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400 | Haec eodem fere tempore Caesar atque Pompeius cognoscunt. Nam praetervectas Apolloniam Dyrrachiumque naves viderant ipsi, ut iter secundum eas terra direxerant, sed quo essent eae delatae, primus diebus ignorabant. Cognitaque re diversa sibi ambo consilia capiunt: Caesar, ut quam primum se cum Antonio coniungeret; Pompeius, ut venientibus in itinere se opponeret, si imprudentes ex insidiis, adoriri posset,eodemque die uterque eorum ex castris stativis a flumine Apso exercitum educunt: Pompeius clam et noctu, Caesar palam atque interdiu.Sed Caesari circuitu maiore iter erat longius, adverso flumine, ut vado transire posset; Pompeius, quia expedito itinere flumen ei transeundum non erat, magnis itineribus ad Antonium contendit atque eum ubi appropinquare cognovit, idoneum locum nactus ibi copias collocavit suosque omnes in castris continuit ignesque fieri prohibuit, quo occultior esset eius adventus. Haec ad Antonium statim per Graecos deferuntur. Ille missis ad Caesarem nuntiis unum diem sese castris tenuit; altero die ad eum pervenit Caesar. Cuius adventu cognito Pompeius, ne duobus circumcluderetur exercitibus, ex eo loco discedit omnibusque copiis ad Asparagium Dyrrachinorum pervenit atque ibi idoneo loco castra ponit. | Cesare e Pompeo, quasi nel medesimo tempo, vengono a sapere queste notizie. Infatti avevano visto passare le navi oltre Apollonia e Durazzo [avevano fatto rotta in quella direzione], ma i primi giorni non sapevano dove erano andate. Informati della cosa, i due prendono decisioni opposte: Cesare di congiungersi al più presto con Antonio, Pompeo di opporsi, durante la marcia, ai nemici che sopraggiungevano e assalirli, possibilmente sorprendendoli con agguati. Nel medesimo giorno entrambi conducono gli eserciti fuori dagli accampamenti invernali stanziati presso il fiume Apso; Pompeo di nascosto e di notte; Cesare alla luce del giorno, davanti agli occhi di tutti. Ma Cesare doveva percorrere un cammino più lungo e fare un ampio giro, rimontando il fiume per poterlo attraversare a guado; Pompeo, procedendo speditamente poiché non doveva attraversare il fiume, a marce forzate si dirige contro Antonio. Quando Pompeo si rese conto di essere vicino, scelto un luogo adatto, vi fermò le milizie, trattenne tutti i suoi soldati nel campo e impedì di accendere fuochi per celare meglio il suo arrivo. La cosa viene subito riferita dai Greci ad Antonio. Egli, mandati ambasciatori a Cesare, si trattenne per un giorno solo nel campo; il giorno seguente Cesare giunse presso di lui. Pompeo, venuto a conoscenza del suo arrivo, per non essere circondato da due eserciti, si allontana da quella posizione e con tutte le milizie giunge ad Asparagio di Durazzo e qui pone il campo in un luogo adatto. |
982 | Caesar, postquam per Vbios exploratores comperit Suebos sese in silvas recepisse, inopiam frumenti veritus, quod, ut supra demonstravimus, minime omnes Germani agriculturae student, constituit non progredi longius; sed, ne omnino metum reditus sui barbaris tolleret atque ut eorum auxilia tardaret, reducto exercitu partem ultimam pontis, quae ripas Vbiorum contingebat, in longitudinem pedum ducentorum rescindit atque in extremo ponte turrim tabulatorum quattuor constituit praesidiumque cohortium duodecim pontis tuendi causa ponit magnisque eum locum munitionibus firmat.Ei loco praesidioque Gaium Volcatium Tullum adulescentem praefecit. Ipse, cum maturescere frumenta inciperent, ad bellum Ambiorigis profectus per Arduennam silvam, quae est totius Galliae maxima atque ab ripis Rheni finibusque Treverorum ad Nervios pertinet milibusque amplius quingentis in longitudinem patet, Lucium Minucium Basilum cum omni equitatu praemittit, si quid celeritate itineris atque opportunitate temporis proficere possit; monet, ut ignes in castris fieri prohibeat, ne qua eius adventus procul significatio fiat: sese confestim subsequi dicit. | Cesare, quando dagli esploratori degli Ubi apprende che gli Svevi si erano rifugiati nelle selve, decide di non avanzare ulteriormente, temendo che gli venisse a mancare il grano, visto che tutti i Germani, come abbiamo ricordato prima, non praticano affatto l'agricoltura. Ma per tener desto nei barbari il timore di un suo possibile ritorno e per rallentare la marcia dei loro rinforzi, ritira l'esercito e, per duecento piedi di lunghezza, distrugge la testa del ponte sulla sponda degli Ubi. All'estremità del ponte, costruisce una torre di quattro piani, lasciando a difesa del medesimo una guarnigione di dodici coorti e munendo il luogo con salde fortificazioni. Assegna il comando della zona e della guarnigione al giovane C. Volcacio Tullo. Cesare, invece, non appena il grano cominciava a maturare, partì per muovere guerra ad Ambiorige, attraverso la selva delle Ardenne, la più estesa di tutta la Gallia: dalle rive del Reno e dalle terre dei Treveri giunge fino alla regione dei Nervi, per oltre cinquecento miglia di lunghezza. Manda in avanscoperta L. Minucio Basilo alla testa di tutta la cavalleria, perché traesse vantaggio dalla rapidità della marcia e dalle occasioni favorevoli. Lo ammonisce a vietare i fuochi nell'accampamento, perché da lontano non si scorgessero indizi del suo arrivo, e gli garantisce che si sarebbe spinto subito dietro di lui. |
833 | Vbi ea dies venit, Carnutes Cotuato et Conconnetodumno ducibus, desperatis hominibus, Cenabum signo dato concurrunt civesque Romanos, qui negotiandi causa ibi constiterant, in his Gaium Fufium Citam, honestum equitem Romanum, qui rei frumentariae iussu Caesaris praeerat, interficiunt bonaque eorum diripiunt. Celeriter ad omnes Galliae civitates fama perfertur. Nam ubicumque maior atque illustrior incidit res, clamore per agros regionesque significant; hunc alii deinceps excipiunt et proximis tradunt, ut tum accidit.Nam quae Cenabi oriente sole gesta essent, ante primam confectam vigiliam in finibus Arvernorum audita sunt, quod spatium est milium passuum circiter centum LX. | Come venne quel giorno, i Carnuti, al comando di Gutruato e di Conconnetodumno, due disperati, al segnale corrono a Cenabo, uccidono i cittadini Romani che vi stavano per i loro commerci, e tra loro Caio Fufio Cita, ragguardevole cavaliere Romano che per incarico di Cesare dirigeva l'incetta del grano; li uccidono, e ne saccheggiano i beni. Prontamente la notizia si diffonde fra tutte le popolazioni della Gallia. Infatti essi, non appena accade un avvenimento più importante e più clamoroso del solito, lo trasmettono a grida di banditori per campagne e paesi; ricevuto il messaggio, gli uni lo passano successivamente agli altri loro vicini, come allora avvenne. E così, ciò che era accaduto a Cenabo al levar del sole, prime delle nove di sera si seppe nel paese degli Arverni; e sì che v'è di mezzo una distanza di circa centosessanta miglia. |
163 | lugete o Veneres Cupidinesqueet quantum est hominum uenustiorum.passer mortuus est meae puellae.passer deliciae meae puellae.quem plus illa oculis suis amabat.nam mellitus erat suamque noratipsam tam bene quam puella matrem.nec sese a gremio illius mouebatsed circumsiliens modo huc modo illucad solam dominam usque pipilabat.qui tunc it per iter tenebricosumilluc unde negant redire quemquam.at uobis male sit malae tenebraeOrci.quae omnia bella deuoratis.tam bellum mihi passerem abstulistis.o factum male. o miselle passer.tua nunc opera meae puellaeflendo turgiduli rubent ocelli. | Piangete, o Veneri e voi Amorini,e quanti sono disposti all'amore.È morto il passero alla mia ragazza,il passero, tesoro della mia ragazza;lei lo amava più dei propri occhi,perché era dolce come il miele e la riconoscevacosì come una bimbetta la sua mamma;mai che si scostasse dal suo gremboe, saltellando intorno qua e là,cinguettava sempre, solo rivolto alla sua padrona.Ora procede per una strada oscura,là donde si dice che nessuno torni.Maledizione a voi, maledette oscurità infernali,che inghiottite ogni cosa graziosa:un passero così carino voi m'avete rapito.Che brutta azione! Che passerotto infelice!Ora per colpa tua, gonfi di pianto, sono arrossatigli occhi soavi della mia ragazza. |
1,021 | At hostes, ubi primum nostros equites conspexerunt, quorum erat V milium numerus, cum ipsi non amplius DCCC equites haberent, quod ii qui frumentandi causa erant trans Mosam profecti nondum redierant, nihil timentibus nostris, quod legati eorum paulo ante a Caesare discesserant atque is dies indutiis erat ab his petitus, impetu facto celeriter nostros perturbaverunt; rursus his resistentibus consuetudine sua ad pedes desiluerunt subfossis equis compluribus nostris deiectis reliquos in fugam coniecerunt atque ita perterritos egerunt ut non prius fuga desisterent quam in conspectum agminis nostri venissent.In eo proelio ex equitibus nostris interficiuntur IIII et LXX, in his vir fortissimus Piso Aquitanus, amplissimo genere natus, cuius avus in civitate sua regnum obtinuerat amicus a senatu nostro appellatus. Hic cum fratri intercluso ab hostibus auxilium ferret, illum ex periculo eripuit, ipse equo vulnerato deiectus, quoad potuit, fortissime restitit; cum circumventus multis vulneribus acceptis cecidisset atque id frater, qui iam proelio excesserat, procul animadvertisset, incitato equo se hostibus obtulit atque interfectus est. | Ma i nemici, non appena videro la nostra cavalleria - benché contasse circa cinquemila unità, mentre essi non erano più di ottocento, non essendo ancora rientrati i cavalieri che avevano varcato la Mosa in cerca di grano - si lanciarono all'attacco e scompaginarono in breve tempo i nostri, che non nutrivano alcun timore, in quanto l'ambasceria dei Germani aveva appena lasciato Cesare chiedendo, per quel giorno, tregua. Quando i nostri riuscirono a opporre resistenza, gli avversari, secondo la loro tecnica abituale, balzarono a terra e, ferendo al ventre i cavalli, disarcionarono molti dei nostri e costrinsero alla fuga i superstiti, premendoli e terrorizzandoli al punto che non cessarono la ritirata se non quando furono in vista del nostro esercito in marcia. Nello scontro perdono la vita settantaquattro nostri cavalieri, tra cui l'aquitano Pisone, uomo di grandissimo valore e di alto lignaggio: un suo avo aveva tenuto la suprema autorità tra la sua gente e ricevuto dal senato di Roma il titolo di amico. Pisone, accorso in aiuto del fratello circondato dai nemici, era riuscito a liberarlo; disarcionato - il suo cavallo era stato colpito - resistette con estremo valore finché ebbe forza: poi, circondato da molti avversari, cadde. Il fratello, che aveva già lasciato la mischia, lo vide da lontano: sferzato il cavallo, si gettò sui nemici e rimase ucciso. |
608 | Caesar receptui suorum timens crates ad extremum tumulum contra hostem proferri et adversas locari, intra has mediocri latitudine fossam tectis militibus obduci iussit locumque in omnes partes quam maxime impediri. Ipse idoneis locis funditores instruxit, ut praesidio nostris se recipientibus essent. His rebus comparatis legionem reduci iussit. Pompeiani hoc insolentius atque audacius nostros premere et instare coeperunt cratesque pro munitione obiectas propulerunt, ut fossas transcenderent.Quod cum animadvertisset Caesar, veritus, ne non reducti, sed reiecti viderentur, maiusque detrimentum caperetur, a medio fere spatio suos per Antonium, qui ei legioni praeerat, cohortatus tuba signum dari atque in hostes impetum fieri iussit. Milites legionis VIIII subito conspirtati pila coniecerunt et ex inferiore loco adversus clivum incitati cursu praecipites Pompeianos egerunt et terga vertere coegerunt; quibus ad recipiendum crates deiectae longuriique obiecti et institutae fossae magno impedimento fuerunt. Nostri vero, qui satis habebant sine detrimento discedere, compluribus interfectis V omnino suorum amissis quietissime se receperunt pauloque citra eum locum allis comprehensis collibus munitiones perfecerunt. | Cesare, temendo per la ritirata dei suoi, ordinò di portare graticci verso l'estremità della collina di fronte al nemico, collocandoli a sbarramento e, protetti così i soldati, al di qua dei graticci fece scavare un fossato di media larghezza e rendere ovunque il terreno quanto più possibile impraticabile. Egli stesso collocò in luoghi adatti dei frombolieri che fossero di aiuto ai nostri nella ritirata. Compiute queste operazioni ordinò alla legione di ritirarsi. I Pompeiani, quindi, con maggiore insolenza e audacia incominciarono a premere e incalzare i nostri e, per superare i fossati, abbatterono i graticci collocati a difesa. Cesare, accortosi di ciò, temendo che sembrasse non una ritirata, ma una fuga e che ne derivasse un danno maggiore, quasi a metà del percorso, fatti esortare i suoi da Antonio, che era a capo della legione, ordinò di dare con la tromba il segnale di combattimento e di attaccare i nemici. I soldati della nona legione, ritrovata d'un tratto l'intesa, scagliarono dardi e, con una corsa veloce risalito il pendio dalla posizione più bassa, respinsero a precipizio i Pompeiani costringendoli alla fuga. Ma i graticci rovesciati, i pali nascosti e le fosse scavate furono di grande impedimento alla loro ritirata. I nostri invero, ai quali bastava ripiegare senza danno, dopo avere ucciso molti nemici e perduti soltanto cinque uomini, si ritirarono in tutta tranquillità e, occupate altre colline un poco al di qua di quel luogo, condussero a compimento i lavori di fortificazione. |
682 | Qua consuetudine cognita Caesar, ne graviori bello, occurreret, maturius quam consuerat ad exercitum proficiscitur. Eo cum venisset, ea quas fore suspicatus erat facta cognovit: missas legationes ab non nullis civitatibus ad Germanos invitatos eos uti ab Rheno discederent: omnia quae[que] postulassent ab se fore parata. Qua spe adducti Germani latius iam vagabantur et in fines Eburonum et Condrusorum, qui sunt Treverorum clientes, pervenerant. Principibus Gallice evocatis Caesar ea quae cognoverat dissimulanda sibi existimavit, eorumque animis permulsis et confirmatis equitatu imperato bellum cum Germanis gerere constituit. | Cesare, che conosceva tale abitudine, per non andare incontro a una guerra troppo pesante, partì alla volta dell'esercito prima del solito. Appena giunto, apprese che i suoi sospetti si erano avverati: parecchi popoli avevano inviato ambascerie ai Germani, chiedendo che varcassero il Reno e promettendo di esaudire ogni loro richiesta. I Germani, attratti da tali speranze, già si stavano spingendo più lontano ed erano pervenuti nelle terre degli Eburoni e dei Condrusi, clienti dei Treveri. Cesare convocò i principi della Gallia, ma ritenne opportuno dissimulare ciò di cui era invece al corrente; li blandì, li rassicurò, chiese i contingenti di cavalleria e prese la risoluzione di muovere guerra ai Germani. |
548 | Multa a Caesare in eam sententiam dicta sunt quare negotio desistere non posset: neque suam neque populi Romani consuetudinem pati ut optime meritos socios desereret, neque se iudicare Galliam potius esse Ariovisti quam populi Romani. Bello superatos esse Arvernos et Rutenos a Q. Fabio Maximo, quibus populus Romanus ignovisset neque in provinciam redegisset neque stipendium posuisset. Quod si antiquissimum quodque tempus spectari oporteret, populi Romani iustissimum esse in Gallia imperium; si iudicium senatus observari oporteret, liberam debere esse Galliam, quam bello victam suis legibus uti voluisset. | Molte cose furono dette da Cesare in questo senso, perché non poteva desistere dal suo proposito: né la sua usanza né quella del popolo romano comportava che egli abbandonasse alleati grandemente benemeriti, e che non pensava che la Gallia fosse di Ariovisto piuttosto che del popolo romano. Gli Arverni e i Ruteni erano stati vinti in guerra da Quinto Fabio Massimo, ai quali il popolo romano aveva tuttavia perdonato senza ridurli in provincia né aveva imposto un tributo. Che se bisognava considerare ciascuno tempo più antico, il dominio del popolo romano in Gallia era il più legittimo; se bisognava osservare il giudizio del Senato, la Gallia dovere essere libera, la quale, dopo averla vinta in guerra, avrebbe voluto che usasse le proprie leggi. |
476 | Caesar primum suo, deinde omnium ex conspectu remotis equis, ut aequato omnium periculo spem fugae tolleret, cohortatus suos proelium commisit. Milites e loco superiore pilis missis facile hostium phalangem perfregerunt. Ea disiecta gladiis destrictis in eos impetum fecerunt. Gallis magno ad pugnam erat impedimento, quod pluribus eorum scutis uno ictu pilorum transfixis et colligatis, cum ferrum se inflexisset, neque evellere neque sinistra impedita satis commode pugnare poterant, multi ut diu iactato bracchio praeoptarent scutum manu emittere et nudo corpore pugnare.Tandem vulneribus defessi et pedem referre et, quod mons suberat circiter mille passuum , eo se recipere coeperunt. Capto monte et succedentibus nostris Boii et Tulingi, qui hominum milibus circiter XV agmen hostium claudebant et novissimis praesidio erant, ex itinere nostros latere aperto adgressi circumvenire, et id conspicati Helvetii, qui in montem sese receperant, rursus instare et proelium redintegrare coeperunt. Romani conversa signa bipartito intulerunt: prima et secunda acies, ut victis ac submotis resi steret, tertia, ut venientes sustineret. | Cesare, dopo aver fatto allontanare dalla vista prima il suo cavallo, poi i cavalli di tutti, affinché, essendo stato il pericolo di tutti reso uguale, togliesse la speranza della fuga, dopo aver esortato i suoi, attaccò battaglia. I soldati, scagliati i giavellotti da un luogo più alto, ruppero facilmente la falange dei nemici. essendo essa stata scompigliata, essendo state impugnate le spade, fecero impeto contro di loro. Era di grande impedimento per i Galli alla battaglia perché, essendo stati trapassati molti dei loro scudi da un solo colpo dei giavellotti e legati insieme, essendosi il ferro piegato, non riuscivano né a strapparlo fuori né, essendo la mano sinistra impedita, combattere abbastanza agevolmente, talché molti, dopo aver a lungo agitato il braccio, preferivano lasciar cadere dalla mano lo scudo e combattere a corpo scoperto. Finalmente, sfiniti per le ferite, incominciarono a trarre indietro il piede e, perché un monte era vicino circa un miglio, a ritirarsi là. Occupato il monte, e i nostri avviandovisi, i Boi e i Tulingi, i quali chiudevano la colonna dei nemici con circa quindicimila uomini ed erano di difesa alla retroguardia, avendo assalito durante la marcia i nostri dal fianco indifeso, incominciarono a circondare, e gli Elvezi, i quali si erano ritirati sul monte, avendo veduto ciò, a far testa di nuovo, e a rinnovare la battaglia. I Romani, fatta una conversione, diedero il segnale d'assalto su due fronti: la prima e la seconda schiera, per resistere ai vinti e ai respinti, la terza, per opporsi a quelli che venivano. |
