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931 | Hoc cum esset modo pugnatum continenter horis quinque nostrique gravius a multitudine premerentur, consumptis omnibus telis gladiis destrictis impetum adversus montem in cohortes faciunt, paucisque deiectis reliquos sese convertere cogunt. Submotis sub murum cohortibus ac nonnullam partem propter terrorem in oppidum compulsis facilis est nostris receptus datus. Equitatus autem noster ab utroque latere, etsi deiectis atque inferioribus locis constiterat, tamen summa in iugum virtute connititur atque inter duas acies perequitans commodiorem ac tutiorem nostris receptum dat.Ita vario certamine pugnatum est. Nostri in primo congressu circiter LXX ceciderunt, in his Q. Fulginius ex primo hastato legionis XIIII, qui propter eximiam virtutem ex inferioribus ordinibus in eum locum pervenerat; vulnerantur amplius DC. Ex Afranianis interficiuntur T. Caecilius, primi pili centurio, et praeter eum centuriones IIII, milites amplius CC. | In tal modo si combatté ininterrottamente per cinque ore e i nostri, siccome erano incalzati troppo massicciamente dal numero degli avversari e non avevano più giavellotti, si lanciano su per il monte contro le coorti nemiche a spade sguainate; ne uccidono pochi, ma costringono gli altri a ripiegare. Spinte le truppe sotto le mura e in parte, per il terrore, cacciatele nella città, ai nostri fu data facilmente la possibilità di ritirata. Inoltre, sebbene la nostra cavalleria si fosse fermata in basso in una zona avvallata, tuttavia tenta, con grandissimo valore, di salire sul colle e, cavalcando in mezzo alle due schiere, permette ai nostri una ritirata più facile e sicura. Così si combatté con esito vario. Nel primo scontro caddero circa settanta dei nostri e fra essi Q. Fulginio, primo centurione degli astati della legione XIV, il quale era giunto dai gradi inferiori a quella posizione per il suo valore; i feriti sono più di seicento. Tra i seguaci di Afranio vengono uccisi T. Cecilio, centurione del primo manipolo e oltre a lui quattro centurioni e più di duecento soldati. |
739 | Helvetii omnium rerum inopia adducti legatos de deditione ad eum miserunt. Qui cum eum in itinere convenissent seque ad pedes proiecissent suppliciterque locuti flentes pacem petissent, atque eos in eo loco quo tum essent suum adventum expectare iussisset, paruerunt. Eo postquam Caesar pervenit, obsides, arma, servos qui ad eos perfugissent, poposcit. Dum ea conquiruntur et conferuntur, [nocte intermissa] circiter hominum milia VI eius pagi qui Verbigenus appellatur, sive timore perterriti, ne armis traditis supplicio adficerentur, sive spe salutis inducti, quod in tanta multitudine dediticiorum suam fugam aut occultari aut omnino ignorari posse existimarent, prima nocte e castris Helvetiorum egressi ad Rhenum finesque Germanorum contenderunt. | Agli Elvezi mancava tutto il necessario per proseguire la guerra, perciò inviarono degli ambasciatori a offrire la resa. Cesare era ancora in marcia quando gli si fecero incontro; si gettarono ai suoi piedi e gli chiesero pace, piangendo e supplicando. Cesare ordinò agli Elvezi di aspettarlo dove adesso si trovavano, ed essi obbedirono. Appena giunto, chiese la consegna degli ostaggi, delle armi e degli schiavi fuggiti. Mentre gli Elvezi stavano ancora provvedendo alla ricerca e alla raccolta, scese la notte, nelle prime ore della quale circa seimila uomini della tribù dei Verbigeni lasciarono l'accampamento degli Elvezi e si diressero verso il Reno e i territori dei Germani: forse temevano di essere uccisi, una volta consegnate le armi, oppure speravano di salvarsi, pensando che in mezzo a tanta gente che si era arresa la loro fuga potesse rimanere nascosta o passare del tutto inosservata. |
318 | Caesar in Belgio cum hiemaret, unum illud propositum habebat, continere in amicitia civitates, nulli spem aut causam dare armorum. Nihil enim minus volebat quam sub decessu suo necessitatem sibi aliquam imponi belli gerendi, ne, cum exercitum deducturus esset, bellum aliquod relinqueretur quod omnis Gallia libenter sine praesenti periculo susciperet. Itaque honorifice civitates appellando, principes maximis praemiis adficiendo, nulla onera iniungendo defessam tot adversis proeliis Galliam condicione parendi meliore facile in pace continuit. | Cesare, mentre svernava in Belgio, mirava a un unico scopo: tener legate all'alleanza le varie genti e non fornire a nessuno speranze o motivi di guerra. Infatti, niente gli pareva meno auspicabile, alla vigilia della sua uscita di carica, che trovarsi costretto ad affrontare un conflitto; altrimenti, al momento della sua partenza con l'esercito, si sarebbe lasciato alle spalle una guerra che tutta la Gallia avrebbe intrapreso con entusiasmo, liberata dal pericolo della sua presenza. Così, distribuendo titoli onorifici ai vari popoli, accordando grandissime ricompense ai loro principi, non imponendo nuovi oneri, la Gallia, prostrata da tante sconfitte, riuscì con facilità a tenerla in pace, garantendo più lieve l'assoggettamento. |
693 | Erant in ea legione fortissimi viri, centuriones, qui primis ordinibus appropinquarent, Titus Pullo et Lucius Vorenus. Hi perpetuas inter se controversias habebant, quinam anteferretur, omnibusque annis de locis summis simultatibus contendebant. Ex his Pullo, cum acerrime ad munitiones pugnaretur, "Quid dubitas," inquit, " Vorene? aut quem locum tuae probandae virtutis exspectas ? hic dies de nostris controversiis iudicabit." Haec cum dixisset, procedit extra munitiones quaque pars hostium confertissma est visa irrumpit.Ne Vorenus quidem tum sese vallo continet, sed omnium veritus existi mationem subsequitur. Mediocri spatio relicto Pullo pilum in hostes immittit atque unum ex multitudine procurrentem traicit; quo percusso et exanimato hunc scutis protegunt, in hostem tela universi coniciunt neque dant regrediendi facultatem. Transfigitur scutum Pulloni et verutum in balteo defigitur. Avertit hic casus vaginam et gladium educere conanti dextram moratur manum, impeditumque hostes circumsistunt. Succurrit inimicus illi Vorenus et laboranti subvenit. Ad hunc se confestim a Pullone omnis multitudo convertit: illum veruto arbitrantur occisum. Gladio comminus rem gerit Vorenus atque uno interfecto reliquos paulum propellit; dum cupidius instat, in locum deiectus inferiorem concidit. Huic rursus circumvento fert subsidium Pullo, atque ambo incolumes compluribus interfectis summa cum laude sese intra munitiones recipiunt. Sic fortuna in contentione et certamine utrumque versavit, ut alter alteri inimicus auxilio salutique esset, neque diiudicari posset, uter utri virtute anteferendus videretur. | In quella legione militavano due centurioni di grande valore, T. Pullone e L. Voreno, che stavano raggiungendo i gradi più alti. I due erano in costante antagonismo su chi doveva esser anteposto all'altro e ogni anno gareggiavano per la promozione, con rivalità accanita. Mentre si combatteva aspramente nei pressi delle nostre difese, Pullone disse: "Esiti, Voreno? Che grado ti aspetti a ricompensa del tuo valore? Ecco il giorno che deciderà le nostre controversie!" Ciò detto, scavalca le difese e si getta contro lo schieramento nemico dove sembrava più fitto. Neppure Voreno, allora, resta entro il vallo, ma, temendo il giudizio di tutti, segue Pullone. A poca distanza dai nemici, questi scaglia il giavellotto contro di loro e ne colpisce uno, che correva in testa a tutti; i compagni lo soccorrono, caduto e morente, proteggendolo con gli scudi, mentre tutti insieme lanciano dardi contro Pullone, impedendogli di avanzare. Anzi, il suo scudo viene passato da parte a parte e un veruto gli si pianta nel balteo, spostandogli il fodero della spada: così, mentre cerca di sguainarla con la destra, perde tempo e, nell'intralcio in cui si trova, viene circondato. Subito il suo rivale Voreno si precipita e lo soccorre in quel difficile frangente. Su di lui convergono subito tutti i nemici, trascurando Pullone: lo credono trafitto dal veruto. Voreno combatte con la spada, corpo a corpo, uccide un avversario e costringe gli altri a retrocedere leggermente, ma, trasportato dalla foga, cade a capofitto in un fosso. Viene circondato a sua volta e trova sostegno in Pullone: tutti e due, incolumi, si riparano entro le nostre difese, dopo aver ucciso molti nemici ed essersi procurati grande onore. Così la Fortuna, in questa loro sfida e contesa, dispose di essi in modo che ognuno recasse all'antagonista aiuto e salvezza e che non fosse possibile giudicare a quale dei due, per valore, toccasse il premio per il valore. |
663 | At Caesar, etsi nondum eorum consilia cognoverat, tamen et ex eventu navium suarum et ex eo quod obsides dare intermiserant fore id quod accidit suspicabatur. Itaque ad omnes casus subsidia comparabat. Nam et frumentum ex agris cotidie in castra conferebat et, quae gravissime adflictae erant naves, earum materia atque aere ad reliquas reficiendas utebatur et quae ad eas res erant usui ex continenti comportari iubebat. Itaque, cum summo studio a militibus administraretur, XII navibus amissis, reliquis ut navigari satis commode posset effecit. | Cesare non conosceva ancora il loro piano, ma dopo il disastro capitato alle navi e visto che non gli venivano più consegnati ostaggi, sospettava quello che sarebbe poi accaduto. Perciò, si premuniva per qualsiasi evenienza. Ogni giorno, infatti, disponeva che dalle campagne portassero grano all'accampamento, si serviva del legname e del bronzo delle navi più danneggiate per riparare le altre e ordinava di procurarsi dal continente il materiale necessario a tale scopo. Così, grazie allo straordinario impegno dei nostri soldati, pur risultando perdute dodici navi, mise le altre in condizione di navigare senza problemi. |
703 | Germani multum ab hac consuetudine differunt. Nam neque druides habent, qui rebus divinis praesint, neque sacrificiis student. Deorum numero eos solos ducunt, quos cernunt et quorum aperte opibus iuvantur, Solem et Vulcanum et Lunam, reliquos ne fama quidem acceperunt. Vita omnis in venationibus atque in studiis rei militaris consistit; a parvulis lavori ac duritiae student. Qui diutissime impuberes permanserunt, maximam inter suos ferunt laudem; hoc ali staturam, ali vires nervosque confirmari putant.Intra annum vero vicesimum feminae notitiam habuisse in turpissimis habent rebus. Cuius rei nulla est occultatio quod et promiscue in fluminibu perluuntur et pellibus aut parvis renonum tegimentis utuntur, magna corporis parte nuda. | I Germani differiscono molto da questo modo di vivere. Infatti, non hanno né i druidi che presiedano i riti religiosi, né si dedicano ai sacrifici. Tra gli dei considerano solo coloro che vedono e dai mezzi dei quali sono apertamente aiutati, Sole, Vulcano e Luna; non conoscono i restanti nemmeno per fama. Tutta la vita consiste in partite di caccia e in occupazioni dell'arte militare: fin da piccoli si dedicano alla fatica e al rigore. (Coloro) che sono rimasti casti molto a lungo, portano la più grande gloria tra i loro; alcuni pensano che con ciò si consolidi la statura, altri (pensano) che si consolidino le forze e i vigori. In verità considerano tra le cose più vergognose aver fatto conoscenza della donna prima di vent'anni. Non c'è nessuna occultazione di questa cosa, poiché sia si lavano promiscuamente nei fiumi, sia fanno uso di pelli o di indumenti corti dette renoni, con gran parte del corpo nuda. |
668 | Omnibus his resistitur, omnibusque oratio consulis, Scipionis, Catonis opponitur. Catonem veteres inimicitiae Caesaris incitant et dolor repulsae. Lentulus aeris alieni magnitudine et spe exercitus ac provinciarum et regum appellandorum largitionibus movetur, seque alterum fore Sullam inter suos gloriatur, ad quem summa imperii redeat. Scipionem eadem spes provinciae atque exercituum impellit, quos se pro necessitudine partiturum cum Pompeio arbitratur, simul iudiciorum metus, adulatio atque ostentatio sui et potentium, qui in re publica iudiciisque tum plurimum pollebant.Ipse Pompeius, ab inimicis Caesaris incitatus, et quod neminem dignitate secum exaequari volebat, totum se ab eius amicitia averterat et cum communibus inimicis in gratiam redierat, quorum ipse maximam partem illo affinitatis tempore iniunxerat Caesari; simul infamia duarum legionum permotus, quas ab itinere Asiae Syriaeque ad suam potentiam dominatumque converterat, rem ad arma deduci studebat. | A tutte queste proposte fa resistenza e opposizione l'intervento del console, di Scipione e di Catone. Vecchi rancori nei riguardi di Cesare e il dolore del suo insuccesso elettorale aizzano Catone. Lentulo è mosso dalla grande quantità di debiti, dalla speranza di avere un esercito e delle province e dai doni degli aspiranti al titolo di re. Tra i suoi si vanta di star per diventare un secondo Silla nelle cui mani ritornerà il potere supremo. Stimola Scipione una medesima speranza di governo di province e di comando di eserciti che, per legami di parentela, pensa di potere dividere con Pompeo; e nello stesso tempo lo stimolano il timore di processi e la propria vanità e l'adulazione dei potenti che in quel tempo avevano grandissima influenza nello stato e nei tribunali. Lo stesso Pompeo, incitato dagli avversari di Cesare e poiché non voleva che nessuno gli fosse pari per prestigio, si era del tutto allontanato dalla sua amicizia e si era riconciliato con comuni avversari, che, in gran parte, egli stesso aveva procurato a Cesare al tempo della loro parentela. Contemporaneamente, indotto dal disonore di avere trattenuto a sostegno della propria influenza e supremazia politica due legioni destinate all'Asia e alla Siria, manovrava affinché la contesa fosse condotta a un confronto armato. |
590 | Ariovistus ad postulata Caesaris pauca respondit, de suis virtutibus multa praedicavit: transisse Rhenum sese non sua sponte, sed rogatum et arcessitum a Gallis; non sine magna spe magnisque praemiis domum propinquosque reliquisse; sedes habere in Gallia ab ipsis concessas, obsides ipsorum voluntate datos; stipendium capere iure belli, quod victores victis imponere consuerint. Non sese Gallis sed Gallos sibi bellum intulisse: omnes Galliae civitates ad se oppugnandum venisse ac contra se castra habuisse; eas omnes copias a se uno proelio pulsas ac superatas esse.Si iterum experiri velint, se iterum paratum esse decertare; si pace uti velint, iniquum esse de stipendio recusare, quod sua voluntate ad id tempus pependerint. Amicitiam populi Romani sibi ornamento et praesidio, non detrimento esse oportere, atque se hac spe petisse. Si per populum Romanum stipendium remittatur et dediticii subtrahantur, non minus libenter sese recusaturum populi Romani amicitiam quam adpetierit. Quod multitudinem Germanorum in Galliam traducat, id se sui muniendi, non Galliae oppugnandae causa facere; eius rei testimonium esse quod nisi rogatus non venerit et quod bellum non intulerit sed defenderit. Se prius in Galliam venisse quam populum Romanum. Numquam ante hoc tempus exercitum populi Romani Galliae provinciae finibus egressum. Quid sibi vellet? Cur in suas possessiones veniret? Provinciam suam hanc esse Galliam, sicut illam nostram. Ut ipsi concedi non oporteret, si in nostros fines impetum faceret, sic item nos esse iniquos, quod in suo iure se interpellaremus. Quod fratres a senatu Haeduos appellatos diceret, non se tam barbarum neque tam imperitum esse rerum ut non sciret neque bello Allobrogum proximo Haeduos Romanis auxilium tulisse neque ipsos in iis contentionibus quas Haedui secum et cum Sequanis habuissent auxilio populi Romani usos esse. Debere se suspicari simulata Caesarem amicitia, quod exercitum in Gallia habeat, sui opprimendi causa habere. Qui nisi decedat atque exercitum deducat ex his regionibus, sese illum non pro amico sed pro hoste habiturum. Quod si eum interfecerit, multis sese nobilibus principibusque populi Romani gratum esse facturum (id se ab ipsis per eorum nuntios compertum habere), quorum omnium gratiam atque amicitiam eius morte redimere posset. Quod si decessisset et liberam possessionem Galliae sibi tradidisset, magno se illum praemio remuneraturum et quaecumque bella geri vellet sine ullo eius labore et periculo confecturum. | Ariovisto rispose poche cose alle domande di Cesare, disse molte cose circa i propri meriti: egli avere passato il Reno non di sua volontà, ma per caso chiamato dai Galli; di non avere lasciato la patria e i congiunti senza grande speranza e grandi ricompense; e di avere in Gallia sedi concesse da loro stessi, ostaggi dati con il loro consentimento; di percepire per diritto di guerra il tributo, che i vincitori erano soliti imporre ai vinti. Non egli aveva portato guerra ai Galli, tutti i popoli della Gallia erano venuti ad assalirlo, e avevano stabilito accampamenti contro di lui; (disse) che tutte quelle forze erano state sconfitte, vinte da lui in una sola battaglia. Se volessero provare un'altra volta, egli era pronto a combattere di nuovo; se volessero servirsi della pace, era ingiusto rifiutare circa il tributo che avevano pagato sino a quel tempo di loro volontà. Era d'uopo che l’amicizia del popolo romano fosse a sé di onore e di appoggio, non di danno, ed egli aveva domandato ciò con tale speranza. Se il tributo fosse stato condonato per mezzo del popolo romano, e gli ostaggi fossero stati sottratti, egli avrebbe rifiutato l'amicizia del popolo romano non meno volentieri di quel che avesse ricercata. Quanto al trasportare in Gallia una quantità di Germani, egli faceva ciò allo scopo di difendersi, non di assalire la Gallia; testimonio di tale cosa era che non era venuto se non pregato, e che non aveva portato la guerra, ma si era difeso. Egli era venuto in Gallia prima che il popolo romano. Mai prima di questo tempo un esercito del popolo romano era uscito dai confini della provincia di Gallia. Che cosa si voleva da lui, perché veniva nei suoi possedimenti? Questa Gallia era la sua provincia, come quella la nostra. Come non sarebbe stato lecito a lui (Ariovisto) far invasione nel nostro territorio, così similmente noi eravamo ingiusti perché lo ostacolavamo nel suo diritto. Quanto a dire che gli Edui erano stati chiamati fratelli dal Senato, non era egli così barbaro né così ignorante delle cose, da non sapere che né gli Edui avevano portato aiuto ai Romani nell'ultima guerra degli Allobrogi, né che essi stessi si erano serviti del soccorso del popolo romano in quelle contese, in cui gli Edui avevano combattuto contro di lui e i Sequani. Egli doveva, dunque, sospettare che Cesare, essendo stata finta l’amicizia affinché avesse un esercito in Gallia, avesse lo scopo di schiacciarlo. Il quale Cesare se non fosse partito e avesse condotto via l’esercito da quelle regioni, egli lo avrebbe considerato non amico, ma nemico. Che se egli lo avesse ucciso, egli avrebbe fatto cosa grata a molti nobili capi-partito del popolo romano: egli aveva ciò saputo di certo da loro stessi per mezzo di loro messaggeri, dei quali tutti egli poteva acquistare il favore e l'amicizia con la sua morte. Che se fosse partito e gli avesse consegnato il libero possesso della Gallia, egli lo avrebbe ricompensato con un grande premio e, qualunque guerra volesse che fosse fatta, egli l'avrebbe compiuta senza alcuna fatica e suo pericolo. |
810 | Discessu Liburnarum ex Illyrico M. Octavius cum eis, quas habebat, navibus Salonas pervenit. Ibi concitatis Dalmatis reliquisque barbaris Issam a Caesaris amicitia avertit; conventum Salonis cum neque pollicitationibus neque denuntiatione periculi permovere posset, oppidum oppugnare instituit. Est autem oppidum et loci natura et colle munitum. Sed celeriter cives Romani ligneis effectis turribus his sese munierunt et, cum essent infirmi ad resistendum propter paucitatem hominum crebris confecti vulneribus, ad extremum auxilium descenderunt servosque omnes puberes liberaverunt et praesectis omnium mulierum crinibus tormenta effecerunt.Quorum cognita sententia Octavius quinis castris oppidum circumdedit atque uno tempore obsidione et oppugnationibus eos premere coepit. Illi omnia perpeti parati maxime a re frumentaria laborabant. Cui rei missis ad Caesarem legatis auxilium ab eo petebant; reliqua, ut poterant, incommoda per se sustinebant. Et longo interposito spatio cum diuturnitas oppugnationis neglegentiores Octavianos effecisset, nacti occasionem meridiani temporis discessu eorum pueris mulieribusque in muro dispositis, ne quid cotidianae consuetudinis desideraretur, ipsi manu facta cum eis, quos nuper liberaverant, in proxima Octavii castra irruperunt. His expugnatis eodem impetu altera sunt adorti, inde tertia et quarta et deinceps reliqua omnibusque eos castris expulerunt et magno numero interfecto reliquos atque ipsum Octavium in naves confugere coegerunt. Hic fuit oppugnationis exitus. Iamque hiems appropinquabat, et tantis detrimentis acceptis Octavius desperata oppugnatione oppidi Dyrrachium sese ad Pompeium recepit. | Dopo la partenza delle navi liburniche dall'Illiria M. Ottavio giunse a Salona con le sue navi. Qui, dopo avere sollevato i Dalmati e gli altri barbari, provocò la rottura dell'alleanza di Issa con Cesare; ma non potendo, né con preghiere né con minacce, smuovere la cittadinanza di Salona, decise di assediare la città (è questa protetta sia dalla natura del luogo sia da un colle). Ma in poco tempo i cittadini romani costruirono delle torri di legno per difendersi e non potendo opporre resistenza per l'esiguo numero di uomini, indeboliti dalle molte ferite, ricorsero al rimedio estremo e liberarono tutti i servi in età giovanile e, dopo avere tagliato i capelli di tutte le donne, fecero corde per le macchine da guerra. Ottavio, venuto a conoscenza del loro piano, cinse la città con cinque accampamenti e cominciò a incalzarla contemporaneamente con assedio e assalti. Quelli, pur disposti a sopportare tutto, erano tormentati sopra ogni cosa dalla mancanza di viveri. Perciò mandarono ambasciatori a Cesare per chiedergli aiuto. Sostenevano da soli, come potevano, gli altri disagi. Dopo molto tempo, poiché la durata dell'assedio aveva reso i soldati di Ottavio alquanto trascurati, cogliendo il momento del mezzogiorno quando i nemici si allontanavano, disposti fanciulli e donne sulle mura, perché le abitudini quotidiane sembrassero immutate, formata una schiera con quelli che avevano da poco liberati, fecero irruzione nel più vicino degli accampamenti di Ottavio. Espugnatolo, con lo stesso impeto assalirono il secondo, quindi il terzo e il quarto e poi il quinto e cacciarono i nemici da tutti i campi e, uccisone un gran numero, costrinsero i rimanenti e lo stesso Ottavio a trovare rifugio sulle navi. Questo fu l'esito dell'assedio. E già si avvicinava l'inverno e, subìti tanti danni, Ottavio, non sperando più di espugnare la città, si ritirò a Durazzo presso Pompeo. |
