò un nostro dovere. La prassi di responsabilità già menzionata significa che non è sufficiente conoscere ma è necessario che ognuno di noi nelle proprie azioni quotidiane si assuma le proprie responsabilità nei confronti di sé stesso e degli altri. In questo modo, l'attuazione dei principi di autonomia etica qui elaborati, sarà in grado anche in futuro di garantire la possibilità di vivere in una società composta da individui che agiscono liberamente e sotto la propria responsabilità. Perché una vera comunità sorge e perdura esclusivamente nel momento in cui ognuno di noi si assuma le proprie ragionate responsabilità, trovando il coraggio e la decenza necessari onde dare la priorità al bene sociale comune rispetto al proprio. Per questa ragione il decimo e ultimo principio di un'autonomia etica è il seguente: Io, noi tutti abbiamo l'obbligo morale di sostenere ed attuare, in quanto prassi di responsabilità civile, i principi di autonomia etica. Eupen e Bolzano sono distanti 860 chilometri. Nonostante le evidenti differenze di paesaggio e di molti altri aspetti, da decenni le nostre due regioni sono legate da una stretta amicizia. Al pari dell'odierno Alto Adige, anche per il Belgio orientale il Trattato di Versailles ebbe un ruolo fatale. Prima della fine della Grande Guerra, la mia Heimat apparteneva ancora all'impero tedesco: oggi siamo cittadini belgi da centodue anni. Come in Alto Adige, anche nel Belgio orientale abbiamo un'autonomia molto ampia; come in Alto Adige, siamo una minoranza all'interno del nostro Paese; e proprio come in Alto Adige, possiamo decidere il nostro destino in molti settori importanti. Con i loro statuti di autonomia, l'Alto Adige e la comunità di lingua tedesca del Belgio sono senza dubbio tra le minoranze meglio tutelate in Europa. I nostri statuti di autonomia non sono sovrapponibili al 100 per cento, non sono neanche perfetti e certamente alcune cose possono essere migliorate. Ma entrambi siamo stati in grado di utilizzare l'autonomia come valore aggiunto per lo sviluppo delle nostre regioni, e negli ultimi decenni siamo riusciti a ottenere molto per le nostre popolazioni. Ci consideriamo regioni vivaci, autonome, europeiste e cosmopolite, con diversi confini nazionali che non percepiamo come ostacoli bensì come ponti. Dal 2004 ministro del Governo della Comunità germanofona del Belgio, di cui dal 2014 è primo ministro. Vista in una prospettiva europea, l'autonomia altoatesina e tutto ciò che essa comporta per i diritti fondamentali garantiti del gruppo etnico austriaco in Italia appare oggi come un altro acquis communautaire saldamente inserito nell'attuale ordinamento giuridico europeo con un nuovo approccio ai diritti irrinunciabili dei gruppi etnici e delle minoranze. Dal punto di vista dell'Austria, l'autonomia dell'Alto Adige, soprattutto come strumento vivo e dinamico, rappresenta il costante richiamo alla sua funzione di potenza tutrice, che non è stata sminuita né dalla dichiarazione di risoluzione della controversia né da altri sviluppi. Tuttavia, questa funzione di potenza tutrice va intesa anche come un mandato permanente a concepire il Sudtirolo parte della vita reale dell'Austria e a renderlo partecipe. Un ruolo importante in tal senso è svolto da tutte quelle forze politiche e sociali che includono l'Alto Adige nel loro operato e che da esso possono ricevere particolari impulsi. Capo di gabinetto del cancelliere federale Bruno Kreisky dal 1970 al 1973, ministro degli Esteri austriaco da giugno 1986 a gennaio 1987. This past year, I had the honour of visiting the Autonomous Province of Bolzano, South Tyrol. The robustness of South Tyrol's autonomy has long served as an encouraging example for us Tibetans, as we continue to strive for genuine autonomy through dialogue with China. The long-standing relationship between our administration is cemented by His Holiness the Dalai Lama's multiple visits to the province and our shared experience. On its 50th Anniversary, I greet and thank the province government and people of South Tyrol for their active political support and assistance towards progress for the Tibetan community in exile. Sikyong of the