807 | Adventu Caesaris cognito decuriones Auximi ad Attium Varum frequentes conveniunt; docent sui iudicii rem non esse; neque se neque reliquos municipes pati posse C. Caesarem imperatorem, bene de re publica meritum, tantis rebus gestis oppido moenibusque prohiberi; proinde habeat rationem posteritatis et periculi sui. Quorum oratione permotus Varus praesidium, quod introduxerat, ex oppido educit ac profugit. Hunc ex primo ordine pauci Caesaris consecuti milites consistere coegerunt.Commisso proelio deseritur a suisVarus; nonnulla pars militum domum discedit; reliqui ad Caesarem perveniunt, atque una cum eis deprensus L. Pupius, primi pili centurio, adducitur, qui hunc eundem ordinem in exercitu Cn. Pompei antea duxerat. At Caesar milites Attianos collaudat, Pupium dimittit, Auximatibus agit gratias seque eorum facti memorem fore pollicetur. | Alla notizia dell'arrivo di Cesare, i decurioni di Osimo, in gran numero, si recano da Azzio Varo; gli dichiarano che non spetta a loro giudicare; che né loro né gli altri municipi possono accettare che il comandante C. Cesare, benemerito dello stato, autore di tante imprese, sia tenuto lontano dalla città e dalle sue mura; Varo, dunque, tenga conto del giudizio dei posteri e del proprio pericolo. Indotto da queste parole, Varo ritira dalla città il presidio che vi aveva introdotto e si dà alla fuga. Pochi soldati dell'avanguardia di Cesare, dopo averlo inseguito, lo costrinsero a fermarsi. Attaccata battaglia, Varo viene abbandonato dai suoi; una parte dei soldati se ne torna a casa; i rimanenti raggiungono Cesare. Viene fatto prigioniero e condotto insieme a quelli L. Pupio, centurione primipilo, che prima aveva avuto quel medesimo grado nell'armata di Cn. Pompeo. Cesare, poi, si congratula con i soldati di Azzio, lascia libero Pupio, ringrazia gli Osimati e promette di serbare il ricordo del loro operato. |
406 | Galli re cognita per exploratores obsidionem relinquunt, ad Caesarem omnibus copiis contendunt. Hae erant armata circiter milia LX. Cicero data facultate Gallum ab eodem Verticone, quem supra demonstravimus, repetit, qui litteras ad Caesarem deferat; hunc admonet, iter caute diligenterque faciat: perscribit in litteris hostes ab se discessisse omnemque ad eum multitudinem convertisse. Quibus litteris circiter media nocte Caesar adlatis suos facit certiores eosque ad dimicandum animo confirmat.Postero die luce prima movet castra et circiter milia passuum quattuor progressus trans vallem et rivum multitudinem hostium conspicatur. Erat magni periculi res tantulis copiis iniquo loco dimicare; tum, quoniam obsidione liberatum Ciceronem sciebat, aequo animo remittendum de celeritate existimabat: consedit et quam aequissimo loco potest castra communit atque haec, etsi erant exigua per se vix hominum milium septem praesertim nullis cum impedimentis, tamen angustiis viarum quam maxime potest contrahit, eo consilio, ut in summam contemptionem hostibus veniat. Interim speculatoribus in omnes partes dimissis explorat quo commodissime itinere vallem transire possit. | I Galli, informati del fatto dagli esploratori, tolgono l'assedio e con tutte le truppe, circa sessantamila armati, si dirigono contro Cesare. Cicerone, grazie all'intervento del solito Verticone - se n'è già parlato - trova un Gallo che recapiti una lettera a Cesare, visto che era possibile, e lo avverte di muoversi con cautela e attenzione; nella missiva spiega a Cesare che il nemico si era allontanato e che, in forze, stava dirigendosi contro di lui. La lettera, verso mezzanotte, perviene a Cesare, che informa i suoi e li incoraggia in vista della battaglia. L'indomani, all'alba, sposta l'accampamento e, percorse circa quattro miglia, avvista la massa dei nemici tra una valle e un corso d'acqua. Era molto rischioso combattere su un terreno sfavorevole e avendo truppe così esigue; allora, sapendo che Cicerone era stato liberato dall'assedio, in tutta serenità non riteneva necessario stringere i tempi. Si ferma dunque e fortifica il campo nel posto che offriva più vantaggi; sebbene l'accampamento fosse già, per sé, di modeste proporzioni (era per appena settemila uomini e, per di più, privi di bagagli), lo rende ancor più piccolo stringendo al massimo i passaggi, per indurre il nemico al più profondo disprezzo. Nel frattempo, mediante esploratori inviati in tutte le direzioni, esamina quale sia il percorso più agevole per attraversare la valle. |
848 | Sed Nasidianae naves nullo usui fuerunt celeriterque pugna excesserunt; non enim has aut conspectus patriae aut propinquorum praecepta ad extremum vitae periculum adire cogebant. Itaque ex eo numero navium nulla desiderata est: ex Massiliensium classe V sunt depressae, IV captae, una cum Nasidianis profugit; quae omnes citeriorem Hispaniam petiverunt. At ex reliquis una praemissa Massiliam huius nuntii perferendi gratia cum iam appropinquaret urbi, omnis sese multitudo ad cognoscendum effudit, et re cognita tantus luctus excepit, ut urbs ab hostibus capta eodem vestigio videretur.Massilienses tamen nihilo secius ad defensionem urbis reliqua apparare coeperunt. | Ma le navi di Nasidio non furono di alcuna utilità e ben presto si allontanarono dal combattimento; infatti né la vista della patria né l'esortazione dei parenti li spingeva a fare fronte all'estremo pericolo della vita. Perciò nessuna di quelle navi fu perduta; cinque navi della flotta marsigliese furono affondate, quattro prese, una fuggì con le navi di Nasidio, che si diressero tutte verso la Spagna Citeriore. Ma una delle navi rimaste fu mandata a Marsiglia per portare questa notizia e, quando già si avvicinava alla città, tutta la cittadinanza si precipitò per sapere e, avuta la notizia, cadde in un così grande dolore che la città sembrava essere stata conquistata dal nemico proprio in quel momento. Tuttavia i Marsigliesi nondimeno cominciarono a completare gli ultimi preparativi per la difesa della città. |
625 | His rebus pace confirmata, post diem quartum quam est in Britanniam ventum naves XVIII, de quibus supra demonstratum est, quae equites sustulerant, ex superiore portu leni vento solverunt. Quae cum adpropinquarent Britanniae et ex castris viderentur, tanta tempestas subito coorta est ut nulla earum cursum tenere posset, sed aliae eodem unde erant profectae referrentur, aliae ad inferiorem partem insulae, quae est propius solis occasum, magno suo cum periculo deicerentur; quae tamen ancoris iactis cum fluctibus complerentur, necessario adversa nocte in altum provectae continentem petierunt. | Con tali misure la pace era assicurata: quattro giorni dopo il nostro arrivo in Britannia, le diciotto navi di cui si è parlato, su cui era imbarcata la cavalleria, dal porto più settentrionale salparono con una leggera brezza. Si stavano avvicinando alla Britannia ed erano già state avvistate dall'accampamento, quando all'improvviso si levò una tempesta così violenta, che nessuna delle navi riuscì a tenere la rotta: alcune vennero risospinte verso il porto di partenza, altre con grave pericolo vennero spinte verso la parte sud-occidentale dell'isola. Tentarono di gettare l'ancora, ma, sommerse dalla violenza dei flutti, furono costrette, sebbene fosse notte, a prendere il largo e a dirigersi verso il continente. |
779 | Cum in his angustiis res esset, atque omnes viae ab Afranianis militibus equitibusque obsiderentur, nec pontes perfici possent, imperat militibus Caesar, ut naves faciant, cuius generis eum superioribus annis usus Britanniae docuerat. Carinae ac prima statumina ex levi materia fiebant; reliquum corpus navium viminibus contextum coriis integebatur. Has perfectas carris iunctis devehit noctu milia passuum a castris XXII militesque his navibus flumen transportat continentemque ripae collem improviso occupat.Hunc celeriter, priusquam ab adversariis sentiatur, communit. Huc legionem postea traicit atque ex utraque parte pontem instituit, biduo perficit. Ita commeatus et qui frumenti causa processerant tuto ad se recipit et rem frumentariam expedire incipit.Cum in his angustiis res esset, atque omnes viae ab Afranianis militibus equitibusque obsiderentur, nec pontes perfici possent, imperat militibus Caesar, ut naves faciant, cuius generis eum superioribus annis usus Britanniae docuerat. Carinae ac prima statumina ex levi materia fiebant; reliquum corpus navium viminibus contextum coriis integebatur. Has perfectas carris iunctis devehit noctu milia passuum a castris XXII militesque his navibus flumen transportat continentemque ripae collem improviso occupat. Hunc celeriter, priusquam ab adversariis sentiatur, communit. Huc legionem postea traicit atque ex utraque parte pontem instituit, biduo perficit. Ita commeatus et qui frumenti causa processerant tuto ad se recipit et rem frumentariam expedire incipit. | Messo così alle strette, con tutte le vie bloccate dai soldati e dalla cavalleria d Afranio, senza poter ricostruire i ponti, Cesare ordina ai soldati di costruire delle imbarcazioni, del genere di quelle che aveva imparato a conoscere negli anni precedenti in Britannia. La chiglia e l'ossatura erano in legno leggero, il resto dello scafo era fatto di vimini intrecciati coperti di pelli. Ultimate l imbarcazioni, le fa trasportare di notte con carri uniti insieme a ventidue miglia dall'accampamento, traghetta dei soldati al di là del fiume ed occupa improvvisamente un'altura adiacente alla sponda. Rapidamente, prima che gli avversari se ne rendano conto, fortifica la postazione. In seguito vi fa trasportare una legione e, iniziata da ambedue le rive la costruzione di un ponte, in due giorni la porta a termine. In questo modo può sia ricevere senza rischi i convogli di vettovaglie e quelli che erano partiti alla ricerca di frumento, sia rendere più agevole l'approvvigionamento. |
225 | Cunctari tamen in oppidis Campaniae, quonam modo urbem ingrederetur, an obsequium senatus, an studia plebis reperiret anxius. Contra deterrimus quisque, quorum non alia regia fecundior extitit, invisum Agrippinae nomen et morte eius accensum populi favorem disserunt: iret intrepidus et venerationem sui coram experiretur; simul praegredi exposcunt. Et promptiora quam promiserant inveniunt, obvias tribus, festo cultu senatum, coniugum ac liberorum agmina per sexum et aetatem disposita, exstructos, qua incederet, spectaculorum gradus, quo modo triumphi visuntur.Hinc superbus ac publici servitii victor Capitolium adiit, grates exsolvit, seque in omnes libidines effudit, quas male coercitas qualiscumque matris reverentia tardaverat. | Tuttavia si tratteneva nelle città della Campania non sapendo come entrare a Roma, preoccupato e incerto se avrebbe trovato la compiacenza del senato, se manifestazioni di simpatia da parte del popolo; invece tutti i più spregevoli dei suoi cortigiani, e nessuna altra corte ne risultò più ricca, vanno ripetendo che il nome stesso di Agrippina era odioso e che proprio la sua morte aveva acceso il favore del popolo nei confronti di lui: dunque andasse senza paure a Roma e sperimentasse direttamente la devozione di cui era oggetto; nello stesso tempo gli chiedono di poterlo precedere. E trovano la situazione più facile di quanto gli avessero prospettato, le tribù che gli vanno incontro, il senato parato a festa, schiere di spose e fanciulli disposte per sesso ed età, tribune a gradinate tirate su per assistere al suo passaggio, così come si assiste alla celebrazione dei trionfi. E così egli salì al Campidoglio pieno di orgoglio e vincitore del servilismo pubblico, rese grazie (agli dei) e si abbandonò a tutte le forme possibili di sfrenatezza, che difficilmente represse erano state ritardate da un qualsiasi riguardo nei confronti della madre. |
606 | Cum dies hibernorum complures transissent frumentumque eo comportari iussisset, subito per exploratores certior factus est ex ea parte vici, quam Gallis concesserat, omnes noctu discessisse montesque qui impenderent a maxima multitudine Sedunorum et Veragrorum teneri. Id aliquot de causis acciderat, ut subito Galli belli renovandi legionisque opprimendae consilium caperent: primum, quod legionem neque eam plenissimam detractis cohortibus duabus et compluribus singillatim, qui commeatus petendi causa missi erant, absentibus propter paucitatem despiciebant; tum etiam, quod propter iniquitatem loci, cum ipsi ex montibus in vallem decurrerent et tela coicerent, ne primum quidem impetum suum posse sustineri existimabant.Accedebat quod suos ab se liberos abstractos obsidum nomine dolebant, et Romanos non solum itinerum causa sed etiam perpetuae possessionis culmina Alpium occupare conari et ea loca finitimae provinciae adiungere sibi persuasum habebant. | Essendo trascorsi molti giorni dei quartieri d'inverno e avendo comandato di portare lì il frumento, all'improvviso venne a sapere per mezzo di esploratori che tutti da quella parte del cantone che aveva concesso ai Galli, di notte si erano allontanati e che i monti, che sovrastavano, erano tenuti da un grandissimo numero di Seduni e Varagri. Per alcuni motivi era accaduto ciò che cioè i Galli all'improvviso prendessero la decisione di rinnovare la guerra e di assalire la legione: prima di tutto perché disprezzavano per il piccolo numero la legione e per di più non numerosissima, essendo state detratte due coorti ed essendo assenti parecchi che separatamente erano stati mandati per cercare vettovaglie; allora anche perché pensavano che non potesse essere sostenuto neppure il primo loro assalto per la condizione sfavorevole del luogo, giacché essi correvano giù dai monti nella valle e scagliavano dardi. Si aggiungeva il fatto che si dolevano che i loro figli fossero stati condotti via da loro sotto il titolo di ostaggi e che i Romani tentassero di occupare le sommità delle Alpi non solo per i viaggi, ma anche per eterno possesso e che avevano la convinzione di congiungere a loro quei luoghi della provincia confinante. |
527 | Litteris perlectis Domitius dissimulans in consilio pronuntiat Pompeium celeriter subsidio venturum hortaturque eos, ne animo deficiant quaeque usui ad defendendum oppidum sint parent. Ipse arcano cum paucis familiaribus suis colloquitur consiliumque fugae capere constituit. Cum vultus Domiti cum oratione non consentiret, atque omnia trepidantius timidiusque ageret, quam superioribus diebus consuesset, multumque cum suis consiliandi causa secreto praeter consuetudinem colloqueretur, concilia conventusque hominum fugeret, res diutius tegi dissimularique non potuit.Pompeius enim rescripserat: sese rem in summum periculum deducturum non esse, neque suo consilio aut voluntate Domitium se in oppidum Corfinium contulisse; proinde, si qua fuisset facultas, ad se cum omnibus copiis veniret. Id ne fieri posset, obsidione atque oppidi circummunitione fiebat. | Letta attentamente la risposta, Domizio, dissimulandone il vero contenuto, comunica in consiglio che Pompeo sarebbe presto giunto in loro aiuto; esorta i presenti a non perdersi d'animo e ad allestire le strutture di difesa della postazione. Lo stesso Domizio, in un colloquio segreto con pochi suoi intimi, manifesta invece la decisione di darsi alla fuga. Dal momento che il volto di Domizio non s'accordava con le sue parole ed egli in ogni suo atto agiva con troppa esitazione e timidezza rispetto al suo solito comportamento dei giorni precedenti e più del solito si tratteneva molto a parlare in segreto con i suoi con la scusa di doversi consigliare, mentre evitava le assemblee ufficiali e le riunioni, non si poté per troppo tempo nascondere e dissimulare la verità. Pompeo infatti aveva risposto di non avere intenzione di trascinare la situazione alle estreme conseguenze; Domizio non era andato a Corfinio per suo consiglio o per suo ordine: quindi, se ne aveva possibilità, che facesse da lui ritorno con tutte le milizie. Ma questo era impossibile per l'assedio e per le linee di fortificazione attorno alla città. |
222 | Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. Horum omnium fortissimi sunt Belgae, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longissime absunt, minimeque ad eos mercatores saepe commeant atque ea quae ad effeminandos animos pertinent inportant, proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt, quibuscum continenter bellum gerunt.Qua de causa Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod fere cotidianis proeliis cum Germanis contendunt, cum aut suis finibus eos prohibent, aut ipsi in eorum finibus bellum gerunt. | La Gallia nel suo insieme è divisa in tre parti, una delle quali è abitata dai Belgi, un'altra dagli Aquitani ed una terza da coloro che nella loro lingua si chiamano Celti e nella nostra sono chiamati Galli. Tutti loro differiscono fra di loro per lingua, istituzioni e leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquitani, il Marna e la Senna li dividono dai Belgi. I più forti tra di loro sono i Belgi per il fatto che si tengono molto lontani dal raffinato tenore di vita della provincia e rarissimamente giungono da loro i mercanti e rarissimamente importano ciò che mira agli animi effeminati e sono vicini ai Germani vivono al di là del Reno con i quali fanno continuamente guerra. Per questo motivo gli Elvezi precedono anche gli altri Galli per valore, poiché combattono con i Germani in battaglia quasi ogni giorno, quando o li tengono lontani dal loro territorio o quando questi fanno guerra nel loro territorio. |
519 | Caesar cognito consilio eorum ad flumen Tamesim in fines Cassivellauni exercitum duxit; quod flumen uno omnino loco pedibus, atque hoc aegre, transiri potest. Eo cum venisset, animum advertit ad alteram fluminis ripam magnas esse copias hostium instructas. Ripa autem erat acutis sudibus praefixis munita, eiusdemque generis sub aqua defixae sudes flumine tegebantur. His rebus cognitis a captivis perfugisque Caesar praemisso equitatu confestim legiones subsequi iussit.Sed ea celeritate atque eo impetu milites ierunt, cum capite solo ex aqua exstarent, ut hostes impetum legionum atque equitum sustinere non possent ripasque dimitterent ac se fugae mandarent. | Cesare, informato delle intenzioni dei Britanni, condusse l'esercito nelle terre di Cassivellauno, verso il Tamigi, fiume che può essere guadato a piedi solo in un punto, e a stento. Appena giunto, si rese conto che sull'altra sponda erano schierate ingenti forze nemiche. La riva, poi, era difesa da pali aguzzi piantati nel terreno, così come altri simili, sott'acqua, erano celati dal fiume. Messo al corrente di ciò dai prigionieri e dai fuggiaschi, Cesare mandò in avanti la cavalleria e ordinò alle legioni di seguirla senza indugio. I nostri, pur riuscendo a tenere fuori dall'acqua solo la testa, avanzarono con una rapidità e un impeto tale, che gli avversari, non essendo in grado di reggere all'assalto delle legioni e della cavalleria, abbandonarono la riva e fuggirono. |
293 | Nil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere,nec scire utrum sis albus an ater homo. | Non m'importa troppo, o Cesare, di volerti piacere, né sapere se sei un uomo bianco o nero. |
145 | Quamquam severa illic matrimonia, nec ullam morum partem magis laudaveris. Nam prope soli barbarorum singulis uxoribus contenti sunt, exceptis admodum paucis, qui non libidine, sed ob nobilitatem plurimis nuptiis ambiuntur. Dotem non uxor marito, sed uxori maritus offert. Intersunt parentes et propinqui ac munera probant, munera non ad delicias muliebres quaesita nec quibus nova nupta comatur, sed boves et frenatum equum et scutum cum framea gladioque.In haec munera uxor accipitur, atque in vicem ipsa armorum aliquid viro adfert: hoc maximum vinculum, haec arcana sacra, hos coniugales deos arbitrantur. Ne se mulier extra virtutum cogitationes extraque bellorum casus putet, ipsis incipientis matrimonii auspiciis admonetur venire se laborum periculorumque sociam, idem in pace, idem in proelio passuram ausuramque.Hoc iuncti boves, hoc paratus equus, hoc data arma denuntiant. Sic vivendum, sic pereundum: accipere se, quae liberis inviolata ac digna reddat, quae nurus accipiant, rursusque ad nepotes referantur. | I matrimoni li sono severamente regolati, e non vi è nei loro costumi nulla che meriti maggior lode. Infatti, quasi soli tra i barbari, si accontentano d'una moglie per ciascuno, eccettuati pochissimi, non per avidità sensuale, ma perché la nobiltà del loro sangue fa s che molte famiglie ne ambisca- no il connubio. Non la moglie al marito, ma il marito alla moglie porta la dote. Assistono alla cerimonia i genitori e i parenti e valutano i doni, scelti non per appagare il gusto femminile ne per fornire ornamenti alla sposa: sono buoi, e un cavallo imbrigliato e uno scudo con framea e spada. In cambio di tali doni si riceve la moglie, ed essa per parte sua porta qualche arma al marito: essi considerano questo il vincolo pi forte, questo l'arcano rito, queste le divinità coniugali. Perché la donna non si creda estranea ai nobili pensieri e alle vicende della guerra, dagli auspici stessi, all'inizio del matrimonio, avvertita ch'essa viene associata alle fatiche ed ai pericoli, che in pace come in guerra soffrir e oserà tanto quanto il marito. Questo il significato dei buoi aggiogati, del cavallo bardato, delle armi donate. Così deve vivere e morire: quanto essa riceve, dovrà consegnarlo inviolato e sacro ai figli, dai quali lo riceveranno le nuore e a loro volta lo trasmetteranno ai nipoti. |