378 | At ei, qui Alesiae obsidebantur praeterita die, qua auxilia suorum exspectaverant, consumpto omni frumento, inscii quid in Aeduis gereretur, concilio coacto de exitu suarum fortunarum consultabant. Ac variis dictis sententiis, quarum pars deditionem, pars, dum vires suppeterent, eruptionem censebat, non praetereunda oratio Critognati videtur propter eius singularem et nefariam crudelitatem. Hic summo in Arvernis ortus loco et magnae habitus auctoritatis, "Nihil", inquit, "de eorum sententia dicturus sum, qui turpissimam servitutem deditionis nomine appellant, neque hos habendos civium loco neque ad concilium adhibendos censeo.Cum his mihi res sit, qui eruptionem probant; quorum in consilio omnium vestrum consensu pristinae residere virtutis memoria videtur. Animi est ista mollitia, non virtus, paulisper inopiam ferre non posse. Qui se ultro morti offerant facilius reperiuntur quam qui dolorem patienter ferant. Atque ego hanc sententiam probarem (tantum apud me dignitas potest), si nullam praeterquam vitae nostrae iacturam fieri viderem: sed in consilio capiendo omnem Galliam respiciamus, quam ad nostrum auxilium concitavimus. Quid hominum milibus LXXX uno loco interfectis propinquis consanguineisque nostris animi fore existimatis, si paene in ipsis cadaveribus proelio decertare cogentur? Nolite hos vestro auxilio exspoliare, qui vestrae salutis causa suum periculum neglexerunt, nec stultitia ac temeritate vestra aut animi imbecillitate omnem Galliam prosternere et perpetuae servituti subicere. An, quod ad diem non venerunt, de eorum fide constantiaque dubitatis? Quid ergo? Romanos in illis ulterioribus munitionibus animine causa cotidie exerceri putatis? Si illorum nuntiis confirmari non potestis omni aditu praesaepto, his utimini testibus appropinquare eorum adventum; cuius rei timore exterriti diem noctemque in opere versantur. Quid ergo mei consili est? Facere, quod nostri maiores nequaquam pari bello Cimbrorum Teutonumque fecerunt; qui in oppida compulsi ac simili inopia subacti eorum corporibus qui aetate ad bellum inutiles videbantur vitam toleraverunt neque se hostibus tradiderunt. Cuius rei si exemplum non haberemus, tamen libertatis causa institui et posteris prodi pulcherrimum iudicarem. Nam quid illi simile bello fuit? Depopulata Gallia Cimbri magnaque illata calamitate finibus quidem nostris aliquando excesserunt atque alias terras petierunt; iura, leges, agros, libertatem nobis reliquerunt. Romani vero quid petunt aliud aut quid volunt, nisi invidia adducti, quos fama nobiles potentesque bello cognoverunt, horum in agris civitatibusque considere atque his aeternam iniungere servitutem? Neque enim ulla alia condicione bella gesserunt. Quod si ea quae in longinquis nationibus geruntur ignoratis, respicite finitimam Galliam, quae in provinciam redacta iure et legibus commutatis securibus subiecta perpetua premitur servitute". | Ma gli assediati in Alesia, scaduto il giorno previsto per l'arrivo dei rinforzi ed esaurite tutte le scorte di grano, ignari di ciò che stava accadendo nelle terre degli Edui, convocarono un'assemblea e si consultarono sull'esito della propria sorte. E tra i vari pareri - c'era chi propendeva per la resa, chi per una sortita, finché le forze bastavano - crediamo di non dover tralasciare il discorso di Critognato per la sua straordinaria ed empia crudeltà. Persona di altissimo lignaggio tra gli Arverni e molto autorevole, così parlò: "Non spenderò una parola riguardo al parere di chi chiama resa una vergognosissima schiavitù: costoro non li considero cittadini e non dovrebbero avere neppure il diritto di partecipare all'assemblea. È mia intenzione rivolgermi a chi approva la sortita, soluzione che conserva l'impronta dell'antico valore, tutti voi ne convenite. Non essere minimamente capaci di sopportare le privazioni, non è valore, ma debolezza d'animo. È più facile trovare volontari pronti alla morte piuttosto che gente disposta a sopportare pazientemente il dolore. E anch'io - tanto è forte in me il senso dell'onore - sarei dello stesso avviso, se vedessi derivare un danno solo per la nostra vita. Ma nel prendere la decisione, rivolgiamo gli occhi a tutta la Gallia, che abbiamo chiamato in soccorso. Quale sarà, secondo voi, lo stato d'animo dei nostri parenti e consanguinei, quando vedranno ottantamila uomini uccisi in un sol luogo e dovranno combattere quasi sui nostri cadaveri? Non negate il vostro aiuto a chi, per salvare voi, non ha curato pericoli. Non prostrate la Gallia intera, non piegatela a una servitù perpetua a causa della vostra stoltezza e imprudenza o per colpa della fragilità del vostro animo. Sì, i rinforzi non sono giunti nel giorno fissato, ma per questo dubitate della loro lealtà e costanza? E allora? Credete che ogni giorno i Romani là, nelle fortificazioni esterne, lavorino per divertimento? Se non potete ricevere una conferma perché le vie sono tutte tagliate, prendete allora i Romani come testimonianza del loro imminente arrivo: è il timore dei nostri rinforzi che li spinge a lavorare giorno e notte alle fortificazioni. Che cosa suggerisco, dunque? Di imitare i nostri padri quando combattevano contro i Cimbri e i Teutoni, in una guerra che non aveva nulla a che vedere con la nostra: costretti a chiudersi nelle città e a patire come noi dure privazioni, si mantennero in vita con i corpi di chi, per ragioni d'età, sembrava inutile alla guerra, e non si arresero ai nemici. Se non avessimo già un precedente del genere, giudicherei giusto istituirlo per la nostra libertà e tramandarlo ai posteri come fulgido esempio. E poi, quali somiglianze ci sono tra la loro guerra e la nostra? I Cimbri, devastata la Gallia e seminata rovina, si allontanarono una buona volta dalle nostre campagne e si diressero verso altre terre, lasciandoci il nostro diritto, le leggi, i campi, la libertà. I Romani, invece, che altro cercano o vogliono, se non stanziarsi nelle campagne e città di qualche popolo, spinti dall'invidia, appena sanno che è nobile e forte in guerra? Oppure che altro, se non assoggettarlo in un'eterna schiavitù? Non hanno mai mosso guerra con altre intenzioni. E se ignorate le vicende delle regioni più lontane, volgete gli occhi alla Gallia limitrofa, ridotta a provincia: ha mutato il diritto e le leggi, è soggetta alle scuri e piegata in una perpetua servitù". |
991 | Legati haec se ad suos relaturos dixerunt et re deliberata post diem tertium ad Caesarem reversuros: interea ne propius se castra moveret petierunt. Ne id quidem Caesar ab se impetrari posse dixit. Cognoverat enim magnam partem equitatus ab iis aliquot diebus ante praedandi frumentandi causa ad Ambivaritos trans Mosam missam: hos expectari equites atque eius rei causa moram interponi arbitrabatur. | I membri dell'ambasceria dissero che avrebbero riferito e che si sarebbero ripresentati dopo tre giorni con la risposta. Chiesero a Cesare, però, di non avanzare ulteriormente nel frattempo. Cesare dichiarò di non poter concedere neppure questo. Era venuto a conoscenza, infatti, che i Germani, alcuni giorni prima, avevano inviato gran parte della cavalleria al di là della Mosa, nella regione degli Ambivariti, a scopo di razzia e in cerca di grano. Riteneva, dunque, che stessero aspettando i loro cavalieri e che, a tal fine, cercassero di prendere tempo. |
281 | Passer, deliciae meae puellae,quicum ludere, quem in sinu tenere,cui primum digitum dare appetentiet acris solet incitare morsus,cum desiderio meo nitenticarum nescio quid lubet iocariet solaciolum sui doloris,credo ut tum gravis acquiescat ardor:tecum ludere sicut ipsa possemet tristis animi levare curas! | O passero, gioia della mia ragazza, con cui (ella) è solita giocare, che (lei è solita) tener in grembo, a cui lei (è solita) dar (da beccare) la punta del dito a lui che la reclama, e provocarne irose beccate, quando allo splendente oggetto del mio desiderio piace fare per scherzo non so che di dilettevole e di conforto al suo dolore, credo, perché si plachi l'insopportabile bruciare; potessi io giocare con te come fa lei, e sollevare i tristi tormenti dell'animo! |
835 | Multa a Caesare in eam sententiam dicta sunt quare negotio desistere non posset: neque suam neque populi Romani consuetudinem pati ut optime meritos socios desereret, neque se iudicare Galliam potius esse Ariovisti quam populi Romani. Bello superatos esse Arvernos et Rutenos a Q. Fabio Maximo, quibus populus Romanus ignovisset neque in provinciam redegisset neque stipendium posuisset. Quod si antiquissimum quodque tempus spectari oporteret, populi Romani iustissimum esse in Gallia imperium; si iudicium senatus observari oporteret, liberam debere esse Galliam, quam bello victam suis legibus uti voluisset. | Cesare, in risposta, spiegò lungamente ad Ariovisto perché non poteva venir meno all'impegno preso: né lui, né il popolo romano avevano l'abitudine di abbandonare gli alleati molto benemeriti; inoltre, non riteneva che la Gallia spettasse ad Ariovisto più che al popolo romano. Q. Fabio Massimo aveva sconfitto gli Arverni e i Ruteni; il popolo romano li aveva perdonati, non aveva ridotto a provincia i loro territori, né imposto tributi. Se occorreva riandare ai tempi più antichi, il dominio del popolo romano in Gallia era il più giusto; se bisognava rispettare il decreto del senato, la Gallia doveva rimanere libera, perché, vinta in guerra da Roma, aveva voluto mantenere le proprie leggi. |
996 | Caesar rursus ad vexandos hostes profectus magno coacto numero ex finitimis civitatibus in omnes partes dimittit. Omnes vici atque omnia aedificia quae quisque conspexerat incendebantur; praeda ex omnibus locis agebatur; frumenta non solum tanta multitudine iumentorum atque hominum consumebantur, sed etiam anni tempore atque imbribus procubuerant ut, si qui etiam in praesentia se occultassent, tamen his deducto exercitu rerum omnium inopia pereundum videretur.Ac saepe in eum locum ventum est tanto in omnes partes diviso equitatu, ut modo visum ab se Ambiorigem in fuga circumspicerent captivi nec plane etiam abisse ex conspectu contenderent, ut spe consequendi illata atque infinito labore suscepto, qui se summam ab Caesare gratiam inituros putarent, paene naturam studio vincerent, semperque paulum ad summam felicitatem defuisse videretur, atque ille latebris aut saltibus se eriperet et noctu occultatus alias regiones partesque peteret non maiore equitum praesidio quam quattuor, quibus solis vitam suam committere audebat. | Cesare ripartì con lo scopo di devastare i territori nemici e, radunati forti contingenti di cavalleria dai popoli limitrofi, li invia in ogni direzione. Tutti i villaggi, tutti gli edifici isolati, appena scorti, erano dati alle fiamme, gli animali venivano sgozzati, si faceva razzia ovunque, il grano non lo consumavano solo i moltissimi giumenti e soldati, ma cadeva anche nei campi per la stagione avanzata e le piogge. Così, se anche qualcuno, al momento, era riuscito a nascondersi, sembrava tuttavia destinato, dopo la partenza dell'esercito romano, a morte sicura, per totale mancanza di sostentamento. E, suddivisa e inviata la cavalleria in tutte le direzioni, più d'una volta si giunse al punto che i prigionieri cercassero con gli occhi Ambiorige, che avevano appena scorto in fuga, e sostenessero che non poteva essere già fuori di vista. I cavalieri speravano di catturarlo e si impegnavano senza respiro, ritenendo di poter entrare nelle grazie di Cesare, e con il loro zelo piegavano, per così dire, la natura, ma, a quanto pareva, si trovavano sempre a un passo dal successo. Ambiorige si sottraeva alla caccia rifugiandosi in anfratti o boscaglie, con il favore delle tenebre si spostava in altre regioni e zone, senz'altra scorta che quattro cavalieri, i soli a cui osasse affidare la propria vita. |
466 | His rebus gestis cum omnibus de causis Caesar pacatam Galliam existimaret, [superatis Belgis, expulsis Germanis, victis in Alpibus Sedunis,] atque ita inita hieme in Illyricum profectus esset, quod eas quoque nationes adire et regiones cognoscere volebat, subitum bellum in Gallia coortum est. Eius belli haec fuit causa. P. Crassus adulescens eum legione VII. proximus mare Oceanum in Andibus hiemabat. Is, quod in his locis inopia frumenti erat, praefectos tribunosque militum complures in finitimas civitates frumenti causa dimisit; quo in numero est T.Terrasidius missus in Esuvios, M. Trebius Gallus in Coriosolites, Q. Velanius cum T. Silio in Venetos. | Dopo tali eventi, Cesare aveva tutti i motivi di ritenere la Gallia sottomessa: erano stati battuti i Belgi, scacciati i Germani, vinti i Seduni sulle Alpi. Così, all'inizio dell'inverno, partì per l'Illirico, perché voleva conoscerne i popoli e visitarne le regioni, ma improvvisamente in Gallia scoppiò la guerra. Eccone il motivo: il giovane P. Crasso stava svernando con la settima legione nei pressi dell'Oceano, nella regione degli Andi. Visto che nella zona il frumento scarseggiava, Crasso mandò molti prefetti e tribuni militari presso i popoli limitrofi per procurarsi grano e viveri. Tra di essi T. Terrasidio fu inviato presso gli Esuvi, M. Trebio Gallo presso i Coriosoliti, Q. Velanio con T. Sillio presso i Veneti. |
676 | Eisdem temporibus M. Caelius Rufus praetor causa debitorum suscepta initio magistratus tribunal suum iuxta C. Treboni, praetoris urbani, sellam collocavit et, si quis appellavisset de aestimatione et de solutionibus, quae per arbitrum fierent, ut Caesar praesens constituerat, fore auxilio pollicebatur. Sed fiebat aequitate decreti et humanitate Treboni, qui his temporibus clementer et moderate ius dicendum existimabat, ut reperiri non possent, a quibus initium appellandi nasceretur.Nam fortasse inopiam excusare et calamitatem aut propriam suam aut temporum queri et difficultates auctionandi proponere etiam mediocris est animi; integras vero tenere possessiones, qui se debere fateantur, cuius animi aut cuius impudentiae est? Itaque, hoc qui postularet reperiebatur nemo. Atque ipsis, ad quorum commodum pertinebat, durior inventus est Caelius. Et ab hoc profectus initio, ne frustra ingressus turpem causam videretur, legem promulgavit, ut sexenni die sine usuris creditae pecuniae solvantur. | In quel medesimo tempo il pretore M. Celio Rufo si assunse la causa dei debitori e, all'entrata in carica, pose il suo seggio accanto a quello di Caio Trebonio, pretore urbano, e, se qualcuno ricorreva in appello sugli estimi e sui pagamenti imposti dal giudice, prometteva di aiutarlo secondo quanto Cesare aveva stabilito quando era a Roma. Ma per l'equità del decreto e l'umanità di Trebonio, che riteneva che in quelle circostanze si dovesse esercitare il diritto con clemenza e moderazione, avveniva che non si poteva trovare chi per primo si appellasse contro le sentenze. Infatti è forse proprio di un animo mediocre prendere a pretesto la povertà e lamentarsi delle disgrazie proprie o di quelle dei tempi e mettere avanti le difficoltà di vendita all'asta, ma mantenere intatti i propri beni, quando si riconoscono i propri debiti, quale coraggio o impudenza richiede? E così non si poteva trovare nessuno che presentasse tale richiesta. E Celio si mostrò più duro di quelli stessi ai quali la cosa era d'utilità. E, dopo un simile inizio, per non sembrare di essersi dato inutilmente a una causa ingiusta, promulgò una legge che prevedeva il pagamento dei debiti entro sei anni senza interesse. |
468 | Post eius mortem nihilo minus Helvetii id quod constituerant facere conantur, ut e finibus suis exeant. Ubi iam se ad eam rem paratos esse arbitrati sunt, oppida sua omnia, numero ad duodecim, vicos ad quadringentos, reliqua privata aedificia incendunt; frumentum omne, praeter quod secum portaturi erant, comburunt, ut domum reditionis spe sublata paratiores ad omnia pericula subeunda essent; trium mensum molita cibaria sibi quemque domo efferre iubent.Persuadent Rauracis et Tulingis et Latobrigis finitimis, uti eodem usi consilio oppidis suis vicisque exustis una cum iis proficiscantur, Boiosque, qui trans Rhenum incoluerant et in agrum Noricum transierant Noreiamque oppugnabant, receptos ad se socios sibi adsciscunt. | Dopo la morte di Orgetorige, gli Elvezi cercano ugualmente di attuare il progetto di abbandonare il loro territorio. Quando ritengono di essere ormai pronti per la partenza, incendiano tutte le loro città, una dozzina, i loro villaggi, circa quattrocento, e le singole case private che ancora restavano; danno fuoco a tutto il grano, a eccezione delle scorte che dovevano portare con sé, per essere più pronti ad affrontare tutti i pericoli, una volta privati della speranza di tornare in patria; ordinano che ciascuno porti da casa farina per tre mesi. Persuadono i Rauraci, i Tulingi e i Latobici, con i quali confinavano, a seguire la loro decisione, a incendiare le città e i villaggi e a partire con loro. Accolgono e si aggregano come alleati i Boi, che si erano stabiliti al di là del Reno, erano passati nel Norico e avevano assediato Noreia. |
1,005 | Flumen est Arar, quod per fines Aeduorum et Sequanorum in Rhodanum influit incredibili lenitate, ita ut oculis, in utram partem fluat, iudicari non possit. Id Helvetii ratibus ac lintribus iunctis transibant. Ubi per exploratores Caesar certior factus est tres iam partes copiarum Helvetios id flumen traduxisse, quartam fere partem citra flumen Ararim reliquam esse, de tertia vigilia cum legionibus tribus e castris profectus ad eam partem pervenit quae nondum flumen transierat.Eos impeditos et inopinantes adgressus magnam partem eorum concidit; reliqui sese fugae mandarunt atque in proximas silvas abdiderunt. Is pagus appellabatur Tigurinus: nam omnis civitas Helvetia in quattuor pagos divisa est. Hic pagus unus, cum domo exisset, patrum nostrorum memoria, L. Cassium consulem interfecerat et eius exercitum sub iugum miserat. Ita sive casu sive consilio deorum immortalium, quae pars civitatis Helvetiae insignem calamitatem populo Romano intulerat, ea princeps poenam persolvit. Qua in re Caesar non solum publicas, sed etiam privatas iniurias ultus est, quod eius soceri L. Pisonis avum, L. Pisonem legatum, Tigurini eodem proelio, quo Cassium, interfecerant. | La Saona è un fiume, che si getta nel Rodano attraverso le terre degli Edui e dei Sequani con lentezza incredibile, così che non si può giudicare con gli occhi verso quale parte scorra. Gli Elvezi passavano questo (fiume) con zattere e palischermi congiunti. Come Cesare fu informato mediante gli esploratori (che) già gli Elvezi avevano fatto passare al di là di questo fiume tre parti delle loro genti, e che solo la quarta parte restava al di qua del fiume Saona, partitosi dal campo durante la terza veglia con tre legioni, raggiunse quella parte, che non ancora aveva passato il fiume. Avendo assalito loro impacciati e che non se lo aspettavano, fece a pezzi gran parte di loro; gli altri si diedero alla fuga e si nascosero nelle selve vicine. Questa tribù si chiamava Tigurino: infatti tutto il popolo Elvetico è diviso in quattro tribù. Questa tribù soltanto, essendo uscita dalla patria al tempo dei nostri patri, aveva ucciso il console Lucio Cassio e aveva fatto passare sotto il giogo l’esercito di lui. Così, o per il caso, o per volere degli dei immortali, quella parte del popolo Elvetico, che aveva inflitto al popolo Romano un disastro gravissimo, (ne) pagò la pena per prima. In questa azione Cesare vendicò non solamente le offese pubbliche, ma anche le private, perché i Tigurini avevano ucciso il luogotenente Lucio Pisone, avo di suo suocero, Lucio Pisone, nella stessa battaglia in cui avevano ucciso Cassio. |
284 | Miser Catulle, desinas ineptireet quod vides perisse perditum ducas.Fulsere quodam candidi tibi soles,cum ventitabas quo puella ducebat,amata nobis quantum amabitur nulla.Ibi illa multa tum iocosa fiebant,quae tu volebas nec puella nolebat.Fulsere vere candidi tibi soles.Nunc iam illa non vult: tu quoque, impotens, noli,nec quae fugit sectare, nec miser vive,sed obstinata mente perfer, obdura.Vale, puella, iam Catullus obdurat,nec te requiret nec rogabit invitam.At tu dolebis, cum rogaberis nulla.Scelesta, vae te.Quae tibi manet vita?Quis nunc te adibit? Cui videberis bella?Quis nunc amabis? Cuius esse diceris?Quem basiabis? Cui labella mordebis?At tu, Catulle, destinatus obdura. | Triste Catullo, cessa di comportarti come un folle,e considera perduto ciò che vedi essere stato perduto.Una volta splendettero per te dei giorni luminosi,quando eri solito andare dove la fanciulla (ti) conduceva,amata da noi quanto nessuna sarà amata.Lì avvenivano quei giochi numerosiche allora tu desideravi, né la fanciulla rifiutava.Veramente splendettero giornate luminose per te.Adesso quella non vuole più: non volere neanche tu, impotente,e non inseguire lei che fugge, e non vivere infelice,ma sopporta e resisti con animo forte.Addio, fanciulla. Ormai Catullo tollera,e non ti cercherà, e non ti pregherà se non lo vuoi;ma tu ti dorrai, perché non sarai pregata.Disgraziata, guai a te, che vita ti rimane?Adesso chi verrà da te? A chi sembrerai bella?Chi amerai adesso? Di chi si dirà che tu sei?Chi bacerai? A chi morderai le labbra?Ma tu, Catullo, sopporta fermo. |
258 | Iam ver egelidos refert tepores,iam caeli furor aequinoctalisiucundis Zephyri silescit aureis.Linquantur Phrygii, Catulle, campinicaeaeque ager uber aestuosae:ad claras asiae volemus urbes.Iam mens praetrepidans avet vagari,iam laeti studio pedes vigescunt.O dulces comitum valete coetus,longe quos simul a domo profectosdiversae varie viae reportant. | Già la primavera riporta i miti tepori, già si zittisce la furia del cielo equinoziale, al lieto spirare di Zefiro. Si Lascino, o Catullo, i campi Frigi e la campagna fertile di Nicea infuocata: voliamo verso le luminose città dell'Asia. Ormai l'anima trepidante brama di andare, ormai i piedi, gioiosi per il desiderio, rinvigoriscono. Addio, o dolci compagnie di aamici, che partiti insieme dalla patria per mete lontane adesso strade varie e per diverse direzioni riportano in patria. |
586 | Ad haec cognoscenda, prius quam periculum faceret, idoneum esse arbitratus C. Volusenum cum navi longa praemittit. Huic mandat ut exploratis omnibus rebus ad se quam primum revertatur. Ipse cum omnibus copiis in Morinos proficiscitur, quod inde erat brevissimus in Britanniam traiectus. Huc naves undique ex finitimis regionibus et quam superiore aestate ad Veneticum bellum fecerat classem iubet convenire. Interim, consilio eius cognito et per mercatores perlato ad Britannos, a compluribus insulae civitatibus ad eum legati veniunt, qui polliceantur obsides dare atque imperio populi Romani obtemperare.Quibus auditis, liberaliter pollicitus hortatusque ut in ea sententia permanerent, eos domum remittit et cum iis una Commium, quem ipse Atrebatibus superatis regem ibi constituerat, cuius et virtutem et consilium probabat et quem sibi fidelem esse arbitrabatur cuiusque auctoritas in his regionibus magni habebatur, mittit. Huic imperat quas possit adeat civitates horteturque ut populi Romani fidem sequantur seque celeriter eo venturum nuntiet. Volusenus perspectis regionibus omnibus quantum ei facultatis dari potuit, qui navi egredi ac se barbaris committere non auderet, V. die ad Caesarem revertitur quaeque ibi perspexisset renuntiat. | Allo scopo di raccogliere informazioni in proposito, prima di affrontare l'impresa, Cesare manda in avanscoperta una nave da guerra agli ordini di C. Voluseno, ritenendolo adatto per la missione. Lo incarica di rientrare al più presto, una volta terminata la ricognizione. Dal canto suo, con l'esercito al completo si dirige nei territori dei Morini, perché da lì il tragitto verso la Britannia era il più breve. Ordina che qui si radunino le navi provenienti da tutte le regioni limitrofe e la flotta allestita l'estate precedente per la guerra contro i Veneti. Nel frattempo, le sue manovre vengono risapute e i mercanti le riferiscono ai Britanni: da parte di molti popoli dell'isola giungono messi per promettere che avrebbero consegnato ostaggi e si sarebbero sottomessi al dominio del popolo romano. Cesare li ascolta e, esortandoli a non mutare parere, con benevoli promesse li rimanda in patria accompagnati da Commio, che in Britannia godeva di grande autorità: Cesare ne stimava il valore e l'intelligenza e lo riteneva fedele al punto che lo aveva designato re degli Atrebati dopo averli sconfitti in battaglia. A Commio dà ordine di prendere contatti con il maggior numero di popoli per sollecitarli a mettersi sotto la protezione di Roma e per annunciare che presto Cesare sarebbe giunto. Voluseno, compiuta la ricognizione in tutte le zone, per quanto gli fu possibile, dato che non volle correre il rischio di sbarcare e di entrare in contatto con i barbari, raggiunge Cesare quattro giorni dopo e gli riferisce ciò che aveva osservato. |
942 | Legiones effecerat civium Romanorum VIIII: V ex Italia, quas traduxerat; unam ex Cilicia veteranam, quam factam ex duabus gemellam appellabat; unam ex Creta et Macedonia ex veteranis militibus, qui dimissi a superioribus imperatoribus in his provinciis consederant; duas ex Asia, quas Lentulus consul conscribendas curaverat. Praeterea magnum numerum ex Thessalia, Boeotia, Achaia Epiroque supplementi nomine in legiones distribuerat: his Antonianos milites admiscuerat.Praeter has exspectabat cum Scipione ex Syria legiones II. Sagittarios Creta, Lacedaemone, ex Ponto atque Syria reliquisque civitatibus III milia numero habebat, funditorum cohortes sescenarias II, equitum VII milia. Ex quibus DC Gallos Deiotarus adduxerat, D Ariobarzanes ex Cappadocia; ad eundem numerum Cotys ex Thracia dederat et Sadalam filium miserat; ex Macedonia CC erant, quibus Rhascypolis praeerat, excellenti virtute; D ex Gabinianis Alexandria, Gallos Germanosque, quos ibi A. Gabinius praesidii causa apud regem Ptolomaeum reliquerat, Pompeius filius eum classe adduxerat; DCCC ex servis suis pastorumque suorum numero coegerat; CCC Tarcondarius Castor et Domnilaus ex Gallograecia dederant (horum alter una venerat, alter filium miserat); CC ex Syria a Commageno Antiocho, cui magna Pompeius praemia tribuit, missi erant, in his plerique hippotoxotae. Huc Dardanos, Bessos partim mercenarios, partim imperio aut gratia comparatos, item Macedones, Thessalos ac reliquarum gentium et civitatum adiecerat atque eum, quem supra demonstravimus, numerum expleverat. | Aveva allestito nove legioni di cittadini romani; cinque le aveva trasportate dall'Italia, una di veterani dalla Cilicia, che chiamava "gemella" perché formata da due legioni, una da Creta e dalla Macedonia composta di soldati veterani che, congedati da precedenti comandanti, si erano fermati in quelle province, due dall'Asia che il console Lentulo aveva fatto arruolare. Inoltre, a completamento degli effettivi, aveva distribuito fra le legioni un gran numero di soldati provenienti dalla Tessaglia, Beozia, Acaia ed Epiro; a questi aveva unito i soldati di Antonio. Oltre a queste aspettava due legioni provenienti dalla Siria con Scipione. Aveva tremila arcieri giunti da Creta, da Sparta, dal Ponto, dalla Siria e da altre città, due coorti di frombolieri ciascuna formata di seicento uomini, e settemila cavalieri. Di questi, seicento erano Galli portati da Deiotaro, cinquecento li aveva portati Ariobarzane dalla Cappadocia; circa un medesimo numero aveva procurato dalla Tracia Coto, che aveva mandato il figlio Sadala; della Macedonia ve ne erano duecento, al cui comando era Rascipoli, uomo di grande valore; cinquecento, Galli e Germani, provenivano da Alessandria ed erano fra quei gabiniani che A. Gabinio lí aveva lasciato di presidio presso il re Tolomeo, e Pompeo figlio li aveva condotti con la flotta; ottocento li aveva raccolti fra i suoi servi e pastori; trecento li avevano dati dalla Gallogrecia Castore Tarcondario e Domnilao (uno era venuto di persona, l'altro aveva mandato il figlio); duecento erano stati mandati dalla Siria da Antioco Commagene, al quale Pompeo diede grandi ricompense, e di questi la maggior parte erano arcieri a cavallo. A questi aveva aggiunto Dardani, Bessi in parte mercenari in parte arruolati o volontari, e inoltre Macedoni, Tessali e uomini di altre nazioni e città; in tal modo aveva formato quel numero che sopra abbiamo detto. |
