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A livello pratico, inoltre, la proporzionale favorisce la mescolanza etnica in luoghi di lavoro prima prettamente italiani.
E poiché gli enti statali, in seguito a privatizzazioni e riduzione del personale passato a Provincia e Comuni, perdono sempre più d'importanza, la proporzionale diventa piuttosto una garanzia per la popolazione italiana negli ambiti lavorativi a maggioranza tedesca.
Nell'edilizia sociale viene inoltre introdotto, oltre al criterio di assegnazione etnica, anche il principio del fabbisogno personale.
Questa elasticità fa sì che anche la dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico, aspramente contestata per decenni, perda i suoi lati più spigolosi.
Già in precedenza, peraltro, l'opposizione si è affievolita:
quando nel 1995 Alexander Langer si vede rifiutare la candidatura a sindaco di Bolzano per non aver consegnato la dichiarazione etnica, la sua accorata protesta rimane in gran parte inascoltata. 52 un buon futuro in Alto Adige, devono imparare il tedesco, i genitori italiani iniziano a iscriverli negli asili e nelle scuole elementari in lingua tedesca.
La loro richiesta di strutture bilingui o multilingui non viene accolta, tuttavia si accordano gradualmente alcune concessioni, come per esempio corsi privati di tedesco negli asili italiani e l'aumento delle ore di insegnamento della seconda lingua nelle scuole.
Il numero crescente di famiglie bilingui e i recenti movimenti migratori rappresentano una sfida per le future politiche educative:
il modello di autonomia, tarato su tre distinti gruppi linguistici, deve confrontarsi con una realtà europea sempre più interculturale.
Il declino della conoscenza dell'italiano da parte della popolazione tedesca, e la contemporanea stagnazione della conoscenza del tedesco presso il gruppo italiano, fanno capire quanto la ricchezza della varietà linguistica sia ancora misconosciuta.
Di incoraggiante vi è il fatto che la popolazione ladina, con le sue scuole italo-tedesche paritetiche, vanti un ottimo livello di conoscenza delle due lingue e al contempo mantenga vivo un idioma marginale come il ladino.
Gli importanti sviluppi registrati a cavallo tra vecchio e nuovo millennio globalizzazione, neoliberalismo economico, introduzione della moneta unica europea, crisi finanziaria non risparmiano neanche un sistema di tutela come l'autonomia altoatesina.
Con la chiusura del Pacchetto nel 1992 e la dichiarazione congiunta italo-austriaca di risoluzione della controversia la cosiddetta quietanza liberatoria), che mette fine al conflitto pendente davanti all'ONU dal 1960, lo status di autonomia raggiunto viene ancorato nei limiti del possibile a livello internazionale.
Contestualmente si afferma il concetto di un'autonomia dinamica, obbligata ad adattarsi alle nuove circostanze.
Nel 2001, con la riforma della Costituzione italiana, le nuove competenze concesse alle regioni possono essere estese anche alle province autonome.
Per l'Alto Adige questo significa acquisire nuove competenze in diversi settori come energia, scienza e ricerca, relazioni e accordi internazionali, commercio estero, sicurezza sul lavoro, protezione civile, scuola, sport, aviazione civile e (tramite la Regione) sistema pensionistico.
Il principio della verifica delle leggi provinciali viene capovolto:
non è più il governo centrale a respingere le norme e la Provincia a ricorrere alla Corte costituzionale, ma adesso le leggi promulgate a Bolzano entrano in vigore e Roma può eventualmente impugnarle.
Tuttavia, la Corte costituzionale concede anche allo Stato le cosiddette competenze trasversali in caso di interessi preponderanti.
In caso di violazione di accordi internazionali o di possibili pericoli, lo Stato può intervenire direttamente anche negli ambiti dell'autonomia attraverso il potere di sostituzione.
Lo stesso principio vale per l'ordinamento finanziario.
Con la riforma del 1989, la Provincia di Bolzano riceve di ritorno i nove decimi delle imposte riscosse in Alto Adige.
Ma poiché lo Stato continua a effettuare spese in Alto Adige, si genera un eccesso di finanziamento.