Central Tibetan Administration since 2021 95 96 96. Ho avuto la fortuna di lavorare in parlamento come giovane deputata ai tempi del governo Kreisky e successivamente, durante i miei quattro anni al Ministero per l'Istruzione e gli Affari culturali austriaco (BMUK), ho potuto contribuire fattivamente alla questione altoatesina con contatti e attività regolari. I miei principali obiettivi sono stati lo scambio di arti figurative, l'organizzazione di mostre, il sostegno alle biblioteche nonché la fornitura di materiale scolastico e di libri per bambini e ragazzi. Al pari dell'ex ministro degli Esteri Leopold Gratz, sono convinta che la chiave per la soluzione pacifica di tutti i problemi risieda sempre nella disponibilità al dialogo, nel rispetto dei diritti dell'altro e nella volontà di trovare un equilibrio. Ministra austriaca per l'Istruzione, le Arti e lo Sport dal 1987 al 1990, europarlamentare dal 1995 al 1999. L'identità dei sudtirolesi, l'integrità del loro territorio e il loro benessere materiale e sociale sono stati ripetutamente messi in discussione a volte in modo brutale nel periodo tra la fine della prima guerra mondiale e ben oltre il 1945. Il loro incrollabile spirito battagliero e la loro tenace diplomazia permettono oggi all'Alto Adige di festeggiare l'autodeterminazione e la dignità. L'autonomia dell'Alto Adige è ormai diventata un elemento imprescindibile e prezioso nella nostra Europa unita e libera. Cancelliere federale dal 1986 al 1997, presidente onorario del Bruno Kreisky Forum per il dialogo internazionale. Come cittadino trentino vorrei esprimere ammirazione e gratitudine nei confronti dell'Alto Adige, per come abbia concretamente dimostrato che l'autonomia di cui insieme possiamo godere non è stata un privilegio, ma il modo migliore per garantire pace, convivenza e benessere. Dal 2013 al 2018 ho avuto la fortuna e l'onore di poter lavorare con il presidente Kompatscher su tutte le questioni che hanno riguardato la salvaguardia e lo sviluppo delle nostre autonomie. Sono stati anni molto importanti nei quali, insieme, abbiamo raggiunto risultati straordinari; il patto del 2014 che ha garantito certezza e programmabilità delle risorse finanziarie delle Province autonome, l'approvazione di ben undici norme di attuazione e i risultati raggiunti sul tema del traffico e dell'ambiente. Sono convinto che la collaborazione fra i nostri territori e le nostre popolazioni sia stata un importante motore nel nostro positivo cammino. L'auspicio e l'augurio è che lo possa essere anche in futuro. Assessore provinciale alla salute e politiche sociali dal 2008 al 2013, presidente della Provincia autonoma di Trento dal 2013 al 2018. per l'Austria, l'Alto Adige è sempre stata una questione primaria. L'autonomia altoatesina è un esempio, internazionalmente riconosciuto, di risoluzione dei conflitti delle minoranze e di tutela delle stesse. Grazie a questa ampia autonomia, l'Alto Adige gode oggi di una buona situazione culturale ed economica. Ora si tratta di garantire che questa autonomia continui a svilupparsi e che, tra l'altro, l'Italia continui a coordinarsi con l'Austria a questo scopo. Siamo e resteremo un amico affidabile per l'Alto Adige, e io continuerò a impegnarmi in tal senso anche in futuro. Ministro austriaco degli Affari Esteri, dei Rapporti con l'Unione europea e dell'Integrazione dal 2013 al 2017, cancelliere federale dal dicembre 2017 al maggio 2019 e da gennaio 2020 a ottobre 2021 97 97. Guardando al passato, non si può che ammirare le persone che all'epoca condussero i negoziati per il Pacchetto altoatesino, che fu ed è ancora oggi un capolavoro di diplomazia. E vanno fatti i complimenti anche alla generazione successiva per ciò che ne ha fatto: un territorio di grande benessere, una regione europea modello e un gioiello delle Alpi. L'Euregio in particolare si presta a un ulteriore sviluppo, di cui potrebbe beneficiare l'antico Tirolo nel suo complesso. Un altro passo potrebbe essere quello di reinterpretare il rapporto dell'autonomia con il diritto europeo, che di solito lascia notevoli margini di interpretazione nella sua attuazione. Ad multos annos, cara popolazione