314 | Itaque nondum hieme confecta proximis quattuor coactis legionibus de improviso in fines Nerviorum contendit et, priusquam illi aut convenire aut profugere possent, magno pecoris atque hominum numero capto atque ea praeda militibus concessa vastatisque agris in deditionem venire atque obsides sibi dare coegit. Eo celeriter confecto negotio rursus in hiberna legiones reduxit. Concilio Galliae primo vere, ut instituerat, indicto, cum reliqui praeter Senones, Carnutes Treverosque venissent, initium belli ac defectionis hoc esse arbitratus, ut omnia postponere videretur, concilium Lutetiam Parisiorum transfert.Confines erant hi Senonibus civitatemque patrum memoria coniunxerant, sed ab hoc consilio afuisse existimabantur. Hac re pro suggestu pronuntiata eodem die cum legionibus in Senones proficiscitur magnisque itineribus eo pervenit. | Perciò, prima ancora della fine dell'inverno, radunò le quattro legioni più vicine e, inatteso, puntò sui territori dei Nervi: non lasciò ai nemici il tempo di accorrere o fuggire e, catturati molti capi di bestiame e uomini, che concesse come preda ai soldati, devastò i campi e costrinse i Nervi alla resa e alla consegna di ostaggi. Terminate con rapidità le operazioni, ricondusse le legioni negli accampamenti invernali. Indetto, secondo il solito, un concilio della Gallia per l'inizio della primavera, si presentarono tutti, tranne i Senoni, i Carnuti e i Treveri. Cesare lo considera segno dell'inizio delle ostilità e della ribellione e, per dimostrare che metteva in secondo piano ogni altro problema, trasferisce il concilio a Lutezia, città dei Parisi. Costoro confinavano con i Senoni e a essi si erano uniti all'epoca dei nostri padri, ma non prendevano parte, si riteneva, al piano di sollevazione. Comunicato dalla tribuna il cambiamento di sede, il giorno stesso si dirige, con le legioni, verso le terre dei Senoni, dove giunge a marce forzate. |
54 | Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis,contactum nullis ante cupidinibus.tum mihi constantis deiecit lumina fastuset caput impositis pressit Amor pedibus,donec me docuit castas odisse puellas 5improbus, et nullo vivere consilio.ei mihi, iam toto furor hic non deficit anno,cum tamen adversos cogor habere deos.Milanion nullos fugiendo, Tulle, laboressaevitiam durae contudit Iasidos. 10nam modo Partheniis amens errabat in antris,rursus in hirsutas ibat et ille feras;ille etiam Hylaei percussus vulnere ramisaucius Arcadiis rupibus ingemuit.ergo velocem potuit domuisse puellam: 15tantum in amore fides et benefacta valent.in me tardus Amor non ullas cogitat artes,nec meminit notas, ut prius, ire vias.at vos, deductae quibus est pellacia lunaeet labor in magicis sacra piare focis, 20en agedum dominae mentem convertite nostrae,et facite illa meo palleat ore magis!tunc ego crediderim Manes et sidera vobisposse Cytinaeis ducere carminibus.aut vos, qui sero lapsum revocatis, amici, 25quaerite non sani pectoris auxilia.fortiter et ferrum saevos patiemur et ignes,sit modo libertas quae velit ira loqui.ferte per extremas gentes et ferte per undas,qua non ulla meum femina norit iter.30vos remanete, quibus facili deus annuit aure,sitis et in tuto semper amore pares.nam me nostra Venus noctes exercet amaras,et nullo vacuus tempore defit Amor.hoc, moneo, vitate malum: sua quemque moretur 35cura, neque assueto mutet amore torum.quod si quis monitis tardas adverterit aures,heu referet quanto verba dolore mea! | Cinzia, con i suoi occhi, sventurato mi prese e fu la primane m'aveva toccato ancora la passione.Allora la costante freddezza del mio sguardovinse. Amore, ed oppresse con i piedi il mio capofino a che, sciagurato, ogni donna virtuosami fece odiare e vivere senza nessuna legge.È già un anno che questo furore non mi lasciae nondimeno avversi devo avere gli dèi.Milanione accettando. Tulio, qualunque prova,domò l'asprezza della dura làside. Ed oranelle grotte partente come impazzito erravae belve dall'irsuto manto affrontava, e quandofu percosso dai colpi della clava di Ileoferito andò gemendo tra le rupi di Arcadia.Cosi potè domare la veloce fanciulla,tanto in amore valgono preghiere e benefici.Come ritarda Amore, non trova le sue artifate che più del mio sia pallido il suo volto!Allora potrei credervi, credere che possiatecon gli incanti della Citeina i fiumi e le stelle guidare.E voi che tardi, amici, mi richiamate dalla mia cadutacercate di aiutare il mio cuore ammalato.Soffrirò con coraggio ferro e orribili fuochi, purché possadire liberamente quello che l'ira vuole.Portatemi tra genti remote, sulle ondeportatemi, là dove nessuna donna sappiail mio cammino; voi, a cui facile orecchioprestò il dio, rimanete in un fedele amore.Venere mi tormenta con le sue notti amare,non resta ozioso Amore, e mai non mi abbandona.Evitate, vi avverto, questo male, che ognunoindugi nel suo affanno, che non cerchi altro amore.E chi mi darà ascolto troppo tardi, ah con quantodolore avrà memoria di queste mie parole! |
898 | Dum haec parat atque administrat, C. Fabium legatum cum legionibus III, quas Narbone circumque ea loca hiemandi causa disposuerat, in Hispaniam praemittit celeriterque saltus Pyrenaeos occupari iubet, qui eo tempore ab L. Afranio legato praesidiis tenebantur. Reliquas legiones, quae longius hiemabant, subsequi iubet. Fabius, ut erat imperatum, adhibita celeritate praesidium ex saltu deiecit magnisque itineribus ad exercitum Afrani contendit. | Mentre porta avanti e dirige questi preparativi, manda innanzi in Spagna il luogotenente C. Fabio con tre legioni, che aveva lasciato a svernare a Narbona e dintorni, e ordina che siano occupati in breve tempo i passi dei Pirenei, che al momento teneva con dei presidi il luogotenente pompeiano L. Afranio. Ordina alle altre legioni, che svernavano più lontano, di seguire Fabio, che, secondo gli ordini, ha rapidamente scacciato il presidio dai passi pirenei e, a marce forzate, si è diretto contro l'esercito di Afranio. |
329 | Quarta vigilia circiter Lentulus Spinther de muro cum vigiliis custodibusque nostris colloquitur; velle, si sibi fiat potestas, Caesarem convenire. Facta potestate ex oppido mittitur, neque ab eo prius Domitiani milites discedunt, quam in conspectum Caesaris deducatur. Cum eo de salute sua agit, orat atque obsecrat, ut sibi parcat, veteremque amicitiam commemorat Caesarisque in se beneficia exponit; quae erant maxima: quod per eum in collegium pontificum venerat, quod provinciam Hispaniam ex praetura habuerat, quod in petitione consulatus erat sublevatus.Cuius orationem Caesar interpellat: se non maleficii causa ex provincia egressum, sed uti se a contumeliis inimicorum defenderet, ut tribunos plebis in ea re ex civitate expulsos in suam dignitatem restitueret, ut se et populum Romanum factione paucorum oppressum in libertatem vindicaret. Cuius oratione confirmatus Lentulus, ut in oppidum reverti liceat, petit: quod de sua salute impetraverit, fore etiam reliquis ad suam spem solatio; adeo esse perterritos nonnullos, ut suae vitae durius consulere cogantur. Facta potestate discedit. | Sul finire della notte Lentulo Spintere, dall'alto delle mura, dice alle sentinelle e alle nostre guardie di volere, se possibile, incontrare Cesare. Concesso il permesso, lo lasciano uscire dalla città; i soldati di Domizio non si allontanano da lui finché non giunge al cospetto di Cesare. Con lui inizia a trattare la propria salvezza; lo prega e lo scongiura di risparmiarlo, gli ricorda l'antica amicizia e passa in rassegna i benefici, per altro veramente grandi, ricevuti da Cesare: grazie al suo aiuto era entrato nel collegio dei pontefici, dopo la pretura aveva ottenuto la provincia di Spagna, era stato sostenuto nella candidatura al consolato. Cesare interrompe le sue parole: gli ricorda che è uscito dalla sua provincia non per fare del male, ma per difendersi dalle ingiurie degli avversari, per ristabilire nei loro poteri i tribuni della plebe cacciati dalla città in quell'occasione, per vendicare se stesso e il popolo romano, la cui libertà era stata soffocata da un pugno di fanatici. Lentulo, rinfrancato dalle sue parole, chiede il permesso di tornare in città: assicura a Cesare che anche per gli altri sarà di conforto e speranza l'avere egli ottenuto da lui grazia; lo informa che alcuni sono così atterriti da arrivare a darsi la morte. Ottenuto il permesso, si allontana. |
714 | Haec eodem tempore Caesari mandata referebantur et legati ab Haeduis et a Treveris veniebant: Haedui questum quod Harudes, qui nuper in Galliam transportati essent, fines eorum popularentur: sese ne obsidibus quidem datis pacem Ariovisti redimere potuisse; Treveri autem, pagos centum Sueborum ad ripas Rheni consedisse, qui Rhemum transire conarentur; his praeesse Nasuam et Cimberium fratres. Quibus rebus Caesar vehementer commotus maturandum sibi existimavit, ne, si nova manus Sueborum cum veteribus copiis Ariovisti sese coniunxisset, minus facile resisti posset.Itaque re frumentaria quam celerrime potuit comparata magnis itineribus ad Ariovistum contendit. | Nel momento stesso in cui a Cesare veniva riferita la risposta di Ariovisto, giungevano emissari da parte degli Edui e dei Treveri. Gli Edui si lamentavano che gli Arudi, da poco trasferitisi in Gallia, devastavano il loro territorio: neppure la consegna degli ostaggi era valsa a ottenere la pace da Ariovisto. I Treveri, invece, dicevano che le cento tribù degli Svevi si erano stabilite lungo le rive del Reno e tentavano di attraversarlo; li guidavano i fratelli Nasua e Cimberio. Cesare, fortemente scosso dalle notizie, pensò di dover stringere i tempi per evitare di incontrare maggiore resistenza, se il nuovo gruppo degli Svevi si fosse aggiunto alle precedenti truppe di Ariovisto. Perciò, fatta al più presto provvista di grano, mosse contro Ariovisto forzando le tappe. |
853 | Caesar nuntiis ad civitatem Aeduorum missis, qui suo beneficio conservatos docerent quos iure belli interficere potuisset, tribusque horis noctis exercitui ad quietem datis castra ad Gergoviam movit. Medio fere itinere equites a Fabio missi, quanto res in periculo fuerit, exponunt. Summis copiis castra oppugnata demonstrant, cum crebro integri defessis succederent nostrosque assiduo labore defatigarent, quibus propter magnitudinem castrorum perpetuo esset isdem in vallo permanendum.Multitudine sagittarum atque omnis generis telorum multos vulneratos; ad haec sustinenda magno usui fuisse tormenta. Fabium discessu eorum duabus relictis portis obstruere ceteras pluteosque vallo addere et se in posterum diem similemque casum apparare. His rebus cognitis Caesar summo studio militum ante ortum solis in castra pervenit. | Agli Edui Cesare invia messi per spiegare che per suo beneficio risparmiava i loro, mentre avrebbe potuto farne strage secondo il diritto di guerra. Di notte concede all'esercito tre ore di riposo, poi muove il campo verso Gergovia. Quando aveva percorso circa metà del cammino, i cavalieri inviati da C. Fabio gli espongono quali pericoli abbia corso il campo. I nemici - illustrano - l'avevano attaccato in forze: truppe fresche davano continuamente il cambio a chi era stanco, i nostri erano spossati dalla fatica che non conosceva pause, perché le dimensioni dell'accampamento li costringevano a rimanere sempre sul vallo. Molti erano stati colpiti dai nugoli di frecce e proiettili d'ogni tipo scagliati dai nemici; per resistere all'attacco, erano state di grande utilità le macchine da lancio. Quando il nemico si era allontanato, Fabio aveva barricato tutte le porte tranne due e aggiunto plutei al vallo, preparandosi a un identico assalto per il giorno successivo. Conosciuta la situazione, Cesare, grazie allo straordinario impegno dei soldati, raggiunge l'accampamento prima dell'alba. |
50 | Dicebas quondam solum te nosse Catullum,Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,sed pater ut gnatos diligit et generos.Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,multo mi tamen es vilior et levior.Qui potis est, inquis? Quod amante miniuria talisCogit amare magis, sed bene velle minus. | Una volta dicevi di avere per amante il solo Catullo,Lesbia, e di non volermi cambiare nemmeno con Giove.T’amavo, allora, e non come di solito si ama un’amica,ma come un padre ama i propri figli ed i generi.Ma ora ti ho conosciuta, e anche se brucio più fortePer me, adesso, comunque tu vali molto di meno."com’è possibile?" chiedi. Un’offesa come la tuaCostringe ad amare di più, ma a voler bene di meno. |
830 | His rebus gestis omni Gallia pacata, tanta huius belli ad barbaros opinio perlata est uti ab iis nationibus quae trans Rhenum incolerent legationes ad Caesarem mitterentur, quae se obsides daturas, imperata facturas pollicerentur. Quas legationes Caesar, quod in Italiam Illyricumque properabat, inita proxima aestate ad se reverti iussit. Ipse in Carnutes, Andes, Turonos quaeque civitates propinquae iis locis erant ubi bellum gesserat, legionibus in hiberna deductis, in Italiam profectus est.Ob easque res ex litteris Caesaris dierum XV supplicatio decreta est, quod ante id tempus accidit nulli. | Portate a termine tali imprese e pacificata la Gallia, si diffuse tra i barbari una tale fama di questa guerra, che i popoli d'oltre Reno inviarono a Cesare ambascerie impegnandosi alla consegna di ostaggi e all'obbedienza. Cesare, che aveva fretta di partire per l'Italia e l'Illirico, invitò i messi delle legazioni a ripresentarsi all'inizio dell'estate successiva. E, condotte le legioni negli accampamenti invernali, nelle terre dei Carnuti, degli Andi, dei Turoni e dei popoli vicini ai luoghi in cui avevano combattuto, se ne partì per l'Italia. In seguito alle sue imprese, comunicate per lettera da Cesare stesso, furono decretati quindici giorni di feste solenni di ringraziamento, onore mai tributato a nessuno prima di allora. |
522 | Caesar, qui milites adversariorum in castra per tempus colloquii venerant, summa diligentia conquiri et remitti iubet. Sed ex numero tribunorum militum centurionumque nonnulli sua voluntate apud eum remanserunt. Quos ille postea magno in honore habuit; centuriones in priores ordines, equites Romanos in tribunicium restituit honorem. | Cesare ordina di ricercare con grande cura e rimettere in libertà i soldati nemici che erano giunti a colloquio nel suo accampamento. Ma tra i tribuni militari e i centurioni alcuni di propria volontà rimasero presso di lui. In seguito Cesare li tenne in grande considerazione; diede ai centurioni i più alti gradi e ai cavalieri romani la dignità tribunicia. |
616 | At Caesar principibus cuiusque civitatis ad se evocatis alias territando, cum se scire quae fierent denuntiaret, alias cohortando magnam partem Galliae in officio tenuit. Tamen Senones, quae est civitas in primis firma et magnae inter Gallos auctoritatis, Cavarinum, quem Caesar apud eos regem constituerat, cuius frater Moritasgus adventu in Galliam Caesaris cuiusque maiores regnum obtinuerant, interficere publico consilio conati, cum ille praesensisset ac profugisset, usque ad fines insecuti regno domoque expulerunt et, missis ad Caesarem satisfaciendi causa legatis, cum is omnem ad se senatum venire iussisset, dicto audientes non fuerunt.Tantum apud homines barbaros valuit esse aliquos repertos principes inferendi belli tantamque omnibus voluntatum commutationem attulit, ut praeter Aeduos et Remos, quos praecipuo semper honore Caesar habuit, alteros pro vetere ac perpetua erga populum Romanum fide, alteros pro recentibus Gallici belli officiis, nulla fere civitas fuerit non suspecta nobis. Idque adeo haud scio mirandumne sit, cum compluribus aliis de causis, tum maxime quod ei, qui virtute belli omnibus gentibus praeferebantur, tantum se eius opinionis deperdidisse ut a populo Romano imperia perferrent gravissime dolebant. | Cesare, allora, convocò i principi di ciascun popolo, e ora col timore precisando di essere al corrente di quanto accadeva, ora con la persuasione, indusse la maggior parte delle genti galliche al rispetto degli impegni assunti. Tuttavia i Senoni, tra i più forti e autorevoli in Gallia, a seguito di decisione pubblica, tentarono di eliminare Cavarino, che Cesare aveva designato loro sovrano (e già erano stati re suo fratello Moritasgo, all'epoca dell'arrivo di Cesare in Gallia, e i suoi avi). Cavarino ne presagì le intenzioni e fuggì; i suoi avversari gli diedero la caccia sino al confine e lo bandirono dal trono e dal paese. In seguito, inviarono a Cesare un'ambasceria per discolparsi: egli comandò che tutti i senatori si presentassero da lui, ma il suo ordine venne disatteso. A quegli uomini barbari bastò che ci fossero dei fautori della guerra: in tutti si verificò un tale mutamento di propositi, che quasi nessun popolo rimase al di sopra dei nostri sospetti, se si eccettuano gli Edui e i Remi, che Cesare tenne sempre in particolare onore - i primi per l'antica e costante lealtà nei confronti del popolo romano, i secondi per i recenti servizi durante la guerra in Gallia. Ma non so se la cosa sia poi tanto strana, tenendo soprattutto presente che, tra le molte altre cause, popoli considerati superiori a tutti, per valore militare, adesso erano profondamente afflitti per aver perso prestigio al punto da dover sottostare al dominio di Roma. |
188 | "Neque vero mihi quicquam" inquit "praestabilius videtur, quam posse dicendo tenere hominum mentis, adlicere voluntates, impellere quo velit, unde autem velit deducere: haec una res in omni libero populo maximeque in pacatis tranquillisque civitatibus praecipue semper floruit semperque dominata est. [31] Quid enim est aut tam admirabile, quam ex infinita multitudine hominum exsistere unum, qui id, quod omnibus natura sit datum, vel solus vel cum perpaucis facere possit? Aut tam iucundum cognitu atque auditu, quam sapientibus sententiis gravibusque verbis ornata oratio et polita? aut tam potens tamque magnificum, quam populi motus, iudicum religiones, senatus gravitatem unius oratione converti? | "In verità" disse "niente mi sembra più eccellente che poter intrattenere parlando le menti degli uomini, attirare la volontà, muovere dove si voglia, o dedurre onde si voglia. Questa sola cosa in ogni popolo libero e massimamente nelle civiltà pacate e tranquille principalmente sempre fiorì e sempre dominò. Infatti che cosa c’é di più meraviglioso del veder sorgere dall’infinita moltitudine degli uomini uno che da solo o con pochi possa fare quello che la natura ha concesso a tutti? O di più piacevole a conoscere e a sentire di un discorso abbellito e adorno di saggi pensieri ed elevate espressioni? Che cosa è così imponente e sublime quanto il fatto che le passioni del popolo, i sentimenti dei giudici, l’austerità del Senato siano modificati dal discorso di un solo uomo?” |