Sulla scia della crisi finanziaria lo Stato esercita quindi pressioni per un adeguamento, sfociato nell'Accordo di Milano siglato nel 2009 da Durnwalder con il quale viene tutelato il finanziamento all'autonomia altoatesina:
l'Alto Adige mantiene la quota fissa del 90 per cento del gettito fiscale e riceve il diritto di introdurre imposte locali nelle proprie aree di competenza, in cambio si impegna a effettuare pagamenti compensativi per i comuni frontalieri e ad assumere ulteriori competenze a costo zero per sgravare il bilancio statale.
Dopo diversi tentativi del governo di ammorbidire la normativa, nel 2014 il neoeletto presidente provinciale Arno Kompatscher riesce a negoziare un patto di garanzia.
In cambio di un contributo fisso di solidarietà destinato alla copertura del debito pubblico, la regolamentazione finanziaria viene consolidata e assicurata a livello internazionale tramite il coinvolgimento dell'Austria.
Il bilancio provinciale del 2022 prevede entrate per 6,5 miliardi di euro.
Nel 1973, con i dati convertiti e corretti tenendo conto dell'inflazione, è di 675 milioni di euro, a dimostrazione di come in mezzo secolo l'autonomia sia progredita in termini di competenze e dotazione finanziaria.
Favorita anche dalla dotazione finanziaria, l'autonomia va di pari passo con la ripresa economica. 53.
Il confine del Brennero sparisce:
I ministri dell'Interno italiano e austriaco, Giorgio Napolitano e Karl Schlögl, alla celebrazione della rimozione della sbarra di confine del Brennero, 1° aprile 1998.
Il 1° gennaio 1995, giorno in cui l'Austria diventa uno Stato membro dell'UE, i governatori provinciali Luis Durnwalder e Wendelin Weingartner si incontrarono al bar del confine 54.
Tendenze, orientamenti e sfide.
L'abbondanza di aree di competenza rende l'Alto Adige una sorta di laboratorio nel quale sono condensati, in uno spazio assai ridotto, i problemi del presente e le questioni future delle democrazie europee.
Se da un lato l'autonomia offre notevoli opportunità di autogestione, queste sono condizionate allo stesso tempo dagli sviluppi e dalle influenze globali.
La complessità della moderna amministrazione, la necessità di una rigorosa austerità nell'utilizzo dei fondi pubblici, la distinzione sfumata tra politica e amministrazione e tra pubblico e privato, i complessi rapporti giuridici tra Comuni, Provincia, Stato e Unione Europea: tutto questo richiede alla politica di autonomia un impegno decisamente alto.
Clima, fenomeni migratori e pandemia sono solo gli esempi più recenti di come le questioni globali richiedano risposte anche a livello locale.
Certo, tutela delle minoranze etniche e salvaguardia dei diritti di autonomia nei confronti del governo centrale continuano a essere i punti di riferimento della politica autonomista altoatesina;
essi, tuttavia, non possono essere gli unici fulcri attorno ai quali si organizza e si svolge la vita politica.
Le misure autonome intraprese durante la pandemia di Covid-19, oppure gli allentamenti relativi alla tutela di determinate specie animali in contrasto con le normative nazionali e comunitarie, generano gruppi di interesse e di opinione che vanno al di là dell'appartenenza etnica.
Anche le questioni etnicamente conflittuali ancora in sospeso, come la toponomastica, possono polarizzare ciclicamente il dibattito politico e mediatico, ma non provocano più uno sconvolgimento duraturo del clima politico.
Anche nel 2002, quando il Comune di Bolzano in seguito a un referendum è costretto a ripristinare il vecchio nome di “piazza della Vittoria” dopo averlo cambiato in piazza della Pace, la rabbia della popolazione di lingua tedesca si placa più velocemente di quanto si temesse.
il bassorilievo di Mussolini, commissionato dal partito fascista all'artista altoatesino Hans Piffrader, è stato depotenziato nel 2017 grazie alla frase di Hannah Arend Nessuno ha il diritto di obbedire 55.
È vero che le elezioni provinciali del 2008 vedono un forte incremento dei partiti etnici Südtiroler Freiheit e Freiheitlichen, che insieme all'altro movimento patriottico Union für Südtirol conquistano oltre il 20 per cento dei consensi.
Ma è altrettanto vero che quei successi elettorali non sono dovuti tanto alla polarizzazione italo-tedesca, quanto all'immagine ringiovanita e più liberale di questi partiti nonché, in gran parte, all'acuirsi della questione migratoria, che rappresenta un terreno comune con i partiti della destra italiana.