168 | Libenter ex iis qui a te ueniunt cognoui familiariter te cum seruis tuis uiuere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. "Serui sunt". Immo homines. "Serui sunt". Immo contubernales. "Serui sunt". Immo humiles amici. "Serui sunt". Immo conserui, si cogitaueris tantundem in utrosque licere fortunae. Itaque rideo istos qui turpe existimant cum seruo suo cenare: quare, nisi quia superbissima consuetudo cenanti domino stantium seruorum turbam circumdedit? Est ille plus quam capit, et ingenti auiditate onerat distentum uentrem ac desuetum iam uentris officio, ut maiore opera omnia egerat quam ingessit.At infelicibus seruis mouere labra ne in hoc quidem, ut loquantur, licet; uirga murmur omne conpescitur, et ne fortuita quidem uerberibus excepta sunt, tussis, sternumenta, singultus; magno malo ulla uoce interpellatum silentium luitur; nocte tota ieiuni mutique perstant. Sic fit ut isti de domino loquantur quibus coram domino loqui non licet. | Con piacere ho saputo da quelli che vengono da te che vivi con i tuoi servi con familiarità: questa tua saggezza, questa erudizione ti si addicono. "Sono servi". Anzi uomini. "Sono servi" ma compagni di letto. "Sono servi" anzi umili amici. "Sono servi" anzi compagni se soltanto pensi che è lecito alla sorte agire contro gli uni e gli altri. Per questo derido coloro che stimano turpe cenare con il proprio servo: per quale motivo, se non perché un'abitudine molto superba ha circondato una turba di servi che stanno in piedi il padrone che sta cenando? Mangia più di quello che riesce ed appesantisce con estrema avidità il ventre pieno e disabituato ormai al compito proprio del ventre tanto che rigurgita tutto con una fatica maggiore di quella che deve ingerire. Ma ai servi infelici non è possibile neppure muovere le labbra per parlare. Ogni mormorio viene represso con il bastone, e neppure sono risparmiate dalle percosse i rumori fortuiti come la tosse, gli starnuti, i singhiozzi: con grande pena si paga il silenzio interrotto da ogni voce; tutta la notte rimangono digiuni e muti. Così accade che costoro, ai quali non è permesso parlare davanti al padrone, sparlino del padrone. |
633 | His confectis rebus conventibusque peractis, in citeriorem Galliam revertitur atque inde ad exercitum proficiscitur. Eo cum venisset, circuitis omnibus hibernis, singulari militum studio in summa omnium rerum inopia circiter sescentas eius generis cuius supra demonstravimus naves et longas XXVIII invenit instructas neque multum abesse ab eo quin paucis diebus deduci possint. Collaudatis militibus atque eis qui negotio praefuerant, quid fieri velit ostendit atque omnes ad portum Itium convenire iubet, quo ex portu commodissimum in Britanniam traiectum esse cognoverat, circiter milium passuum XXX transmissum a continenti: huic rei quod satis esse visum est militum reliquit.Ipse cum legionibus expeditis IIII et equitibus DCCC in fines Treverorum proficiscitur, quod hi neque ad concilia veniebant neque imperio parebant Germanosque Transrhenanos sollicitare dicebantur. | Dopo tali provvedimenti e tenute le sessioni giudiziarie, Cesare ritorna nella Gallia cisalpina e, da qui, parte alla volta dell'esercito. Appena giunto, ispeziona tutti i campi invernali e trova che, nonostante la carenza estrema di materiale, i soldati, grazie al loro straordinario impegno, avevano costruito circa seicento imbarcazioni del tipo già descritto e ventotto navi da guerra, in grado di essere varate entro pochi giorni. Elogiati i soldati e gli ufficiali preposti ai lavori, impartisce le istruzioni e ordina a tutti di radunarsi a Porto Izio, da dove sapeva che il passaggio in Britannia era assai agevole, perché la distanza dal continente era di circa trenta miglia: lasciò un presidio giudicato sufficiente per tale operazione. Egli, alla testa di quattro legioni senza bagagli e di ottocento cavalieri, punta sui territori dei Treveri, popolo che non si presentava alle assemblee, non ubbidiva agli ordini e, a quel che si diceva, sollecitava l'intervento dei Germani d'oltre Reno. |
912 | Probat rem senatus de mittendis legatis: sed, qui mitterentur, non reperiebantur, maximeque timoris causa pro se quisque id munus legationis recusabat. Pompeius enim discedens ab urbe in senatu dixerat eodem se habiturum loco, qui Romae remansissent et qui in castris Caesaris fuissent. Sic triduum disputationibus excusationibusque extrahitur. Subicitur etiam L. Metellus, tribunus plebis, ab inimicis Caesaris, qui hanc rem distrahat, reliquasque res, quascumque agere instituerit, impediat.Cuius cognito consilio Caesar frustra diebus aliquot consumptis, ne reliquum tempus amittat, infectis eis, quae agere destinaverat, ab urbe proficiscitur atque in ulteriorem Galliam pervenit. | Il senato approva la proposta di mandare ambasciatori, ma non si trovava chi mandare e, sopra tutto, ciascuno rifiutava, per timore, questo incarico di ambasciatore. Pompeo infatti, allontanandosi dalla città, aveva detto in senato che avrebbe considerato alla stessa stregua coloro che fossero rimasti a Roma o che fossero stati nell'accampamento di Cesare. Così si perdono tre giorni in dispute e rifiuti. Gli avversari di Cesare sobillano anche il tribuno della plebe Lucio Metello per mandare in lungo la cosa e impedire quanto altro Cesare avesse deciso di fare. Cesare, venuto a conoscenza di tale piano, dopo avere invano perduto alcuni giorni, per non sprecare il tempo che gli rimaneva, parte da Roma e giunge nella Gallia Ulteriore. |
190 | Nulli se dicit mulier mea nubere mallequam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,in vento et rapida scribere oportet aqua. | La mia donna dice che preferisce non sposare nessunotranne me, nemmeno se Giove stesso la desidera.Lo dice: ma ciò che una donna dice ad un amante cupidooccorre scriverlo nel vento e nell’acqua che scorre. |
603 | Erat C. Crastinus evocatus in exercitu Caesaris, qui superiore anno apud eum primum pilum in legione X duxerat, vir singulari virtute. Hic signo dato, "sequimini me," inquit, "manipulares mei qui fuistis, et vestro imperatori quam constituistis operam date. Unum hoc proelium superest; quo confecto et ille suam dignitatem et nos nostram libertatem recuperabimus." Simul respiciens Caesarem, "faciam," inquit, "hodie, imperator, ut aut vivo mihi aut mortuo gratias agas." Haec cum dixisset, primus ex dextro cornu procucurrit, atque eum electi milites circiter CXX voluntarii eiusdem cohortis sunt prosecuti. | Nell'esercito di Cesare vi era un veterano richiamato, Crastino, che nell'anno precedente sotto di lui aveva guidato la prima centuria della decima legione, uomo di singolare valore. Costui, dato il segnale, disse: "Seguitemi voi che foste del mio manipolo e servite il vostro comandante, come avete promesso. Rimane questa sola battaglia; al suo termine Cesare riavrà la sua dignità e noi la nostra libertà". Contemporaneamente, volgendo lo sguardo a Cesare, disse: "Oggi, o comandante, farò in modo che tu abbia a ringraziare me, o vivo o morto". Dopo avere detto queste parole, per primo corse all'attacco dall'ala destra e circa centoventi soldati volontari scelti [della medesima centuria] lo seguirono. |
741 | Ea re cognita Caesar, cum in omnibus partibus Galliae bene res geri videret iudicaretque superioribus aestivis Galliam devictam subactamque esse, Aquitaniam numquam adisset, per Publium Crassum quadam ex parte devicisset, cum duabus legionibus in eam partem Galliae est profectus, ut ibi extremum tempus consumeret aestivorum. Quam rem sicuti cetera celeriter feliciterque confecit. Namque omnes Aquitaniae civitates legatos ad Caesarem miserunt obsidesque ei dederunt.Quibus rebus gestis ipse equitum praesidio Narbonem profecto est, exercitum per legatos in hiberna deduxit: quattuor legiones in Belgio collocavit cum M. Antonio et C. Trebonio et P. Vatinio legatis, duas legiones in Aeduos deduxit, quorum in omni Gallia summam esse auctoritatem sciebat, duas in Turonis ad fines Carnutum posuit, quae omnem illam regionem coniunctam Oceano continerent, duas reliquas in Lemovicum finibus non longe ab Arvernis, ne qua pars Galliae vacua ab exercitu esset. Paucos dies ipse in provincia moratus, cum celeriter omnes conventus percucurrisset, publicas controversias cognosset, bene meritis praemia tribuisset (cognoscendi enim maximam facultatem habebat, quali quisque fuisset animo in totius Galliae defectione, quam sustinuerat fidelitate atque auxiliis provinciae illius), his confectis rebus ad legiones in Belgium se recipit hibernatque Nemetocennae. | Appena ne è informato, Cesare, constatato che in tutte le parti della Gallia le operazioni erano state condotte con successo, giudicando che dopo la campagna estiva dell'anno precedente il paese era ormai vinto e piegato, visto che non si era mai recato in Aquitania, ma l'aveva solo parzialmente sconfitta grazie a P. Crasso, con due legioni si dirige in quella regione della Gallia, per spendervi l'ultimo periodo della campagna estiva. Come in tutti gli altri casi, porta a termine le operazioni con rapidità e successo. Infatti, tutti i popoli dell'Aquitania inviarono a Cesare emissari e gli consegnarono ostaggi. Quindi, con la scorta della cavalleria parte per Narbona e incarica i legati di condurre l'esercito ai quartieri d'inverno. Stanziò in Belgio quattro legioni con M. Antonio e i legati C. Trebonio e P. Vatinio; due le trasferì nelle terre degli Edui, di cui ben conosceva il prestigio in tutta la Gallia; presso i Turoni, al confine coi Carnuti, ne collocò due per tenere a bada tutta quella regione che si affacciava sull'Oceano; le due rimanenti le pose nei territori dei Lemovici, non lontano dagli Arverni, per non lasciare sguarnita nessuna parte della Gallia. Si trattenne in provincia pochi giorni, toccò rapidamente tutti i centri giudiziari, venne informato dei conflitti politici, attribuì premi ai benemeriti (del resto, per lui era assai facile capire quali sentimenti ciascuno avesse nutrito durante l'insurrezione di tutta la Gallia, a cui aveva potuto far fronte grazie alla lealtà e al sostegno della suddetta provincia). Sistemate tali faccende, rientrò presso le legioni stanziate in Belgio e svernò a Nemetocenna. |
872 | Quoniam ad hunc locum perventum est, non alienum esse videtur de Galliae Germaniaeque moribus et quo differant hae nationes inter sese proponere. In Gallia non solum in omnibus civitatibus atque in omnibus pagis partibusque, sed paene etiam in singulis domibus factiones sunt, earumque factionum principes sunt qui summam auctoritatem eorum iudicio habere existimantur, quorum ad arbitrium iudiciumque summa omnium rerum consiliorumque redeat. Itaque eius rei causa antiquitus institutum videtur, ne quis ex plebe contra potentio rem auxili egeret: suos enim quisque opprimi et circumveniri non patitur, neque, aliter si faciat, ullam inter suos habet auctoritatem.Haec eadem ratio est in summa totius Galliae: namque omnes civitates in partes divisae sunt duas. | 1. Poiché si giunse (“perventum est” ha valore impersonale) a questo punto (locum = punto della narrazione), non sembra esser fuori luogo parlare delle abitudini della Gallia e della Germania, e descrivere (nel testo latino è sottinteso il verbo “proponere” = porre, proporre, esporre, narrare, descrivere) in che cosa differiscano questi popoli (proposizione interrogativa indiretta introdotta da un “quo” limitativo.(NB: il “sese”, che troviamo nella interrogativa indiretta, è un rafforzativo dell’aggettivo possessivo di terza persona “sui, sibi, se, se”.)2. In Gallia ci sono fazioni non solo in tutte le popolazioni (e), in tutti i villaggi e da tutte le parti, ma per poco (non ci sono: sottinteso factiones) in quasi tutte le abitazioni, 3. e i Capi di queste fazioni sono quelli che (“qui” con valore relativo; NB: omissione del dimostrativo), a loro giudizio, sono stimati avere (“existimantur” è presente indicativo congiuntivo del verbo “existimare”: regge l’infinito “habere”- costruzione personale dei verbi di stima) la più alta autorità, al volere e al giudizio dei quali (relativa impropria con valore finale o consecutivo) spetta la decisione definitiva di tutte le faccende e decisioni. 4. E ciò, anticamente, a questo scopo, sembra fosse stato deciso (costruzione personale del verbo videor: regge infinitiva), perché qualcuno (“quis” ha valore di “aliquis” pronome indefinito, poiché se preceduti da “si, nisi, ne, num” i pronomi indefiniti perdono la particella –ali) della plebe non fosse privo di soccorso contro chi era più potente. ognuno (dei Capi), infatti, non permette che i suoi (i plebei a lui sottomessi) siano circondati e sopraffatti e, se fa diversamente, non possiede alcuna autorità (“inter suos” ha valore partitivo) tra i suoi (periodo ipotetico misto, con protasi della possibilità e apodosi della realtà all’indicativo).5. Questo stesso sistema è nel complesso di tutta la Gallia; infatti tutte le città sono divise in due parti. |
711 | Misso ad vesperum senatu omnes, qui sunt eius ordinis, a Pompeio evocantur. Laudat promptos Pompeius atque in posterum confirmat, segniores castigat atque incitat. Multi undique ex veteribus Pompei exercitibus spe praemiorum atque ordinum evocantur, multi ex duabus legionibus, quae sunt traditae a Caesare, arcessuntur. Completur urbs et ipsum comitium tribunis, centurionibus, evocatis. Omnes amici consulum, necessarii Pompei atque eorum, qui veteres inimicitias cum Caesare gerebant, in senatum coguntur; quorum vocibus et concursu terrentur infirmiores, dubii confirmantur, plerisque vero libere decernendi potestas eripitur.Pollicetur L. Piso censor sese iturum ad Caesarem, item L. Roscius praetor, qui de his rebus eum doceant: sex dies ad eam rem conficiendam spatii postulant. Dicuntur etiam ab nonnullis sententiae, ut legati ad Caesarem mittantur, qui voluntatem senatus ei proponant. | Conclusa verso sera la seduta del senato, tutta la classe dei senatori viene convocata da Pompeo fuori della città. Pompeo loda i risoluti e li incoraggia per l'avvenire, rimprovera e sprona quelli troppo esitanti. Da ogni parte, con la speranza di ricompense e di promozioni, vengono richiamati alle armi molti soldati delle vecchie truppe di Pompeo; sono richiamati in servizio molti soldati provenienti dalle due legioni consegnate da Cesare. La città si riempie di commilitoni di Pompeo, di tribuni, di centurioni, richiamati in servizio. Tutti gli amici dei consoli, i clienti di Pompeo e coloro che avevano vecchi rancori verso Cesare vengono radunati nel senato; le loro grida e il loro accorrere in massa atterriscono i più deboli, rassicurano gli incerti; ai più invero è sottratto il potere di deliberare liberamente. Il censore L. Pisone, e parimenti il pretore L. Roscio, si dichiarano disponibili ad andare da Cesare, per metterlo al corrente di questi avvenimenti; chiedono sei giorni di tempo per portare a termine la missione. Da alcuni viene anche proposto di inviare ambasciatori a Cesare, che gli espongano il volere del senato. |
551 | Hoc primum Caesari ad Ilerdam nuntiatur; simul perfecto ponte celeriter fortuna mutatur. Illi perterriti virtute equitum minus libere, minus audacter vagabantur, alias non longo a castris progressi spatio, ut celerem receptum haberent, angustius pabulabantur, alias longiore circuitu custodias stationesque equitum vitabant, aut aliquo accepto detrimento aut procul equitatu viso ex medio itinere proiectis sarcinis fugiebant. Postremo et plures intermittere dies et praeter consuetudinem omnium noctu constituerant pabulari. | Nei pressi di Ilerda viene riferita a Cesare questa prima buona notizia e contemporaneamente, completato anche il ponte, la sorte in breve tempo muta. Gli avversari, sconvolti dal valore della cavalleria, si muovevano con minore libertà e audacia; talora, senza allontanarsi troppo dall'accampamento per assicurare una pronta ritirata, si procuravano foraggio in spazi ristretti, talora, con un giro assai lungo, cercavano di evitare le sentinelle e i posti di guardia della cavalleria o, quando ricevevano qualche danno o vedevano da lontano la cavalleria, trovandosi a mezza strada, gettavano i bagagli e si davano alla fuga. Alla fine avevano stabilito di sospendere per parecchi giorni il foraggiamento e di andare in cerca di foraggio di notte contrariamente all'abitudine di tutti. |
818 | Eodem tempore D. Laelius cum classe ad Brundisium venit eademque ratione, qua factum a Libone antea demonstravimus, insulam obiectam portui Brundisino tenuit. Similiter Vatinius, qui Brundisio praeerat, tectis instructisque scaphis elicuit naves Laelianas atque ex his longius productam unam qninqueremem et minores duas in angustiis portus cepit itemque per equites dispositos aqua prohibere classiarios instituit. Sed Laelius tempore anni commodiore usus ad navigandum onerariis navibus Corcyra Dyrrachioque aquam suis supportabat, neque a proposito deterrebatur neque ante proelium in Thessalia factum cognitum aut ignominia amissarum navium aut necessariarum rerum inopia ex portu insulaque expelli potuit. | Nel medesimo tempo D. Lelio giunse con la flotta a Brindisi e nel medesimo modo in cui, come prima dicemmo, operò Libone, occupò l'isola che fronteggia il porto di Brindisi. Similmente Vatinio, che era al comando di Brindisi, con imbarcazioni coperte e fornite di opportuno equipaggiamento attirò le navi di Lelio e catturò, all'imboccatura del porto, una quinquereme che si era spinta troppo lontano e due navi minori, e parimenti, con reparti di cavalleria opportunamente disposti, cominciò a impedire ai marinai l'approvvigionamento d'acqua. Ma Lelio, approfittando della stagione abbastanza favorevole alla navigazione, con navi da carico portava ai suoi acqua da Corcira e da Durazzo e non veniva distolto dal suo progetto e, prima di avere avuto notizia della battaglia combattuta in Tessaglia, né l'ignominiosa perdita delle navi, né la mancanza di ogni cosa necessaria poterono cacciarlo dal porto e dall'isola. |
299 | Disertissime Romuli nepotum,quot sunt quotque fuere, Marce Tulli,quotque post aliis erunt in annis,gratias tibi maximas Catullusagit pessimus omnium poeta,tanto pessimus omnium poeta,quanto tu optimus omnium patronus. | O facondissimo tra i discendenti di Romolo, quanti, Marco Tullio, esistono e quanti sono esistiti, e quanti esisteranno negli anni futuri, ti ringrazia moltissimo Catullo, il peggior poeta di tutti, tanto peggior poeta di tutti, quanto tu fra tutti il miglior avvocato. |
775 | His rebus comparatis, represso iam Lucterio et remoto, quod intrare intra praesidia periculosum putabat, in Helvios proficiscitur. Etsi mons Cevenna, qui Arvernos ab Helviis discludit, durissimo tempore anni altissima nive iter impediebat, tamen discussa nive sex in altitudinem pedum atque ita viis patefactis summo militum sudore ad fines Arvernorum pervenit. Quibus oppressis inopinantibus, quod se Cevenna ut muro munitos existimabant, ac ne singulari quidem umquam homini eo tempore anni semitae patuerant, equitibus imperat, ut quam latissime possint vagentur et quam maximum hostibus terrorem inferant.Celeriter haec fama ac nuntiis ad Vercingetorigem perferuntur; quem perterriti omnes Arverni circumsistunt atque obsecrant, ut suis fortunis consulat, neve ab hostibus diripiautur, praesertim cum videat omne ad se bellum translatum. Quorum ille precibus per motus castra ex Biturigibus movet in Arveruos versus. | Dopo aver approntato tutto ciò (mentre ormai Lucterio era stato fermato e arretrava, perché riteneva pericoloso inoltrarsi nelle zone presidiate), Cesare si dirige nelle terre degli Elvi. Le Cevenne, monti che segnano il confine tra Arverni ed Elvi, ostacolavano il cammino, la stagione era la più inclemente, la neve molto alta; tuttavia, spalò la neve per una profondità di sei piedi, si aprì un varco grazie all'enorme sforzo dei soldati e raggiunse i territori degli Arverni. Piombò inatteso sui nemici, che si ritenevano protetti dalle Cevenne come da un muro: mai, neppure un uomo isolato, in quella stagione era riuscito a praticarne i sentieri. Ordina ai cavalieri di effettuare scorrerie nel raggio più ampio e di seminare il panico tra i nemici quanto più potevano. La voce e le notizie, ben presto, giungono a Vercingetorige: tutti gli Arverni, spaventati, lo attorniano e lo scongiurano di pensare alla loro sorte, di impedire ai Romani le razzie, tanto più ora che vedeva tutto il peso della guerra ricadere su di loro. Sotto la pressione delle preghiere, sposta il campo dalle terre dei Biturigi in direzione degli Arverni. |
76 | Quis multa gracilis te puer in rosaperfusus liquidis urget odoribusgrato, Pyrrha, sub antro?cui flavam religas comam,simplex munditiis? Heu quotiens fidemmutatosque deos flebit et asperanigris aequora ventisemirabitur insolens,qui semper uacuam, semper amabilemsperat, nescius auraefallacis. Miseri, quibusintemptata nites. Me tabula sacervotiva paries indicat uvidasuspendisse potentivestimenta maris deo. | Chi è il giovane profumato di liquide fragranze che incombe su di te su un tappeto di rose, o Pirra, in un antro gradito? Per chi ti leghi la bionda chioma semplice nell'eleganza?Aimè quante volte piangerà per la tua parola o per la volontà cambiata degli dei, e guarderà meravigliato, lui che non è abituato, le acque tempestose a causa dei neri venti. Lui che ora gode di te dorata ingenuo, che spera che tu sia sempre libera, sempre amabile inconsapevole delle brezze fallaci. O miseri, coloro per i quali tu splendi intentata.Me, una parete sacra testimonia con la sua tavola votiva che io ho offerto gli abiti bagnati al Dio potente dei mari. |
55 | Quod si penitus perspicere posses concordiam Ligariorum, omnis fratres tecum iudicares fuisse. An potest quisquam dubitare quin, si Q. Ligarius in Italia esse potuisset, in eadem sententia futurus fuerit in qua fratres fuerunt? Quis est qui horum consensum conspirantem et paene conflatum in hac prope aequalitate fraterna noverit, qui hoc non sentiat quiduis prius futurum fuisse quam ut hi fratres diversas sententias fortunasque sequerentur? Voluntate igitur omnes tecum fuerunt, tempestate abreptus est unus, qui si consilio id fecisset, esset eorum similis quos tu tamen saluos esse voluisti. | Che se tu potessi renderti conto compiutamente dell'unità di intenti dei Ligari, riterresti che tutti e tre i fratelli fossero dalla tua parte. Forse qualcuno potrebbe dubitare che, se Quinto Ligario avesse potuto essere in Italia, sarebbe stato nella medesima parte, nella quale si trovarono i fratelli? Chi è che conosce il loro modo di pensare omogeneo e quasi unito in questa sorta di fratellanza, che potrebbe pensare ciò, cioè che qualsiasi cosa sarebbe avvenuta prima, che questi fratelli seguissero destini ed opinioni diverse? Pertanto tutti furono con te per quanto riguarda il modo di pensare, uno solo fu allontanato dalle circostanze; che se avesse fatto ciò per scelta,sarebbe uguale a coloro che tu hai voluto salvare. |
948 | Compluribus expugnatis oppidis Caesar, ubi intellexit frustra tantum laborem sumi neque hostium fugam captis oppidis reprimi neque iis noceri posse, statuit expectandam classem. Quae ubi convenit ac primum ab hostibus visa est, circiter CCXX naves eorum paratissimae atque omni genere armorum ornatissimae profectae ex portu nostris adversae constiterunt; neque satis Bruto, qui classi praeerat, vel tribunis militum centurionibusque, quibus singulae naves erant attributae, constabat quid agerent aut quam rationem pugnae insisterent.Rostro enim noceri non posse cognoverant; turribus autem excitatis tamen has altitudo puppium ex barbaris navibus superabat, ut neque ex inferiore loco satis commode tela adigi possent et missa a Gallis gravius acciderent. Una erat magno usui res praeparata a nostris, falces praeacutae insertae adfixaeque longuriis, non absimili forma muralium falcium. His cum funes qui antemnas ad malos destinabant comprehensi adductique erant, navigio remis incitato praerumpebantur. Quibus abscisis antemnae necessario concidebant, ut, cum omnis Gallicis navibus spes in velis armamentisque consisteret, his ereptis omnis usus navium uno tempore eriperetur. Reliquum erat certamen positum in virtute, qua nostri milites facile superabant, atque eo magis quod in conspectu Caesaris atque omnis exercitus res gerebatur, ut nullum paulo fortius factum latere posset; omnes enim colles ac loca superiora, unde erat propinquus despectus in mare, ab exercitu tenebantur. | Cesare espugnò parecchie città, ma vedendo che tanta fatica era vana e che non poteva impedire ai nemici di fuggire, né danneggiarli, decise di aspettare la flotta. Non appena questa giunse e fu avvistata, circa duecentoventi navi nemiche, assai ben equipaggiate e perfettamente attrezzate, salparono e affrontarono le nostre; Bruto, che comandava la flotta, non sapeva bene che cosa fare o quale tattica adottare, e così pure i tribuni militari e i centurioni a capo di ciascuna imbarcazione. Sapevano che il rostro non danneggiava le navi nemiche; se anche avessero costruito delle torri, non avrebbero comunque raggiunto l'altezza delle poppe delle navi barbare; dal basso era più difficile che le frecce andassero a segno, mentre i dardi scagliati dai Galli risultavano micidiali. L'unica arma di grande efficacia preparata dai nostri erano falci acutissime, fissate a lunghi pali, di forma non dissimile dalle falci murali. Le falci agganciavano le funi che assicuravano i pennoni agli alberi delle navi, e le tiravano fino a spezzarle, quando i nostri marinai aumentavano la spinta sui remi. Troncate le funi, i pennoni inevitabilmente cadevano e così contemporaneamente, dato che tutta la forza delle navi dei Galli consisteva nelle vele e nell'attrezzatura, veniva sottratto alla flotta nemica ogni vantaggio. Il resto dipendeva dal valore e in ciò i nostri avevano facilmente la meglio, tanto più che si combatteva al cospetto di Cesare e di tutto l'esercito, per cui ogni atto di un certo coraggio non poteva rimanere nascosto: tutti i colli e le alture circostanti, infatti, da cui la vista dominava a strapiombo sul mare, erano occupati dal nostro esercito. |