369 | Planities erat magna et in ea tumulus terrenus satis grandis. Hic locus aequum fere spatium a castris Ariovisti et Caesaris aberat. Eo, ut erat dictum, ad conloquium venerunt. Legionem Caesar, quam equis devexerat, passibus CC ab eo tumulo constituit. Item equites Ariovisti pari intervallo constiterunt. Ariovistus ex equis ut conloquerentur et praeter se denos ad conloquium adducerent postulavit. Ubi eo ventum est, Caesar initio orationis sua senatusque in eum beneficia commemoravit, quod rex appellatus esset a senatu, quod amicus, quod munera amplissime missa; quam rem et paucis contigisse et pro magnis hominum officiis consuesse tribui docebat; illum, cum neque aditum neque causam postulandi iustam haberet, beneficio ac liberalitate sua ac senatus ea praemia consecutum.Docebat etiam quam veteres quamque iustae causae necessitudinis ipsis cum Haeduis intercederent, quae senatus consulta quotiens quamque honorifica in eos facta essent, ut omni tempore totius Galliae principatum Haedui tenuissent, prius etiam quam nostram amicitiam adpetissent. Populi Romani hanc esse consuetudinem, ut socios atque amicos non modo sui nihil deperdere, sed gratia, dignitate, honore auctiores velit esse; quod vero ad amicitiam populi Romani attulissent, id iis eripi quis pati posset? Postulavit deinde eadem quae legatis in mandatis dederat: ne aut Haeduis aut eorum sociis bellum inferret, obsides redderet, si nullam partem Germanorum domum remittere posset, at ne quos amplius Rhenum transire pateretur. | Vi era una vasta pianura, e in essa un monticello di terra abbastanza grande. Questo luogo era lontano di uno spazio quasi uguale dall'uno e dall'altro accampamento. Vennero lì al colloquio, come era stato fissato. Cesare fece fermare a duecento passi da quel monticello la legione che aveva trasportato sui cavalli. Parimente i cavalieri di Ariovisto si fermarono a uguale distanza. Ariovisto domandò che si parlassero dai cavalli e conducessero al colloquio dieci uomini per ciascuno oltre a (loro stessi). Quando si giunse lì, Cesare, in principio del suo discorso, ricordò i benefici suoi e del Senato verso di lui che era stato chiamato re dal Senato, che (era stata chiamato) amico, che doni erano stati mandati generosissimamente; dimostrava che tale cose e era toccata a pochi e era solita essere data per grandi servigi degli uomini. Lui, sebbene non avesse né titolo né giusta cagione di domandarli, aveva conseguito vantaggi (soltanto) per beneficio e generosità sua e del Senato. Dimostrava, inoltre, quanto antiche e quanto giuste cagioni di amicizia esistettero per loro con gli Edui, quali decreti del Senato, quante volte e quanto onorevoli fossero stati fatti verso di loro, che in ogni tempo gli Edui avevano tenuto il primato di tutta la Gallia, prima ancora di aver ricercato la nostra amicizia. L'usanza del popolo romano era questa, che voleva che i suoi alleati e amici non solo non perdessero nulla del proprio, ma fossero più forniti di eredità, dignità, di onore: chi poi potrebbe permettere che ciò che essi avevano portato all'amicizia del popolo Romano, fosse tolto a loro? Poi, domandò le medesime cose che aveva dato agli inviati nelle istruzioni, che non portasse guerra o agli Edui o ai loro alleati; che restituisse gli ostaggi; che, se non poteva rimandare a casa nessuna parte dei Germani, almeno non lasciasse che alcuni passassero più il Reno. |
276 | Multas per gentes et multa per aequora vectusadvenio has miseras, frater, ad inferias,ut te postremo donarem munere mortiset mutam nequiquam alloquerer cinerem,quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,heu miser indigne frater adempte mihi!Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentumtradita sunt tristi munere ad inferias,accipe fraterno multum manantia fletu,atque in perpetuum, frater, ave atque vale. | O fratello, dopo aver viaggiato attraverso molti popoli e molte distese d'acqua,giungo per queste sciagurate offerte,affinché ti doni l'estremo regalo di mortee dica invano parole consolatrici alla (tua) cenere,poiché la sorte afferrò da me proprio te,o sciagurato fratello ingiustamente strappatomi!In questo momento, tuttavia, pur stando così le cose,accetta queste (offerte) molto grondanti di pianto fraterno,che sono state portate (da me) con triste dovere, per le offerte,per l'antica tradizione degli avi,e stai bene in eterno e sii forte, fratello. |
227 | Quae cum intuerer stupens, ut me recepi: “Quid? Hic”, inquam, “quis est qui complet aures meas tantus et tam dulcis sonus?”. “Hic est”, inquit, “ille qui intervallis coniunctus imparibus, sed tamen pro rata parte ratione distinctis, impulsu et motu ipsorum orbium efficitur et, acuta cum gravibus temperans,varios aequabiliter concentus efficit; nec enim silentio tanti motus incitari possunt, et natura fert ut extrema ex altera parte graviter, ex altera autem acute sonent.Quam ob causam summus ille caeli stellifer cursus, cuius conversio est concitatior, acuto et excitato movetur sono, gravissimo autem hic lunaris atque infimus; nam terra nona inmobilis manens una sede semper haeret, complexa medium i mundi locum. Illi autem octo cursus, in quibus eadem vis est duorum, septem efficiunt distinctos intervallissonos, qui numerus rerum omnium fere nodus est: quod docti homines nervis imitati atque cantibus,aperuerunt sibi reditum in hunc locum, sicut alii qui praestantibus ingeniis in vita humana divina studia coluerunt. Hoc sonitu oppletae aures hominum obsurduerunt - nec est ullus hebetior sensus in vobis – sicut, ubi Nilus ad illa quae Catadupa nominantur praecipitat ex altissimis montibus, ea gens quae illum locum adcolit propter magnitudinem sonitus sensu audiendi caret. Hic verotantus est totius mundi incitatissima conversione sonitus, ut eum aures hominum capere non possint, sicut intueri solem adversum nequitis, eiusque radiis acies vestra sensusque vincitur”. | Osservando questo spettacolo, non appena mi riebbi, dico: “eh che? Che suono è questo, così intenso e così soave, cheriempie le mie orecchie?”. Rispose Scipione, “questo è il suono che, in quanto accord di intervallic diseguali, eppure distinti secondo un criterio determinato dalle parti, risulta dal movimento impresso alle stesse sfere celesti e temperando i suoni acuti con quelli gravi, origina accordi armoniosamente vari; infatti movimenti così grandiosi non possono compiersi in silenzioe la natura fa in modo che sfere più lontane emettano da un’estremità suoni gravi e dall’altra suoni acuti. Perciò la sfera più alta del cielo quella delle stelle fisse, la cui rotazione è più veloce, si muove con un suono acuto e vibrante, invece questa sfera della luna che è la più bassa, si muove con un suono più grave; la Terra infatti rimanendo immobile come nona, rimane sempre fissa nella stessa posizione, occupando il centro dell’universo. Inoltre le 8 sfere di cui 2 hanno la stessa velocità, producono 7 suoni distinti da intervalli, questo numero è, per così dire, il fulcro di tutto l’universo: e gli uomini esperti negli strumenti a corde e nel canto imitandolo si sono aperti la via a questo luogo, come altri che, grazie all’eccellenza del loro ingegno, hanno coltivato gli studi divini durante la loro vita. Le orecchie degli uomini riempite da questo suono sono diventate sorde - e nessunsenso in voi mortali è più debole – così come là, dove il Nilo si getta a precipizio da altissimi monti nella regione chiamata Catadupa, abita quella gente che quel luogo manca del senso dell’udito per l’intensità del suono degli uomini. In verità, questo è talmente forte per la velocissima rotazione di tutto l’universo, che le orecchie degli uomini non riescono a coglierlo, così come non potete fissure il sole e il vostro senso della vista è vinto dai suoi raggi”. |
725 | Erant apud Caesarem in equitum numero Allobroges duo fratres, Raucillus et Egus, Adbucilli filii, qui principatum in civitate multis annis obtinuerat, singulari virtute homines, quorum opera Caesar omnibus Gallicis bellis optima fortissimaque erat usus. His domi ob has causas amplissimos magistratus mandaverat atque eos extra ordinem in senatum legendos curaverat agrosque in Gallia ex hostibus captos praemiaque rei pecuniariae magna tribuerat locupletesque ex egentibus fecerat.Hi propter virtutem non solum apud Caesarem in honore erant, sed etiam apud exercitum cari habebantur; sed freti amicitia Caesaris et stulta ac barbara arrogantia elati despiciebant suos stipendiumque equitum fraudabant et praedam omnem domum avertebant. Quibus illi rebus permoti universi Caesarem adierunt palamque de eorum iniuriis sunt questi et ad cetera addiderunt falsum ab his equitum numerum deferri, quorum stipendium averterent. | Vi erano presso Cesare, nella sua cavalleria, due fratelli Allobrogi, Roucillo ed Eco, figli di Adbucillo, che per molti anni era stato al comando del suo popolo, uomini di singolare valore, della cui opera, eccellente e valorosissima, Cesare si era servito in tutte le guerre galliche. A costoro in patria, per questi motivi, aveva fatto affidare cariche molto importanti e li aveva, eccezionalmente, fatti eleggere senatori; aveva dato loro in Gallia terreni sottratti ai nemici e grandi premi in denaro, facendoli, da poveri che erano, ricchi. Costoro, per il loro valore, erano non solo stimati da Cesare, ma anche considerati dall'esercito; ma, fiduciosi dell'amicizia di Cesare e trascinati da una stolta arroganza tipica dei barbari, disprezzavano i loro compagni, defraudavano la paga dei cavalieri e sottraevano tutto il bottino per mandarlo a casa. I cavalieri, irritati da questi fatti, andarono tutti insieme da Cesare e si lamentarono pubblicamente dei loro soprusi e in più aggiunsero che da quelli era stato dichiarato un falso numero di cavalieri per appropriarsi indebitamente della loro paga. |
754 | Hoc vero magis properare Varro, ut cum legionibus quam primum Gades contenderet, ne itinere aut traiectu intercluderetur: tanta ac tam secunda in Caesarem voluntas provinciae reperiebatur. Progresso ei paulo longius litterae Gadibus redduntur: simulatque sit cognitum de edicto Caesaris, consensisse Gaditanos principes eum tribunis cohortium, quae essent ibi in praesidio, ut Gallonium ex oppido expellerent, urbem insulamque Caesari servarent. Hoc inito consilio denuntiavisse Gallonio, ut sua sponte, dum sine periculo liceret, excederet Gadibus; si id non fecisset, sibi consilium capturos.Hoc timore adductum Gallonium Gadibus excessisse. His cognitis rebus altera ex duabus legionibus, quae vernacula appellabatur, ex castris Varronis adstante et inspectante ipso signa sustulit seseque Hispalim recepit atque in foro et porticibus sine maleficio consedit. Quod factum adeo eius conventus cives Romani comprobaverunt, ut domum ad se quisque hospitio cupidissime reciperet. Quibus rebus perterritus Varro, cum itinere converso sese Italicam venturum praemisisset, certior ab suis factus est praeclusas esse portas. Tum vero omni interclusus itinere ad Caesarem mittit, paratum se esse legionem, cui iusserit, tradere. Ille ad eum Sextum Caesarem mittit atque huic tradi iubet. Tradita legione Varro Cordubam ad Caesarem venit; relatis ad eum publicis cum fide rationibus quod penes eum est pecuniae tradit et, quid ubique habeat frumenti et navium, ostendit. | Per questi motivi Varrone si affrettava a giungere quanto prima con le legioni a Gades perché la via di terra e il passaggio di mare non gli venissero bloccati; tanto e così benevolo favore nei confronti di Cesare si poteva constatare nella provincia. Aveva fatto poca strada quando gli viene recapitata una lettera proveniente da Gades per informarlo che, non appena si era avuta conoscenza dell'editto di Cesare, i notabili di Gades si erano accordati con i tribuni delle coorti che erano lì di guarnigione per scacciare dalla città Gallonio e salvaguardare città e isola per Cesare. Presa questa decisione, intimarono a Gallonio di lasciare Gades spontaneamente finché gli era concesso di farlo senza pericolo; ma se egli non l'avesse fatto, avrebbero preso le opportune decisioni. Spinto da questo timore Gallonio lasciò Gades. Venuta a conoscenza di ciò, una delle due legioni che erano dette provinciali, disertò dal campo di Varrone, in sua presenza e sotto i suoi occhi, e ritornò a Ispali e, senza arrecare danno, sostò nel foro e sotto i portici. E i cittadini romani di quella colonia approvarono a tal punto quel gesto che ciascuno accolse ospitalmente e con gran piacere presso di sé i legionari. Varrone, atterrito da questi fatti, cambiò direzione di marcia e mandò a dire che sarebbe andato a Italica, ma dai suoi fu informato che gli erano state chiuse le porte. Allora invero, preclusa ogni strada, manda a dire a Cesare di essere pronto a consegnare la legione a chi egli ordinava. Cesare gli manda Sesto Cesare e gli ordina di consegnarla a lui. Consegnata la legione, Varrone giunge a Cordova presso Cesare; dopo avere reso lealmente i conti della pubblica amministrazione, gli consegna il denaro che aveva con sé e gli mostra quanto frumento e navi possedeva e dove erano. |
768 | Labienus, cum et loci natura et manu munitissumis castris sese teneret, de suo ac legionis periculo nihil timebat; ne quam occasionem rei bene gerendae dimitteret, cogitabat. Itaque a Cingetorige atque eius propinquis oratione Indutiomari cognita, quam in concilio habuerat, nuntios mittit ad finitimas civitates equitesque undique evocat: his certum diem conveniendi dicit. Interim prope cotidie cum omni equitatu Indutiomarus sub castris eius vagabatur, alias ut situm castrorum cognosceret, alias colloquendi aut territandi causa: equites plerumque omnes tela intra vallum coniciebant.Labienus suos intra munitionem continebat timorisque opinionem, quibuscumque poterat rebus, augebat. | Labieno, al riparo in un accampamento ben munito per conformazione naturale e numero di soldati, non nutriva timori per sé o per la legione. Tuttavia, meditava di non lasciarsi sfuggire nessuna occasione per una bella impresa. Così, non appena informato da Cingetorige e dai suoi parenti del discorso di Induziomaro al concilio, Labieno invia messi alle genti limitrofe e fa venire a sé da ogni parte cavalieri: fissa la data in cui avrebbero dovuto presentarsi. Frattanto, quasi ogni giorno Induziomaro, con la cavalleria al completo, incrociava nei pressi dell'accampamento, vuoi per prender visione di com'era disposto il campo, vuoi per intavolare discorsi o suscitar timori; i suoi cavalieri, generalmente, scagliavano frecce all'interno del vallo. Labieno teneva i suoi entro le fortificazioni e cercava, con ogni mezzo, di dar l'impressione di aver paura. |
981 | Deum maxime Mercurium colunt. Huius sunt plurima simulacra: hunc omnium inventorem artium ferunt, hunc viarum atque itinerum ducem, hunc ad quaestus pecuniae marcaturasque habere vim maximam arbitrantur. Post hunc Apollinem et Martem et Iovem et Minervam. De his eandem fere, quam reliquae gentes, habent opinionem: Apollinem morbos depellere, Minervam operum atque artificiorum initia tradere, Iovem imperium caelestium tenere, Martem bella regere. Huic, cum proelio dimicare constituerunt, ea quae bello ceperint plerumque devovent: cum superaverunt, animalia capta immolant reliquasque res in unum locum conferunt.Multis in civitatibus harum rerum exstructos tumulos locis consecratis conspicari licet; neque saepe accidit, ut neglecta quispiam religione aut capta apud se occultare aut posita tollere auderet, gravissimumque ei rei supplicium cum cruciatu constitutum est. | Tra gli dei adorano specialmente Mercurio. Di questo sono presenti parecchie statue, tramandano questo come inventore di tutte le arti, guida di tutte le vie e i viaggi, reputano che questo abbia un enorme potere per i guadagni e per i commerci. Dopo questo (adorano) Apollo e Marte e Giove e Minerva. A proposito di essi hanno quasi la stessa opinione delle altre popolazioni: (dicono) che Apollo scaccia le malattie, Minerva porta i fondamenti delle arti e dei mestieri, Giove governa l'impero dei Celesti, Marte dirige le guerre. A questo, quando hanno deciso di combattere in una battaglia, offrono ciò che per lo più hanno preso in guerra: tra le cose che hanno conquistato, sacrificano gli esseri viventi presi e portano le cose restanti in un luogo unico. In molte città è possibile osservare i mucchi di queste cose innalzati su luoghi consacrati e non accade spesso che, trascurata la religione, qualcuno osi nascondere presso di sé il bottino o portare vie le offerte, ed è stata costituita una gravissima pena con tortura per questa cosa. |
553 | Druides a bello abesse consuerunt neque tributa una cum reliquis pendunt; militiae vacationem omniumque rerum habent immunitatem. Tantis excitati praemiis et sua sponte multi in disciplinam conveniunt et a parentibus propinquisque mittuntur. Magnum ibi numerum versuum ediscere dicuntur. Itaque annos nonnulli vicenos in disciplina permanent. Neque fas esse existimant ea litteris mandare, cum in reliquis fere rebus, publicis privatisque rationibus Graecis litteris utantur.Id mihi duabus de causis instituisse videntur, quod neque in vulgum disciplinam efferri velint neque eos, qui discunt, litteris confisos minus memoriae studere: quod fere plerisque accidit, ut praesidio litterarum diligentiam in perdiscendo ac memoriam remittant. In primis hoc volunt persuadere, non interire animas, sed ab aliis post mortem transire ad alios, atque hoc maxime ad virtutem excitari putant metu mortis neglecto. Multa praeterea de sideribus atque eorum motu, de mundi ac terrarum magnitudine, de rerum natura, de deorum immortalium vi ac potestate disputant et iuventuti tradunt. | I druidi hanno l'abitudine di star lontani dalla guerra e non pagano i tributi insieme agli altri, hanno l'esenzione dal servizio militare e da ogni altra prestazione. Indotti da così grandi privilegi, sia molti spontaneamente vanno nella (loro) scuola, sia sono mandati da genitori e parenti. Si dice che lì imparano a memoria un gran numero di versi. Perciò alcuni restano nell'apprendistato per venti anni. Né stimano che sia lecito affidare quella dottrina alla scrittura, mentre nelle altre cose, nei conti pubblici e privati, si servono dell'alfabeto greco. Mi sembra che abbiano istituito ciò per due ragioni: perché non vogliono che si porti tra il popolo quella dottrina né quelli che la imparano, fidandosi della scrittura, esercitino di meno la memoria: poiché accade quasi alla maggior parte, che con l'aiuto della scrittura trascuri la volontà di apprendere e la memoria. In primo luogo vogliono convincer(li) di ciò, e cioè che le anime non muoiono ma dopo la morte passano dall'uno all'altro, e pensano che ciò inciti moltissimo al valore, eliminata ogni paura della morte. Discutono di molte cose, e tramandano alla gioventù molte notizie sulle stelle e sul loro moto, sulla grandezza dell'universo e della terra, intorno alla natura, sulla potenza degli dei immortali e sui loro poteri. |