dell'Alto Adige. Ministro austriaco dell'Agricoltura e dello sviluppo rurale dal 1989 al 1994, commissario EU dal 1995 al 2004, presidente del Forum europeo di Alpbach dal 2012 al 2020. La politica prevista per l'Alto Adige dell'Italia fascista del Ventennio, caratterizzata da immigrazione, messa in minoranza e oppressione dei sudtirolesi, è fallita così come è fallita la politica restrittiva dell'Italia del dopoguerra, durata venticinque anni. L'attuale situazione dell'Alto Adige è in realtà un piccolo miracolo. L'Italia infatti era sostenuta dagli Stati Uniti e dalla NATO, oltre a essere tra i membri fondatori della CEE. Austria e Tirolo invece non avevano alcun appoggio internazionale, però potevano contare su un'eccellente interazione sull'asse Innsbruck-Bolzano-Vienna e sul sostegno dell'intera popolazione. Il Sudtirolo è sempre stato presente in tutta la mia attività politica. Il potere economico dell'Alto Adige è decuplicato dagli anni cinquanta. Negli ultimi venticinque anni il PIL pro capite è raddoppiato raggiungendo i 45.000 euro, a fronte di una media UE pari a 31.000 euro. Questo grande successo è correlato con la chiusura del Pacchetto, che ha portato all'Alto Adige una serie di straordinari benefici come la possibilità di tenere per sé la maggior parte delle entrate fiscali. Lo Statuto di autonomia, faticosamente conquistato, è stato la chiave di volta di questo sviluppo positivo. Nelle mie funzioni politiche ho sempre avuto l'onore e l'onere di adempiere al meglio il ruolo dell'Austria come potenza tutrice del Sudtirolo. Dopo una storia travagliata e al termine di lunghi negoziati, cinquant'anni fa è entrato in vigore il secondo Statuto di autonomia. Questo documento tutela l'autogoverno dell'Alto Adige e regola la pacifica convivenza delle tre etnie presenti in provincia: il gruppo etnico più antico, quello ladino, il secondo in ordine di tempo, quello tedesco, e il più recente, quello italiano. All'interno dello Stato italiano, il gruppo linguistico tedesco e quello ladino dell'Alto Adige rappresentano una ricchezza culturale. Ritengo quindi che anche per il gruppo linguistico italiano la preservazione di questa ricchezza debba essere un obiettivo importante, da perseguire insieme. L'Alto Adige è un mirabile esempio di come l'ampio autogoverno della vita pubblica di una regione possa avere successo all'interno di un grande Stato nazionale. Il profondo attaccamento emotivo della popolazione alla lingua, alla cultura e alla Heimat è probabilmente la base dell'autonomia altoatesina, che non ci si stancherà mai di riaffermare. La cooperazione ha bisogno di una propria identità ben sviluppata, ed è per questo che l'Austria promuove la preservazione dei costumi e della lingua tedesca nonché la collaborazione nel campo dell'arte, della cultura e dell'istruzione. Tuttavia, lo sguardo attento dell'Austria nei confronti dell'Alto Adige non è a senso unico e non deriva dalla sua funzione di potenza tutrice, bensì è finalizzato a una proficua condivisione. Nel mio caso i punti focali sono stati la scuola plurilingue realizzata in Alto Adige, l'inclusione vissuta, le eccellenti biblioteche e il plurilinguismo della popolazione, capace di esprimersi nella comunicazione quotidiana alternando disinvoltamente tedesco, ladino e italiano. I molteplici collegamenti tra l'Alto Adige e l'Austria possono favorire l'ulteriore sviluppo di tutte le parti coinvolte. Investire nell'istruzione e nella partecipazione culturale deve rimanere il nostro dogma politico. Ministra austriaca dell'Istruzione, delle Arti e della Cultura dal 2007 al 2013. Le riflessioni sull'autonomia sono sempre preziose, perché obbligano a interrogarsi sulle modalità scelte per organizzare i nostri territori e la nostra democrazia. L'autonomia altoatesina rappresenta un esempio virtuoso perché ha saputo rispondere a queste domande in maniera condivisa, sviluppando un sentimento diffuso di rispetto per l'attuale assetto istituzionale. Un assetto dinamico, fin dall'inizio del percorso avviato da Degasperi, dove la tutela delle minoranze linguistiche si è sostanziata in soluzioni istituzionali originali e aperte. Una lezione che