565 | Litteris C.Caesaris consulibus redditis, aegre ab his impetratum est summa tribunorum plebis contentione, ut in senatu recitarentur; ut vero ex litteris ad senatum referretur, impetrari non potuit. Referunt consules de republica in civitate incitat. L. Lentulus consul senatui reique publicae se non defuturum pollicetur, si audacter ac fortiter sententias dicere velint; sin Caesarem respiciant atque eius gratiam sequantur, ut superioribus fecerint temporibus, se sibi consilium capturum neque senatus auctoritati obtemperaturum: habere se quoque ad Caesaris gratiam atque amicitam receptum.In eanderm sententiam loquitur Scipio: Pompeio esse in animo rei publicae non deesse, si senatus sequatur; si cunctetur atque agat lenius, nequiquam eius auxilium, si postea velit, senatum imploraturum. | Consegnata la lettera di Caio Cesare ai consoli, a stento si poté ottenere da costoro, dopo grandissima insistenza dei tribuni della plebe, che fosse letta in senato; ma non si poté ottenere che si facesse una discussione a partire dalla lettera davanti al senato. I consoli espongono la relazione generale intorno alla repubblica. Il console L.Lentulo promette che egli non trascurerà il Senato e la repubblica, purché (i senatori) vogliano esporre il proprio parere con franchezza ed energia; ma se hanno riguardo per Cesare e cercano il favore di lui, come avevano fatto nei tempi passati, egli avrebbe presa una deliberazione nel proprio interesse e non avrebbe obbedito all'autorità del senato: anche egli aveva (modo di trovare) un rifugio nel favore e nell'amicizia di Cesare. Scipione parla nel medesimo senso: era in animo a Pomepeio di non venir meno allo Stato, se il senato lo assecondi; se esita e procede con troppa cautela il senato invano avrebbe implorato il suo aiuto, se in seguito lo volesse. |
350 | Caesari renuntiatur, Helvetiis esse in animo per agrum Sequanorum et Aeduorum iter in Santonum fines facere, qui non longe a Tolosatium finibus absunt, quae civitas est in provincia. Id si fieret, intellegebat magno cum periculo provinciae futurum ut homines bellicosos, populi Romani inimicos, locis patentibus maximeque frumentariis finitimos haberet. Ob eas causas ei munitioni quam fecerat T. Labienum legatum praeficit; ipse in Italiam magnis itineribus contendit duasque ibi legiones conscribit et tres, quae circum Aquileiam hiemabant, ex hibernis educit et qua proximum iter in ulteriorem Galliam per Alpes erat, cum his quinque legionibus ire contendit.Ibi Ceutrones et Graioceli et Caturiges locis superioribus occupatis itinere exercitum prohibere conantur. Compluribus his proeliis pulsis ab Ocelo, quod est citerioris provinciae extremum, in fines Vocontiorum ulterioris provinciae die septimo pervenit; inde in Allobrogum fines, ab Allobrogibus in Segusiavos exercitum ducit. Hi sunt extra provinciam trans Rhodanum primi. | Si riferisce a Cesare che essere in animo agli Elvezi di far cammino attraverso il territorio dei Sequani e degli Edui verso le terre dei Santoni che sono lontani non molto dalle terre dei Tolosati, il quale popolo è nella provincia. Se ciò avvenisse, (Cesare) capiva che sarebbe stato con gran pericolo della provincia avere per confinanti, poiché le (sue) regioni erano aperte e sommamente fertili di grano, uomini bellicosi, nemici del popolo Romano. Per queste ragioni prepose Tito Labieno, (suo) luogotenente, a quella fortificazione che aveva costruito; egli stesso si avvia verso l’Italia a marce forzate, e arruola là due legioni, e (ne) trae fuori dai quartieri d’inverno tre che svernavano intorno ad Aquileia, e s’affretta ad andare con queste cinque legioni per dove la strada verso la Gallia ulteriore era la più breve attraverso le Alpi. Qui i Ceutroni e i Graioceli e i Caturigi, essendo stati (da loro) occupati i luoghi più elevati, tentano di impedire all’esercito il cammino. Essendo stati costoro respinti in molti combattimenti, giunge il settimo giorno da Ocelo, che è l’ultima terra della provincia citeriore, nel paese dei Voconzii della provincia ulteriore; di là guida l’esercito nel paese degli Allobrogi, dagli Allobrogi ai Segusiavi. Questi sono i primi fuori della provincia, oltre il Rodano. |
297 | Salve, nec minimo puella nasonec bello pede nec nigris ocellisnec longis digitis nec ore sicconec sane nimis elegante lingua.Decoctoris amica Formiani,ten provincia narrat esse bellam?Tecum Lesbia nostra comparatur?O saeclum insapiens et infacetum! | Salve, ragazza, non (hai) il naso piccolo,né il piede bello, né gli occhi neri,né le dita lunge, né la bocca stretta,né un modo di parlare preciso o troppo elegante,amica di Formiano il fallito.E in provincia si dice che sei bella,e ti paragonano alla mia Lesbia? O tempi ignoranti e grossolani! |
142 | Suscipere tam inimicitias seu patris seu propinqui quam amicitias necesse est; nec implacabiles durant: luitur enim etiam homicidium certo armentorum ac pecorum numero recipitque satisfactionem universa domus, utiliter in publicum, quia periculosiores sunt inimicitiae iuxta libertatem. Convictibus et hospitiis non alia gens effusius indulget. Quemcumque mortalium arcere tecto nefas habetur; pro fortuna quisque apparatis epulis excipit. Cum defecere, qui modo hospes fuerat, monstrator hospitii et comes; proximam domum non invitati adeunt.Nec interest: pari humanitate accipiuntur. Notum ignotumque quantum ad ius hospitis nemo discernit. Abeunti, si quid poposcerit, concedere moris; et poscendi in vicem eadem facilitas. Gaudent muneribus, sed nec data imputant nec acceptis obligantur: victus inter hospites comis. | E obbligo far proprie tanto le inimicizie quanto le amicizie, sia del padre, sia d'un parente; non durano per implacabili, che persino l'omicidio si riscatta con un determinato numero di capi di bestiame grosso e minuto, e la casata intera accetta il compenso, con vantaggio generale, perché dove c'è libertà le inimicizie sono pi pericolose. Nessun altro popolo ha maggior larghezza nel dar conviti e nell'esercitare l'ospitalità. Non ritenuto lecito chiudere la porta ad alcuno, chiunque egli sia; ognuno lo ammette al proprio desco, imbandito secondo i suoi mezzi. Allorché questi vengono a mancare, colui che aveva fatto da ospite si fa guida e compagno ad un altro tetto ospitale: senza invito si presentano entrambi alla casa vicina, e non c' differenza: vengono accolti con gli stessi riguardi. In fatto di ospitalità, nessuno distingue il conosciuto dallo sconosciuto. A chi se ne va usanza accordare ci che eventualmente egli abbia chiesto: e la facilità del chiedere reciproca. Dei doni si compiacciono; ma ne mettono in conto quelli che han dato, ne si ritengono obbligati da quelli che han ricevuto. |
57 | Ac si quis est talis, quales esse omnes oportebat, qui in hoc ipso, in quo exultat et triumphat oratio mea, me vehementer accuset, quod tam capitalem hostem non comprehenderim potius quam emiserim, non est ista mea culpa, Quirites, sed temporum. Interfectum esse L. Catilinam et gravissimo supplicio adfectum iam pridem oportebat, idque a me et mos maiorum et huius imperii severitas et res publica postulabat. Sed quam multos fuisse putatis, qui, quae ego deferrem, non crederent, [quam multos, qui propter stultitiam non putarent,] quam multos, qui etiam defenderent [,quam multos, qui propter improbitatem faverent]! Ac, si illo sublato depelli a vobis omne periculum iudicarem, iam pridem ego L.Catilinam non modo invidiae meae, verum etiam vitae periculo sustulissem. | E se qualcuno di voi, animato da sentimenti che avrebbero dovuto essere quelli di tutti, in questo momento,nell'udire le mie parole che spirano esultanza e trionfo, si facesse avanti indignato ad accusarmi per non aver catturato questo nemico capitale, anziché lasciarlo andar via, dovrò dirgli che non è colpa mia, Quiriti, ma dei tempi. Catilina avrebbe dovuto morire, subire la pena capitale da molto tempo; io lo chiedevo, lo chiedevamo il costume degli avi nostri e i poteri inflessibili di cui sono investito e la Repubblica. Ma quanti si sarebbero rifiutati di credere ai fatti da me denunciati, ne avete un'idea? E quanti ancora li avrebbero perfino giustificati? Quanti per incoscienza non avrebbero misurato fino a che punto fossero gravi,quanti per iniquità li avrebbero approvati? Se, una volta scomparso Catilina, fossi stato certo di aver rimosso da voi ogni pericolo, da tempo l'avrei tolto di mezzo, a rischio non solo di incorrere nel biasimo, ma persino della mia vita. |
829 | Magnum hoc testimonium senatus erat universi conveniensque superiori facto. Nam Marcellus proximo anno, cum impugnaret Caesaris dignitatem, contra legem Pompei et Crassi rettulerat ante tempus ad senatum de Caesaris provinciis, sententiisque dictis discessionem faciente Marcello, qui sibi omnem dignitatem ex Caesaris invidia quaerebat, senatus frequens in alia omnia transiit. Quibus non frangebantur animi inimicorum Caesaris, sed admonebantur quo maiores pararent necessitates, quibus cogi posset senatus id probare, quod ipsi constituissent. | Era una prova lampante dell'unanimità del senato e coincideva con quanto era accaduto in precedenza. L'anno prima, infatti, M. Marcello aveva cercato di scalzare Cesare dalla sua carica e, contro una legge di Pompeo e Crasso, aveva tenuto al senato una relazione sulle province di Cesare, prima della scadenza del mandato. Dopo la discussione, Marcello, che ricercava ogni prestigio politico dalla sua ostilità contro Cesare, aveva messo ai voti la sua proposta, ma il senato, compatto, l'aveva respinta. L'insuccesso non aveva demoralizzato i nemici di Cesare, anzi li incitava a prepararsi a misure più gravi, con cui costringere il senato ad approvare ciò che loro volevano. |
141 | [1] Libenter ex iis qui a te veniunt cognovi familiariter te cum servis tuis vivere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. 'Servi sunt.' Immo homines. 'Servi sunt ' Immo contubernales. 'Servi sunt.' Immo humiles amici. 'Servi sunt.' Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae. [2] Itaque rideo istos qui turpe existimant cum servo suo cenare: quare, nisi quia superbissima consuetudo cenanti domino stantium servorum turbam circumdedit? Est ille plus quam capit, et ingenti aviditate onerat distentum ventrem ac desuetum iam ventris officio, ut maiore opera omnia egerat quam ingessit.[3] At infelicibus servis movere labra ne in hoc quidem ut loquantur, licet; virga murmur omne compescitur, et ne fortuita quidem verberibus excepta sunt, tussis, sternumenta, singultus; magno malo ulla voce interpellatum silentium luitur; nocte tota ieiuni mutique perstant. [4] Sic fit ut isti de domino loquantur quibus coram domino loqui non licet. At illi quibus non tantum coram dominis sed cum ipsis erat sermo, quorum os non consuebatur, parati erant pro domino porrigere cervicem, periculum imminens in caput suum avertere; in conviviis loquebantur, sed in tormentis tacebant. [5] Deinde eiusdem arrogantiae proverbium iactatur, totidem hostes esse quot servos: non habemus illos hostes sed facimus. Alia interim crudelia, inhumana praetereo, quod ne tamquam hominibus quidem sed tamquam iumentis abutimur. [quod] Cum ad cenandum discubuimus, alius sputa deterget, alius reliquias temulentorum <toro> subditus colligit. | 1 Ho sentito con piacere da persone che vengono da te che tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si confà alla tua saggezza e alla tuaeducazione. "Sono schiavi." No, sono uomini. "Sono schiavi". No,sono compagni di tenda. "Sono schiavi". No, umili amici. "Sono schiavi." No, compagni di schiavitù, se penserai che alla fortuna è permesso cambiare la sorte di entrambe. 2 Perciò rido coloro che giudicano disonorevole cenare in compagnia del proprio schiavo; e per quale motivo, poi, se non per una superba consuetudine si vuole che intorno al padrone che mangia ci sia una turba di servi in piedi? Egli mangia oltre la sua capacità e con grande avidità riempie il ventre rigonfio disavvezzo alle sue funzioni: è più affaticato a vomitare il cibo che a ingerirlo. 3 Ma a quegli schiavi infelici non è permesso neppure muovere le labbra per parlare: ogni bisbiglio è messo a tacere col bastone e non sfuggono alle percosse neppure i rumori involontari, la tosse, gli starnuti, il singhiozzo: a caro prezzo si sconta il silenzio interrotto da una parola; rimangono tutta la notte digiuni e zitti. 4 Così accade che costoro, parlino male del padrone nella maniera nella quale non possono parlare in presenza del padrone. Ma quelli ai quali era permesso parlare non solo in presenza del padrone, ma anche con questo, la cui bocca non era cucita, erano pronti a offrire la vita per lui e a stornare da lui un pericolo imminente attirandolo su di sè; parlavano durante i banchetti, ma erano capaci di tacere di fronte ai tormenti. 5 Inoltre, si dice comunemente con quella medesima arroganza il proverbio: "ci sono tanti schiavi, quanti nemici": loro, non li abbiamo come nemici, ce li rendiamo tali noi. Inoltre tralascio le altre cose disumane, per cui non ci serviamo degli schiavi come uomini, ma ne abusiamo come fossero bestie. Quando ci mettiamo a tavola, uno deterge gli sputi, un altro, curvo sotto il divano, raccoglie gli avanzi dei convitati ubriachi. |
312 | Eodem tempore duobus praeterea locis pugnatum est: nam plura castella Pompeius pariter distinendae manus causa temptaverat, ne ex proximis praesidiis succurri posset. Uno loco Volcatius Tullus impetum legionis sustinuit cohortibus tribus atque eam loco depulit; altero Germani munitiones nostras egressi compluribus interfectis sese ad suos incolumes receperunt. | Nel medesimo tempo, inoltre, si combatté in due luoghi. Infatti Pompeo aveva assalito più fortilizi contemporaneamente per dividere le forze in modo da impedire l'invio di soccorsi dai presidi vicini. Nel primo di questi luoghi Volcacio Tullo con tre coorti sostenne l'impeto di una legione e la respinse; nel secondo i Germani, usciti dalle nostre fortificazioni, uccisero parecchi nemici e ritornarono sani e salvi dai loro. |
869 | Quibus rebus cognitis, cum ad has suspiciones certissimae res accederent, quod per fines Sequanorum Helvetios traduxisset, quod obsides inter eos dandos curasset, quod ea omnia non modo iniussu suo et civitatis sed etiam inscientibus ipsis fecisset, quod a magistratu Haeduorum accusaretur, satis esse causae arbitrabatur quare in eum aut ipse animadverteret aut civitatem animadvertere iuberet. His omnibus rebus unum repugnabat, quod Diviciaci fratris summum in populum Romanum studium, summum in se voluntatem, egregiam fidem, iustitiam, temperantiam cognoverat; nam ne eius supplicio Diviciaci animum offenderet verebatur.Itaque prius quam quicquam conaretur, Diviciacum ad se vocari iubet et, cotidianis interpretibus remotis, per C. Valerium Troucillum, principem Galliae provinciae, familiarem suum, cui summam omnium rerum fidem habebat, cum eo conloquitur; simul commonefacit quae ipso praesente in concilio [Gallorum] de Dumnorige sint dicta, et ostendit quae separatim quisque de eo apud se dixerit. Petit atque hortatur ut sine eius offensione animi vel ipse de eo causa cognita statuat vel civitatem statuere iubeat. | Cesare, una volta appurato tutto ciò, poiché ai sospetti si aggiungevano dati di assoluta certezza (Dumnorige aveva fatto passare gli Elvezi attraverso i territori dei Sequani; aveva promosso lo scambio degli ostaggi; aveva agito sempre senza ricevere ordini da Cesare o dal suo popolo, anzi a loro insaputa; era, infine, accusato dal magistrato degli Edui), riteneva che vi fossero motivi sufficienti per procedere personalmente contro Dumnorige o per invitare il suo popolo a punirlo. A tutte le precedenti considerazioni, una sola si opponeva: Cesare aveva conosciuto l'eccezionale devozione verso il popolo romano, la disposizione davvero buona nei propri confronti, la straordinaria fedeltà, giustizia e misura di Diviziaco, fratello di Dumnorige. Intervenendo contro quest'ultimo, quindi, temeva di offendere i sentimenti di Diviziaco. Perciò, prima di muoversi contro Dumnorige, convocò Diviziaco: allontanati i soliti interpreti, utilizzò, per il colloquio, C. Valerio Trocillo, principe della provincia della Gallia, suo parente, nel quale riponeva la massima fiducia. Cesare inizia subito col ricordare a Diviziaco tutto ciò che in sua presenza era stato detto su Dumnorige durante l'assemblea dei Galli e lo mette al corrente delle informazioni che ciascuno, singolarmente, gli aveva dato sul conto del fratello. Gli chiede, anzi lo prega di non offendersi, se lui stesso, aperta un'inchiesta contro Dumnorige, emetterà un giudizio o inviterà gli Edui a emetterlo. |
945 | Pompeius interclusus Dyrrachio, ubi propositum tenere non potuit, secundo usus consilio edito loco, qui appellatur Petra aditumque habet navibus mediocrem atque eas a quibusdam protegit ventis, castra communit. Eo partem navium longarum convenire, frumentum commeatumque ab Asia atque omnibus regionibus, quas tenebat, comportari imperat. Caesar longius bellum ductum iri existimans et de Italicis commeatibus desperans, quod tanta diligentia omni litora a Pompeianis tenebantur, classesque ipsius, quas hieme in Sicilia, Gallia, Italia fecerat, morabantur, in Epirum rei frumentariae causa Q.Tillium et L. Canuleium legatum misit, quodque hae regiones aberant longius, locis certis horrea constituit vecturasque frumenti finitimis civitatibus descripsit. Item Lisso Parthinisque et omnibus castellis quod esset frumenti conquiri iussit. Id erat perexiguum cum ipsius agri natura, quod sunt loca aspera ac montuosa ac plerumque frumento utuntur importato, tum quod Pompeius haec providerat et superioribus diebus praedae loco Parthinos habuerat frumentumque omne conquisitum spoliatis effossisque eorum domibus per equites comportarat. | Pompeo, tagliato fuori da Durazzo, quando vede fallito il suo primo piano, ne utilizza un secondo e, in una zona elevata, detta Petra, che offre un piccolo accesso alle navi e le protegge da alcuni venti, fortifica il campo in una posizione elevata. Dà ordine che colà si riunisca parte delle navi da guerra e sia portato frumento e vettovaglie dall'Asia e da tutte le regioni in suo potere. Cesare, pensando che la guerra si sarebbe trascinata troppo alle lunghe e disperando di avere rifornimenti dall'Italia, poiché tutte le coste erano sorvegliate con grande diligenza dai Pompeiani e tardavano ad arrivare le sue navi fatte costruire durante l'inverno in Sicilia, in Gallia e in Italia, inviò in Epiro per l'approvvigionamento i luogotenenti Q. Tillio e L. Canuleio e, poiché queste regioni erano troppo lontane, stabilì di creare granai in determinati posti e divise fra le città vicine il compito di trasportare il frumento. Parimenti ordinò di requisire il frumento che si trovava a Lisso e fra i Partini e in tutti i villaggi. Era pochissimo sia per la natura del terreno stesso, poiché i luoghi sono aspri e montuosi e per lo più si usava frumento importato, sia perché Pompeo aveva previsto ciò e nei giorni precedenti aveva depredato i Partini e aveva fatto trasportare a Petra dai cavalieri tutto il frumento raccolto dopo avere depredato e spogliato le case dei Partini. |
626 | Tali dum pugnatur modo, lente atque paulatim proceditur, crebroque, ut sint auxilio suis, subsistunt; ut tum accidit. Milia enim progressi IIII vehementiusque peragitati ab equitatu montem excelsum capiunt ibique una fronte contra hostem castra muniunt neque iumentis onera deponunt. Ubi Caesaris castra posita tabernaculaque constituta et dimissos equites pabulandi causa animum adverterunt, sese subito proripiunt hora circiter sexta eiusdem diei et spem nacti morae discessu nostrorum equitum iter facere incipiunt.Qua re animum adversa Caesar refectis legionibus subsequitur, praesidio impedimentis paucas cohortes relinquit; hora x subsequi pabulatores equitesque revocari iubet. Celeriter equitatus ad cotidianum itineris officium revertitur. Pugnatur acriter ad novissimum agmen, adeo ut paene terga convertant, compluresque milites, etiam nonnulli centuriones, interficiuntur. Instabat agmen Caesaris atque universum imminebat. | Quando si combatte in tale modo, si avanza lentamente, per brevi tratti e spesso ci si ferma per recare aiuto ai compagni; e così avvenne allora. Infatti, dopo essere avanzati quattro miglia, incalzati senza tregua dalla cavalleria nemica, occupano un monte elevato e qui, senza levare neppure il bagaglio ai giumenti, pongono il campo, fortificandolo solo dal lato verso il nemico. Quando s'accorsero che Cesare aveva posto il campo e innalzate le tende e inviata la cavalleria a cercare foraggio, essi, verso mezzogiorno, all'improvviso si precipitano fuori e, sperando in una tregua per l'allontanamento della nostra cavalleria, incominciano a mettersi in marcia. Cesare, accortosi della cosa, li insegue con le legioni che si erano riposate e lascia poche coorti di guardia ai bagagli; dà ordine di seguirlo alle ore sedici e di richiamare i foraggiatori e la cavalleria. Subito la cavalleria ritorna al suo quotidiano lavoro di disturbo durante la marcia. Si hanno accaniti combattimenti con la retroguardia sicché questa quasi si dà alla fuga e parecchi soldati, e anche alcuni centurioni, vengono uccisi. L'esercito di Cesare incalzava e, tutto insieme, stava addosso al nemico. |
483 | Ac primo Afraniani milites visendi causa laeti ex castris procurrebant contumeliosisque vocibus prosequebantur nostros: necessarii victus inopia coactos fugere atque ad Ilerdam reverti. Erat enim iter a proposito diversum, contrariamque in partem iri videbatur. Duces vero eorum consilium suum laudibus efferebant, quod se castris tenuissent; multumque eorum opinionem adiuvabat, quod sine iumentis impedimentisque ad iter profectos videbant, ut non posse inopiam diutius sustinere confiderent.Sed, ubi paulatim retorqueri agmen ad dextram conspexerunt iamque primos superare regionem castrorum animum adverterunt, nemo erat adeo tardus aut fugiens laboris, quin statim castris exeundum atque occurrendum putaret. Conclamatur ad arma, atque omnes copiae paucis praesidio relictis cohortibus exeunt rectoque ad Hiberum itinere contendunt. | In principio i soldati di Afranio uscivano lieti fuori dall'accampamento a osservare e accompagnavano i nostri con grida di oltraggio: gridavano che erano costretti a fuggire e a ritornare a Ilerda per mancanza di viveri. Infatti la marcia era all'opposto della meta proposta e sembrava che si procedesse in direzione contraria. I loro comandanti invero elogiavano la decisione dei soldati di essere rimasti nell'accampamento e molto rinforzava la loro opinione il vedere marciare i nostri senza giumenti e bagagli; erano pertanto convinti che i nostri non potevano sopportare più a lungo la mancanza di viveri. Ma quando videro che a poco a poco la schiera si voltava verso destra e si accorsero che ormai i primi superavano la linea del loro accampamento, non vi fu nessuno così pigro o così scansafatiche da non pensare che si doveva subito uscire dall'accampamento e correre ai ripari. Si grida "all'armi!" e, lasciate lì poche coorti di presidio, tutte le milizie escono e marciano direttamente verso l'Ebro. |