750 | Magnam haec res Caesari difficultatem ad consilium capiendum adferebat, si reliquam partem hiemis uno loco legiones contineret, ne stipendiariis Aeduorum expugnatis cuncta Gallia deficeret, quod nullum amicis in eo praesidium videretur positum esse; si maturius ex hibernis educeret, ne ab re frumentaria duris subvectionibus laboraret. Praestare visum est tamen omnis difficultates perpeti, quam tanta contumelia accepta omnium suorum voluntates alienare.Itaque cohortatus Aeduos de supportando commeatu praemittit ad Boios qui de suo adventu doceant hortenturque ut in fide maneant atque hostium impetum magno animo sustineant. Duabus Agedinci legionibus atque impedimentis totius exer citus relictis ad Boios proficiscitur. | La mossa di Vercingetorige metteva in grave difficoltà Cesare, incerto sul da farsi: se per il resto dell'inverno avesse tenuto le legioni concentrate in un solo luogo, temeva che la caduta di un popolo vassallo degli Edui potesse causare una defezione generale della Gallia, visto che lui non rappresentava una garanzia di difesa per gli alleati; d'altronde, se avesse mobilitato l'esercito troppo presto, lo preoccupava l'approvvigionamento di grano per i disagi del trasporto. Gli sembrò meglio, tuttavia, affrontare qualsiasi difficoltà piuttosto che subire un'onta così grave e alienarsi l'animo di tutti i suoi. Perciò, incita gli Edui a occuparsi del trasporto dei viveri e invia messaggeri ai Boi per informarli del suo arrivo ed esortarli a mantenere i patti e a reggere con grande coraggio all'assalto nemico. Lascia ad Agedinco due legioni con le salmerie di tutto l'esercito e parte alla volta dei Boi. |
805 | Vbi intellexit ultro ad se veniri, altera ex parte Senones Carnutesque conscientia facinoris instigari, altera Nervios Aduatucosque bellum Romanis parare, neque sibi voluntariorum copias defore, si ex finibus suis progredi coepisset, armatum concilium indicit. Hoc more Gallorum est initium belli, quo lege communi omnes puberes armati convenire consuerunt; qui ex eis novissimus convenit, in conspectu multitudinis omnibus cruciatibus affectus necatur.In eo concilio Cingetorigem, alterius principem factionis, generum suum, quem supra demonstravimus Caesaris secutum fidem ab eo non discessisse, hostem iudicat bonaque eius publicat. His rebus confectis, in concilio pronuntiat arcessitum se a Senonibus et Carnutibus aliisque compluribus Galliae civitatibus; huc iturum per fines Remorum eorumque agros popula turum ac, priusquam id faciat, castra Labieni oppugnaturum. Quae fieri velit praecipit. | Induziomaro, quando si rese conto della spontaneità di tali ambascerie e che, da un lato, i Senoni e i Carnuti erano spinti dalla consapevolezza della propria colpa, dall'altro i Nervi e gli Atuatuci preparavano guerra ai Romani, e, inoltre, che non gli sarebbero mancate bande di volontari, se si fosse mosso dai suoi territori, convoca un'assemblea armata. È il modo con cui di solito i Galli iniziano una guerra: per una legge comune, tutti i giovani sono costretti a venirvi in armi; chi giunge ultimo, al cospetto di tutti viene sottoposto a torture d'ogni sorta e ucciso. In tale assemblea Induziomaro dichiara Cingetorige, capo della fazione avversa e suo genero - abbiamo già ricordato che si era messo sotto la protezione di Cesare e gli era rimasto fedele - nemico pubblico e ne confisca le sostanze. Dopo tali risoluzioni, nel concilio Induziomaro annuncia solennemente di aver accolto le sollecitazioni dei Senoni, dei Carnuti e di molte altre genti della Gallia; intende attraversare i territori dei Remi e devastarne i campi, ma, prima, vuole porre l'assedio al campo di Labieno. Impartisce gli ordini da eseguire. |
622 | Acie triplici instituta et celeriter VIII milium itinere confecto, prius ad hostium castra pervenit quam quid ageretur Germani sentire possent. Qui omnibus rebus subito perterriti et celeritate adventus nostri et discessu suorum, neque consilii habendi neque arma capiendi spatio dato perturbantur, copiasne adversus hostem ducere an castra defendere an fuga salutem petere praestaret. Quorum timor cum fremitu et concursu significaretur, milites nostri pristini diei perfidia incitati in castra inruperunt.Quo loco qui celeriter arma capere potuerunt paulisper nostris restiterunt atque inter carros impedimentaque proelium commiserunt; at reliqua multitudo puerorum mulierumque (nam cum omnibus suis domo excesserant Rhenum transierant) passim fugere coepit, ad quos consectandos Caesar equitatum misit. | Disposto l'esercito su tre file, percorse rapidamente otto miglia e piombò sul campo nemico prima che i Germani potessero rendersi conto di cosa stava accadendo. I nemici, atterriti per più di una ragione, dall'arrivo improvviso dei nostri, dall'assenza dei loro, dal non avere il tempo di prendere alcuna decisione, né di correre alle armi, erano incerti se conveniva affrontare i Romani, difendere l'accampamento o darsi alla fuga. I rumori e la confusione davano il segno del timore che regnava tra i nemici; i nostri, irritati dal proditorio attacco del giorno precedente, fecero irruzione nel campo avversario. Qui, chi riuscì ad armarsi in fretta, per un po' oppose resistenza, combattendo tra i carri e le salmerie; gli altri, invece, ossia le donne e i bambini (infatti, avevano abbandonato le loro terre e attraversato il Reno con le famiglie) si diedero a una fuga disordinata. Al loro inseguimento Cesare inviò la cavalleria. |
313 | Bis magno cum detrimento repulsi Galli quid agant consulunt; locorum peritos adhibent: ex his superiorum castrorum situs munitionesque cognoscunt. Erat a septentrionibus collis, quem propter magnitudinem circuitus opere circumplecti non potuerant nostri: necessario paene iniquo loco et leniter declivi castra fecerunt. Haec Gaius Antistius Reginus et Gaius Caninius Rebilus legati cum duabus legionibus obtinebant. Cognitis per exploratores regionibus duces hostium LX milia ex omni numero deligunt earum civitatum quae maximam virtutis opinionem habebant; quid quoque pacto agi placeat occulte inter se constituunt; adeundi tempus definiunt, cum meridies esse videatur.His copiis Vercassivellaunum Arvernum, unum ex quattuor ducibus, propinquum Vercingetorigis, praeficiunt. Ille ex castris prima vigilia egressus prope confecto sub lucem itinere post montem se occultavit militesque ex nocturno labore sese reficere iussit. Cum iam meridies appropinquare videretur, ad ea castra quae supra demonstravimus contendit; eodemque tempore equitatus ad campestres munitiones accedere et reliquae copiae pro castris sese ostendere coeperunt. | I Galli, respinti due volte con gravi perdite, si consultano sul da farsi. Chiamano gente pratica della zona. Da essi apprendono com'era disposto e fortificato il nostro accampamento superiore. A nord c'era un colle che, per la sua estensione, i nostri non avevano potuto abbracciare nella linea difensiva: erano stati costretti a porre il campo in una posizione quasi sfavorevole, in leggera pendenza. Il campo era occupato dai legati C. Antistio Regino e C. Caninio Rebilo con due legioni. Gli esploratori effettuano un sopralluogo della zona, mentre i comandanti nemici scelgono sessantamila soldati tra tutti i popoli ritenuti più valorosi. In segreto mettono a punto il piano e le modalità d'azione. Fissano l'ora dell'attacco verso mezzogiorno. Il comando delle truppe suddette viene affidato all'arverno Vercassivellauno, uno dei quattro capi supremi, parente di Vercingetorige. Vercassivellauno uscì dal campo dopo le sei di sera e giunse quasi a destinazione poco prima dell'alba, si nascose dietro il monte e ordinò ai soldati di riposarsi dopo la fatica della marcia notturna. Quando ormai sembrava avvicinarsi mezzogiorno, puntò sull'accampamento di cui abbiamo parlato. Al contempo, la cavalleria cominciò ad accostarsi alle nostre difese di pianura e le truppe rimanenti comparvero dinnanzi al loro campo. |
573 | Prope dimidia parte operis a Caesare effecta diebusque in ea re consumptis VIIII naves a consulibus Dyrrachio remissae, quae priorem partem exercitus eo deportaverant, Brundisium revertuntur. Pompeius sive operibus Caesaris permotus sive etiam quod ab initio Italia excedere constituerat, adventu navium profectionem parare incipit et, quo facilius impetum Caesaris tardaret, ne sub ipsa profectione milites oppidum irrumperent, portas obstruit, vicos plateasque inaedificat, fossas transversas viis praeducit atque ibi sudes stipitesque praeacutos defigit.Haec levibus cratibus terraque inaequat; aditus autem atque itinera duo, quae extra murum ad portum ferebant, maximis defixis trabibus atque eis praeacutis praesepit. His paratis rebus milites silentio naves conscendere iubet, expeditos autem ex evocatis, sagittariis funditoribusque raros in muro turribusque disponit. Hos certo signo revocare constituit, cum omnes milites naves conscendissent, atque eis expedito loco actuaria navigia relinquit. | Cesare ha quasi terminato metà dei suoi lavori, gli erano serviti nove giorni, quando fanno ritorno a Brindisi, rimandate dai consoli, le navi che avevano trasportato a Durazzo la prima parte dell'esercito. Pompeo, o scoraggiato dai lavori di Cesare o perché sin da subito aveva deciso di lasciare l'Italia, all'arrivo delle navi incomincia a preparare la partenza e, per ritardare con più facilità l'attacco di Cesare, fa murare le porte per evitare che i soldati, al momento stesso della partenza, facciano irruzione in città, fa barricare le vie e le piazze, fa scavare fosse attraverso le vie e vi fa collocare pali e tronchi con la punta aguzza. Livella il terreno facendo coprire i buchi con terra e sottili graticci; infine con grandissime travi dalla punta aguzza, fissate al suolo, sbarra le vie d'accesso e le due strade che al di qua delle mura portavano al porto. Fatti questi preparativi, ordina ai soldati di imbarcarsi in silenzio; dispone poi sulle mura e sulle torri a distanza gli uni dagli altri soldati armati alla leggera, scegliendoli fra gli arcieri e i frombolieri richiamati in servizio. Dà disposizione che si ritirino a un segnale convenuto, quando tutti i soldati si sono imbarcati: e lascia loro, in un posto di facile accesso, imbarcazioni leggere e veloci. |
161 | Moriar: hoc dicis, desinam aegrotare posse, desinam alligari posse, desinam mori posse. [18] Non sum tam ineptus ut Epicuream cantilenam hoc loco persequar et dicam vanos esse inferorum metus, nec Ixionem rota volvi nec saxum umeris Sisyphi trudi in adversum nec ullius viscera et renasci posse cotidie et carpi: nemo tam puer est ut Cerberum timeat et tenebras et larvalem habitum nudis ossibus cohaerentium. Mors nos aut consumit aut exuit; emissis meliora restant onere detracto, consumptis nihil restat, bona pariter malaque summota sunt.[19] Permitte mihi hoc loco referre versum tuum, si prius admonuero ut te iudices non aliis scripsisse ista sed etiam tibi. Turpe est aliud loqui, aliud sentire: quanto turpius aliud scribere, aliud sentire! Memini te illum locum aliquando tractasse, non repente nos in mortem incidere sed minutatim procedere. [20] Cotidie morimur; cotidie enim demitur aliqua pars vitae, et tunc quoque cum crescimus vita decrescit. Infantiam amisimus, deinde pueritiam, deinde adulescentiam. Usque ad hesternum quidquid transit temporis perit; hunc ipsum quem agimus diem cum morte dividimus. Quemadmodum clepsydram non extremum stilicidium exhaurit sed quidquid ante defluxit, sic ultima hora qua esse desinimus non sola mortem facit sed sola consummat; tunc ad illam pervenimus, sed diu venimus. [21] Haec cum descripsisses quo soles ore, semper quidem magnus, numquam tamen acrior quam ubi veritati commodas verba, dixisti, mors non una venit, sed quae rapit ultima mors est. Malo te legas quam epistulam meam; apparebit enim tibi hanc quam timemus mortem extremam esse, non solam. | Morirò: cioè vuol dire, smetterò di potermi ammalare, smetterò di poter essere legato, smetterò di poter morire. [18] Non sono tanto sciocco da riproporre in questo passo la cantilena di Epicuro e dire che le paure degli inferi (della morte) sono inutili, né che Issione può essere sciolto dalla ruota, né che il sasso sulle spalle di Sisifo può essere volto al contrario, né che le viscere di nessuno possono quotidianamente essere divorate e ricrescere: nessuno è tanto infantile da temere cerbero e l’oscurità e il fantasma di coloro i quali sono costituiti da nude ossa. La morte o ci consuma o ci veste: se ci libera dal peso del corpo, rimane la parte migliore di noi, se ne siamo consumati non resta nulla e parimenti ne sono portati via sia il bene che il male. [19] Permettimi di riportare qui un tuo verso, nel caso in cui io ti abbia prima ammonito a riflettere che tu hai scritto cotesti principi non solo per gli altri ma anche per te. È turpe (vergognoso) dire una cosa e sentirne un’altra: ma è vergognoso scrivere una cosa e sentirne un'altra. Mi ricordo che tu una volta hai trattato quella questione, ovvero che noi non moriamo all’improvviso ma vi procediamo a piccoli passi (a poco a poco). [20] Si muore ogni giorno: ogni giorno, infatti, una qualche parte della vita viene meno e anche allorquando si cresce, la vita decresce. Si perde l’infanzia, poi la fanciullezza, poi la giovinezza. Si muore (lett. Si va morendo) fino alla fine per tutto il tempo che si attraversa, questo stesso giorno che si vive lo si divide con la morte. Come l’ultima goccia non svuota la clessidra ma qualsiasi goccia sia defluita prima, così l’ultimo momento in cui noi smettiamo di esistere non da sola costituisce la morte ma lei sola la consuma (lett. La testimonia); allora si giunge a lei (la morte), ma ci siamo giunti a lungo. [21] Dopo che si è trattato queste idee con linguaggio con cui si è soliti parlare, sempre da grande filosofo, ma tuttavia mai più pungente come quando disponi le parole per la verità, scrivi, la morte non viene una volta sola, ma quello che porta via è il momento estremo della morte (l’ultima morte). Preferisco che tu legga te stesso piuttosto che la mia epistola; infatti ti sarà chiaro che questa morte che si teme è l’ultima morte, non la sola. |
467 | Quam ob rem placuit ei ut ad Ariovistum legatos mitteret, qui ab eo postularent uti aliquem locum medium utrisque conloquio deligeret: velle sese de re publica et summis utriusque rebus cum eo agere. Ei legationi Ariovistus respondit: si quid ipsi a Caesare opus esset, sese ad eum venturum fuisse; si quid ille se velit, illum ad se venire oportere. Praeterea se neque sine exercitu in eas partes Galliae venire audere quas Caesar possideret, neque exercitum sine magno commeatu atque molimento in unum locum contrahere posse.Sibi autem mirum videri quid in sua Gallia, quam bello vicisset, aut Caesari aut omnino populo Romano negotii esset. | Perciò, Cesare decise di mandare ad Ariovisto degli ambasciatori, incaricati di chiedergli che scegliesse un luogo per un colloquio, a metà strada tra loro: voleva trattare di questioni politiche della massima importanza per entrambi. Agli ambasciatori Ariovisto così rispose: se gli serviva qualcosa da Cesare, si sarebbe recato di persona da lui; ma se era Cesare a volere qualcosa, toccava a lui andare da Ariovisto. Inoltre, non osava recarsi senza esercito nelle zone della Gallia possedute da Cesare, né era possibile radunare l'esercito senza ingenti scorte di viveri e grandi sforzi. Del resto, si domandava con meraviglia che cosa Cesare o, in generale, il popolo romano avessero a che fare nella sua parte di Gallia, da lui vinta in guerra. |
44 | Quae tecum, Catilina, sic agit et quodam modo tacita loquitur: "Nullum iam aliquot annis facinus exstitit nisi per te, nullum flagitium sine te; tibi uni multorum civium neces, tibi vexatio direptioque sociorum inpunita fuit ac libera; tu non solum ad neglegendas leges et quaestiones, verum etiam ad evertendas perfringendasque valuisti. Superiora illa, quamquam ferenda non fuerunt, tamen, ut potui, tuli; nunc vero me totam esse in metu propter unum te, quicquid increpuerit, Catilinam timeri, nullum videri contra me consilium iniri posse, quod a tuo scelere abhorreat, non est ferendum.Quam ob rem discede atque hunc mihi timorem eripe; si est verus, ne opprimar, sin falsus, ut tandem aliquando timere desinam". | Questa, o Catilina, così agisce e in qualche modo silenziosa ti parla :”Nessun crimine è stato compiuto in molti anni se non per gli alleati è stata sfrenata e libera. Tu sei stato in grado nn solo di trasgredire le leggi e i processi, ma anche di capovolgerli e farli a pezzi. Le vicende passate, sebbene non fossero da tollerare, tuttavia, come ho potuto, le ho sopportate. Ora invece non è sopportabile che io sia tutta nella paura a a causa di te solo, che, qualsiasi cosa accada, Catilina sia temuto, che sembri che qualche intento possa andare contro di me, il quale si discosti dal tuo delitto. Per questo motivo vattene e porta via da me questo timore: se questo è vero, poichè io non ne sia oppresso, se questo è falso, poichè io smetta di aver paura”. |
587 | Iamque Pompeiani magna caede nostrorum castris Marcellini appropinquabant non mediocri terrore illato reliquis cohortibus, et M. Antonius, qui proximum locum praesidiorum tenebat, ea re nuntiata cum cohortibus XII descendens ex loco superiore cernebatur. Cuius adventus Pompeianos compressit nostrosque firmavit, ut se ex maximo timore colligerent. Neque multo post Caesar significatione per castella fumo facta, ut erat superioris temporis consuetudo, deductis quibusdam cohortibus ex praesidiis eodem venit.Qui cognito detrimento eum animadvertisset Pompeium extra munitiones egressum, castra secundum mare munire, ut libere pabulari posset nec minus aditum navibus haberet, commutata ratione belli, quoniam propositum non tenuerat, castra iuxta Pompeium munire iussit. | E già i Pompeiani si avvicinavano al campo di Marcellino con grande strage dei nostri e recando non poco terrore alle altre coorti, quando Marco Antonio, che era a capo del posto di presidio più vicino, annunciatagli la disfatta viene visto scendere dalle alture con dodici coorti. Il suo arrivo arrestò i Pompeiani e rincuorò i nostri, cosicché si rinfrancarono dalla tremenda paura. E non molto dopo Cesare, non appena un segnale di fumo da fortino a fortino lo avvertì, secondo l'usanza dei tempi passati, giunse nel medesimo luogo con alcune coorti tratte dai presidi. Venuto a conoscenza della sconfitta subìta e visto che Pompeo era uscito dalle trincee e fortificava il campo lungo il mare per potere foraggiare liberamente e avere possibilità di accesso alle navi, Cesare cambia il piano di guerra, poiché non aveva ottenuto gli scopi prefissati, e ordina di trincerarsi vicino a Pompeo. |
326 | Caesar, cum suam lenitatem cognnitam omnibus sciret neque vereretur ne quid crudelitate naturae videretur asperius fecisse, neque exitum consiliorum suorum animadverteret, si tali ratione diversis in locis plures consilia inissent, exemplo supplici deterrendos reliquos existimavit. Itaque omnibus qui arma tulerant manus praecidit vitamque concessit, quo testatior esset poena improborum. Drappes, quem captum esse a Caninio docui, sive indignitate et dolore vinculorum sive timore gravioris supplici paucis diebus cibo se abstinuit atque ita interiit.Eodem tempore Lacterius, quem profugisse ex proelio scripsi, cum in potestatem venisset Epasnacti Arverni (crebro enim mutandis locis multorum fidei se committebat, quod nusquam diutius sine periculo commoraturus videbatur, cum sibi conscius esset, quam inimicum deberet Caesarem habere), hunc Epasnactus Arvernus, amicissimus populi Romani, sine dubitatione ulla vinctum ad Caesarem deduxit. | Cesare sapeva che a tutti era nota la sua mitezza e non temeva di apparire un individuo crudele se avesse assunto provvedimenti piuttosto severi; d'altronde, non vedeva sbocco ai suoi disegni, se in diverse zone i Galli avessero continuato a prendere iniziative del genere. Ritenne opportuno, allora, dissuadere gli altri con un castigo esemplare. Dunque, mozzò le mani a chiunque avesse impugnato le armi, ma li mantenne in vita, per lasciare più concreta testimonianza di come puniva i traditori. Drappete, catturato da Caninio, come ho detto, o per l'umiliazione e il dolore delle catene o per la paura di un supplizio ancor più atroce non toccò cibo per un po' di giorni e così morì. Nello stesso tempo Lucterio, che era fuggito dopo la battaglia, come ho scritto in precedenza, aveva affidato la propria persona all'arverno Epasnacto (infatti, mutando luogo di frequente, si metteva nelle mani di molti, poiché gli sembrava rischioso dimorare troppo a lungo in qualsiasi posto, ben conscio di quanto doveva essergli nemico Cesare). L'arverno Epasnacto, però, fedelissimo alleato del popolo romano, senz'alcuna esitazione lo mette in catene e lo consegna a Cesare. |