Il fatto che nel contempo non si verifichi un'oscillazione in senso contrario del pendolo etnico da parte italiana, denota una perdita di centralità dei conflitti etnopolitici a favore di un pluralismo dei temi e delle strategie elettorali.
Alle provinciali del 2013 la SVP perde, per la prima volta, la maggioranza assoluta; è il segnale che la ferrea coesione delle minoranze linguistiche a scapito della pluralità politica è stata alla fine indebolita dalla sua stessa storia di successo.
La svolta più rilevante, in tali elezioni, è senz'altro la staffetta generazionale all'interno della SVP tra Luis Durnwalder e Arno Kompatscher.
Queste tendenze si sono già manifestate e sono proseguite di conseguenza.
Significativa in tal senso è la forte crescita elettorale registrata nel 2018 da Lega e Team K, due partiti che, riguardo all'affermazione dell'autonomia e al posizionamento etnico, non sono allineati alle tradizionali linee di conflitto.
Questo dimostra anche come i dibattiti politici si concentrino e si infiammino meno sulle questioni etniche e sempre più su questioni trasversali come la migrazione, lo Stato d'ordine opposto alla società liberale (Lega) o la volontà di profondi cambiamenti nelle strutture e negli stili della politica Movimento Cinque Stelle, Team K). Lo stesso discorso si può fare per i Verdi, la cui concezione dell'autonomia trasversale ai gruppi linguistici perde il valore provocatorio degli anni pionieristici, portando il partito ecologista a porsi come opposizione critico-costruttiva su un'ampia gamma di tematiche. Da parte sua la.
SVP, pur mantenendo la pretesa di essere il partito di raccolta delle minoranze, si è ampiamente allineata ai partiti popolari europei.
L'autonomia non è quindi più misurata in termini di controversie etniche, quanto piuttosto discussa in termini di pregi e difetti. La critica che storicamente viene mossa all'autonomia, ovvero che in quanto soluzione parziale non rimedi all'ingiustizia storica causata dall'annessione nel 1919/1920, nell'opposizione separatista di lingua tedesca Südtiroler Freiheit, Freiheitlichen) si mescola con la critica alla cattiva gestione e alla condizione di quello Stato italiano al quale l'Alto Adige, malgrado l'autonomia di cui gode, rimarrà sempre legato.
D'altra parte, l'autonomia rappresenta il quadro d'azione della politica in Alto Adige, per cui su di essa ricadono anche le carenze amministrative, le questioni politico-giuridiche e gli obiettivi conflittuali irrisolti.
Molte delle critiche comunque possono essere intese come una normalizzazione, alla quale non viene ancora riconosciuto il suo valore positivo.
Così, a cinquant'anni dall'entrata in vigore del secondo statuto, l'autonomia si ritrova da un lato nel luccichio di un modello spesso ammirato all'esterno e dall'altro nell'ombra dei propri limiti.
Limiti che, sebbene nello scambio politico a volte siano ancora interpretati in senso etnico, in molti casi sono più legati a spostamenti tra filosofie statali centraliste e federaliste, che a loro volta sono soggetti alla pretesa di controllo da parte della Comunità Europea.
Difendere i diritti e negoziare i conflitti di competenza con Roma e Bruxelles è ormai diventata un'attività politica tanto impegnativa quanto quotidiana, con effetti drastici per esempio sul bilancio provinciale, ma solo in casi rarissimi questo porta a una maggiore attrattività verso la politica autonomistica.
La quale, al contrario, non solo paga la sindrome di assuefazione a diritti che si danno per scontati, ma è soggetta a critiche per tutto ciò che ha meno successo o che semplicemente non può essere realizzato.
Un tentativo di allentare la propria limitatezza e i vincoli nazionali dell'autonomia è rappresentato dalla cooperazione sovraregionale con il Trentino e il Tirolo, denominata Euregio.
Concepita come una sorta di progetto alternativo all'autodeterminazione, fin dalla sua fondazione formale nel 1998 e ulteriormente rafforzata nel 2011 dalla sua istituzionalizzazione come GECT (Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale) l'Euroregione cerca di concretizzare la cooperazione transfrontaliera a livello economico, scientifico e, per quanto possibile, anche a un livello più vicino ai cittadini, per esempio con l'introduzione del biglietto unico per il trasporto pubblico all'interno dell'Euregio.