817 | Mittitur ad eos colloquendi causa Gaius Arpineius, eques Romanus, familiaris Quinti Tituri, et Quintus Iunius ex Hispania quidam, qui iam ante missu Caesaris ad Ambiorigem ventitare consuerat; apud quos Ambiorix ad hunc modum locutus est: Sese pro Caesaris in se beneficiis plurimum ei confiteri debere, quod eius opera stipendio liberatus esset, quod Aduatucis, finitimis suis, pendere consuesset, quodque ei et filius et fratris filius ab Caesare remissi essent, quos Aduatuci obsidum numero missos apud in servitute et catenis tenuissent; neque id, quod fecerit de oppugnatione castrorum, aut iudicio aut voluntate sua fecisse, sed coactu civitatis, suaque esse eiusmodi imperia, ut non minus haberet iuris in se multitudo quam ipse in multitudinem.Civitati porro hanc fuisse belli causam, quod repentinae Gallorum coniurationi resistere non potuerit. Id se facile ex humilitate sua probare posse, quod non adeo sit imperitus rerum ut suis copiis populum Romanum superari posse confidat. Sed esse Galliae commune consilium: omnibus hibernis Caesaris oppugnandis hunc esse dictum diem, ne qua legio alterae legioni subsidio venire posset. Non facile Gallos Gallis negare potuisse, praesertim cum de recuperanda communi libertate consilium initum videretur. Quibus quoniam pro pietate satisfecerit, habere nunc se rationem offici pro beneficiis Caesaris: monere, orare Titurium pro hospitio, ut suae ac militum saluti consulat. Magnam manum Germanorum conductam Rhenum transisse; hanc adfore biduo. Ipsorum esse consilium, velintne priusquam finitimi sentiant eductos ex hibernis milites aut ad Ciceronem aut ad Labienum deducere, quorum alter milia passuum circiter quinquaginta, alter paulo amplius ab eis absit. Illud se polliceri et iureiurando confirmare tutum iter per fines daturum. Quod cum faciat, et civitati sese consulere, quod hibernis levetur, et Caesari pro eius meritis gratiam referre. Hac oratione habita discedit Ambiorix. | Al colloquio viene inviato C. Arpineio, cavaliere romano, parente di Q. Titurio, insieme a uno Spagnolo, un certo Q. Giunio, che in passato, per incarico di Cesare, si era già più volte recato da Ambiorige. A essi Ambiorige parlò come segue: ammetteva i molti debiti di riconoscenza nei confronti di Cesare (grazie al suo intervento era stato sollevato dal tributo che pagava abitualmente agli Atuatuci, popolo limitrofo; Cesare gli aveva restituito suo figlio e il figlio di suo fratello, che, inclusi nel novero degli ostaggi, erano tenuti asserviti in catene dagli Atuatuci); quanto all'assedio al campo romano, aveva agito non di iniziativa o volontà propria, ma costretto dal popolo, e la sua sovranità stava in questi termini: la sua gente aveva nei suoi confronti gli stessi diritti che aveva lui nei confronti della sua gente. Il popolo, d'altro, canto, era insorto perché non aveva potuto opporsi alla repentina formazione di una lega dei Galli. E prova evidente di ciò era la sua debolezza: non era tanto sprovveduto da confidare, con le proprie truppe, in una vittoria sul popolo romano. Si trattava, piuttosto, di un piano comune a tutti i Galli: era stato deciso di assediare, in quel giorno, tutti i campi invernali di Cesare, in modo che nessuna legione fosse in grado di soccorrerne un'altra. Come potevano dei Galli, con facilità, opporre un rifiuto alla proposta di altri Galli, soprattutto quando sembrava mirare alla riconquista della libertà comune? Se, dunque, prima aveva aderito alla lega dei Galli per amor di patria, adesso teneva conto del suo dovere per i benefici ricevuti da Cesare: avvertiva, supplicava Titurio, in nome dei loro vincoli d'ospitalità, di provvedere a porsi in salvo con i propri soldati. Un forte esercito di mercenari germani aveva attraversato il Reno: sarebbero giunti nell'arco di due giorni. Spettava ai Romani la decisione di far uscire dall'accampamento i soldati prima che i Galli vicini se ne accorgessero, e condurli da Cicerone o da Labieno, distanti l'uno circa cinquanta miglia, l'altro poco più. Prometteva e giurava dar via libera sul proprio territorio. Agendo così, avrebbe provveduto al bene della propria gente, perché veniva liberata dal campo romano, e ricambiato i servigi di Cesare. Ciò detto, Ambiorige si allontana. |
604 | Postero die castra ex eo loco movent. Idem facit Caesar equitatumque omnem, ad numerum quattuor milium, quem ex omni provincia et Aeduis atque eorum sociis coactum habebat, praemittit, qui videant quas in partes hostes iter faciant. Qui cupidius novissimum agmen insecuti alieno loco cum equitatu Helvetiorum proelium committunt; et pauci de nostris cadunt. Quo proelio sublati Helvetii, quod quingentis equitibus tantam multitudinem equitum propulerant, audacius subsistere nonnumquam et novissimo agmine proelio nostros lacessere coeperunt.Caesar suos a proelio continebat, ac satis habebat in praesentia hostem rapinis, pabulationibus populationibusque prohibere. Ita dies circiter quindecim iter fecerunt, uti inter novissimum hostium agmen et nostrum primum non amplius quinis aut senis milibus passuum interesset. | Il giorno seguente muovono il campo da quel luogo. Cesare fa la stessa cosa, e manda avanti tutta la cavalleria, che teneva, avendola radunata da tutta la provincia, dagli Edui e dai loro alleati, circa quattro migliaia di numero, i quali vedano in quali parti i nemici marcino. Ora questi, avendo inseguito troppo avidamente la retroguardia (nemica), intraprendono un combattimento con la cavalleria degli Elvezi in un luogo sfavorevole; e pochi dei nostri cadono. Insuperbiti dal tale combattimento, gli Elvezi, perché con cinquecento cavalieri avevano respinto una sì gran moltitudine di cavalieri, incominciarono a fermarsi talvolta più arditamente e a provocare i nostri a battaglia dalla retroguardia. Cesare tratteneva i suoi dal combattere, e per il momento si accontentava di impedire ai nemici le ruberie, i foraggiamenti e i saccheggi. Marciarono così per quindici giorni circa di modo che c’era una distanza di non più di cinque o sei miglia tra la retroguardia dei nemici e la nostra avanguardia. |
232 | Dicite cur nostros, Nymphae, fugiatis amores:quid Faunus, quo sic despiciatur, habet?Cornua si mihi sunt, sunt et sua cornua Baccho:inque sinus vocat hunc Cressa puella suos.Ignea si frons est; an non frons ignea Phoebo est?Hoc tamen est Clymene facta parente parens.Barba riget suffulta genis: dedit improba saepeoscula barbato Deianira viro.Intonso densoque tegor praecordia villo:nil ideo Marti est Ilia questa suo.Capripedem arguitis; quid clauso turpius? At tuNupsisti claudo, Cypria pulchra, deo.Denique, si qua meae pars est non bella figurae,exemplum a caelo, quod capiatis, habet.Sed vos nimirum mortalia facta secutae(omnis quando auro conciliatur amor)pastorum, et pecoris tenui custode repulso,quaeritis a magnis munera magna deis. | Dite perché evitate il mio amore, o Ninfe: che cosa ha Fauno da esser così disdegnato? Se io ho le corna, sono le stesse che ha Bacco: dì, fanciulla cretese che Bacco chiama queste il suo orgoglio (i suoi poteri / le sue caratteristiche). Se io ho la faccia infuocata; forse che non ce l'ha anche Febo? Tuttavia Climene con questo padre divenne madre. La barba si drizza attaccata alle gote: spesso Deianira diede baci appassionati al marito con tanta barba (all'uomo barbuto). Sono coperto nel petto da un arruffato e folto pelo: però per questo pelo di Marte Rea Silvia non si è lamentata. Voi biasimate i miei piedi di capra: che cosa è peggio essere zoppo? Ma tu, bella Cipride, andasti sposa al dio zoppo. Insomma se questo è l'aspetto non bello della mia figura, ponete attenzione a questo: ha l'esempio dal cielo (riscontro tra gli dei). Ma voi purtroppo avete seguito le umili occupazioni dei pastori - giacché l'amore si adesca con l'oro - , e respinto un povero guardiano di bestiame, domandate grandi doni ai grandi dei. |
521 | Iuba certior factus a Saburra de nocturno proelio II milia Hispanorum et Gallorum equitum, quos suae custodiae causa circum se habere consuerat, et peditum eam partem, cui maxime confidebat, Saburrae submisit; ipse cum reliquis copiis elephantisque LX lentius subsequitur. Suspicatus praemissis equitibus ipsum affore Curionem Saburra copias equitum peditumque instruit atque his imperat, ut simulatione timoris paulatim cedant ac pedem referant: sese, cum opus esset, signum proelii daturum et, quod rem postulare cognovisset, imperaturum.Curio ad superiorem spem addita praesentis temporis olninione, hostes fugere arbitratus copias ex locis superioribus in campum deducit. | Giuba, informato da Saburra dello scontro notturno, gli manda in aiuto duemila cavalieri spagnoli e galli che era solito tenere con sé a guardia della propria persona, e quella parte di fanti in cui aveva più fiducia. Egli stesso con le rimanenti milizie e sessanta elefanti tiene dietro con passo più lento. Saburra, sospettando che si avvicinasse lo stesso Curione poiché era stata mandata avanti la cavalleria, schiera fanti e cavalieri e ordina loro di indietreggiare a poco a poco e ritirarsi fingendo paura; egli, quando fosse necessario, avrebbe dato il segnale di combattimento, ordinando ciò che avesse compreso che la situazione richiedeva. Curione fa scendere le milizie dalle alture alla pianura; infatti nel suo animo, poiché egli credeva che i nemici fossero in fuga, l'impressione dell'attuale circostanza si aggiungeva alla precedente speranza. |
436 | Postero die Curio obsidere Uticam et vallo circummunire instituit. Erat in oppido multitudo insolens belli diuturnitate otii, Uticenses pro quibusdam Caesaris in se beneficiis illi amicissimi, conventus is, qui ex variis generibus constaret, terror ex superioribus proeliis magnus. Itaque de deditione omnes palam loquebantur et cum P. Attio agebant, ne sua pertinacia omnium fortunas perturbari vellet. Haec cum agerentur, nuntii praemissi ab rege Iuba venerunt, qui ilium adesse cum magnis copiis dicerent et de custodia ac defensione urbis hortarentur.Quac res eorum perterritos animos confirmavit. | Il giorno successivo Curione intraprende l'assedio di Utica e il suo accerchiamento con un vallo. Vi era nella città una moltitudine non avvezza alla guerra, per il lungo periodo di pace; gli Uticensi grazie ad alcuni benefici ricevuti da Cesare gli erano molto favorevoli; la colonia di cittadini romani era formata da varie classi; grande era il terrore che avevano prodotto le battaglie precedenti. E così già tutti parlavano apertamente di resa e trattavano con P. Azzio perché con la sua ostinazione non volesse mettere in pericolo la sorte di tutti. Durante queste trattative, giunsero ambasciatori mandati dal re Giuba per annunciare che egli era vicino con grandi truppe e per esortarli a custodire e difendere la città. Questa notizia confortò il loro animo sconvolto. |
243 | Vivamus mea Lesbia, atque amemus,rumoresque senum severiorumomnes unius aestimemus assis!soles occidere et redire possunt:nobis cum semel occidit brevis lux,nox est perpetua una dormienda.da mi basia mille, deinde centum,dein mille altera, dein secunda centum,deinde usque altera mille, deinde centum.dein, cum milia multa fecerimus,conturbabimus illa, ne sciamus,aut ne quis malus invidere possit,cum tantum sciat esse basiorum. | Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,e i brontolii dei vecchi troppo severistimiamoli tutti un soldo!I giorni possono tramontare e ritornare:una volta che la breve luce tramontònoi dobbiamo dormire una sola notte eterna.Dammi mille baci, poi cento,poi altri mille, poi ancora cento,poi altri mille poi ancora cento,quindi altri mille, poi ancora cento.Poi, quando ne avremmo sommate molte migliaia,li mescoleremo, affinchè non sappiano,e nessun malvagio possa invidiarci,sapendo che i baci sono tanti. |
394 | Caesari omnia uno tempore erant agenda: vexillum proponendum, quod erat insigne, cum ad arma concurri oporteret; signum tuba dandum; ab opere revocandi milites; qui paulo longius aggeris petendi causa processerant arcessendi; acies instruenda; milites cohortandi; signum dandum. Quarum rerum magnam partem temporis brevitas et incursus hostium impediebat. His difficultatibus duae res erant subsidio, scientia atque usus militum, quod superioribus proeliis exercitati quid fieri oporteret non minus commode ipsi sibi praescribere quam ab aliis doceri poterant, et quod ab opere singulisque legionibus singulos legatos Caesar discedere nisi munitis castris vetuerat.Hi propter propinquitatem et celeritatem hostium nihil iam Caesaris imperium expectabant, sed per se quae videbantur administrabant. | Cesare si trovò a dover far tutto contemporaneamente: inalberare il vessillo, con cui si dava l'avviso di correre alle armi, ordinare gli squilli di tromba, richiamare i soldati dai lavori, comandare il rientro ai legionari che si erano un po' allontanati in cerca di materiale, formare la linea di combattimento, esortare i soldati e dare il segnale d'attacco. La mancanza di tempo e l'incalzare dei nemici impedivano di eseguire la maggior parte delle suddette operazioni. A fronte di tali difficoltà due fattori erano d'aiuto: primo, la perizia e l'esperienza dei nostri soldati, che, addestrati dalle precedenti battaglie, erano in grado di imporsi da soli la condotta necessaria non meno tranquillamente che se avessero ricevuto precise istruzioni da altri; secondo, l'obbligo imposto da Cesare ai vari legati di non allontanarsi dalla propria legione prima del termine dei lavori. I legati, vista la vicinanza e la rapidità dei nemici, non stettero ad aspettare ordini da Cesare, ma prendevano personalmente le disposizioni che ritenevano opportune. |
443 | Bibulus multos dies terra prohibitus et graviore morbo ex frigore et labore implicitus, cum neque curari posset neque susceptum officium deserere vellet, vim morbi sustinere non potuit. Eo mortuo ad neminem unum summa imperii redit, sed separatim suam quisque classem ad arbitrium suum administrabat. Vibullius sedato tumultu, quem repentinus adventus Caesaris concitaverat, ubi primum e re visum est, adhibito Libone et L. Lucceio et Theophane, quibuscum communicare de maximis rebus Pompeius consueverat, de mandatis Caesaris agere instituit.Quem ingressum in sermonem Pompeius interpellavit et loqui plura prohibuit. "Quid mihi," inquit, "aut vita aut civitate opus est, quam beneficio Caesaris habere videbor? cuius rei opinio tolli non poterit, cum in Italiam, ex qua profectus sum, reductus existimabor bello periecto." Ab eis Caesar haec facta cognovit, qui sermoni interfuerunt; conatus tamen nihilo minus est allis rationibus per colloquia de pace agere. | Bibulo, al quale da molti giorni era impedito lo sbarco, gravemente ammalato a causa della fatica e del freddo, non potendo essere curato e non volendo abbandonare l'incarico assunto, non sopportò la virulenza della malattia. Dopo la sua morte nessuno ebbe da solo il comando supremo, ma ciascuno comandava le proprie navi autonomamente e secondo il proprio giudizio. Vibullio, sedato il tumulto suscitato dall'improvviso arrivo di Cesare, appena il momento gli parve opportuno, assistito da Libone, L. Lucceio e Teofane, con i quali Pompeo era solito consultarsi sugli affari della massima importanza, cominciò a discutere delle proposte di Cesare. Aveva appena cominciato a parlare quando Pompeo lo interruppe e gli impedì di proseguire oltre il discorso: "Che importa a me", disse "della vita o dei diritti civili, se sembreranno da me posseduti per la benevolenza di Cesare? E questa opinione non potrà essere cancellata, poiché sembrerà che io sia stato ricondotto a forza in Italia, dalla quale mi sono allontanato". Terminata la guerra, Cesare venne a conoscenza di questi fatti da coloro che furono presenti al colloquio. Ciò nonostante tentò in altro modo di fare trattative di pace mediante abboccamenti. |
645 | His rebus perfectis regiones secutus quam potuit aequissimas pro loci natura quattuordecim milia passuum complexus pares eiusdem generis munitiones, diversas ab his, contra exteriorem hostem perfecit, ut ne magna quidem multitudine, si ita accidat, munitionum praesidia circumfundi possent; ac ne cum periculo ex castris egredi cogatur, dierum triginta pabulum frumentumque habere omnes convectum iubet. | Terminate tali opere, seguendo i terreni più favorevoli per conformazione naturale, costruì una linea difensiva dello stesso genere, lunga quattordici miglia, ma opposta alla prima, contro un nemico proveniente dalle spalle: così, anche nel caso di un attacco in massa dopo la sua partenza, gli avversari non avrebbero potuto circondare i presidi delle fortificazioni, né i nostri si sarebbero trovati costretti a sortite rischiose. Ordina a tutti di portare con sé foraggio e grano per trenta giorni. |
65 | Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas,alma Venus, caeli subter labentia signaquae mare navigerum, quae terras frugiferentisconcelebras, per te quoniam genus omne animantumconcipitur visitque exortum lumina solis:te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeliadventumque tuum, tibi suavis daedala tellussummittit flores, tibi rident aequora pontiplacatumque nitet diffuso lumine caelum.nam simul ac species patefactast verna dieiet reserata viget genitabilis aura favoni,aeriae primum volucris te, diva, tuumquesignificant initum perculsae corda tua vi.inde ferae pecudes persultant pabula laetaet rapidos tranant amnis: ita capta leporete sequitur cupide quo quamque inducere pergis.denique per maria ac montis fluviosque rapacisfrondiferasque domos avium camposque virentisomnibus incutiens blandum per pectora amoremefficis ut cupide generatim saecla propagent.quae quoniam rerum naturam sola gubernasnec sine te quicquam dias in luminis orasexoritur neque fit laetum neque amabile quicquam,te sociam studeo scribendis versibus esse,quos ego de rerum natura pangere conorMemmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omniomnibus ornatum voluisti excellere rebus.quo magis aeternum da dictis, diva, leporem.effice ut interea fera moenera militiaiper maria ac terras omnis sopita quiescant;nam tu sola potes tranquilla pace iuvaremortalis, quoniam belli fera moenera Mavorsarmipotens regit, in gremium qui saepe tuum sereiicit aeterno devictus vulnere amoris,atque ita suspiciens tereti cervice repostapascit amore avidos inhians in te, dea, visuseque tuo pendet resupini spiritus ore.hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sanctocircum fusa super, suavis ex ore loquellasfunde petens placidam Romanis, incluta, pacem;nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquopossumus aequo animo nec Memmi clara propagotalibus in rebus communi desse saluti. | Genitrice degli Eneadi, gioia degli uomini e degli dèi,Venere alma, che sotto gli astri del cielo che scorronoriempi di vita il mare ricco di navi, la terra ricca di frutti,poiché per te ogni specie di esseri animatiè concepita, e vede, una volta nata, la luce del sole,te, dea, te fuggono i venti, te le nuvole del cieloed al tuo arrivo; per te la terra industriosa fa spuntaredolci fiori, a te ridono le acque del mare,e, placato, risplende, con luce diffusa, il cielo.Infatti non appena viene svelato l’aspetto primaverile del giorno,e sprigionato acquista vigore il soffio fecondatore dello zefiro,prima le colombe aeree te, divina, ed il tuo arrivosegnalano, turbate nel cuore dalla tua forza.Poi le fiere, le greggi balzano per i lieti pascoli,e attraversano i fiumi impetuosi: così presa dal fascinote segue in qualunque luogo le vuoi condurre.e infine per mari e monti e rapidi fiumi, ele dimore frondose degli uccelli e le verdi pianure,incutendo a tutti per i petti un carezzevole amore,fai in modo che le generazioni, con desiderio, si propaghino di specie in specie.E poiché tu sola governi la natura (delle cose),e senza di te non nasce niente nelle ore luminose di luce,e non accade niente di lieto o amabile,desidero che tu mi sia compagna nello scrivere i versiche io mi accingo a comporre sulla natura (delle cose)per il nostro Memmiade, che tu, dea, in ognitempo volesti, ornato di tutte le cose, che eccellesse in tutte le cose.Tanto più, o dea, dà ai detti un fascino eterno.Fai in modo, nel frattempo, che le crudeli opere della guerrariposino, sopite, per i mari e tutte le terre.Infatti tu sola puoi aiutare i mortali con una pacetranquilla, poiché Marte armipotente governa le crudeliopere della guerra, il quale spesso si china sul tuogrembo, vinto dall’eterna ferita dell’amore,e contemplandoti così, vòlta la testa ben tornita,sazia d’amore, anelando verso di te, gli avidi sguardi,e dalla tua bocca pende lo spirito del (dio) supino.Tu, o dea, piegata su quello con il tuo corpo sacro, cheè sdraiato, riversa dalla bocca soavi parolechiedendo, o inclita, una pace placida per i romani.Infatti né noi possiamo in questo momento infausto perla patria compiere questo con animo tranquillo,né può la famosa stirpe di Memmio venir meno, intali circostanze alla salvezza comune. |
962 | Gaius Fabius cum reliquo exercitu in Carnutes ceterasque proficiscitur civitates, quarum eo proelio, quod cum Dumnaco fecerat, copias esse accisas sciebat. Non enim dubitabat quin recenti calamitate summissiores essent futurae, dato vero spatio ac tempore eodem instigante Dumnaco possent concitari. Qua in re summa felicitas celeritasque in recipiendis civitatibus Fabium consequitur. Nam Carnutes, qui saepe vexati numquam pacis fecerant mentionem, datis obsidibus veniunt in deditionem, ceteraeque civitates positae in ultimis Galliae finibus Oceano coniunctae, quae Armoricae appellantur, auctoritate adductae Carnutum adventu Fabi legio numque imperata sine mora faciunt.Dumnacus suis finibus expulsus errans latitansque solus extremas Galliae regiones petere est coactus. | C. Fabio, con il resto delle truppe, si dirige verso i Carnuti e gli altri popoli, perché sapeva che le loro truppe avevano registrato gravi perdite nella battaglia da lui combattuta contro Dumnaco. Non dubitava che dopo la recente disfatta avrebbero abbassato la testa; ma passato un certo periodo di tempo, avrebbero anche potuto riprendere la rivolta per istigazione dello stesso Dumnaco. Nella circostanza C. Fabio agisce con la più felice e rapida prontezza nel sottomettere i vari popoli. I Carnuti, che nonostante i ripetuti rovesci non avevano mai chiesto pace, adesso gli consegnano ostaggi e si arrendono; le altre genti, stanziate nelle regioni più lontane della Gallia, che si affacciano sull'Oceano e si chiamano aremoriche, indotte dal prestigio dei Carnuti, obbediscono agli ordini senza frapporre indugi, appena arriva C. Fabio con le legioni. Dumnaco, cacciato dalle sue terre, è costretto a vagare, solo e nascosto, e a dirigersi verso le regioni estreme della Gallia. |
518 | Postridie eius diei Caesar, prius quam se hostes ex terrore ac fuga reciperent, in fines Suessionum, qui proximi Remis erant, exercitum duxit et magno itinere [confecto] ad oppidum Noviodunum contendit. Id ex itinere oppugnare conatus, quod vacuum ab defensoribus esse audiebat, propter latitudinem fossae murique altitudinem paucis defendentibus expugnare non potuit. Castris munitis vineas agere quaeque ad oppugnandum usui erant comparare coepit. Interim omnis ex fuga Suessionum multitudo in oppidum proxima nocte convenit.Celeriter vineis ad oppidum actis, aggere iacto turribusque constitutis, magnitudine operum, quae neque viderant ante Galli neque audierant, et celeritate Romanorum permoti legatos ad Caesarem de deditione mittunt et petentibus Remis ut conservarentur impetrant. | Nei giorni successivi, prima che i nemici potessero ristabilirsi dal loro terrore e dalla loro fuga, Cesare condusse il suo esercito nel territori dei Suessoni, che sono vicini ai Remi, e avendo compiuto una lunga marcia, si ferma alla città di nome Noviodunum. Avendo tentato di prenderla d'assedio durante la sua marcia, avendo sentito che aveva difensori insufficienti, non fu capace di prenderla d'assalto, sul conto della larghezza del fossato e dell'altezza del muro, nonostante lo difendessero in pochi. Quindi, dopo aver fortificato l'accampamento, cominciò ad innalzare le vineae, e a procurare tutte le cose che fossero necessarie all'assedio. Nel frattempo tutto l'esercito dei Suessoni, dopo la fuga, arrivò nella città la notte successiva. Essendo state innalzate velocemente le vineae contro la città, fatto un terrapieno, e costruite delle torri, i Galli, sorpresi dalla grandezza delle opere, come non avevano mai visto o sentito prima, e colpiti dalla spedizione dei Romani, mandarono degli ambasciatori a Cesare chiedendo di arrendersi, e riuscirono in seguito nel richiedere ai Remi che fossero risparmiati. Cesare, avendo ricevuto come prigionieri gli uomini più grandi dello Stato, ed anche i due figli del Re Galba stesso; ed essendo state cacciate tutte le armi dalla città, concedette ai Suessoni una resa, e guidò il suo esercito contro i Bellovaci. |
724 | Erant omnino itinera duo, quibus itineribus domo exire possent: unum per Sequanos, angustum et difficile, inter montem Iuram et flumen Rhodanum, vix qua singuli carri ducerentur, mons autem altissimus impendebat, ut facile perpauci prohibere possent; alterum per provinciam nostram, multo facilius atque expeditius, propterea quod inter fines Helvetiorum et Allobrogum, qui nuper pacati erant, Rhodanus fluit isque non nullis locis vado transitur. Extremum oppidum Allobrogum est proximumque Helvetiorum finibus Genava.Ex eo oppido pons ad Helvetios pertinet. Allobrogibus sese vel persuasuros, quod nondum bono animo in populum Romanum viderentur, existimabant vel vi coacturos ut per suos fines eos ire paterentur. Omnibus rebus ad profectionem comparatis diem dicunt, qua die ad ripam Rhodani omnes conveniant. Is dies erat a. d. V. Kal. Apr. L. Pisone, A. Gabinio consulibus. | Le strade, attraverso le quali gli Elvezi potevano uscire dal loro territorio, erano in tutto due: la prima, stretta e difficoltosa, attraversava le terre dei Sequani tra il monte Giura e il Rodano e permetteva, a stento, il transito di un carro per volta; inoltre, il Giura incombeva su di essa a precipizio, in modo tale che pochissimi bastavano facilmente a impedire il passaggio; la seconda attraversava la nostra provincia ed era molto più agevole e rapida, perché tra i territori degli Elvezi e degli Allobrogi, da poco pacificati, scorre il Rodano, che in alcuni punti consente il guado. Ginevra è la città degli Allobrogi più settentrionale e confina con i territori degli Elvezi, ai quali è collegata da un ponte. Gli Elvezi, per garantirsi via libera, pensavano di persuadere gli Allobrogi, che non sembravano ancora ben disposti verso i Romani, o di obbligarli con la forza. Ultimati i preparativi per la partenza, stabiliscono la data in cui avrebbero dovuto riunirsi tutti sulla riva del Rodano: cinque giorni prima delle calende di aprile, nell'anno del consolato di Lucio Pisone e A. Gabinio. |