162 | Tum Brutus: orationes quidem eius mihi vehementer probantur. compluris autem legi; atque etiam commentarios quosdam scripsit rerum suarum. Valde quidem, inquam, probandos; nudi enim sunt, recti et venusti, omni ornatu orationis tamquam veste detracta. sed dum voluit alios habere parata, unde sumerent qui vellent scribere historiam, ineptis gratum fortasse fecit, qui volent illa calamistris inurere: sanos quidem homines a scribendo deterruit; nihil est enim in historia pura et inlustri brevitate dulcius. | E Bruto allora: "Certo, le sue orazioni mi piacciono immensamente, ne ho lette molte; e anche i commentari ch'egli ha scritto sulle sue imprese". "Ammirevoli davvero- dico io- sono schietti, semplici, ricchi di grazia, spgli d'ogni ornamento come un bel corpo senza veste. Ma mentre gli ha voluto fornire ad altri il materiale cui potessero attingere quelli che volessero scrivere di storia, ha fatto forse cosa gradita agli stolti che sarannno tentati di appicciarvi fronzoli, ma certamente ha distolto dallo scrivere gli uomini di buon gusto. Nulla infatti è più gradevole della semplice e chiara brevità. |
360 | Itaque in praesentia Pompei sequendi rationem omittit, in Hispaniam proficisci constituit: duumviris municipiorum omnium imperat, ut naves conquirant Brundisiumque deducendas curent. Mittit in Sardiniam cum legione una Valerium legatum, in Siciliam Curionem pro praetore cum legionibus duabus; eundem, cum Siciliam recepisset, protinus in Africam traducere exercitum iubet. Sardiniam obtinebat M. Cotta, Siciliam M. Cato; Africam sorte Tubero obtinere debebat.Caralitani, simul ad se Valerium mitti audierunt, nondum profecto ex Italia sua sponte Cottam ex oppido eiciunt. Ille perterritus, quod omnem provinciam consentire intellegebat, ex Sardinia in Africam profugit. Cato in Sicilia naves longas veteres reficiebat, novas civitatibus imperabat. Haec magno studio agebat. In Lucanis Brutiisque per legatos suos civium Romanorum delectus habebat, equitum peditumque certum numerum a civitatibus Siciliae exigebat. Quibus rebus paene perfectis adventu Curionis cognito queritur in contione sese proiectum ac proditum a Cn. Pompeio, qui omnibus rebus imparatissimis non necessarium bellum suscepisset et ab se reliquisque in senatu interrogatus omnia sibi esse ad bellum apta ac parata confirmavisset. Haec in contione questus ex provincia fugit. | E così per il momento Cesare tralascia di inseguire Pompeo; decide di partire alla volta della Spagna; ordina ai duumviri di ogni municipio di procurarsi delle navi e farle pervenire a Brindisi. Manda in Sardegna con una legione il luogotenente Valerio, in Sicilia il propretore Curione con tre legioni; gli ordina, non appena presa la Sicilia, di trasportare subito in Africa l'esercito. M. Cotta governava la Sardegna, M. Catone la Sicilia; l'Africa era toccata in sorteggio a Tuberone. Gli abitanti di Cagliari,di propria iniziativa, non appena seppero che da loro era stato inviato Valerio, e prima ancora che egli lasci l'Italia, cacciano dalla città Cotta. Costui, atterrito perché capiva che tutta la provincia la pensava allo stesso modo, fugge dalla Sardegna in Africa. In Sicilia Catone faceva riparare vecchie navi da guerra, e ne richiedeva delle nuove alle città. Lavorava con grande impegno. In Lucania e nel Bruzzio faceva leve di cittadini romani tramite i suoi luogotenenti; esigeva dalle città della Sicilia un certo numero di cavalieri e fanti. Quando queste operazioni erano quasi compiute, Catone, venuto a conoscenza dell'arrivo di Curione, in una adunanza pubblica si lamenta di essere stato abbandonato e tradito da Cn. Pompeo che, senza alcun preparativo, aveva intrapreso senza necessità una guerra e, alle sue domande e a quelle del senato, aveva assicurato di avere preparato e predisposto tutto all'uopo. Dopo essersi così lamentato in assemblea, fugge via dalla provincia. |
498 | Vercingetorix, priusquam munitiones ab Romanis perficiantur, consilium capit omnem ab se equitatum noctu dimittere. Discedentibus mandat ut suam quisque eorum civitatem adeat omnesque qui per aetatem arma ferre possint ad bellum cogant. Sua in illos merita proponit obtestaturque ut suae salutis rationem habeant neu se optime de communi libertate meritum in cruciatum hostibus dedant. Quod si indiligentiores fuerint, milia hominum delecta octoginta una secum interitura demonstrat.Ratione inita se exigue dierum triginta habere frumentum, sed paulo etiam longius tolerari posse parcendo. His datis mandatis, qua opus erat intermissum, secunda vigilia silentio equitatum mittit. Frumentum omne ad se referri iubet; capitis poenam eis qui non paruerint constituit: pecus, cuius magna erat copia ab Mandubiis compulsa, viritim distribuit; frumentum parce et paulatim metiri instituit; copias omnes quas pro oppido collocaverat in oppidum recepit. His rationibus auxilia Galliae exspectare et bellum parat administrare. | Vercingetorige prende la decisione di far uscire di notte tutta la cavalleria, prima che i Romani portassero a termine la linea di fortificazione. Alla partenza, raccomanda a tutti di raggiungere ciascuno la propria gente e di raccogliere per la guerra tutti gli uomini che, per età, potevano portare le armi. Ricorda i suoi meriti nei loro confronti, li scongiura di tener conto della sua vita, di non abbandonarlo al supplizio dei nemici, lui che tanti meriti aveva nella lotta per la libertà comune. E se avessero svolto il compito con minor scrupolo, insieme a lui avrebbero perso la vita ottantamila uomini scelti. Fatti i conti, aveva grano a malapena per trenta giorni, ma se lo razionava, poteva resistere anche un po' di più. Con tali compiti, prima di mezzanotte fa uscire, in silenzio, la cavalleria nel settore dove i nostri lavori non erano ancora arrivati. Ordina la consegna di tutto il grano; fissa la pena capitale per chi non avesse obbedito; quanto al bestiame, fornito in grande quantità dai Mandubi, distribuisce a ciascuno la sua parte; fa economia di grano e comincia a razionarlo; accoglie entro le mura tutte le truppe prima schierate davanti alla città. Prese tali misure, attende i rinforzi della Gallia e si prepara a guidare le operazioni. |
949 | Quibus rebus animadversis legiones sibi alias ex Asia adduci iussit, quas ex Pompeianis militibus confecerat. Ipse enim necessario etesiis tenebatur, qui navigantibus Alexandria flant adversissimi venti. Interim controversias regum ad populum Romanum et ad se, quod esset consul, pertinere existimans atque eo magis officio suo convenire, quod superiore consulatu cum patre Ptolomaeo et lege et senatusconsulto societas erat facta, ostendit sibi placere regem Ptolomaeum atque eius sororem Cleopatram exercitus, quos haberent, dimittere et de controversiis iure apud se potius quam inter se armis disceptare. | In considerazione di questi fatti, Cesare diede ordine che venissero trasferite dall'Asia altre legioni, che egli aveva formato con soldati pompeiani. Egli stesso infatti era trattenuto forzatamente dai venti etesii, che soffiano contrari per chi salpa da Alessandria. Frattanto, giudicando che era di pertinenza del popolo romano e sua, in quanto console, dirimere le controversie fra Tolomeo e sua sorella e che tanto più la cosa lo riguardava poiché nel precedente consolato aveva fatto, per legge e per decreto del senato, un'alleanza con Tolomeo padre, fece sapere che era di suo gradimento che il re Tolomeo e sua sorella Cleopatra sciogliessero gli eserciti che avevano e ponessero fine alle dispute davanti a lui, secondo le vie legali, piuttosto che tra loro con le armi. |
539 | Haec cum animadvertisset, convocato consilio omniumque ordinum ad id consilium adhibitis centurionibus, vehementer eos incusavit: primum, quod aut quam in partem aut quo consilio ducerentur sibi quaerendum aut cogitandum putarent. Ariovistum se consule cupidissime populi Romani amicitiam adpetisse; cur hunc tam temere quisquam ab officio discessurum iudicaret? Sibi quidem persuaderi cognitis suis poslulatis atque aequitate condicionum perspecta eum neque suam neque populi Romani gratiam repudiaturum.Quod si furore atque amentia impulsum bellum intulisset, quid tandem vererentur? Aut cur de sua virtute aut de ipsius diligentia desperarent? Factum eius hostis periculum patrum nostrorum memoria Cimbris et Teutonis a C. Mario pulsis [cum non minorem laudem exercitus quam ipse imperator meritus videbatur]; factum etiam nuper in Italia servili tumultu, quos tamen aliquid usus ac disciplina, quam a nobis accepissent, sublevarint. Ex quo iudicari posse quantum haberet in se boni constantia, propterea quod quos aliquam diu inermes sine causa timuissent hos postea armatos ac victores superassent. Denique hos esse eosdem Germanos quibuscum saepe numero Helvetii congressi non solum in suis sed etiam in illorum finibus plerumque superarint, qui tamen pares esse nostro exercitui non potuerint. Si quos adversum proelium et fuga Gallorum commoveret, hos, si quaererent, reperire posse diuturnitate belli defatigatis Gallis Ariovistum, cum multos menses castris se ac paludibus tenuisset neque sui potestatem fecisset, desperantes iam de pugna et dispersos subito adortum magis ratione et consilio quam virtute vicisse. Cui rationi contra homines barbaros atque imperitos locus fuisset, hac ne ipsum quidem sperare nostros exercitus capi posse. Qui suum timorem in rei frumentariae simulationem angustiasque itineris conferrent, facere arroganter, cum aut de officio imperatoris desperare aut praescribere viderentur. Haec sibi esse curae; frumentum Sequanos, Leucos, Lingones subministrare, iamque esse in agris frumenta matura; de itinere ipsos brevi tempore iudicaturos. Quod non fore dicto audientes neque signa laturi dicantur, nihil se ea re commoveri: scire enim, quibuscumque exercitus dicto audiens non fuerit, aut male re gesta fortunam defuisse aut aliquo facinore comperto avaritiam esse convictam. Suam innocentiam perpetua vita, felicitatem Helvetiorum bello esse perspectam. Itaque se quod in longiorem diem conlaturus fuisset repraesentaturum et proxima nocte de quarta, vigilia castra moturum, ut quam primum intellegere posset utrum apud eos pudor atque officium an timor plus valeret. Quod si praeterea nemo sequatur, tamen se cum sola decima legione iturum, de qua non dubitet, sibique eam praetoriam cohortem futuram. Huic legioni Caesar et indulserat praecipue et propter virtutem confidebat maxime. | Avendo (Cesare) notato queste cose, essendo stato convocato un consiglio e chiamati a questo consiglio gli ufficiali di tutti i gradi, rimproverò loro fortemente: in primo luogo perché ritenevano di dover ricercare o pensare o in qual parte o con quale piano fossero guidati. Quando egli era console, Ariovisto aveva desiderato avidissimamente l'amicizia del popolo romano: perché qualcuno doveva pensare che egli si sarebbe allontanato dal dovere sì temerariamente? Che egli per parte sua era persuaso che egli (Ariovisto), esaminate le sue richieste e riconosciuta l'equità delle condizioni, non avrebbe respinto l'amicizia né sua né del popolo romano. Che se, spinto dal furore e da dissennatezza, avesse portato guerra, di che avrebbero dovuto alla fine temere? O perché dovevano disperare del proprio valore o della sua stessa abilità? Prova di quel nemico era stata fatta a memoria dei nostri padri quando, essendo stati disfatti da Gaio Mario i Cimbri e i Teutoni, l’esercito sembrava aver meritato lode non minore che il generale stesso; era stata fatta anche testé in Italia nella ribellione degli schiavi, che tuttavia la pratica e la disciplina che avevano appresa da noi, aiutavano alquanto. Dal che si poteva giudicare quanto di bene la fermezza avesse in sé, perché avevano vinto dopo, armati e vincitori, quelli che una volta avevano temuto senza causa, disarmati. Infine, questi erano i medesimi, con i quali spesso gli Elvezi, essendo venuti allo scontro, avevano vinti il più delle volte non solo nel proprio territorio, ma anche in (quello) di loro, tuttavia, essi (Elvezi) non avevano potuto essere uguali al nostro esercito. Se il combattimento sfavorevole e la fuga dei Galli faceva impressione ad alcuni, costoro, se si fossero informati, avrebbe saputo che, dopoché i Galli furono stancati dalla lunghezza della guerra, Ariovisto, essendosi trattenuto per molti mesi nell’accampamento e nelle paludi, e non avendo fatto possibilità di se stesso, avendo assalito repentinamente quando disperavano già della battaglia e dispersi, li aveva vinti con il senno e con il piano piuttosto che con il valore. Neppure egli stesso sperava che i nostri eserciti potessero essere ingannati con questo metodo, al quale stratagemma luogo era stato contro gente barbara e ignorante. Coloro che portavano la loro paura nel pretesto della provvista del grano e nelle difficoltà delle strade, operavano insolentemente, sembrando disperare del dovere del generale o insegnar(lo) (a lui). Queste cose erano a cura sua; i Sequani, i Leuci, i Lingoni fornivano il frumento, e ormai il frumento era maturo nei campi; essi stessi in breve tempo avrebbero giudicato intorno alla strada. Per nulla era impressionato da quella cosa, che si diceva che i soldati non avrebbe obbedito ai suoi ordini né avrebbero portato avanti le insegne; poiché egli sapeva che a tutti coloro i quali l'esercito non era stato obbediente agli ordini, o in un’impresa condotta male la fortuna era mancata o, essendo stata scoperta qualche colpa, la venalità era stata provata: il suo disinteresse era stato riconosciuto in tutta quanta la vita, la fortuna nella guerra degli Elvezi. Perciò, egli avrebbe anticipato ciò che avrebbe differito ad un giorno più lontano, e avrebbe messo il campo nella notte più vicina, alla quarta veglia, per poter sapere quanto prima se la vergogna e il dovere o la paura avesse forza presso di loro. Che se del resto nessuno lo avesse seguito, tuttavia egli sarebbe andato con la decima legione sola, della quale non dubitava, ed essa sarebbe stata per lui la coorte pretoria. Cesare e si era affezionato a questa legione principalmente, e aveva fiducia moltissimo a causa del suo valore. |
705 | In eadem causa fuerunt Usipetes et Tencteri, quos supra diximus; qui complures annos Sueborum vim sustinuerunt, ad extremum tamen agris expulsi et multis locis Germaniae triennium vagati ad Rhenum pervenerunt, quas regiones Menapii incolebant. Hi ad utramque ripam fluminis agros, aedificia vicosque habebant; sed tantae multitudinis adventu perterriti ex iis aedificiis quae trans flumen habuerant demigraverant, et cis Rhenum dispositis praesidiis Germanos transire prohibebant.Illi omnia experti, cum neque vi contendere propter inopiam navium neque clam transire propter custodias Menapiorum possent, reverti se in suas sedes regionesque simulaverunt et tridui viam progressi rursus reverterunt atque omni hoc itinere una nocte equitatu confecto inscios inopinantes Menapios oppresserunt, qui de Germanorum discessu per exploratores certiores facti sine metu trans Rhenum in suos vicos remigraverant. His interfectis navibus eorum occupatis, prius quam ea pars Menapiorum quae citra Rhenum erat certior fieret, flumen transierunt atque omnibus eorum aedificiis occupatis reliquam partem hiemis se eorum copiis aluerunt. | Nella stessa situazione si trovarono gli Usipeti e i Tenteri, già nominati, che ressero per parecchi anni agli assalti degli Svevi, ma alla fine vennero scacciati dai loro territori e, dopo aver vagato tre anni per molte regioni della Germania, giunsero al Reno, nel paese dei Menapi che possedevano campi, case e villaggi su entrambe le rive del fiume; i Menapi, atterriti dall'arrivo di una massa così numerosa, abbandonarono gli edifici sull'altra sponda del fiume e, disposti presidi al di qua del Reno, cercavano di impedire il passaggio ai Germani. Quest'ultimi, dopo tentativi d'ogni sorta, non potendo combattere perché a corto di navi, né riuscendo a passare di nascosto per la sorveglianza dei Menapi, finsero di rientrare in patria, ma dopo tre giorni di cammino tornarono indietro: in una sola notte la cavalleria coprì tutto il tragitto e piombò inattesa sugli ignari Menapi, che erano rientrati nei loro villaggi d'oltre Reno senza timore, perché i loro esploratori avevano confermato la partenza dei nemici. I Germani fecero strage dei Menapi e, impadronitisi delle loro navi, attraversarono il fiume prima che sull'altra sponda giungesse notizia dell'accaduto; occupati tutti gli edifici dei Menapi, si servirono delle loro provviste per la restante parte dell'inverno. |
221 | Ergo saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis conviviorum inritationibus corruptae. Litterarum secreta viri pariter ac feminae ignorant. Paucissima in tam numerosa gente adulteria, quorum poena praesens et maritis permissa: abscisis crinibus nudatam coram propinquis expellit domo maritus ac per omnem vicum verbere agit; publicatae enim pudicitiae nulla venia: non forma, non aetate, non opibus maritum invenerit. Nemo enim illic vitia ridet, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur.Melius quidem adhuc eae civitates, in quibus tantum virgines nubunt et eum spe votoque uxoris semel transigitur. Sic unum accipiunt maritum quo modo unum corpus unamque vitam, ne ulla cogitatio ultra, ne longior cupiditas, ne tamquam maritum, sed tamquam matrimonium ament. Numerum liberorum finire aut quemquam ex adgnatis necare flagitium habetur, plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges. | Dunque esse vivono in una castità ben protetta, senza lasciarsi corrompere da allettamenti di sorta derivanti da spettacoli o dalla eccitazione conseguente ai banchetti. Gli uomini allo stesso modo delle donne non conoscono gli scritti clandestini. Pur in seno ad un popolo tanto numeroso pochissimi gli adulteri che si verificano, la cui punizione è immediata e affidata ai mariti: il marito caccia di casa (la moglie adultera) alla presenza dei parenti dopo averla fatta denudare e averle fatto tagliare i capelli e la insegue a forza di frustate per tutto il villaggio; infatti non esiste nessun perdono per chi ha prostituito il suo onore: la colpevole non potrebbe trovare marito né grazie alla sua bellezza o alla sua età o alle sue ricchezze. Là infatti nessuno ride dei vizi e non si chiama segno dei tempi né il corrompere né il lasciarsi corrompere. Davvero meglio ancora fanno quei popoli in cui solo le vergini trovano uno sposo e una sola volta (nella vita) si ha a che fare con la speranza e il desiderio di maritarsi. Così accettano un unico sposo proprio come un solo corpo e una sola vita, per non avere nessun pensiero che vada al di là della vita del marito né un ulteriore desiderio e per non amarlo come marito, ma come incarnazione stessa del matrimonio. Limitare il numero dei figli o ucciderne qualcuno che non sia primogenito è ritenuto una rovina e là una condotta onesta assume più valore di quanto ne abbia altrove una buona legislazione. |