Non è invece chiaro il rapporto tra l'Alto Adige e la Regione Trentino-Alto Adige.
Nel 1957 il controllo dell'Alto Adige da parte della maggioranza regionale (italiana) porta al Los von Trient di Castel Firmiano dando un'importante spinta.
L'autonomia non è un diritto acquisito, bensì un processo negoziale aperto per un'azione indipendente e responsabile.
la fondazione del GECT Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino nel 2011 a Castel Thun. Da sinistra i governatori provinciali Günther Platter, Lorenzo Dellai e Luis Durnwalder 57.
Sostenitori dell'Alto Adige:
l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi, il presidente della Provincia Arno Kompatscher e l'ex cancelliere federale Heinz Fischer alla Giornata dell'Autonomia a Bolzano, 5 settembre 2021 alla politica autonomista.
Come gli interessi degli Stati nazionali e le eredità storiche possano contrastare una prospettiva che trascende i confini, non solo geografici, è stato recentemente dimostrato con chiarezza da due tematiche controverse.
Lo smantellamento delle sbarre al confine del Brennero, celebrato con l'accordo di Schengen del 1992, si è interrotto bruscamente anche se temporaneamente dopo l'ondata di profughi del 2015, allorquando l'Austria organizza militarmente e logisticamente la chiusura del confine italiano più settentrionale.
L'idea, lanciata nel 2017, di esprimere e rafforzare le sensibilità passate e presenti dell'Alto Adige attraverso la doppia cittadinanza italo-austriaca, è finora fallita e non solo per l'opposizione dell'Italia:
da parte sudtirolese si comincia improvvisamente a discutere su quali gruppi linguistici abbiano il diritto di farlo;
in Austria la questione mette in luce l'ambivalenza di una politica nazionale che nega lo stesso diritto alle minoranze interne e ai gruppi della diaspora di natura migratoria.
Da questo dibattito emerge la necessità di un salto di qualità nella cultura della memoria dell'Alto Adige, che spesso si accontenta di tematizzare le ingiustizie subite alimentando quindi narrazioni conflittuali invece di portarle all'interno di un dialogo, con una nuova narrazione della migrazione che potrebbe inserire in nuovi contesti l'immigrazione italiana sotto il fascismo e l'emigrazione sudtirolese verso il Reich nel 1939.
Il fatto che le minoranze sviluppino dalla propria storia una maggiore sensibilità per le altre e nuove minoranze, è anche in Alto Adige un potenziale inespresso.
Lo spostamento dell'attenzione dal carattere di tutela etnica dell'autonomia a una concezione territoriale di autogoverno che vada a beneficio di tutte le persone che vivono qui, è espressione dello status di protezione ampiamente garantito alle minoranze linguistiche.
Questo potrebbe suggerire il passaggio dalla tutela delle lingue minoritarie alla ricchezza del multilinguismo, abbastanza presente 58 nella retorica ma di fatto praticato con molta cautela.
Ciò riguarda sia il modo in cui il multilinguismo viene affrontato nelle scuole, sia la valorizzazione di realtà familiari e sociali che non rientrano nella tripartizione linguistica provinciale, ma che potrebbero arricchirla.
Questa è certamente una sfida centrale per il futuro, poiché lo Statuto di autonomia è in molti ambiti orientato verso tre gruppi linguistici chiaramente definiti.
Il superamento delle identità tra i gruppi linguistici e la diversità della società migratoria europea esigono in futuro una politica creativa.
I dati sconfortanti sulla conoscenza della seconda lingua si veda lo studio Kolipsi II di Eurac Research), sia da parte italiana che tedesca, potrebbero essere uno stimolo in tal senso.
Un tentativo di sviluppare ulteriormente l'autonomia, e quindi di ottenere orientamenti per il futuro, è la Convenzione sull'autonomia del 2016.
Questa iniziativa su larga scala, tesa a coinvolgere ampi settori della società attraverso un Forum dei 100, viene in parte risucchiata nel vortice delle questioni etno-politiche che di solito si scatenano in queste occasioni.