139 | Omneis homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit. sed nostra omnis vis in animo et corpore sita est: animi imperio, corporis servitio magis utimur; alterum nobis cum dis, alterum cum beluis commune est. quo mihi rectius videtur ingeni quam virium opibus gloriam quaerere et, quoniam vita ipsa qua fruimur brevis est, memoriam nostri quam maxume longam efficere.nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeternaque habetur. Sed diu magnum inter mortalis certamen fuit,vine corporis an virtute animi res militaris magis procederet. nam et prius quam incipias consulto, et ubi consulueris mature facto opus est. ita utrumque per se indigens alterum alterius auxilio eget. | Tutti gli uomini che aspirano ad eccellere sugli altri esseri viventi debbono con incessante sforzo impegnarsi, per non trascorrere la vita nell'oscurità simili alle bestie che natura volle chine a terra e schiave del ventre. Orbene ogni nostra energia risiede nell'anima e nel corpo: funzione dell'anima è il comandare, del corpo l'ubbidire; l'una ci accomuna agli dèi, l'altro agli animali bruti. Mi sembra quindi più decoroso tendere alla gloria con le forze dello spirito che non con quelle del corpo, e, poiché questa vita che ci e stata concessa è per se stessa di breve respiro, rendere il più duraturo possibile il ricordo di noi. Fuggevole e caduco è infatti lo splendore dei beni materiali e della bellezza: la virtù sola è in poter nostro, fulgidissima ed eterna. Ora a lungo e appassionatamente hanno discusso gli uomini se le imprese militari traggano maggior successo dalla vigoria del corpo o dalla acutezza della mente: poiché prima di intraprendere una impresa, e indispensabile riflettere e, dopo aver deliberato, agire prontamente. Sicché queste due facoltà, di per sé imperfette. Hanno bisogno di reciproco completamento. |
588 | Caesar castris potitus a militibus contendit, ne in praeda occupati reliqui negotii gerendi facultatem dimitterent. Qua re impetrata montem opere circummunire instituit. Pompeiani, quod is mons erat sine aqua, diffisi ei loco relicto monte universi iugis eius Larisam versus se recipere coeperunt. Qua re animadversa Caesar copias suas divisit partemque legionum in castris Pompei remanere iussit, partem in sua castra remisit, quattruor secum legiones duxit commodioreque itinere Pompeianis occurrere coepit et progressus milia passum sex aciem instruxit.Qua re animadversa Pompeiani in quodam monte constiterunt. Hunc montem flumen subluebat. Caesar milites cohortatus, etsi totius diei continenti labore erant confecti noxque iam suberat, tamen munitione flumen a monte seclusit, ne noctu aquari Pomepiani possent. Quo perfecto opere illi de deditione missis legatis agere coeperunt. Pauci ordinis senatorii, qui se cum eis coniunxerant, nocte fuga salutem petiverunt. | Cesare, dopo essersi impadronito dell'accampamento, chiese con insistenza ai soldati, interessati al bottino, di non perdere l'occasione di amministrare i restanti affari. Ottenuta questa cosa, decise di cingere il monte con un'opera difensiva. Tutti i Pompeiani, diffidando di quel luogo, poiché quel monte era senza acqua, dopo aver lasciato il monte attraverso le sue cime cominciarono a rivolgersi verso Larissa. Dopo essersi accorto di questa cosa, Cesare divise le truppe e ordinò a una parte delle legioni di rimanere nell'accampamento di Pompeo, rimandò una parte nel loro accampamento, condusse quattro legioni con sé e iniziò ad andare incontro ai Pompeiani per un percorso più comodo e, avanzato di seimila passi, schierò l'esercito. Appresa questa cosa, i Pompeiani si stabilirono in un monte. Un fiume bagnava questo monte. Cesare, tuttavia, dopo aver esortato i soldati, nonostante fossero stanchi per la fatica ininterrotta di tutto il giorno e la notte fosse già sopraggiunta, separò il fiume dal monte con una fortificazione, affinché i Pompeiani non potessero fare provvista d'acqua di notte. Dopo aver completato questo muro, dopo aver mandato i legati, quelli cominciarono a trattare della resa. Pochi dell'ordine dei senatori, che si erano alleati con loro, cercarono la salvezza nella fuga di notte. |
480 | Erant eius modi fere situs oppidorum ut posita in extremis lingulis promunturiisque neque pedibus aditum haberent, cum ex alto se aestus incitavisset, quod [bis] accidit semper horarum XII spatio, neque navibus, quod rursus minuente aestu naves in vadis adflictarentur. Ita utraque re oppidorum oppugnatio impediebatur. Ac si quando magnitudine operis forte superati, extruso mari aggere ac molibus atque his oppidi moenibus adaequatis, suis fortunis desperare coeperant, magno numero navium adpulso, cuius rei summam facultatem habebant, omnia sua deportabant seque in proxima oppida recipiebant: ibi se rursus isdem opportunitatibus loci defendebant.Haec eo facilius magnam partem aestatis faciebant quod nostrae naves tempestatibus detinebantur summaque erat vasto atque aperto mari, magnis aestibus, raris ac prope nullis portibus difficultas navigandi. | I siti delle loro città erano generalmente tali che, venendo posti sui punti estremi e sui promontori, non potevano essere né raggiunti da terra quando la marea si alzava nello spazio di dodici ore, né per navi, poiché, quando la marea si abbassava di nuovo, le navi si arenavano nella sabbia. Quindi, in entrambe le circostanze, l'assedio delle loro città era reso difficile. E se quando con la grandezza delle opere li superavano di molto, essendo il mare fermato da terrapieni e dighe, e le loro mura rese uguali in altezza a quelle della città, cominciarono a disperdere le loro fortune, portando un grande numero di navi, delle quali avevano una grande quantità, portavano via le loro proprietà e si trasportavano alla città più vicina: di lì si difendevano con gli stessi vantaggi che avevano in precedenza. Fecero questo più facilmente durante gran parte dell'estate, poiché le nostre navi erano tenute indietro dalle tempeste, e la difficoltà nel navigare era molto grande in quel mare vasto ed aperto, con le sue forti maree e i pochissimi porti. |
154 | Eodem tempore tertiam aciem Caesar, quae quieta fuerat et se ad id tempus loco tenuerat, procurrere iussit. Ita cum recentes atque integri defessis successissent, alii autem a tergo adorirentur, sustinere Pompeiani non potuerunt, atque universi terga verterunt. Neque vero Caesarem fefellit, quin ab eis cohortibus, quae contra equitatum in quarta acie collocatae essent, initium victoriae oriretur, ut ipse in cohortandis militibus pronuntiaverat. Ab his enim primum equitatus est pulsus, ab isdem factae caedes sagittariorum ac funditorum, ab isdem acies Pompeiana a sinistra parte circumita atque initium fugae factum.Sed Pompeius, ut equitatum suum pulsum vidit atque eam partem, cui maxime confidebat, perterritam animadvertit, aliis quoque diffisus acie excessit protinusque se in castra equo contulit et eis centurionibus, quos in statione ad praetoriam portam posuerat, clare, ut milites exaudirent, "tuemini," inquit, "castra et defendite diligenter, si quid durius acciderit. Ego reliquas portas circumeo et castrorum praesidia confirmo." Haec cum dixisset, se in praetorium contulit summae rei diffidens et tamen eventum exspectans. | Nello stesso tempo Cesare ordinò di attaccare alla terza schiera che era stata inattiva e si era mantenuta fino a quel momento in postazione. Infatti, poiché erano subentrati (essendo subentrati) i soldati freschi e illesi a quelli esausti, e altri poi attaccando alle spalle, i Pompeiani non poterono resistere e tutti quanti si diedero alla fuga. E a Cesare poi non sfuggì che l’inizio della vittoria scaturiva da quelle coorti che erano state collocate contro la cavalleria nella quarta linea (Quin + congiuntivo introduce una completiva) come egli stesso aveva preannunciato nell’esortare le truppe. Fu respinta da queste, infatti, prima di tutto, la cavalleria, da queste stesse furono fatte stragi di arcieri e fiondatori e sempre da queste stesse era stata aggirata la schiera pompeiana dal lato sinistro ed era stato provocato l’inizio della fuga. Ma Pompeo, non appena vide la sua cavalleria respinta e non appena si accorse che quella parte, nella quale confidava massimamente, era stata sgominata, e non fidandosi della altre (parti), uscì dal campo di battaglia e subito si recò nell’accampamento a cavallo e disse a quei centurione che aveva messo in postazione di guardia alla porta pretoria, chiaramente, affinché i soldati sentissero: “Proteggete, disse, l’accampamento e difendetelo diligentemente, semmai dovesse accadere qualcosa di peggio. Io ispeziono le altre porte e rafforzo le difese dell’accampamento”. Dopo aver detto questo, si diresse nella sua tenda (nel pretorio), sia non avendo fiducia nel risultato finale sia, tuttavia, aspettando l’esito. |
618 | Interim L Nasidius, a Cn. Pompeio cum classe navium XVI, in quibus paucae erant aeratae, L. Domitio Massiliensibusque subsidio missus, freto Siciliae imprudente atque inopinante Curione pervehitur appulsisque Messanam navibus atque inde propter repentinum terrorem principum ac senatus fuga facta navem ex navalibus eorum deducit. Hac adiuncta ad reliquas naves cursum Massiliam versus perficit praemissaque clam navicula Domitium Massiliensesque de suo adventu certiores facit eosque magnopere hortatur, ut rursus cum Bruti classe additis suis auxiliis confligant. | Frattanto L. Nasidio, mandato da Pompeo in aiuto a L. Domizio e ai Marsigliesi con una flotta di sedici navi, di cui poche corazzate, attraversato lo stretto giunge con le navi a Messina, senza che Curione se ne accorga o se lo aspetti; per l'improvviso terrore i capi e i senatori fuggono dalla città ed egli porta via dai cantieri navali una nave nemica. Aggiuntala alle altre sue, fa rotta verso Marsiglia e, di nascosto mandata avanti una piccola nave, avvisa Domizio e i Marsigliesi del suo arrivo e li esorta vivamente a combattere di nuovo contro la flotta di Bruto, essendo venute in aiuto le sue forze. |
328 | Trebonius ea, quae sunt amissa, multo maiore militum studio administrare et reficere instituit. Nam ubi tantos suos labores et apparatus male cecidisse viderunt indutiisque per scelus violatis suam virtutem irrisui fore perdoluerunt, quod, unde agger omnino comportari posset, nihil erat reliquum, omnibus arboribus longe lateque in finibus Massiliensium excisis et convectis, aggerem novi generis atque inauditum ex latericiis duobus muris senum pedum crassitudine atque eorum murorum contignatione facere instituerunt aequa fere altitudine, atque ille congesticius ex materia fuerat agger.Ubi aut spatium inter muros aut imbecillitas materiae postulare videretur, pilae interponuntur, traversaria tigna iniciuntur, quae firmamento esse possint, et quicquid est contignatum cratibus consternitur, crates luto integuntur. Sub tecto miles dextra ac sinistra muro tectus, adversus plutei obiectu, operi quaecumque sunt usui sine periculo supportat. Celeriter res administratur; diuturni laboris detrimentum sollertia et virtute militum brevi reconciliatur. Portae, quibus locis videtur, eruptionis causa in muro relinquuntur. | Trebonio cominciò a organizzare la ricostruzione di ciò che era stato distrutto con un entusiasmo dei soldati molto maggiore. Infatti quando videro che con la distruzione delle opere belliche tante loro fatiche erano andate perdute, provando profondo dolore poiché, violata la tregua con l'inganno, erano stati scherniti nel loro valore, dal momento che non rimaneva materiale per costruire di nuovo una trincea giacché, per lungo e per largo nel territorio di Marsiglia, tutti gli alberi erano stati tagliati e portati via, decisero di costruire un terrapieno di nuovo tipo, mai visto prima, con due mura di mattoni di sei piedi di spessore, uniti da un tavolato, quasi della stessa larghezza di quello che era stato costruito con il legname trasportato. Laddove l'intervallo tra i muri o la debolezza del legname sembrano richiederlo, si interpongono dei pilastri, si pongono di traverso travi che possano essere di sostegno e si copre di graticci tutta la travatura, i graticci vengono cosparsi di fango. Al riparo i soldati, protetti a destra e sinistra dal muro e di fronte da una protezione di tavole, portano senza pericolo qualunque materiale serva per la costruzione. Il lavoro viene condotto velocemente; la perdita di un lavoro costato lungo tempo viene in poco tempo sanata dalla velocità e dal valore dei soldati. Vengono lasciate nel muro, là dove pareva opportuno, delle porte per potere fare delle sortite. |
259 | Passer, deliciae meae puellae,quicum ludere, quem in sinu tenere,cui primum digitum dare appetentiet acris solet incitare morsus,cum desiderio meo nitenticarum nescio quid lubet iocariet solaciolum sui doloris,credo ut tum gravis acquiescat ardor:tecum ludere sicut ipsa possemet tristis animi levare curas! | Passero, delizia della mia ragazzacon il quale (suole) giocare, che (suole) tenere in gremboal quale (suole) dare la punta del dito quando l’assalee suole incitare gli acuti morsiquando al mio fulgido desideriopiace fare non so quale caro giocoe un sollievo del suo dolorecredo, affinché allora si acquieti la grande passione:oh potessi io come lui giocare con teed alleviare i tristi affanni dell'animo! |
910 | Eodem die legati ab hostibus missi ad Caesarem de pace venerunt. His Caesar numerum obsidum quem ante imperaverat duplicavit eosque in continentem adduci iussit, quod propinqua die aequinoctii infirmis navibus hiemi navigationem subiciendam non existimabat. Ipse idoneam tempestatem nactus paulo post mediam noctem naves solvit, quae omnes incolumes ad continentem pervenerunt; sed ex iis onerariae duae eosdem portus quos reliquae capere non potuerunt et paulo infra delatae sunt. | Quel giorno stesso a Cesare si presentarono emissari per chiedere pace. Egli raddoppiò il numero di ostaggi chiesti in precedenza e ne ordinò la consegna sul continente, perché non riteneva opportuno affrontare d'inverno la traversata - l'equinozio era vicino - con le navi in cattivo stato. Approfittando di un tempo favorevole, salpò poco dopo la mezzanotte: tutte le navi raggiunsero senza danni il continente; solo due imbarcazioni da carico non riuscirono ad approdare agli stessi porti delle altre e vennero sospinte un po' più a sud. |
658 | Cum esset Caesar in citeriore Gallia [in hibernis], ita uti supra demonstravimus, crebri ad eum rumores adferebantur litterisque item Labieni certior fiebat omnes Belgas, quam tertiam esse Galliae partem dixeramus, contra populum Romanum coniurare obsidesque inter se dare. Coniurandi has esse causas: primum quod vererentur ne, omni pacata Gallia, ad eos exercitus noster adduceretur; deinde quod ab non nullis Gallis sollicitarentur, partim qui, ut Germanos diutius in Gallia versari noluerant, ita populi Romani exercitum hiemare atque inveterascere in Gallia moleste ferebant, partim qui mobilitate et levitate animi novis imperiis studebant; ab non nullis etiam quod in Gallia a potentioribus atque iis qui ad conducendos homines facultates habebant vulgo regna occupabantur; qui minus facile eam rem imperio nostro consequi poterant. | Mentre Cesare era negli accampamenti invernali nella Gallia Citeriore, come sopra abbiamo dimostrato, frequenti arrivavano delle chiacchiere ad egli, ed era informato con lettere da Labieno, che tutti i Belgi, che come abbiamo detto sono la terza parte della Gallia, congiuravano contro il popolo romano e si scambiavano prigionieri. Queste erano le ragione della congiura: la prima poiché temevano che il nostro esercito venisse spinto contro di loro, una volta pacificata tutta la Gallia; quindi, perché erano ispirati da alcuni Galli, che, da una parte, come volevano che i Germani non rimanessero più in Gallia, così mal sopportavano che l'esercito del popolo romano svernasse e si stabilisse in Gallia, e altri di loro per una naturale instabilità desideravano nuovi domini, e non di meno poiché in Gallia i regni erano solitamente occupati, quelli che avevano la possibilità di assoldare più uomini, i quali meno facilmente potevano conseguire il loro obiettivo sotto il nostro comando. |
939 | Ita proelium restitutum est, atque omnes hostes terga verterunt nec prius fugere destiterunt quam ad flumen Rhenum milia passuum ex eo loco circiter L pervenerunt. Ibi perpauci aut viribus confisi tranare contenderunt aut lintribus inventis sibi salutem reppererunt. In his fuit Ariovistus, qui naviculam deligatam ad ripam nactus ea profugit; reliquos omnes consecuti equites nostri interfecerunt. Duae fuerunt Ariovisti uxores, una Sueba natione, quam domo secum eduxerat, altera Norica, regis Voccionis soror, quam in Gallia duxerat a fratre missam: utraque in ea fuga periit; duae filiae: harum altera occisa, altera capta est.C. Valerius Procillus, cum a custodibus in fuga trinis catenis vinctus traheretur, in ipsum Caesarem hostes equitatu insequentem incidit. Quae quidem res Caesari non minorem quam ipsa victoria voluptatem attulit, quod hominem honestissimum provinciae Galliae, suum familiarem et hospitem, ereptum ex manibus hostium sibi restitutum videbat neque eius calamitate de tanta voluptate et gratulatione quicquam fortuna deminuerat. Is se praesente de se ter sortibus consultum dicebat, utrum igni statim necaretur an in aliud tempus reservaretur: sortium beneficio se esse incolumem. Item M. Metius repertus et ad eum reductus est. | Così si riaccese il combattimento, e tutti i nemici volsero le spalle, né cessarono di fuggire prima che giungessero al fiume Reno, circa cinque miglia da quel luogo. Qui pochissimi o fidando nelle forze tentarono di passare a nuoto o, essendo state rinvenute delle barche, trovarono a se stessi salvezza (si misero in salvo). Tra questi fu Ariovisto, il quale, avendo trovato una barchetta legata alla riva, fuggì con quella; i nostri cavalieri, avendo raggiunto tutti gli altri, li uccisero. Ariovisto aveva due mogli, una Sveva di nazione, che aveva condotto con sé dalla patria, l'altra Norica, sorella del Voccione, che, mandata dal fratello, aveva sposato in Gallia: l'una e l'altra perirono in quella fuga. Ebbe due figlie: una di queste fu uccisa, l'altra presa. Gaio Valerio Procillo, mentre, legato con tre catene, era trascinato dai guardiani nella fuga, si imbatté in Cesare stesso, il quale inseguiva i nemici con la cavalleria. Tale cosa certamente arrecò a Cesare piacere non minore che la vittoria stessa, perché vedeva l'uomo, il più onorevole della Provincia di Gallia, suo familiare e ospite, strappato dalle mani dei nemici, restituito a sé, e la fortuna non aveva scemato con la sua sciagura alcunché di tanto piacere e gioia. Egli diceva che era stato deliberato tre volte con i sortilegi riguardo a lui, essendo egli presente, se dovesse essere ucciso subito con il fuoco, o essere riservato ad altro tempo; (diceva che) egli era salvo per beneficio della sorte. Parimenti Marco Mezio fu ritrovato e ricondotto a lui. |
507 | Erat in exercitu Vari Sextus Quintilius Varus, quem fuisse Corfinii supra demonstratum est. Hic dimissus a Caesare in Africam venerat, legionesque eas traduxerat Curio, quas superioribus temporibus Corfinio receperat Caesar, adeo ut paucis mutatis centurionibus eidem ordines manipulique constarent. Hanc nactus appellationis causam Quintilius circuire aciem Curionis atque obsecrare milites coepit, ne primam sacramenti, quod apud Domitium atque apud se quaestorem dixissent, memoriam deponerent, neu contra eos arma ferrent, qui eadem essent usi fortuna eademque in obsidione perpessi, neu pro his pugnarent, a quibus cum contumelia perfugae appellarentur.Huc pauca ad spem largitionis addidit, quae ab sua liberalitate, si se atque Attium secuti essent, exspectare deberent. Hac habita oratione nullam in partem ab exercitu Curionis fit significatio, atque ita suas uterque copias reducit. | Nell'esercito di Varo vi era Sesto Quintilio Varo che, come si è detto sopra, era stato a Corfinio. Costui, lasciato in libertà da Cesare, era venuto in Africa, là dove Curione aveva condotto quelle legioni che Cesare in tempi precedenti aveva ricevuto provenienti da Corfinio, sicché, ad eccezione di pochi centurioni sostituiti, centurie e manipoli erano rimasti gli stessi. Quintilio, colta questa occasione per parlare, incominciò a girare intorno alla schiera di Curione e a scongiurare i soldati di non dimenticare il giuramento fatto a Domizio e a lui quando era questore, e a non portare le armi contro quelli che avevano avuto la medesima Fortuna e, durante l'assedio, avevano sofferto i medesimi mali, e a non combattere in favore di quelli dai quali venivano con disprezzo chiamati disertori. A queste aggiunse poche altre parole per suscitare speranza di premi che dovevano aspettarsi dalla sua liberalità, se avessero seguito lui ed Azzio. Nonostante questo discorso, da parte dell'esercito di Curione non vi fu alcun tipo di reazione e così entrambi i comandanti riconducono nel campo le proprie truppe. |
789 | Interim Milo dimissis circum municipia litteris, se ea, quae faceret, iussu atque imperio facere Pompei, quae mandata ad se per Vibullium delata essent, quos ex acre alieno laborare arbitrabatur, sollicitabat. Apud quos cum proficere nihil posset, quibusdam solutis ergastulis Cosam in agro Thurino oppugnare coepit. Eo cum a Q. Pedio praetore cum legione . . . lapide ictus ex muro periit. Et Caelius profectus, ut dictitabat, ad Caesarem pervenit Thurios.Ubi cum quosdam eius municipii sollicitaret equitibusque Caesaris Gallis atque Hispanis, qui eo praesidii causa missi erant, pecuniam polliceretur, ab his est interfectus. Ita magnarum initia rerum, quae occupatione magistratuum et temporum sollicitam Italiam habebant, celerem et facilem exitum habuerunt. | Libone, partito da Orico alla testa di una flotta di cinquanta navi, giunse a Brindisi e occupò l'isola che si trova di fronte al porto, poiché riteneva preferibile difendere con sorveglianza stretta un solo luogo, per dove era necessario che i nostri passassero, piuttosto che tutti i lidi e i porti. Costui, arrivato all'improvviso, si imbatté in alcune navi da carico che incendiò; ne portò con sé una carica di frumento e cagionò ai nostri grande paura; sbarcati di notte fanti e sagittari, scacciò il presidio di cavalieri e approfittò del favore della posizione a tal punto da mandare una lettera a Pompeo, dicendo che, se voleva, desse l'ordine di tirare in secco le navi per le riparazioni: egli con le sue navi era in grado di impedire che Cesare ricevesse aiuti. |
340 | Erat in Carnutibus summo loco natus Tasgetius, cuius maiores in sua civitate regnum obtinuerant. Huic Caesar pro eius virtute atque in se benevolentia, quod in omnibus bellis singulari eius opera fuerat usus, maiorum locum restituerat. Tertium iam hunc annum regnantem inimici, multis palam ex civitate eius auctoribus, eum interfecerunt. Defertur ea res ad Caesarem. Ille veritus, quod ad plures pertinebat, ne civitas eorum impulsu deficeret, Lucium Plancum cum legione ex Belgio celeriter in Carnutes proficisci iubet ibique hiemare quorumque opera cognoverat Tasgetium interfectum, hos comprehensos ad se mittere.Interim ab omnibus legatis quaestoreque, quibus legiones tradiderat, certior factus est in hiberna perventum locumque hibernis esse munitum. | Tra i Carnuti viveva una persona di nobili natali, Tasgezio, i cui antenati avevano regnato sul paese: Cesare gli aveva restituito il rango degli avi, in considerazione del suo valore e della sua fedeltà, dato che in tutte le guerre Cesare si era avvalso del suo contributo incomparabile. Tasgezio era già al suo terzo anno di regno, quando i suoi oppositori lo eliminarono con una congiura, mentre anche molti cittadini avevano appoggiato apertamente il piano. La cosa viene riferita a Cesare, che, temendo una defezione dei Carnuti sotto la spinta degli oppositori - parecchi erano implicati nella vicenda - ordina a L. Planco di partire al più presto dal Belgio alla testa della sua legione, di raggiungere il territorio dei Carnuti e di passarvi l'inverno: chiunque gli risultasse implicato nell'uccisione di Tasgezio, doveva essere arrestato e inviato a Cesare. Nello stesso tempo, tutti gli ufficiali preposti alle legioni informano Cesare che erano giunti ai quartieri d'inverno e che le fortificazioni erano ormai ultimate. |
442 | Quae Caesar consentientibus pluribus cum cognosset atque ea quae proponerentur consilia plena prudentiae longeque a temeritate barbarorum remota esse iudicaret, omnibus rebus inserviendum statuit, quo celerius hostis contempta sua paucitate prodiret in aciem. Singularis enim virtutis veterrimas legiones VII, VIII, VIIII habebat, summae spei delectaeque iuventutis XI, quae octavo iam stipendio tamen in collatione reliquarum nondum eandem vetustatis ac virtutis ceperat opinionem.Itaque consilio advocato, rebus eis quae ad se essent delatae omnibus eitis animos multitudinis confirmat. Si forte hostes trium legionum numero posset elicere ad dimicandum, agminis ordinem ita constituit, ut legio septima, octava, nona ante omnia irent impedimenta, deinde omnium impedimentorum agmen, quod tamen erat mediocre, ut in expeditionibus esse consuevit, cogeret undecima, ne maioris multitudinis species accidere hostibus posset quam ipsi depoposcissent. Hac ratione paene quadrato agmine instructo in conspectum hostium celerius opinione eorum exercitum adducit. | Quando da diverse e concordi fonti conobbe il piano nemico e giudicò molto accorti i propositi che gli venivano illustrati e ben lontani dalla solita avventatezza dei barbari, decise di sfruttare ogni mezzo per indurre gli avversari a scendere in campo al più presto, per disprezzo dell'esiguità dei suoi effettivi. Aveva con sé, infatti, le legioni più anziane, la settima, l'ottava, la nona, straordinarie per valore, nonché una legione di belle speranze, composta da giovani scelti, l'undicesima, che già da otto anni riceveva la paga, ma, in confronto alle altre, non si era ancora guadagnata la stessa fama di provato valore. Così, convocato il consiglio di guerra, espone tutte le notizie che gli erano state riferite e rafforza il coraggio delle truppe. Per attirare i nemici a battaglia, illudendoli di avere di fronte tre legioni, fissa l'ordine di marcia come segue: la settima, l'ottava e la nona legione dovevano procedere in testa, seguite dalla colonna delle salmerie, poco numerose ovviamente, come succede di solito nelle spedizioni; l'undicesima doveva costituire la coda, per non mostrare ai nemici una consistenza numerica superiore a quanto essi sperassero. Con tale schieramento, formando in pratica il quadrato, arriva con i suoi in vista dei nemici più presto di quanto essi pensassero. |