rimane preziosa, anche in chiave europea. Vari incarichi da ministro e sottosegretario, così come da europarlamentare, presidente del Consiglio dall'aprile 2013 al febbraio 2014, segretario del Partito Democratico dal 2021. Al pari dello Stato Libero di Baviera, l'Alto Adige è una regione con una forte identità culturale e lo Statuto di autonomia del 1972 ne è la migliore testimonianza. Dai tempi di Franz Josef Strauß e Silvius Magnago, i due territori sono legati non solo economicamente ma anche e soprattutto affettivamente. In qualità di primo ministro della Baviera ho portato avanti la buona tradizione e già nel 1994, un anno dopo essere diventato premier, ho avviato con Luis Durnwalder una stretta collaborazione che ancora oggi sta dando i suoi frutti. Baviera e Sudtirolo: due regioni forti nel cuore dell'Europa! Primo ministro della Baviera dal 1993 al 2007. L'autonomia dell'Alto Adige è una delle grandi conquiste del secolo scorso e un segno di coesione in Europa. All'Austria, e al Tirolo in particolare, spetta la particolare responsabilità di preservare questo successo del passato. Oggi è la stretta collaborazione transfrontaliera, istituzionalizzata nell'Euroregione Tirolo-Alto Adige-Trentino, a fare da garante dell'autonomia. Ora si tratta di ampliarla ulteriormente e di affrontare insieme le sfide del futuro. Ministro degli Interni austriaco dal 2007 al 2008, dal 2008 Landeshauptmann del Tirolo. Lo sviluppo dell'autonomia e la chiusura del Pacchetto mi hanno sempre toccato e coinvolto fortemente. In qualità di vicepresidente e presidente per decenni del Congresso dei Comuni e delle Regioni del Consiglio d'Europa, nonché di vicepresidente del Comitato europeo delle regioni, ho sempre fatto riferimento all'esemplare autonomia del Sudtirolo e del Trentino in importanti questioni di politica regionale e minoritaria europea. Per esempio, nel 1998 è entrata in vigore la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie. Particolare significato rivestono anche la “Carta europea dell'autonomia locale” e il Quadro di riferimento per la democrazia regionale del Consiglio d'Europa. Nel Comitato europeo delle regioni, inoltre, questa autonomia ha contribuito in maniera rilevante all'attuazione del principio di sussidiarietà nell'UE, allo sviluppo di regioni europee informali all'interno dell'istituzione UE denominata Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT), di cui l'Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino ne è esempio, e al processo decisionale sulla strategia macroregionale UE per le zone alpine. Landeshauptmann del Tirolo dal 2002 al 2008, presidente del parlamento tirolese dal 2008 al 2018. L'Alto Adige e la sua autonomia: dopo parecchi decenni di grandi sforzi e di impegno, possiamo parlare di una storia di successo di cui la popolazione sudtirolese può essere giustamente orgogliosa. Tanto più che nel XX secolo la storia dell'Alto Adige è iniziata in maniera assai tragica. La prima guerra mondiale ha portato con sé, come d'altronde ogni conflitto bellico, una moltitudine di catastrofi umane e politiche. Con il Trattato di pace di Saint-Germain, l'Alto Adige fu strappato all'Austria senza tener conto dei fatti storici o di ulteriori argomentazioni. E tra il 1938 e il 1945, il Führer Hitler e il duce Mussolini si dimostrarono particolarmente brutali e spietati nei confronti della popolazione sudtirolese. Nel 1945 quando avevo solo sette anni scattò una seconda ora zero per l'Alto Adige. La gente non sapeva come andare avanti, l'Alto Adige però era forte e non aveva solo avversari ma anche molti buoni amici; al riguardo mi vengono in mente tanti nomi. Ci sono voluti molta forza, molto coraggio e molta fiducia. Perciò mi fa ancora più piacere, il fatto che oggi l'autonomia faticosamente conquistata dall'Alto Adige sia considerata un esempio virtuoso di autogoverno e che allo stesso tempo si possa celebrare il trentennale della chiusura della controversia tra Austria e Italia. Agendo con accortezza e pazienza è stato possibile superare gli ostacoli più grandi, e di questo possiamo esserne tutti felici. Presidente della Repubblica d'Austria dal 2004 al 2016 110.