Dai resoconti degli otto gruppi di lavoro, integrati dalle relazioni di minoranza, emerge una tendenza tra la cauta conservazione di ciò che è stato raggiunto, il rafforzamento delle competenze e qualche cauta apertura, soprattutto relativa al multilinguismo, alla società plurale e all'elaborazione di politiche partecipative.
La lezione che si può trarre è che gli sforzi per sviluppare politiche orientate ai bisogni della popolazione devono essere sempre e nuovamente ricercati e osati.
La piccolezza e quindi anche la ristrettezza dell'Alto Adige, con le sue relazioni familiari, le dipendenze e gli intrecci privati-professionali-politici-mediatici, rendono difficile avere uno sguardo sereno sulle questioni della vita quotidiana attuale e del prossimo futuro.
Tuttavia, questa piccolezza rappresenta anche un'opportunità: molte cose si possono cambiare in tempi rapidissimi, i piccoli interventi raggiungono il loro obiettivo e il loro gruppo target senza fare troppi giri, i gruppi e i movimenti sociali sono più facili da riconoscere e coinvolgere, gli interessi possono essere negoziati più apertamente, i conflitti possono essere discussi quasi direttamente. L'autonomia offre quindi la possibilità di realizzare entrambi gli scenari:
L'autonomia potrebbe essere intesa come un laboratorio per testare e ottimizzare su piccola scala ciò che sembra essere così difficile a livello mondiale:
procedure amministrative trasparenti ed eque, rafforzamento delle minoranze all'interno delle minoranze anche in termini di origine geografica e sociale, genere, disabilità sociale), co-creazione partecipativa come risposta al calo dell'affluenza alle urne, costruzione della pace come lavoro costruttivo sui conflitti.
L'autonomia, sia nella sua accezione che nella concezione altoatesina, non è un diritto acquisito, bensì un processo negoziale aperto per un'azione indipendente e responsabile. 59.
Il significato del secondo Statuto di autonomia per il gruppo etnico ladino dell'Alto Adige.
Per il gruppo etnico ladino, il secondo Statuto di autonomia del 1972 riveste una tale importanza da poter essere sostanzialmente definito come il primo, vero statuto.
Lo statuto del 1948, infatti, si limitava a riconoscere l'esistenza della popolazione ladina nella regione, ad accennare a una vaga assicurazione dell'insegnamento del ladino nelle scuole elementari e all'obbligo da parte di Provincia e Regione di rispettare i toponimi, la cultura e le tradizioni della popolazione ladina.
Solo con lo statuto del 1972 sono state introdotte anche misure di tutela specifiche.
A livello istituzionale, queste includono la rappresentanza obbligatoria dei ladini nel Consiglio provinciale dell'Alto Adige e nel Consiglio regionale, ma anche il ricorso costituzionale diretto, ossia il diritto di impugnare una legge provinciale o regionale davanti alla Corte costituzionale nel caso in cui vi si ravvedano violazioni al principio di uguaglianza dei diritti tra i gruppi etnici.
Determinante ai fini dell'autonomia culturale risulta essere il modello della scuola paritetica così come l'obbligo, da parte della Provincia di Bolzano, di assegnare le risorse di bilancio destinate a scopi culturali non solo in proporzione diretta alla loro consistenza, ma anche in relazione all'entità dei bisogni di ciascun gruppo linguistico.
La garanzia di questi fondi ha reso possibile, tra l'altro, la creazione dell'Istituto culturale ladino Micurà de Rü nel 1976 e del Museum Ladin Ćiastel de Tor nel 2001, nonché le trasmissioni ladine alla radio e alla televisione.
Benché lo statuto del 1972 abbia comportato un notevole salto di qualità nella tutela dei ladini, dal loro punto di vista la prima versione presentava degli svantaggi, alcuni anche gravi, rispetto agli altri due gruppi linguistici. Per esempio, era assente il diritto all'uso della lingua nella vita pubblica, indispensabile per la tutela delle minoranze, diritto che è stato codificato tramite norma d'attuazione solamente nel 1988.
Altre carenze sono state in gran parte colmate nella fase della cosiddetta autonomia dinamica, attraverso le riforme del 2001 e del 2017.
Con la legge costituzionale n. 2/2001 è stata garantita la rappresentanza ladina nel governo provinciale e ne è stata consentita la presenza nel governo provinciale, anche in deroga alla proporzionale.