508 | Ac primo adventu exercitus nostri crebras ex oppido excursiones faciebant parvulisque proeliis cum nostris contendebant; postea vallo pedum XII in circuitu quindecim milium crebrisque castellis circummuniti oppido sese continebant. Ubi vineis actis aggere extructo turrim procul constitui viderunt, primum inridere ex muro atque increpitare vocibus, quod tanta machinatio a tanto spatio institueretur: quibusnam manibus aut quibus viribus praesertim homines tantulae staturae (nam plerumque omnibus Gallis prae magnitudine corporum quorum brevitas nostra contemptui est) tanti oneris turrim in muro sese posse conlocare confiderent? | In un primo tempo, dopo l'arrivo del nostro esercito, gli Atuatuci effettuavano spesso sortite e si misuravano con i nostri in scaramucce di poco conto; in seguito, quando vennero circondati da un vallo di quindici miglia di perimetro con numerose ridotte, si tenevano entro le mura della città. Le vinee erano già state spinte in avanti e il terrapieno costruito; ma, quando videro che stavamo preparando, lontano, una torre, dalle mura incominciarono subito a deriderci e a gridare perché mai un marchingegno così grande veniva costruito a tanta distanza: su quali mani e quale forza i Romani, piccoletti com'erano (tutti i Galli, infatti, per lo più disprezzano la nostra statura a confronto dell'imponenza del loro fisico), facevano conto per avvicinare alle mura una torre così pesante? |
164 | Humana ante oculos foede cum vita iaceretin terris oppressa gravi sub religione,quae caput a caeli regionibus ostendebathorribili super aspectu mortalibus instans,primum Graius homo mortalis tollere contraest oculos ausus primusque obsistere contra;quem neque fama deum nec fulmina nec minitantimurmure compressit caelum, sed eo magis acreminritat animi virtutem, effringere ut artanaturae primus portarum claustra cupiret.ergo vivida vis animi pervicit et extraprocessit longe flammantia moenia mundiatque omne immensum peragravit mente animoque,unde refert nobis victor quid possit oriri,quid nequeat, finita potestas denique cuiquequa nam sit ratione atque alte terminus haerens.quare religio pedibus subiecta vicissimopteritur, nos exaequat victoria caelo. | Giacendo la vita umana in modo ignominioso davanti agli occhisulla terra schiacciata sotto la pesante religione,che mostrava la testa dalle regioni del cielo,incombendo sui mortali con orribile aspetto,per primo un uomo greco osò levare gli occhi mortalicontro (di essa), e per primo levarsi contro;il quale né le voci sugli dèi, né i fulmini, né il cielocon il suo brontolio minaccioso domò, matanto più accese la virtù acuta dell’animo, che desideròinfrangere per primo gli stretti serrami delle porte della natura.E dunque vinse la vivida forza dell’animo, e procedettelontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo,ed errò per tutta l’immensità con l’ingegno e l’animo,da dove, vincitore, riferisce che cosa può nascere,che cosa non può, e infine per quale motivo sia ad ognunoun potere illimitato ed un confine profondamente infisso.Perciò la religione è a sua volta battuta, calpestatacon i piedi, la vittoria ci eleva al cielo. |
623 | His tum cognitis rebus, amici regis, qui propter aetatem eius in procuratione erant regni, sive timore adducti, ut postea praedicabant, sollicitato exercitu regio ne Pompeius Alexandriam Aegyptumque occuparet, sive despecta eius fortuna, ut plerumque in calamitate ex amicis inimici exsistunt, iis, qui erant missi ab eo, palam liberaliter responderunt eumque ad regem venire iusserunt; ipsi, clam consilio inito Achillam, praefectum regium, singulari hominem audacia, et L.Septimium, tribunum militum, miserunt ut Pompeium interficerent. Ab his liberaliter ipse appellatus ,naviculam parvulam conscendit cum paucis suis: ibi ab Achilla et Septimio interficitur.Cesare,Commentari de bello civili, Libro III, CIVTesto latino tratto da:Mariano Bianca Maria, Galloncelli, Teresa, Latine – Esercizi, Marietti Scuola, Torino, 1994 | Allora, dopo aver preso conoscenza di questi fatti, gli amici del re (Tolomeo), che a causa della sua età avevano la reggenza del regno, sia perché presi dal timore, come poi in seguito andavano dicendo,che Pompeo una volta manipolato l’esercito regio occupasse Alessandria e l’Egitto, sia perché disprezzavano il suo destino [il destino di Pompeo], siccome il più delle volte nell’avversa fortuna da amici si diventa nemici, ad essi [agli ambasciatori inviati da Pompeo] che erano stati mandati da lui, risposero apertamente con cortesia e ordinarono loro che egli si presentasse al cospetto del re; comunicato di nascosto lo stratagemma, inviarono Achilla, prefetto regio e uomo dall’audacia fuori del comune e L. Settimio, tribuno militare, affinché uccidessero Pompeo. Chiamatolo cortesemente [in loro cospetto], si imbarcò su di una piccola nave con pochi suoi soldati. Qui fu ucciso da Achilla e da Settimio. |
609 | Quos ubi Afranius procul visos cum Petreio conspexit, nova re perterritus locis superioribus constitit aciemque instruit. Caesar in campis exercitum reficit, ne defessum proelio obiciat; rursus conantes progredi insequitur et moratur. Illi necessario maturius, quam constituerant, castra ponunt. Suberant enim montes, atque a milibus passuum V itinera difficilia atque angusta excipiebant. Hos montes intrasse cupiebant, ut equitatum effugerent Caesaris praesidiisque in angustiis collocatis exercitum itinere prohiberent, ipsi sine periculo ac timore Hiberum copias traducerent.Quod fuit illis conandum atque omni ratione efficiendum; sed totius diei pugna atque itineris labore defessi rem in posterum diem distulerunt. Caesar quoque in proximo colle castra ponit. | Quando Afranio con Petreio li scorse di lontano e li riconobbe, atterrito dalla situazione inaspettata, si fermò nei luoghi più elevati e schierò l'esercito in ordine di battaglia. Cesare lascia riposare l'esercito in pianura per non esporlo stanco al combattimento. Insegue e cerca di trattenere il nemico che tenta di nuovo di riprendere il cammino. I nemici sono costretti ad accamparsi prima di quanto avevano stabilito. Infatti le montagne erano a ridosso e a distanza di cinque miglia li attendevano strade difficili e strette. Desideravano entrare fra questi monti per sfuggire alla cavalleria di Cesare e, dopo avere posto presidi nelle zone più anguste, impedire l'avanzata del suo esercito e potere essi stessi senza pericolo e paura condurre le milizie al di là dell'Ebro. Essi dovevano tentare e portare a termine a ogni costo tale operazione; ma stanchi per il combattimento di tutto il giorno e per la fatica del cammino rimandarono al giorno successivo il progetto. Anche Cesare pone l'accampamento su un colle vicino. |
473 | His nuntiis litterisque commotus Caesar duas legiones in citeriore Gallia novas conscripsit et inita aestate in ulteriorem Galliam qui deduceret Q. Pedium legatum misit. Ipse, cum primum pabuli copia esse inciperet, ad exercitum venit. Dat negotium Senonibus reliquisque Gallis qui finitimi Belgis erant uti ea quae apud eos gerantur cognoscant seque de his rebus certiorem faciant. Hi constanter omnes nuntiaverunt manus cogi, exercitum in unum locum conduci.Tum vero dubitandum non existimavit quin ad eos proficisceretur. Re frumentaria provisa castra movet diebusque circiter XV ad fines Belgarum pervenit. | Le notizie e la lettera di Labieno spinsero Cesare ad arruolare in Gallia cisalpina due nuove legioni, e il legato Q. Pedio, all'inizio dell'estate, ricevette l'incarico di condurle in Gallia transalpina. Cesare stesso raggiunse l'esercito non appena cominciò a esservi foraggio a sufficienza. Ai Senoni e agli altri Galli confinanti con i Belgi diede incarico di informarsi e di comunicargli che cosa i Belgi stessero preparando. Tutti, concordemente, gli riferirono che erano in corso reclutamenti e che le truppe venivano concentrate in un sol luogo. Solo allora Cesare ritenne che non c'era da esitare a muovere contro di loro. Preparate le scorte di grano, toglie le tende e in circa quindici giorni giunge nella regione dei Belgi. |
512 | Hae permanserunt aquae dies complures. Conatus est Caesar reficere pontes; sed nec magnitudo fluminis permittebat, neque ad ripam dispositae cohortes adversariorum perfici patiebantur. Quod illis prohibere erat facile cum ipsius fluminis natura atque aquae magnitudine, tum quod ex totis ripis in unum atque angustum locum tela iaciebantur; atque erat difficile eodem tempore rapidissimo flumine opera perficere et tela vitare. | Questa piena durò parecchi giorni. Cesare tentò di ricostruire i ponti, ma la piena del fiume non lo permetteva e le coorti nemiche disposte lungo la riva ostacolavano il completamento dei lavori. Era loro facile essere d'ostacolo sia per la configurazione dello stesso fiume e per la altezza delle acque sia perché da tutte le rive venivano scagliati dardi in un solo posto e per di più angusto. Risultava difficile portare a termine i lavori sul fiume in rapida e contemporaneamente evitare i dardi. |
407 | Quorum omnis postea multitudo aquatorum unum in locum conveniebat sub ipsius oppidi murum, ubi magnus fons aquae prorumpebat ab ea parte, quae fere pedum CCC intervallo fluminis circuitu vacabat. Hoc fonte prohiberi posse oppidanos cum optarent reliqui, Caesar unus videret, e regione eius vineas agere adversus montem et aggerem instruere coepit magno cum labore et continua dimicatione. Oppidani enim loco superiore decurrunt et eminus sine periculo proeliantur multosque pertinaciter succedentes vulnerant; non deterrentur tamen milites nostri vineas proferre et labore atque operibus locorum vincere difficultates.Eodem tempore cuniculos tectos ab vineis agunt ad caput fontis; quod genus operis sine ullo periculo, sine suspicione hostium facere licebat. Exstruitur agger in altitudinem pedum sexaginta, collocatur in eo turris decem tabulatorum, non quidem quae moenibus aequaret (id enim nullis operibus effici poterat), sed quae superare fontis fastigium posset. Ex ea cum tela tormentis iacerentur ad fontis aditum, nec sine periculo possent aquari oppidani, non tantum pecora atque iumenta, sed etiam magna hostium multitudo siti consumebatur. | Allora tutta la gente della città scese a prendere l'acqua in un solo luogo, proprio ai piedi delle mura, dove sgorgava una grande fonte, in corrispondenza della zona in cui, per un intervallo di circa trecento piedi, il fiume non chiudeva il suo anello intorno al monte. Tutti avrebbero voluto impedire agli assediati di avvicinarsi alla fonte, ma solo Cesare ne vide il modo: proprio dirimpetto cominciò a spingere le vinee sulle falde del monte e a costruire un terrapieno, a prezzo di grandi fatiche e continui scontri. Gli assediati, infatti, correvano giù dalle loro posizioni dominanti e dall'alto combattevano senza rischi e colpivano molti dei nostri che continuavano ad avanzare con tenacia; i nostri soldati, comunque, non si lasciano distogliere dal sospingere le vinee e dal superare le difficoltà del terreno con faticosi lavori. Al contempo, scavano gallerie sotterranee verso le vene e l'alveo della sorgente, un'operazione che si poteva effettuare senza alcun rischio. né sospetto da parte dei nemici. Viene costruito un terrapieno alto sessanta piedi, su cui è posta una torre di dieci piani, che doveva non tanto raggiungere l'altezza delle mura (un risultato impossibile con qualsiasi tipo di costruzione), quanto sovrastare il luogo dove nasceva la sorgente. Dalla torre le macchine da lancio scagliavano dardi verso l'accesso alla fonte e gli abitanti non potevano rifornirsi senza pericolo. Così, non solo il bestiame e i giumenti soffrivano la sete, ma anche la grande massa dei nemici. |
1,006 | Caesar ex eo loco quintis castris Gergoviam pervenit equestrique eo die proelio levi facto perspecto urbis situ, quae posita in altissimo monte omnes aditus difficiles habebat, de expugnatione desperavit, de obsessione non prius agendum constituit, quam rem frumentariam expedisset. At Vercingetorix castris, prope oppidum positis, mediocribus circum se intervallis separatim singularum civitatium copias collocaverat atque omnibus eius iugi collibus occupatis, qua despici poterat, horribilem speciem praebebat; principesque earum civitatium, quos sibi ad consilium capiendum delegerat, prima luce cotidie ad se convenire iubebat, seu quid communicandum, seu quid administrandum videretur; neque ullum fere diem intermittebat quin equestri proelio interiectis sagittariis, quid in quoque esset animi ac virtutis suorum perspiceret.Erat e regione oppidi collis sub ipsis radicibus montis, egregie munitus atque ex omni parte circumcisus; quem si tenerent nostri, et aquae magna parte et pabulatione libera prohibituri hostes videbantur. Sed is locus praesidio ab his non nimis firmo tenebatur. Tamen silentio noctis Caesar ex castris egressus, priusquam subsidio ex oppido veniri posset, deiecto praesidio potitus loco duas ibi legiones collocavit fossamque duplicem duodenum pedum a maioribus castris ad minora perduxit, ut tuto ab repentino hostium incursu etiam singuli commeare possent. | Da lì Cesare raggiunse Gergovia in cinque tappe. Quel giorno stesso, dopo una scaramuccia di cavalleria, studiò la posizione della città, che si ergeva su un monte altissimo ed era di difficile accesso. Disperando di poterla prendere d'assalto, decise di non stringerla d'assedio prima di aver pensato alle scorte di grano. Vercingetorige, invece, aveva stabilito il campo nei pressi della città sul fianco del monte, disponendo tutt'attorno, a breve intervallo, le truppe dei vari popoli, distinte. Aveva occupato, per quanto si poteva vedere, tutte le cime del monte e offriva uno spettacolo raccapricciante. I capi delle varie genti, da lui scelti come consiglieri, avevano il compito di presentarsi quotidianamente, all'alba, per eventuali comunicazioni o consegne. E non lasciava passare giorno, o quasi, senza attaccar battaglia con la cavalleria e gli arcieri in mezzo a essa, per misurare il coraggio e il valore di ciascuno dei suoi. Di fronte alla città, proprio ai piedi del monte, sorgeva un colle ben munito, con tutti i lati a strapiombo. Se i nostri l'avessero preso, avrebbero sottratto ai nemici, così almeno sembrava, la maggior parte delle fonti d'acqua e la possibilità di foraggiarsi liberamente. Ma il colle era tenuto da una salda guarnigione nemica. Tuttavia, Cesare uscì dal campo nel silenzio della notte e, prima che dalla città potessero giungere rinforzi, mise in fuga il presidio nemico e occupò il colle. Vi alloggiò due legioni e scavò una coppia di fosse parallele, larghe dodici piedi, che collegavano l'accampamento maggiore con il minore: così, anche singoli uomini avrebbero potuto spostarsi dall'uno all'altro al sicuro da improvvisi attacchi nemici. |
983 | Caesar paucos dies in Asia moratus, cum audisset Pompeium Cypri visum, coniectans eum in Aegyptum iter habere propter necessitudines regni reliquasque eius loci opportunitates cum legione una, quam se ex Thessalia sequi iusserat, et altera, quam ex Achaia a Q. Fufio legato evocaverat, equitibusque DCCC et navibus longis Rhodiis X et Asiaticis paucis Alexandriam pervenit. In his erant legionibus hominum milia tria CC; reliqui vulneribus ex proeliis et labore ac magnitudine itineris confecti consequi non potuerant.Sed Caesar confisus fama rerum gestarum infirmis auxiliis proficisci non dubitaverat, aeque omnem sibi locum tutum fore existimans. Alexandriae de Pompei morte cognoscit atque ibi primum e nave egrediens clamorem militum audit, quos rex in oppido praesidii causa reliquerat, et concursum ad se fieri videt, quod fasces anteferrentur. In hoc omnis multitudo maiestatem regiam minui praedicabat. Hoc sedato tumultu crebrae continuis diebus ex concursu multitudinis concitationes fiebant, compluresque milites huius urbis omnibus partibus interficiebantur. | Cesare, trattenutosi pochi giorni in Asia, avendo udito che Pompeo era stato visto a Cipro, congetturando che si dirigesse in Egitto, date le sue relazioni con questo regno e per le comodità che esso offriva, con una legione alla quale aveva dato ordine di seguirlo dalla Tessaglia, e con un'altra che aveva fatto condurre dall'Acaia dal luogotenente Q. Fufio, con ottocento cavalieri e con dieci navi da guerra di Rodi e poche altre dell'Asia, giunse ad Alessandria. Queste legioni erano formate da tremiladuecento soldati; gli altri, fiaccati dalle ferite sofferte nelle battaglie e dalla fatica e dalla lunghezza del viaggio, non poterono seguirlo. Ma Cesare, confidando nella fama delle imprese compiute, non aveva esitato a partire sia pure con poche forze, giudicando che ogni luogo sarebbe risultato ugualmente sicuro. Ad Alessandria venne a sapere della morte di Pompeo e qui, appena sceso dalla nave, udì le grida dei soldati che il re aveva lasciato di presidio nella città, e vide che una moltitudine di gente gli veniva incontro ostilmente, poiché i fasci lo precedevano. Tutta la gente andava dicendo che la regia maestà veniva lesa da tale fatto. Sedato questo tumulto, nei giorni seguenti vi furono numerose sedizioni originate da assembramenti di persone e parecchi soldati furono uccisi per le strade, in ogni parte della città. |
1,008 | Caesar hac oratione Lisci Dumnorigem, Divitiaci fratrem, designari sentiebat, sed, quod pluribus praesentibus eas res iactari nolebat, celeriter concilium dimittit, Liscum retinet. Quaerit ex solo ea, quae in conventu dixerat. Dicit liberius atque audacius. Eadem secreto ab aliis quaerit; reperit esse vera: ipsum esse Dumnorigem, summa audacia, magna apud plebem propter liberalitatem gratia, cupidum rerum novarum. Complures annos portoria reliquaque omnia Aeduorum vectigalia parvo pretio redempta habere, propterea quod illo licente contra liceri audeat nemo.His rebus et suam rem familiarem auxisse et facultates ad largiendum magnas comparasse; magnum numerum equitatus suo sumptu semper alere et circum se habere, neque solum domi, sed etiam apud finitimas civitates largiter posse, atque huius potentiae causa matrem in Biturigibus homini illic nobilissimo ac potentissimo conlocasse; ipsum ex Helvetiis uxorem habere, sororem ex matre et propinquas suas nuptum in alias civitates conlocasse. Favere et cupere Helvetiis propter eam affinitatem, odisse etiam suo nomine Caesarem et Romanos, quod eorum adventu potentia eius deminuta et Divitiacus frater in antiquum locum gratiae atque honoris sit restitutus. Si quid accidat Romanis, summam in spem per Helvetios regni obtinendi venire; imperio populi Romani non modo de regno, sed etiam de ea, quam habeat gratia desperare. Reperiebat etiam in quaerendo Caesar, quod proelium equestre adversum paucis ante diebus esset factum, initium eius fugae factum a Dumnorige atque eius equitibus (nam equitatui, quem auxilio Caesari Aedui miserant, Dumnorix praerat): eorum fuga reliquum esse equitatum perterritum. | Cesare capiva che Dumnorige, fratello di Diviziaco, era indicato da questo discorso di Lisco, ma, perché non voleva che tali cose fossero discusse, essendo molti presenti, scioglie prontamente l’adunanza, trattiene Lisco. Domanda a (lui) solo quelle cose che aveva detto nell’adunanza. (Lisco) parla più liberamente e con maggiore coraggio. Domanda le stesse cose ad altri separatamente; trova che sono vere, che era Dumnorige appunto, (uomo) di audacia grandissima, in gran favore presso la plebe a causa della sua liberalità, desideroso di mutamenti politici. Che aveva in appalto a piccolo prezzo per molti anni i diritti doganali e tutte le altre entrate degli Edui, perché quando egli concorreva all’asta nessuno osava andargli contro. Che con queste cose e aveva accresciuto il suo patrimonio e si era procacciato grandi mezzi per elargizioni; che sempre manteneva a sue spese e aveva intorno a sé gran numero di cavalieri, né solamente aveva grande potere in patria, ma anche presso i popoli confinanti, e che per accrescere questa potenza aveva collocato la madre tra i Biturigi con un uomo là nobilissimo e potentissimo, che egli stesso aveva una moglie dagli Elvezi, che aveva collocato in matrimonio presso altri paesi una sorella per parte di madre e (altre) sue congiunte. Che favoriva e desiderava l'intervento degli Elvezi a causa di quella parentela, (e che) odiava Cesare e i Romani anche personalmente, perché con la loro venuta la sua potenza era stata diminuita e il fratello Diviziaco rimesso nell’antica posizione di autorevolezza e di onore. Che se qualche cosa accadesse ai Romani, veniva grandissima speranza di ottenere il regno per mezzo degli Elvezi; sotto il dominio del popolo romano non solo disperava del regno, ma anche di quell'autorità che possedeva. Cesare veniva a sapere anche nell’interrogare che nello scontro di cavalleria sfavorevole che era accaduto pochi giorni prima, il principio di quella fuga era stato fatto da Dumnorige e dai suoi cavalieri (infatti, Dumnorige comandava la cavalleria che gli Edui avevano mandato in aiuto a Cesare): la restante cavalleria era stata spaventata dalla fuga di quelli. |
854 | His datis mandatis Brundisium cum legionibus VI pervenit, veteranis III et reliquis, quas ex novo dilectu confecerat atque in itinere compleverat; Domitianas enim cohortes protinus a Corfinio in Siciliam miserat. Reperit consules Dyrrachium profectos cum magna parte exercitus, Pompeium remanere Brundisii cum cohortibus viginti; neque certum inveniri poterat, obtinendine Brundisii causa ibi remansisset, quo facilius omne Hadriaticum mare ex ultimis Italiae partibus regionibusque Graeciae in potestate haberet atque ex utraque parte bellum administrare posset, an inopia navium ibi restitisset, veritusque ne ille Italiam dimittendam non existimaret, exitus administrationesque Brundisini portus impedire instituit.Quorum operum haec erat ratio. Qua fauces erant angustissimae portus, moles atque aggerem ab utraque parte litoris iaciebat, quod his locis erat vadosum mare. Longius progressus, cum agger altiore aqua contineri non posset, rates duplices quoquo versus pedum XXX e regione molis collocabat. Has quaternis ancoris ex IIII angulis destinabat, ne fluctibus moverentur. His perfectis collocatisque alias deinceps pari magnitudine rates iungebat. Has terra atque aggere integebat, ne aditus atque incursus ad defendendum impediretur. A fronte atque ab utroque latere cratibus ac pluteis protegebat; in quarta quaque earum turres binorum tabulatorum excitabat, quo commodius ab impetu navium incendiisque defenderet. | Inviate queste proposte, Cesare giunse a Brindisi con sei legioni, tre di veterani e le altre formate dalle nuove leve e completate durante la marcia; infatti aveva subito mandato da Corfinio in Sicilia le coorti di Domizio. Venne a conoscenza che i consoli erano partiti con gran parte dell'esercito alla volta di Durazzo e che Pompeo era a Brindisi con venti coorti; ma non aveva potuto sapere con sicurezza se Pompeo era rimasto per mantenere in suo possesso Brindisi, per avere con più facilità il controllo di tutto il mare Adriatico, a partire dalle estreme parti dell'Italia e dai territori della Grecia, ed essere in grado di condurre la guerra dai due fronti, o se qui si era fermato per carenza di navi; Cesare, nel timore che Pompeo non avesse intenzione di lasciare l'Italia, stabilì di bloccare ogni via d'uscita e il libero uso del porto di Brindisi. Questo era il piano dell'operazione. Dall'una e dall'altra estremità del litorale, nel punto in cui l'imboccatura del porto era più stretta, faceva innalzare un molo e un argine, perché il mare in quel tratto era poco profondo. Man mano che ci si allontanava da quei due punti, non potendo essere costruito un terrapieno per la maggiore profondità dell'acqua, faceva collocare, in continuazione della diga, coppie di zattere della larghezza di trenta piedi per lato. Le faceva fissare con quattro ancore, una da ciascun lato, perché non venissero spostate dai flutti. Una volta completate e messe al loro posto queste zattere, ne faceva successivamente aggiungere altre di pari grandezza. Le faceva riempire di terra e di altro materiale, affinché fosse possibile passarvi sopra e accorrere alla difesa; faceva proteggere la parte frontale ed entrambi i fianchi con graticci e palizzate; sopra ogni quarta zattera faceva innalzare una torre di due piani per una migliore difesa contro l'abbordaggio e gli incendi. |