762 | Qua in fuga Fabius Pelignus quidam ex infimis ordinibus de exercitu Curionis primus agmen fugientium consecutus magna voce Varum nomine appellans requirebat, uti unus esse ex eius militibus et monere aliquid velle ac dicere videretur. Ubi ille saepius appellatus aspexit ac restitit et, quis esset aut quid vellet, quaesivit, umerum apertum gladio appetit paulumque afuit, quin Varum interficeret; quod ille periculum sublato ad eius conatum scuto vitavit.Fabius a proximis militibus circumventus interficitur. Hac fugientium multitudine ac turba portae castrorum occupantur atque iter impeditur, pluresque in eo loco sine vulnere quam in proelio aut fuga intereunt, neque multum afuit, quin etiam castris expellerentur, ac nonnulli protinus eodem cursu in oppidum contenderunt. Sed cum loci natura et munitio castrorum aditum prohibebant, tum quod ad proelium egressi Curionis milites eis rebus indigebant, quae ad oppugnationem castrorum erant usui. Itaque Curio exercitum in castra reducit suis omnibus praeter Fabium incolumibus, ex numero adversariorum circiter DC interfectis ac mille vulneratis; qui omnes discessu Curionis multique praeterea per simulationem vulnerum ex castris in oppidum propter timorem sese recipiunt. Qua re animadversa Varus et terrore exercitus cognito bucinatore in castris et paucis ad speciem tabernaculis relictis de tertia vigilia silentio exercitum in oppidum reducit. | Durante questa fuga un Peligno, di nome Fabio, che aveva uno dei gradi più bassi dell'esercito di Curione, raggiunta la prima fila dei fuggitivi, andava in cerca di Varo chiamandolo per nome ad alta voce sì da sembrare essere uno dei suoi soldati e volerlo avvertire e parlargli. Quando Varo, dopo essere stato più volte chiamato, lo vide, si fermò, e chiese chi fosse e che cosa volesse, quello tirò un colpo di spada al fianco e mancò poco che uccidesse Varo; egli, alzato lo scudo per difendersi dall'attacco, evitò questo pericolo. Fabio circondato dai soldati che erano più vicini viene ucciso. Le porte dell'accampamento vengono ostruite da una moltitudine disordinata di fuggitivi e viene impedito il passaggio; muoiono più soldati in quel luogo senza ricevere ferita che in battaglia o durante la fuga e non mancò molto che venissero scacciati dal campo; alcuni uomini, senza interrompere la corsa, si diressero verso la città. Ma l'accesso era allora impedito per un verso dalla natura del luogo e dalle fortificazioni e per l'altro dal fatto che i soldati di Curione, usciti per combattere, mancavano di quei mezzi necessari per espugnare il campo. E così Curione riconduce l'esercito nell'accampamento con tutti i suoi soldati incolumi, eccetto Fabio; mentre fra i nemici ne furono uccisi circa seicento e feriti mille. Alla partenza di Curione tutti costoro e molti altri, che si fingevano feriti, lasciano l'accampamento e si rifugiano, per la paura, nella città. Varo, accortosi di ciò, visto il terrore dell'esercito, lasciati nel campo un trombettiere e poche tende per ingannare il nemico, verso mezzanotte, in silenzio, riconduce l'esercito in città. |
718 | Postridie eius diei Caesar praesidio utrisque castris quod satis esse visum est reliquit, alarios omnes in conspectu hostium pro castris minoribus constituit, quod minus multitudine militum legionariorum pro hostium numero valebat, ut ad speciem alariis uteretur; ipse triplici instructa acie usque ad castra hostium accessit. Tum demum necessario Germani suas copias castris eduxerunt generatimque constituerunt paribus intervallis, Harudes, Marcomanos, Tribocos, Vangiones, Nemetes, Sedusios, Suebos, omnemque aciem suam raedis et carris circumdederunt, ne qua spes in fuga relinqueretur.Eo mulieres imposuerunt, quae ad proelium proficiscentes milites passis manibus flentes implorabant ne se in servitutem Romanis traderent. | Il giorno successivo Cesare lasciò in entrambi gli accampamenti un presidio a suo parere sufficiente e dispiegò tutte le truppe degli alleati davanti all'accampamento minore, ben visibili, sfruttandole per ingannare il nemico, dato che i legionari erano inferiori ai Germani, dal punto di vista numerico; sistemato l'esercito su tre linee, avanzò fino all'accampamento dei nemici. Solo allora i Germani furono costretti a condurre fuori le loro truppe e si disposero secondo le varie tribù, a pari distanza le une dalle altre: gli Arudi, i Marcomanni, i Triboci, i Vangioni, i Nemeti, i Sedusi, gli Svevi. Tutto intorno collocarono carri e carriaggi, per togliere a chiunque la speranza di fuggire. Sui carri fecero salire le loro donne, che, mentre essi partivano per combattere, piangevano e con le mani protese li imploravano di non renderle schiave dei Romani. |
636 | Ibi cum alii fossas complerent, alii multis telis coniectis defensores vallo munitionibusque depellerent, auxiliaresque, quibus ad pugnam non multum Crassus confidebat, lapidibus telisque subministrandis et ad aggerem caespitibus comportandis speciem atque opinionem pugnantium praeberent, cum item ab hostibus constanter ac non timide pugnaretur telaque ex loco superiore missa non frustra acciderent, equites circumitis hostium castris Crasso renuntiaverunt non eadem esse diligentia ab decumana porta castra munita facilemque aditum habere. | I nostri, parte riempiendo i fossati, parte lanciando un nugolo di frecce, costrinsero i difensori ad abbandonare il vallo e le fortificazioni. Pure gli ausiliari, sul cui apporto Crasso non faceva troppo affidamento, rifornendo i soldati di pietre e frecce e portando zolle per elevare un terrapieno, davano l'effettiva impressione di combattere. Ma anche il nemico lottava con tenacia e coraggio e i dardi, scagliati dall'alto, non andavano a vuoto. A quel punto i cavalieri, che avevano fatto il giro del campo nemico, riferirono a Crasso che la porta decumana non era altrettanto ben difesa ed era facile penetrarvi. |
485 | His temporibus Scipio detrimentis quibusdam circa montem Amanum acceptis imperatorem se appellaverat. Quo facto civitatibus tyrannisque magnas imperaverat pecunias, item a publicanis suae provinciae debitam biennii pecuniam exegerat et ab eisdem insequentis anni mutuam praeceperat equitesque toti provinciae imperaverat. Quibus coactis, finitimis hostibus Parthis post se relictis, qui paulo ante M. Crassum imperatorem interfecerant et M. Bibulum in obsidione habuerant, legiones equitesque ex Syria deduxerat.Summamque in sollicitudinem ac timorem Parthici belli provincia cum venisset, ac nonnullae militum voces cum audirentur, sese, contra hostem si ducerentur, ituros, contra civem et consulem arma non laturos, deductis Pergamum atque in locupletissimas urbes in hiberna legionibus maximas largitiones fecit et confirmandorum militum causa diripiendas his civitates dedit. | In quel tempo Scipione, nonostante qualche perdita subìta presso il monte Amano, si era proclamato comandante supremo. Fatto ciò aveva imposto il pagamento di forti somme alle città e ai sovrani, aveva parimenti preteso dagli appaltatori della sua provincia il pagamento delle tasse arretrate di due anni; dai medesimi si era fatto anticipare, come prestito, la somma delle imposte dell'anno successivo e aveva ordinato a tutta la provincia un arruolamento di cavalieri. Ottenuto ciò, lasciandosi alle spalle, alla frontiera, quei nemici, i Parti, che poco prima avevano ucciso il generale Marco Crasso e assediato M. Bibulo, porta via dalla Siria le legioni e i cavalieri. Ma la provincia della Siria era profondamente preoccupata e timorosa di una guerra con i Parti e si sentiva dire dai soldati che essi erano pronti, se fossero stati guidati ad assalire il nemico, ma non avrebbero preso le armi contro un concittadino e un console. Pertanto egli condusse le legioni nei quartieri invernali a Pergamo e nelle città più ricche; fece grandissime elargizioni e, per assicurarsi il favore dei soldati, permise loro di saccheggiare le città. |
275 | Nulli se dicit mulier mea nubere mallequam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,in vento et rapida scribere oportet aqua. | La mia donna dice di non volere sposare nessuno piuttosto che me, nemmeno se Giove in persona la chiedesse.Dice; ma ciò che una donna dice all'amante desiderosobisogna scriverlo nel vento e nell'acqua che tutto trascina. |
13 | Aram Fortunae Reducis ante aedes Honoris et Virtutis ad portam Capenam pro reditu meo senatus consacravit, in qua pontifices et virgines Vestales anniversarium sacrificium facere iussit eo die quo, consulibus Q. Lucretio et M. Vinicio, in urbem ex Syria redieram, et diem Augustalia ex cognomine nostro appellavit. | Per il mio ritorno il senato consacrò l'Altare della Fortuna Reduce davanti al tempio dell'Onore e della Virtù presso la via Appia, nel quale ordinò che i sommi sacerdoti e le vergini Vestali facessero un sacrificio per l'anniversario nello stesso giorno in cui ero ritornato dalla Siria a Roma, sotto il consolato di Lucrezio e Vincio, e chiamò il giorno dell'Augustalia dal nostro omonimo. |
440 | Caesar, obsidibus acceptis primis civitatis atque ipsius Galbae regis duobus filiis armisque omnibus ex oppido traditis, in deditionem Suessiones accipit exercitumque in Bellovacos ducit. Qui cum se suaque omnia in oppidum Bratuspantium contulissent atque ab eo oppido Caesar cum exercitu circiter milia passuum V abesset, omnes maiores natu ex oppido egressi manus ad Caesarem tendere et voce significare coeperunt sese in eius fidem ac potestatem venire neque contra populum Romanum armis contendere.Item, cum ad oppidum accessisset castraque ibi poneret, pueri mulieresque ex muro passis manibus suo more pacem ab Romanis petierunt. | Cesare, ricevuti in ostaggio i cittadini più nobili, tra cui due figli del re Galba stesso, dopo la consegna di tutte le armi che vi erano in città, accettò la resa dei Suessioni e guidò l'esercito contro i Bellovaci, asserragliati con tutti i loro beni nella città di Bratuspanzio. Quando Cesare e le sue legioni distavano circa cinque miglia, tutti i più anziani uscirono dalla città e iniziarono a esprimere, a parole e con le mani protese verso Cesare, l'intenzione di porsi sotto la sua protezione e autorità e di non combattere contro il popolo romano. Allo stesso modo, quando Cesare si era avvicinato alla città e poneva le tende, dall'alto delle mura i bambini e le donne, con le mani protese, secondo il loro costume, chiedevano pace ai Romani. |
901 | Caninius felicissime re gesta sine ullo paene militis vulnere ad obsidendos oppidanos revertitur externoque hoste deleto, cuius timore antea dividere praesidia et munitione oppidanos circumdare prohibitus erat, opera undique imperat administrari. Venit eodem cum suis copiis postero die Gaius Fabius partemque oppidi sumit ad obsidendum. | Caninio, dopo aver compiuto con grande successo la missione, quasi senz'alcun ferito, ritorna ad assediare la città. Adesso che aveva annientato il nemico esterno, per timore del quale prima non aveva potuto dividere i presidi e stringere d'assedio gli abitanti con un'opera di fortificazione, ordina di procedere ai lavori su tutta la linea. Il giorno seguente giunge C. Fabio con tutte le truppe e assume il comando delle operazioni d'assedio per un settore della città. |
722 | Haec in omnibus Eburonum partibus gerebantur, diesque appetebat septimus, quem ad diem Caesar ad impedimenta legionemque reverti constituerat. Hic quantum in bello fortuna possit et quantos adferat casus cognosci potuit. Dissipatis ac perterritis hostibus, ut demonstravimus, manus erat nulla quae parvam modo causam timoris adferret. Trans Rhenum ad Germanos pervenit fama, diripi Eburones atque ultro omnes ad praedam evocari. Cogunt equitum duo milia Sugambri, qui sunt proximi Rheno, a quibus receptos ex fuga Tencteros atque Vsipetes supra docuimus.Transeunt Rhenum navibus ratibusque triginta milibus passuum infra eum locum, ubi pons erat perfectus praesidiumque ab Caesare relictum: primos Eburonum fines adeunt; multos ex fuga dispersos excipiunt, magno pecoris numero, cuius sunt cupidissimi barbari, potiuntur. Invitati praeda longius procedunt. Non hos palus in bello latrociniisque natos, non silvae morantur. Quibus in locis sit Caesar ex captivis quaerunt; profectum longius reperiunt omnemque exercitum discessisse cognoscunt. Atque unus ex captivis "Quid vos," inquit, "hanc miseram ac tenuem sectamini praedam, quibus licet iam esse fortunatissimos? Tribus horis Aduatucam venire potestis: huc omnes suas fortunas exercitus Romanorum contulit: praesidi tantum est, ut ne murus quidem cingi possit, neque quisquam egredi extra munitiones audeat". Oblata spe Germani quam nacti erant praedam in occulto relinquunt; ipsi Aduatucam contendunt usi eodem duce, cuius haec indicio cognoverant. | Ecco cosa succedeva in ogni parte del territorio degli Eburoni, e intanto si avvicinava il settimo giorno, fissato da Cesare per il suo ritorno alle salmerie e alla legione di presidio. In questa circostanza si poté constatare il peso della Fortuna in guerra e quali inattesi eventi essa produca. I nemici erano dispersi e atterriti, lo abbiamo visto; non vi erano truppe in grado di dare il benché minimo motivo di preoccupazione. Ai Germani, al di là del Reno, giunge voce che le terre degli Eburoni venivano saccheggiate e che, anzi, tutti erano chiamati a far bottino. I Sigambri, popolo vicino al Reno, che avevano accolto - lo abbiamo riferito in precedenza - i Tenteri e gli Usipeti in fuga, radunano duemila cavalieri. Passano il Reno su imbarcazioni e zattere, trenta miglia più a sud del punto in cui era stato costruito il ponte e dove Cesare aveva lasciato il presidio. Varcano la frontiera degli Eburoni, raccolgono molti sbandati, si impossessano di una gran quantità di capi di bestiame, preda ambitissima dai barbari. Attratti dal bottino, avanzano. Né la palude, né le selve frenano questi uomini nati tra guerre e saccheggi. Ai prigionieri chiedono dove sia Cesare; scoprono, così, che si è molto allontanato e che tutto l'esercito è partito. Allora uno dei prigionieri "Ma perché - dice - vi accanite dietro a questa preda misera e meschina, quando potreste essere già ricchissimi? Atuatuca è raggiungibile in tre ore di marcia: lì l'esercito romano ha ammassato tutti i propri averi. I difensori non bastano neppure a coprire il muro di cinta e nessuno osa uscire dalle fortificazioni". Di fronte a una tale occasione, i Germani nascondono la preda già conquistata e puntano su Atuatuca, sotto la guida dell'uomo che li aveva informati. |
423 | Fugato omni equitatu Vercingetorix copias, ut pro castris collocaverat, reduxit protinusque Alesiam, quod est oppidum Mandubiorum, iter facere coepit celeriterque impedimenta ex castris educi et se subsequi iussit. Caesar impedimentis in proximum collem deductis, duabus legionibus praesidio relictis, secutus quantum diei tempus est passum, circiter tribus milibus hostium ex novissimo agmine interfectis altero die ad Alesiam castra fecit. Perspecto urbis situ perterritisque hostibus, quod equitatu, qua maxime parte exercitus confidebant, erant pulsi, adhortatus ad laborem milites circumvallare instituit. | Vista la rotta della cavalleria, Vercingetorige ritirò le truppe schierate dinnanzi all'accampamento e mosse direttamente verso Alesia, città dei Mandubi, ordinando di condurre rapidamente le salmerie fuori dal campo e di seguirlo. Cesare porta i bagagli sul colle più vicino e vi lascia due legioni come presidio. Lo insegue finché c'è luce: uccide circa tremila uomini della retroguardia e il giorno successivo si accampa davanti ad Alesia. Esaminata la posizione della città e tenuto conto che i nemici erano atterriti, perché era stata messa in fuga la loro cavalleria, ossia il reparto su cui più confidavano, esorta i soldati all'opera e comincia a circondare Alesia con un vallo. |
619 | Hoc decreto interposito cohortatus Aeduos, ut controversiarum ac dissensionis obliviscerentur atque omnibus omissis his rebus huic bello servirent eaque quae meruissent praemia ab se devicta Gallia exspectarent equitatumque omnem et peditum milia decem sibi celeriter mitterent, quae in praesidiis rei frumentariae causa disponeret, exercitum in duas partes divisit: quattuor legiones in Senones Parisiosque Labieno ducendas dedit, sex ipse in Arvernos ad oppidum Gergoviam secundum flumen Elaver duxit; equitatus partem illi attribuit, partem sibi reliquit.Qua re cognita Vercingetorix omnibus interruptis eius fluminis pontibus ab altera fluminis parte iter facere coepit. | Dopo tale decreto, esortò gli Edui a dimenticare contrasti e dissensi e a lasciare tutto da parte, li invitò a occuparsi della guerra in corso e ad attendersi i premi che si fossero meritati, una volta piegata la Gallia. Chiese il rapido invio di tutta la cavalleria e di diecimila fanti, che avrebbe disposto a difesa delle provviste di grano. Divise in due contingenti l'esercito: quattro legioni le affidò a Labieno per condurle nelle terre dei Senoni e dei Parisi, sei le guidò personalmente nella regione degli Arverni, verso Gergovia, seguendo il corso dell'Allier. Parte della cavalleria la concesse a Labieno, parte la tenne con sé. Appena lo seppe, Vercingetorige distrusse tutti i ponti e cominciò a marciare sulla sponda opposta. |
799 | Quibus rebus accidit, ut pauci milites patresque familiae, qui aut gratia aut misericordia valerent aut naves adnare possent, recepti in Siciliam incolumes pervenirent. Reliquae copiae missis ad Varum noctu legatorum numero centurionibus sese ei dediderunt. Quarum cohortium milites postero die ante oppidum Iuba conspicatus suam esse praedicans praedam magnam partem eorum interfici iussit, paucos electos in regnum remisit, cum Varus suam fidem ab eo laedi quereretur neque resistere auderet.Ipse equo in oppidum vectus prosequentibus compluribus senatoribus, quo in numero erat Ser. Sulpicius et Licinius Damasippus paucis, quae fieri vellet, Uticae constituit atque imperavit diebusque post paucis se in regnum cum omnibus copiis recepit. | Per questi motivi accadde che solo pochi soldati e padri di famiglia, che erano influenti per autorità o suscitavano commiserazione o erano in grado di raggiungere a nuoto le navi, furono imbarcati e giunsero sani e salvi in Sicilia. Le altre truppe, inviati di notte a Varo dei centurioni in qualità di ambasciatori, si consegnarono a lui. Il giorno dopo Giuba, vedendo dinanzi alla città le coorti di questi soldati, dichiarò pubblicamente che erano sua preda di guerra e ordinò che una gran parte di loro venisse uccisa; pochi soldati, da lui scelti, furono mandati nel suo regno, sebbene Varo lamentasse, senza però osare opporsi, che egli offendeva la sua lealtà. Lo stesso re, entrato a cavallo in città, seguito da parecchi senatori, fra i quali Servio Sulpicio e Licinio Damasippo, in pochi giorni stabilì e ordinò che cosa voleva si facesse in Utica. E dopo pochi giorni ritornò con tutte le milizie nel suo regno. |