535 | Caesar Pompeianis ex fuga intra vallum compulsis nullum spatium perterritis dari oportere existimans milites cohortatus est, ut beneficio fortunae uterentur castraque oppugnarent. Qui, etsi magno aestu fatigati (nam ad meridiem res erat perducta), tamen ad omnem laborem animo parati imperio paruerunt. Castra a cohortibus, quae ibi praesidio erant relictae, industrie defendebantur, multo etiam acrius a Thracibus barbarisque auxiliis. Nam qui acie refugerant milites, et animo perterriti et lassitudine confecti, missis plerique armis signisque militaribus, magis de reliqua fuga quam de castrorum defensione cogitabant.Neque vero diutius, qui in vallo constiterant, multitudinem telorum sustinere potuerunt, sed confecti vulneribus locum reliquerunt, protinusque omnes ducibus usi centurionibus tribunisque militum in altissimos montes, qui ad castra pertinebant, confugerunt. | Cesare, respinti dentro il vallo i Pompeiani in fuga, stimando non opportuno lasciare tregua ad essi in preda al terrore, esortò i soldati a sfruttare il favore della Fortuna, assalendo l'accampamento. Ed essi, sebbene affaticati dal grande caldo (infatti la battaglia si era protratta fino a mezzogiorno), tuttavia disposti a ogni fatica obbedirono al comando. L'accampamento era difeso con zelo dalle coorti che qui erano state lasciate di presidio, ma molto più strenuamente dai Traci e dalle truppe ausiliarie barbare. Infatti i soldati che, provenienti dalla battaglia, qui si erano rifugiati, atterriti e sfiniti dalla stanchezza, per lo più senza armi e insegne militari, pensavano più a riprendere la fuga che a difendere il campo. E anche quelli che si erano fermati dentro il vallo non furono in grado di sostenere troppo a lungo la fitta pioggia di dardi, ma prostrati dalle ferite abbandonarono la posizione e tutti subito, con a capo centurioni e tribuni militari, si rifugiarono sulle vette dei monti vicini all'accampamento. |
417 | Ea re constituta, secunda vigilia magno cum, strepitu ac tumultu castris egressi nullo certo ordine neque imperio, cum sibi quisque primum itineris locum peteret et domum pervenire properaret, fecerunt ut consimilis fugae profectio videretur. Hac re statim Caesar per speculatores cognita insidias veritus, quod qua de causa discederent nondum perspexerat, exercitum equitatumque castris continuit. Prima luce, confirmata re ab exploratoribus, omnem equitatum, qui novissimum agmen moraretur, praemisit.His Q. Pedium et L. Aurunculeium Cottam legatos praefecit; T. Labienum legatum cum legionibus tribus subsequi iussit. Hi novissimos adorti et multa milia passuum prosecuti magnam multitudinem eorum fugientium conciderunt, cum ab extremo agmine, ad quos ventum erat, consisterent fortiterque impetum nostrorum militum sustinerent, priores, quod abesse a periculo viderentur neque ulla necessitate neque imperio continerentur, exaudito clamore perturbatis ordinibus omnes in fuga sibi praesidium ponerent. Ita sine ullo periculo tantam eorum multitudinem nostri interfecerunt quantum fuit diei spatium; sub occasum solis sequi destiterunt seque in castra, ut erat imperatum, receperunt. | Presa la decisione, prima di mezzanotte i Belgi lasciarono l'accampamento con grande strepito e tumulto, senza seguire ordini precisi o comandanti. Ognuno voleva raggiungere la testa della colonna e si affrettava a rientrare in patria, tanto che la loro partenza sembrava piuttosto una fuga. Gli osservatori riferirono immediatamente il fatto a Cesare, ma egli, temendo una trappola, poiché non aveva ancora capito il motivo della loro partenza, trattenne l'esercito e la cavalleria nell'accampamento. All'alba, quando gli esploratori confermarono la notizia, Cesare mandò in avanti tutta la cavalleria agli ordini dei legati Q. Pedio e L. Aurunculeio Cotta, col compito di ostacolare la retroguardia nemica. Ordinò al legato T. Labieno di seguirli con tre legioni. I soldati romani assalirono la retroguardia avversaria e protrassero l'inseguimento per molte miglia, facendo strage dei Belgi in fuga. Gli ultimi della colonna nemica, raggiunti, si fermarono e ressero con vigore all'urto dei nostri; i primi, invece, ritenendosi fuori pericolo e non essendo trattenuti né dalla necessità, né da comandanti, non appena udirono i clamori della battaglia, ruppero l'ordine di marcia e si diedero tutti alla fuga, cercando di salvarsi. Così, senza correre alcun pericolo, i nostri uccisero tanti nemici, quanti ne consentì la durata del giorno. Al tramonto posero fine al loro inseguimento e, secondo gli ordini ricevuti, rientrarono all'accampamento. |
579 | Erat multo inferior numero navium Brutus; sed electos ex omnibus legionibus fortissimos viros, antesignanos, centuriones, Caesar ei classi attribuerat, qui sibi id muneris depoposcerant. Hi manus ferreas atque harpagones paraverant magnoque numero pilorum, tragularum reliquorumque telorum se instruxerant. Ita cognito hostium adventu suas naves ex portu educunt, cum Massiliensibus confligunt. Pugnatum est utrimque fortissime atque acerrime; neque multum Albici nostris virtute cedebant, homines asperi et montani, exercitati in armis; atque hi modo digressi a Massiliensibus recentem eorum pollicitationem animis continebant, pastoresque Domitii spe libertatis excitati sub oculis domini suam probare operam studebant. | Bruto si trovava in grande inferiorità per il numero di navi, ma Cesare aveva assegnato alla sua flotta uomini valorosissimi scelti fra tutte le legioni, alfieri e centurioni che avevano fatto richiesta di tale incarico. Costoro avevano preparato ramponi e raffi di ferro e si erano armati con un gran numero di giavellotti, aste e armi di altro tipo. Così, venuti a conoscenza dell'arrivo dei nemici, traggono fuori dal porto le loro navi e attaccano battaglia con i Marsigliesi. Da entrambe le parti si combatté con grande coraggio e accanimento; e gli Albici, fieri montanari abituati alle armi, non erano molto inferiori ai nostri per valore. Costoro da poco tempo si erano separati dai Marsigliesi e conservavano nel cuore le loro recenti promesse, e i pastori di Domizio, eccitati dalla speranza di libertà, si sforzavano di dare prova del loro valore sotto gli occhi del padrone. |
324 | Eodem fere tempore P. Crassus, cum in Aquitaniam pervenisset, quae [pars], ut ante dictum est, [et regionum latitudine et multitudine hominum] tertia pars Galliae est [aestimanda], cum intellegeret in iis locis sibi bellum gerendum ubi paucis ante annis L. Valerius Praeconinus legatus exercitu pulso interfectus esset atque unde L. Manlius proconsul impedimentis amissis profugisset, non mediocrem sibi diligentiam adhibendam intellegebat. Itaque re frumentaria provisa, auxiliis equitatuque comparato, multis praeterea viris fortibus Tolosa et Carcasone et Narbone, quae sunt civitates Galliae provinciae finitimae, ex his regionibus nominatim evocatis, in Sotiatium fines exercitum introduxit.Cuius adventu cognito Sotiates magnis copiis coactis, equitatuque, quo plurimum valebant, in itinere agmen nostrum adorti primum equestre proelium commiserunt, deinde equitatu suo pulso atque insequentibus nostris subito pedestres copias, quas in convalle in insidiis conlocaverant, ostenderunt. Hi nostros disiectos adorti proelium renovarunt. | All'incirca nello stesso tempo P. Crasso giunse in Aquitania, regione che, come si è visto, deve essere considerata, per estensione e per numero di abitanti, una delle tre parti della Gallia. Crasso, conscio di dover affrontare un conflitto nella regione dove, pochi anni prima, era stato ucciso il legato L. Valerio Preconino e sconfitto il suo esercito e da dove aveva cercato scampo il proconsole L. Manlio, dopo aver perduto le salmerie, si rendeva conto di dover operare con non poca attenzione. Perciò, provvide alle scorte di grano, si procurò contingenti ausiliari e cavalleria, arruolò molti soldati valorosi chiamati individualmente da Tolosa e Narbona, città della limitrofa provincia romana, dopodiché penetrò nella regione dei Soziati. Saputo del suo arrivo, i Soziati, dopo aver radunato ingenti truppe di fanteria e la cavalleria, che costituiva il loro punto di forza, attaccarono il nostro esercito in marcia. Si scontrarono subito le due cavallerie: la loro venne messa in fuga e la nostra si lanciò all'inseguimento. Allora i nemici all'improvviso dispiegarono la fanteria, che avevano piazzato in un vallone per tendere un'imboscata. Si gettarono addosso ai nostri che si erano disuniti e riaccesero la mischia. |
607 | Loci natura erat haec, quem locum nostri castris delegerant. Collis ab summo aequaliter declivis ad flumen Sabim, quod supra nominavimus, vergebat. Ab eo flumine pari acclivitate collis nascebatur adversus huic et contrarius, passus circiter CC infimus apertus, ab superiore parte silvestris, ut non facile introrsus perspici posset. Intra eas silvas hostes in occulto sese continebant; in aperto loco secundum flumen paucae stationes equitum videbantur.Fluminis erat altitudo pedum circiter trium. | La conformazione naturale del luogo, scelto dai nostri per l'accampamento, era la seguente: un colle, che digradava in modo uniforme, scendeva fino alla Sambre, fiume di cui abbiamo già fatto cenno. Sulla riva opposta, proprio di fronte, sorgeva un altro colle che aveva identica pendenza: in basso, per un tratto di circa duecento passi, era brullo, mentre sulla cima aveva fitti boschi, impenetrabili alla vista. Qui i nemici si tenevano nascosti; nella zona senza vegetazione, lungo il fiume, si vedevano poche squadre di cavalleria. La profondità del fiume era di circa tre piedi. |
218 | Cui dono lepidum novum libellumarida modo pumice expolitum?Corneli, tibi: namque tu solebasmeas esse aliquid putare nugasiam tum, cum ausus es unus Italorumomne aevum tribus explicare cartisdoctis, Iuppiter, et laboriosis.quare habe tibi quidquid hoc libelliqualecumque; quod, o patrona virgo,plus uno maneat perenne saeclo. | A chi dono questo elegante nuovo librettolevigato or ora con l’arida pomice?Cornelio, a te: e infatti tu solevipensare che le mie cosucce valessero qualcosa,già allora quando osasti, unico tra gli Italici,raccontare tutta la storia in tre libri,dotti, per Giove, e faticosi.Perciò eccoti questo libretto, qualunque esso siae qualunque sia il suo valore: e questo, o vergine patrona,possa durare perenne per più di una generazione. |
398 | Aetolia, Acarnania, Amphilochis per Cassium Longinum et Calvisium Sabinum, ut demonstravimus, receptis temptandam sibi Achaiam ac paulo longius progrediendum existimabat Caesar. Itaque eo Calenum misit eique Sabinum et Cassium cum cohortibus adiungit. Quorum cognito adventu Rutilius Lupus, qui Achaiam missus a Pompeio obtinebat, Isthmum praemunire instituit, ut Achaia Fufium prohiberet. Calenus Delphos, Thebas, Orchomenum voluntate ipsarum civitatium recepit, nonnullas urbes per vim expugnavit, reliquas civitates circummissis legationibus amicitia Caesari conciliare studebat.In his rebus fere erat Fufius occupatus. | Una volta ricevute in sottomissione l'Etolia, l'Acarnania e l'Anfilochia, grazie, come abbiamo detto, a Cassio Longino e Calvisio Sabino, Cesare ritenne opportuno attaccare l'Acaia e procedere un poco oltre. E così mandò colà Q. Caleno insieme a Salino e Cassio con le loro coorti. Alla notizia del loro arrivo Rutilio Lupo, che era stato mandato da Pompeo a governare l'Acaia, diede ordine di fortificare l'istmo per tenere Fufio lontano dall'Acaia. Caleno ottenne la sottomissione spontanea di Delfi, Tebe e Orcomeno; prese alcune città con la forza, si adoperò, mediante l'invio di ambasciatori, per portare le altre a un accordo con Cesare. Queste attività assorbivano quasi completamente Fufio. |
517 | Sabinus quos in praesentia tribunos militum circum se habebat et primorum ordinum centuriones se sequi iubet et, cum propius Ambiorigem accessisset, iussus arma abicere imperatum facit suisque ut idem faciant imperat. Interim, dum de condicionibus inter se agunt longiorque consulto ab Ambiorige instituitur sermo, paulatim circumventus interficitur. Tum vero suo more victoriam conclamant atque ululatum tollunt impetuque in nostros facto ordines perturbant.Ibi Lucius Cotta pugnans interficitur cum maxima parte militum. Reliqui se in castra recipiunt unde erant egressi. Ex quibus Lucius Petrosidius aquilifer, cum magna multitudine hostium premeretur, aquilam intra vallum proiecit; ipse pro castris fortissime pugnans occiditur. Illi aegre ad noctem oppugnationem sustinent; noctu ad unum omnes desperata salute se ipsi interficiunt. Pauci ex proelio lapsi incertis itineribus per silvas ad Titum Labienum legatum in hiberna perveniunt atque eum de rebus gestis certiorem faciunt. | Ai tribuni militari che, al momento, aveva intorno a sé e ai centurioni più alti in grado, Sabino dà ordine di seguirlo. Essendosi avvicinato ad Ambiorige, gli viene ingiunto di gettare le armi: esegue l'ordine e comanda ai suoi di fare altrettanto. E mentre trattavano delle condizioni di resa e Ambiorige, di proposito, tirava in lungo il suo discorso, a poco a poco Sabino viene circondato e ucciso. A quel punto, com'è loro costume, i nemici levano alte grida di vittoria, si lanciano all'assalto, scompaginano i ranghi dei nostri. L. Cotta cade combattendo sul posto, come la maggior parte dei nostri. Gli altri si rifugiano nell'accampamento da cui erano partiti. Tra di essi, L. Petrosidio, aquilifero, attaccato da molti avversari, gettò l'aquila all'interno del vallo e cadde battendosi da vero eroe dinanzi all'accampamento. I nostri, a malapena, riescono a reggere agli attacchi nemici fino al calar delle tenebre; di notte, senza più speranze di salvezza, si tolgono la vita tutti, sino all'ultimo. I pochi superstiti raggiungono, per vie malsicure tra le selve, il campo del legato T. Labieno e lo informano dell'accaduto. |
631 | Erat occasio bene gerendae rei. Neque vero id Caesarem fugiebat, tanto sub oculis accepto detrimento perterritum exercitum sustinere non posse, praesertim circumdatum undique equitatu, cum in loco aequo atque aperto confligeretur; idque ex omnibus partibus ab eo flagitabatur. Concurrebant legati, centuriones tribunique militum: ne dubitaret proelium committere; omnium esse militum paratissimos animos. Afranianos contra multis rebus sui timoris signa misisse: quod suis non subvenissent, quod de colle non decederent, quod vix equitum incursus sustinerent collatisque in unum locum signis conferti neque ordines neque signa servarent.Quod si iniquitatem loci timeret, datum iri tamen aliquo loco pugnandi facultatem, quod certe inde decedendum esset Afranio nec sine aqua permanere posset. | Era il momento di sfruttare l'occasione. Non sfuggiva a Cesare che, dopo aver assistito ad un simile disastro, l'esercito avversario, profondamente turbato, non avrebbe potuto resistere, specialmente circondato com'era dalla cavalleria, quando si combattesse su un terreno libero e pianeggiante; ed era questo che gli si chiedeva da ogni parte. I legati, i centurioni, i tribuni militari, accorrevano tutti insieme: non doveva esitare ad attaccare battaglia. I soldati si trovavano nella migliore disposizione d'animo. Gli afraniani, invece, avevano dato più di un segno di timore: non si erano mossi in aiuto dei loro, non si muovevano dal colle, resistevano appena agli attacchi della cavalleria e, ammassate le insegne in un sol punto, stretti gli uni agli altri, non rispettavano più lo schieramento degli ordini e delle coorti. Se era lo svantaggio della posizione a preoccuparlo, si sarebbe pur presentata l'occasione di combattere in qualche posto, perché Afranio doveva pur scendere di là, non potendo rimanere a lungo senz'acqua. |
105 | Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas, alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentisconcelebras, per te quoniam genus omne animantum concipitur visitque exortum lumina solis: te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeliadventumque tuum, tibi suavis daedala tellus summittit flores, tibi rident aequora ponti placatumque nitet diffuso lumine caelum.nam simul ac species patefactast verna diei et reserata viget genitabilis aura favoni, aëriae primum volucris te, diva, tuumque significant initum perculsae corda tua vi.inde ferae pecudes persultant pabula laeta et rapidos tranant amnis: ita capta leporete sequitur cupide quo quamque inducere pergis. denique per maria ac montis fluviosque rapacis frondiferasque domos avium camposque virentis omnibus incutiens blandum per pectora amorem efficis ut cupide generatim saecla propagent. quae quoniam rerum naturam sola gubernas nec sine te quicquam dias in luminis oras exoritur neque fit laetum neque amabile quicquam, te sociam studeo scribendis versibus esse, quos ego de rerum natura pangere conor Memmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omni omnibus ornatum voluisti excellere rebus. quo magis aeternum da dictis, diva, leporem.effice ut interea fera moenera militiai per maria ac terras omnis sopita quiescant; nam tu sola potes tranquilla pace iuvare mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se reiicit aeterno devictus vulnere amoris, atque ita suspiciens tereti cervice reposta pascit amore avidos inhians in te, dea, visus eque tuo pendet resupini spiritus ore. hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sancto circum fusa super, suavis ex ore loquellasfunde petens placidam Romanis, incluta, pacem; nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo possumus aequo animo nec Memmi clara propago talibus in rebus communi desse saluti. | O madre, tu, degli Eneadi, o Venere alma, delizia degli uomini e degli dei, tu che vivifichi sotto gli astri scorrenti del cielo il mar che porta le navi, le terre che dàn le messi: si genera ogni famiglia per tè degli esseri, e nata vede la luce del giorno; giungi, e ti fuggono i venti, o dea, ti fuggon le nuvole, a tè produce i soavi fiori la terra ubertosa, sorride a tè la distesa del mare, e brilla di un largo chiarore il cielo tranquillo: e non appena la bella stagione di primavera si apre, e ridestosi l'alito fecondatore di zefiro si avviva, prima gli uccelli dell'aria, tocchi nel cuore dal tuo potere, t'annunziano, annunziano il tuo ritorno, o diva; quindi le greggi indome saltan pei lieti pascoli e guadano i rapidi fiumi; così, soggiogato dalla tua grazia, bramosamente ciascuno ti segue dove ti piaccia condurlo. E per i mari ed i monti e le rapaci fiumane e le verdeggianti campagne e degli uccelli per entro le frondeggianti dimore, nel cuore a tutti infondendo la voluttà carezzevole, fai che ogni specie propaghi bramosamente la vita: poiché tu sola governi il cosmo, e senza di tè cosa non v'è che si affacci alle celesti riviere del giorno, e nulla di lieto, nulla sussiste d'amabile, ispiratrice ti invoco ai versi che per il nostro Memmio mi accingo a comporre sulla natura. Hai voluto tu stessa, o dea, che adornato di tutti i pregi eccellesse in tutti i campi: soffondi tanto più, dunque, tu, d'una soavità non caduca le mie parole, e per mare, per terra fa che sopiti tacciano intanto i feroci studi dell'armi. Allietare tu sola puoi d'una placida pace i mortali. Governa l'aspre fatiche di guerra Marte possente nell'armi: e, vinto dall'insanabile piaga d'amore, egli spesso ti si abbandona nel grembo, e in su, così, riguardando, riverso il collo tornito, in tè d'amore, anelante, pasce gli occhi avidi e pende tutta di lui e supino l'anima dalle tue labbra. Stringiti a lui, mentre giace, dea, con l'intatto tuo corpo, versagli dalla tua bocca dolci parole, implorando, inclita, per i romani una pacifica tregua: che, con la patria turbata, ne noi con cuore tranquillo potremmo attendere all'opera, é, per seguir tali cose, l'illustre germe di Memmio negar potrebbe se stesso alla salvezza di tutti. |
785 | Ibi crebris litteris Canini fit certior quae de Drappete et Lucterio gesta essent, quoque in consilio permanerent oppidani. Quorum etsi paucitatem contemnebat, tamen pertinaciam magna poena esse adficiendam iudicabat, ne universa Gallia non sibi vires defuisse ad resistendum Romanis, sed constantiam putaret, neve hoc exemplo ceterae civitates locorum opportunitate fretae se vindicarent in libertatem, cum omnibus Gallis notum esse sciret reliquam esse unam aestatem suae provinciae, quam si sustinere potuissent, nullum ultra periculum vererentur.Itaque Q. Calenum legatum cum legionibus reliquit qui iustis itineribus subsequeretur; ipse cum omni equitatu quam potest celerrime ad Caninium contendit. | Mentre era ancora dai Carnuti, grazie alle frequenti lettere di Caninio viene informato delle novità di Drappete e Lucterio e dell'irriducibile resistenza degli abitanti di Uxelloduno. Cesare, sebbene ne disprezzasse lo scarso numero, giudicava di dover infliggere a tanta pervicacia una dura lezione, perché la Gallia intera non pensasse che nella resistenza ai Romani le era mancata non la forza, ma la costanza, oppure per evitare che, seguendo l'esempio, gli altri popoli cercassero di rendersi liberi, confidando sui vantaggi dei luoghi; inoltre, a tutti i Galli - ben lo sapeva - era noto che gli restava una sola estate da passare in provincia, e se per quel lasso di tempo riuscivano a resistere, non avrebbero più dovuto temere alcun pericolo. Così, lascia il legato Q. Caleno con due legioni e lo incarica di seguirlo a tappe normali; dal canto suo, si dirige il più velocemente possibile alla volta di Caninio con tutta la cavalleria. |
721 | Cicero, qui omnes superiores dies praeceptis Caesaris cum summa diligentia milites in castris continuisset ac ne calonem quidem quemquam extra munitionem egredi passus esset, septimo die diffidens de numero dierum Caesarem fidem servaturum, quod longius progressum audiebat, neque ulla de reditu eius fama adferebatur, simul eorum permotus vocibus, qui illius patientiam paene obsessionem appellabant, siquidem ex castris egredi non liceret, nullum eiusmodi casum exspectans, quo novem oppositis legionibus maximoque equitatu dispersis ac paene deletis hostibus in milibus passuum tribus offendi posset, quinque cohortes frumentatum in proximas segetes mittit, quas inter et castra unus omnino collis intererat.Complures erant ex legionibus aegri relicti; ex quibus qui hoc spatio dierum convaluerant, circiter CCC, sub vexillo una mittuntur; magna praeterea multitudo calonum, magna vis iumentorum, quae in castris subsederant, facta potestate sequitur. | Cicerone, in tutti i giorni precedenti, secondo le disposizioni di Cesare, aveva trattenuto con molto scrupolo i soldati nell'accampamento, senza permettere che neppure un calone uscisse dalle fortificazioni. Ma il settimo giorno, non avendo fiducia che Cesare sarebbe stato puntuale come aveva promesso (giungevano, infatti, voci che si era spinto ancor più lontano e non si avevano notizie sul suo ritorno) e turbato, al tempo stesso, dalle critiche di chi definiva la sua pazienza una sorta di assedio, in quanto a nessuno era concesso di uscire dal campo, stima che, nel raggio di tre miglia, i suoi non avrebbero corso alcun pericolo: il nemico, già sbandato e pressoché distrutto, aveva di fronte nove legioni e una fortissima cavalleria. Così, invia cinque coorti a far provvista di grano nei campi più vicini, che un unico colle separava dall'accampamento. Con Cicerone erano rimasti, dalle varie legioni, parecchi malati; i soldati guariti in quell'arco di tempo, circa trecento, formano un distaccamento e vengono mandati con gli altri. E, poi, ottenuto il permesso, li seguono anche molti caloni con un gran numero di bestie da soma, che erano rimaste al campo. |
528 | Prima luce, cum summus mons a [Lucio] Labieno teneretur, ipse ab hostium castris non longius mille et quingentis passibus abesset neque, ut postea ex captivis comperit, aut ipsius adventus aut Labieni cognitus esset, Considius equo admisso ad eum accurrit, dicit montem, quem a Labieno occupari voluerit, ab hostibus teneri: id se a Gallicis armis atque insignibus cognovisse. Caesar suas copias in proximum collem subducit, aciem instruit. Labienus, ut erat ei praeceptum a Caesare ne proelium committeret, nisi ipsius copiae prope hostium castra visae essent, ut undique uno tempore in hostes impetus fieret, monte occupato nostros expectabat proelioque abstinebat.Multo denique die per exploratores Caesar cognovit et montem a suis teneri et Helvetios castra, movisse et Considium timore perterritum quod non vidisset pro viso sibi renuntiavisse. Eo die quo consuerat intervallo hostes sequitur et milia passuum tria ab eorum castris castra ponit. | All'alba, mentre Labieno teneva la sommità del monte e Cesare non distava più di millecinquecento passi dall'accampamento dei nemici, ignari, come si seppe in seguito dai prigionieri, sia del suo arrivo, sia della presenza di Labieno, Considio a briglia sciolta si precipita da Cesare e gli comunica che il monte, di cui Labieno doveva impadronirsi, era nelle mani dei nemici: lo aveva capito dalle armi e dalle insegne galliche. Cesare comanda alle sue truppe di ritirarsi sul colle più vicino e le schiera a battaglia. Labieno aveva ricevuto ordine di non attaccare finché non avesse visto nei pressi dell'accampamento nemico le truppe di Cesare: lo scopo era di sferrare l'assalto contemporaneamente da tutti i lati. Labieno, perciò, teneva la sommità del monte e aspettava i nostri, senza attaccare. Solo a giorno già inoltrato Cesare seppe dagli esploratori che il monte era in mano ai suoi, che gli Elvezi avevano spostato l'accampamento e che Considio, in preda al panico, aveva riferito di avere visto ciò che, in realtà, non aveva visto. Quel giorno Cesare segue i nemici alla solita distanza e si ferma a tre miglia dalle loro posizioni. |