559 | Caesar hac oratione Lisci Dumnorigem, Diviciaci fratrem, designari sentiebat, sed, quod pluribus praesentibus eas res iactari nolebat, celeriter concilium dimittit, Liscum retinet. Quaerit ex solo ea quae in conventu dixerat. Dicit liberius atque audacius. Eadem secreto ab aliis quaerit; reperit esse vera: ipsum esse Dumnorigem, summa audacia, magna apud plebem propter liberalitatem gratia, cupidum rerum novarum. Complures annos portoria reliquaque omnia Haeduorum vectigalia parvo pretio redempta habere, propterea quod illo licente contra liceri audeat nemo.His rebus et suam rem familiarem auxisse et facultates ad largiendum magnas comparasse; magnum numerum equitatus suo sumptu semper alere et circum se habere, neque solum domi, sed etiam apud finitimas civitates largiter posse, atque huius potentiae causa matrem in Biturigibus homini illic nobilissimo ac potentissimo conlocasse; ipsum ex Helvetiis uxorem habere, sororum ex matre et propinquas suas nuptum in alias civitates conlocasse. Favere et cupere Helvetiis propter eam adfinitatem, odisse etiam suo nomine Caesarem et Romanos, quod eorum adventu potentia eius deminuta et Diviciacus frater in antiquum locum gratiae atque honoris sit restitutus. Si quid accidat Romanis, summam in spem per Helvetios regni obtinendi venire; imperio populi Romani non modo de regno, sed etiam de ea quam habeat gratia desperare. Reperiebat etiam in quaerendo Caesar, quod proelium equestre adversum paucis ante diebus esset factum, initium eius fugae factum a Dumnorige atque eius equitibus (nam equitatui, quem auxilio Caesari Haedui miserant, Dumnorix praeerat): eorum fuga reliquum esse equitatum perterritum. | Cesare intuiva che il discorso alludeva a Dumnorige, fratello di Diviziaco, ma non voleva trattare l'argomento di fronte a troppa gente; così, si affretta a sciogliere l'assemblea, ma trattiene Lisco. A tu per tu gli chiede delucidazioni su ciò che aveva detto durante la riunione. Lisco parla con maggior libertà e minor timore. Cesare, poi, prende segretamente informazioni anche da altre fonti e scopre che era vero: si trattava proprio di Dumnorige, un individuo di estrema audacia, di gran credito presso il popolo per la sua liberalità e avido di rivolgimenti. Per parecchi anni aveva ottenuto a basso prezzo l'appalto delle dogane e di tutte le altre imposte, perché nessuno osava fare concorrenza alle sue offerte. In questo modo aveva aumentato il patrimonio familiare e si era procurato ingenti mezzi per fare delle elargizioni. A sue spese finanziava costantemente un gran numero di cavalieri, che aveva sempre intorno a sé; inoltre, non solo in patria, ma anche tra le genti confinanti godeva di molta autorità e, per aumentarla, aveva dato in sposa sua madre a un uomo molto nobile e potente della tribù dei Biturigi, aveva preso in moglie una donna degli Elvezi, aveva fatto maritare una sua sorella dal lato materno e altre sue parenti con uomini che appartenevano ad altri popoli. Favoriva gli Elvezi ed era ben disposto nei loro confronti per ragioni di parentela; nutriva anche un odio personale nei confronti di Cesare e dei Romani, perché con il loro arrivo il suo potere era diminuito e suo fratello Diviziaco aveva riacquistato la precedente posizione di influenza e di onore. Nel caso di una sconfitta dei Romani aveva forti speranze di ottenere il regno con l'appoggio degli Elvezi; sotto il dominio del popolo romano non poteva nutrire speranze non solo di regnare, ma neppure di mantenere l'influenza che aveva. Cesare, continuando nella sua indagine, veniva anche a sapere che nel malaugurato scontro di cavalleria di recente avvenuto, il primo a fuggire era stato Dumnorige con i suoi (infatti, era lui il comandante della cavalleria che gli Edui avevano mandato di rinforzo a Cesare): la loro fuga aveva seminato il panico tra gli altri cavalieri. |
416 | Quo facto conventus civium Romanorum, qui Lissum obtinebant, quod oppidum eis antea Caesar attribuerat muniendumque curaverat, Antonium recepit omnibusque rebus iuvit. Otacilius sibi timens ex oppido fugit et ad Pompeium pervenit. Expositis omnibus copiis Antonius, quarum erat summa veteranarum trium legionum uniusque tironum et equitum DCCC, plerasque naves in Italiam remittit ad reliquos milites equitesque transportandos, pontones, quod est genus navium Gallicarum, Lissi relinquit, hoc consilio, ut si forte Pompeius vacuam existimans Italiam eo traiecisset exercitum, quae opinio erat edita in vulgus, aliquam Caesar ad insequendum facultatem haberet, nuntiosque ad eum celeriter mittit, quibus regionibus exercitum exposuisset et quid militum transvexisset. | In seguito a questi avvenimenti, la colonia di cittadini romani che occupava Lisso, città un tempo data loro e fatta fortificare da Cesare, accolse Antonio e lo aiutò in ogni modo. Otacilio, temendo per sé, fugge dalla città e si ricongiunge con Pompeo. Antonio, sbarcate tutte le truppe, il cui effettivo totale era di tre legioni di veterani, una di reclute e di ottocento cavalieri, rimanda in Italia la maggior parte delle navi per il trasporto degli altri cavalieri e soldati; lascia a Lisso le navi grosse, di tipo gallico, con il piano che, se per caso Pompeo, ritenendo l'Italia priva di difesa, vi avesse trasportato l'esercito (e questa era la voce corrente), Cesare avrebbe avuto una possibilità di inseguirlo. In gran fretta manda messaggeri a Cesare per comunicargli in quali regioni aveva fatto sbarcare l'esercito e quanti soldati aveva trasportato. |
40 | Interim vulgato Agrippinae periculo, quasi casu evenisset, ut quisque acceperat, decurrere ad litus. hi molium obiectus, hi proximas scaphas scandere; alii, quantum corpus sinebat, vadere in mare; quidam manus protendere. questibus votis clamore diversa rogitantium aut incerta respondentium omnis ora compleri; adfluere ingens multitudo cum luminibus, atque ubi incolumem esse pernotuit, ut ad gratandum sese expedire, donec adspectu armati et minitantis agminis deiecti sunt.Anicetus villam statione circumdat refractaque ianua obvios servorum abripit, donec ad fores cubiculi veniret; cui pauci adstabant, ceteris terrore inrumpentium exterritis. cubiculo modicum lumen inerat et ancillarum una, magis ac magis anxia Agrippina, quod nemo a filio ac ne Agermus quidem: aliam fore laetae rei faciem; nunc solitudinem ac repentinos strepitus et extremi mali indicia. abeunte dehinc ancilla, "tu quoque me deseris?" prolocuta respicit Anicetum, trierarcho Herculeio et Obarito centurione classiario comitatum: ac si ad visendum venisset, refotam nuntiaret, sin facinus patraturus, nihil se de filio credere; non imperatum parricidium. circumsistunt lectum percussores et prior trierarchus fusti caput eius adflixit. iam [in] morte[m] centurioni ferrum destringenti protendens uterum "ventrem feri" exclamavit multisque vulneribus confecta est. | Divulgatasi intanto la voce del rischio corso da Agrippina, come per incidente, man mano che ognuno ne aveva notizia accorreva alla spiaggia Gli uni salgono sulle sporgenze del molo, altri sulle barche vicine: chi s'inoltra in mare fin dove gli consente la sua statura, chi tende le braccia; tutto il litorale pieno di lamenti, d'invocazioni, del chiasso di domande contrastanti e di risposte malcerte; accorre un'enorme folla munita di fiaccole, e allorché si viene a sapere che Agrippina sana e salva, tutti si avviano per andare a festeggiarla: ma il sopraggiungere d'una schiera in armi, dall'aspetto minaccioso, li induce a sbandarsi. Aniceto fa accerchiare da guardie la villa, e, sfondata la porta, fa trascinar via tutti i servi che incontra; finché giunse alla soglia della camera di Agrippina, custodita ormai da pochi, perché tutti gli altri erano stati messi in fuga dallo spavento dell'irruzione. . Nella camera debolmente illuminata, v'era una sola ancella; e Agrippina era sempre pi inquieta per il fatto che nessuno venisse a lei da parte del figlio, e che neppure Agermo tornasse. Un evento lieto si sarebbe presentato con ben altro volto; ora, solitudine, rumori improvvisi, tutti gli indizi d'una catastrofe. . Poiché l'ancella si allontanava, ella aveva appena detto: "Mi abbandoni anche tu?", quando scorse Aniceto, accompagnato da Erculeio, capitano d'una trireme, e dal centurione della flotta Obarito. Agrippina disse che, se egli era venuto a visitarla, poteva annunziare la sua guarigione; se invece a compiere un delitto, essa non poteva crederne autore il figlio: questi certo non aveva comandato il matricidio. Gli esecutori circondano il letto, per primo Erculeio la percuote sul capo con una mazza; mentre il centurione alza il pugnale per finirla, essa pro- tende il ventre esclamando: "Colpisci questo!" e muore, trafitta da molte ferite |
43 | Quae tecum, Catilina, sic agit et quodam modo tacita loquitur: « Nullum iam aliquot annis facinus exstitit nisi per te, nullum flagitium sine te; tibi uni multorum civium neces, tibi vexatio direptioque sociorum inpunita fuit ac libera; tu non solum ad neglegendas leges et quaestiones, verum etiam ad evertendas perfringendasque valuisti. Superiora illa, quamquam ferenda non fuerunt, tamen, ut potui, tuli; nunc vero me totam esse in metu propter unum te, quicquid increpuerit, Catilinam timeri, nullum videri contra me consilium iniri posse, quod a tuo scelere abhorreat, non est ferendum.Quam ob rem discede atque hunc mihi timorem eripe; si est verus, ne opprimar, sin falsus, ut tandem aliquando timere desinam. | Essa così si comporta con te, Catilina, e in qualche modo senza parole così ti parla : « Da alcuni anni, ormai, non c'è stata nessuna azione delittuosa se non fatta da te, nessuna infamia senza di te. Gravano solo su di te le uccisioni di molti cittadini, per te tormenti e soprusi a danno degli alleati sono state azioni libere e impunite. Tu non solo sei stato abile a non curarti delle leggi e delle aule di tribunale, ma addirittura a sovvertirle e ad annientarle. Sono azioni del passato, e benchè non fossero tollerabili, tuttavia le ho sopportate, come ho potuto. Ora, però, non si deve sopportare che solo a causa tua io sia completamente terrorizzata , che si tema Catilina al minimo rumore, che sembri che non si possa intraprendere nessun progetto contro di me che non sia alieno dalla tua mente criminale. |
461 | Adventu L.Vibulli Rufi, quem a Pompeio missum in Hispaniam demonstratum est, Afranius et Petreius et Varro, legati Pompei, quorum unus Hispaniam citeriorem tribus legionibus, alter ulteriorem a saltu Castulonensi ad Anam duabus legionibus, tertius ab Ana Vettonum agrum Lusitaniamque pari numero legionum optinebat, officia inter se partiuntur, uti Petreius ex Lusitania per Vettones cum omnibus copiis ad Afranium proficiscatur, Varro cum eis, quas habebat, legionibus omnem ulteriorem Hispaniam tueatur.His rebus constitutis equites auxiliaque toti Lusitaniae a Petreio, Celtiberiae, Cantabris barbarisque omnibus, qui ad Oceanum pertinent, ab Afranio imperantur. Quibus coactis celeriter Petreius per Vettones ad Afranium pervenit, constituuntque communi consilio bellum ad Ilerdam propter ipsius opportunitatem gerere. | All'arrivo di L. Vibullio Rufo, che come si è detto era stato mandato in Spagna da Pompeo, Afranio, Petreio e Varrone, luogotenenti di Pompeo, dei quali il primo controllava con tre legioni la Spagna Citeriore, il secondo, con due legioni, quella Ulteriore dal valico di Castulo all'Anas, il terzo, con un uguale numero di legioni, a partire dall'Anas il territorio dei Vettoni e la Lusitania, si dividono tra di loro i compiti: Petreio, dalla Lusitania attraverso il territorio dei Vettoni, si deve congiungere, insieme con tutte le milizie, con Afranio, Varrone con le legioni in suo possesso deve difendere tutta la Spagna Ulteriore. Stabilito ciò, Petreio fa richiesta di cavalieri e truppe ausiliarie a tutta la Lusitania, Afranio alla Celtiberia, ai Cantabri e a tutti i barbari confinanti con l'Oceano. Radunate queste forze, Petreio, passando per il territorio dei Vettoni, raggiunge in breve tempo Afranio; per comune accordo stabiliscono di condurre le operazioni di guerra presso Ilerda, a causa della sua posizione strategica. |
984 | His rebus gestis Domitius, sperans Scipionem ad pugnam elici posse, simulavit sese angustiis rei frumentarise adductum castra movere, vasisque militari more conclamatis progressus milia passuum III loco idoneo et occulto omnem exercitum equitatumque collocavit. Scipio ad sequendum paratus equitum magnam partem ad explorandum iter Domitii et cognoscendum praemisit. Qui cum essent progressi, primaeque turmae insidias intravissent, ex fremitu equorum illata suspicione ad suos se recipere coeperunt, quique hos sequebantur celerem eorum receptum conspicati restiterunt.Nostri, cognitis insidiis, ne frustra reliquos exspectarent, duas nacti turmas exceperunt (in his fuit M. Opimius, praefectus equitum), reliquos omnes aut interfecerunt aut captos ad Domitium deduxerunt. | Dopo questo fatto Domizio, sperando di potere indurre Scipione a combattere, finse di essere costretto a togliere il campo per scarsezza di cibo e dato l'ordine secondo il costume militare, allontanatosi tremila passi, fece fermare tutto l'esercito e la cavalleria in un luogo adatto e nascosto. Scipione, che si era preparato a inseguirlo, mandò avanti in esplorazione gran parte della cavalleria, per conoscere il percorso di Domizio. Dopo che questi erano avanzati e i primi squadroni erano caduti nell'agguato, gli altri, insospettiti dal nitrito dei cavalli, ripiegarono e quelli che li seguivano, vista la loro veloce ritirata, si fermarono. I nostri, scoperto l'agguato [dei nemici], tanto per non aspettare invano gli altri, imbattutisi in due squadroni nemici, li fecero prigionieri. Fuggì soltanto M. Opimio, prefetto della cavalleria. Tutti gli altri furono o uccisi o condotti prigionieri da Domizio. |
149 | Felix qui potuit rerum cognoscere causasatque metus omnis et inexorabile fatumsubiecit pedibus strepitumque Acherontis auari:fortunatus et ille deos qui nouit agrestisPanaque Siluanumque senem Nymphasque sorores.illum non populi fasces, non purpura regumflexit et infidos agitans discordia fratres,aut coniurato descendens Dacus ab Histro,non res Romanae perituraque regna; neque illeaut doluit miserans inopem aut inuidit habenti.quos rami fructus, quos ipsa uolentia rura | Felice l'uomo che ha potuto conoscere il perché delle cosee si è buttato alle spalle ogni paura e il destinoche non da tregua e lo strepito dell'avaro Acheronte.Poi fortunato chi conosce gli dèi della campagnaPane e Silvano ormai vecchio e le Ninfe sorelle!Perché non è stato piegato da avidità di potere nedalla porpora regale ne dalla discordia che dannai fratelli infedeli ne dai barbariche dal Danubio discendono avventandosi a Roma,non dalla forza di Roma e dai regni che si distruggono.Egli non deve compiangere il povero o invidiare il signore |
449 | Divulgato Domiti consilio milites, qui erant Corfinii, prima vesperi secessionem faciunt atque ita inter se per tribunos militum centurionesque atque honestissimos sui generis colloquuntur: obsideri se a Caesare, opera munitionesque prope esse perfectas; ducem suum Domitium, cuius spe atque fiducia permanserint, proiectis omnibus fugae consilium capere: debere se suae salutis rationem habere. Ab his primo Marsi dissentire incipiunt eamque oppidi partem, quae munitissima videretur, occupant, tantaque inter eos dissensio exsistit, ut manum conserere atque armis dimicare conentur; post paulo tamen internuntiis ultro citroque missis quae ignorabant, de L.Domiti fuga, cognoscunt. Itaque omnes uno consilio Domitium productum in publicum circumsistunt et custodiunt legatosque ex suo numero ad Caesarem mittunt: sese paratos esse portas aperire, quaeque imperaverit facere et L. Domitium vivum in eius potestati tradere. | Divulgatosi il piano di Domizio, i soldati di stanza a Corfinio alle prime luci della sera si appartano e, tramite i tribuni dei soldati, i centurioni e quelli che fra essi godevano di maggiore credito, così fra loro discutono: sono assediati da Cesare; i lavori di fortificazione sono quasi terminati; il loro capo Domizio, con il quale sono rimasti, in lui fiduciosi e pieni di speranza, li tradisce tutti e decide di fuggire; devono pensare alla loro salvezza. In un primo tempo cominciano a non essere d'accordo su queste decisioni i Marsi che s'impossessano di quella parte della città che sembra la meglio fortificata; tra di essi sorge un tale disaccordo da rischiare di venire alle mani e dirimere la contesa con le armi; ma poco tempo dopo, in seguito a uno scambio di messaggeri da entrambe le parti, vengono a conoscenza di ciò che ignoravano, il progetto di fuga di L. Domizio. Così, di comune accordo, fanno uscire allo scoperto Domizio, lo circondano, lo prendono prigioniero e mandano a Cesare ambasciatori, scelti tra di loro, per comunicargli che sono pronti ad aprirgli le porte, a eseguire i suoi ordini, a consegnare nelle sue mani L. Domizio vivo. |
228 | Quocumque me verti, argumenta senectutis meae video. Veneram in suburbanum meum et querebar de impensis aedificii dilabentis. Ait vilicus mihi non esse neglegentiae suae vitium, omnia se facere, sed villam veterem esse. Haec villa inter manus meas crevit: quid mihi futurum est, si tam putria sunt aetatis meae saxa? Iratus illi proximam occasionem stomachandi arripio. "Apparet" inquam "has platanos neglegi: nullas habent frondes. Quam nodosi sunt et retorridi rami, quam tristes et squalidi trunci! Hoc non accideret si quis has circumfoderet, si irrigaret." Iurat per genium meum se omnia facere, in nulla re cessare curam suam, sed illas vetulas esse.Quod intra nos sit, ego illas posueram, ego illarum primum videram folium. Conversus ad ianuam "quis est iste?" inquam "iste decrepitus et merito ad ostium admotus? foras enim spectat. Unde istunc nanctus es? quid te delectavit: alienum mortuum tollere?" At ille "non cognoscis me?" inquit: "ego sum Felicio, cui solebas sigillaria afferre; ego sum Philositi vilici filius..." | ]Dovunque io mi volgo, vedo i segni della mia vecchiaia. Ero andato nella mia villa suburbana e mi lagnavo delle spese necesarie per la casa che si va disfacendo. Il castaldo mi disse che nn era colpa della sua negligenza e che egli faceva anzi tutto il possibile per evitare il male, ma purtroppo la villa era vecchia. Ed io nn posso a meno di pensare che la villa è nata e cresciuta per opera mia: ed allora che avverrà di me, se già così si sgretolano che questi sassi che hanno l'età mia? Adirato contro di lui afferro la prima occasione per litigare. "E' evidente", dico, "che questi platani sono trascurati, non hanno fronde. E come sono nodosi e secchi i rami, e come tristi e ruvidi i tronchi! E tutto questo non avverrebbe se qualcuno pensasse a scavare un pò intorno e ad irrigarli". Quegli giura che ha sempre fatto tutto il possibile, che non ha cessato di prodigare loro ogni cura; ma sono alberi assai vecchi. Ebbene, sia detto fra noi, avevo io stesso piantato quei platani e ne avevo veduto poi le prime foglie. Mi volgo verso la porta e "chi è costui?" chiedo, "questo vecchio decrepito?" Ma non mi riconosci?'"Interrompe il vecchio, "io sono Felicione, al quale tu solevi portare le statuette nelle feste sigillari; sono il figlio del castaldo Filosito..." |
453 | Quod ubi hostes viderunt, ea, quae vix longinquo spatio refici non posse sperassent, paucorum dierum opera et labore ita refecta, ut nullus perfidiae neque eruptioni locus esset nec quicquam omnino relinqueretur, qua aut telis militibus aut igni operibus noceri posset, eodemque exemplo sentiunt totam urbem, qua sit aditus ab terra, muro turribusque circumiri posse, sic ut ipsis consistendi in suis munitionibus locus non esset, cum paene inaedificata muris ab exercitu nostro moenia viderentur ac telum manu coniceretur, suorumque tormentorum usum, quibus ipsi magna speravissent, spatio propinquitatis interire parique condicione ex muro ac turribus bellandi data se virtute nostris adaequare non posse intellegunt, ad easdem deditionis condiciones recurrunt. | I nemici si accorsero che con un duro lavoro in pochi giorni erano state ricostruite quelle opere che essi speravano non potessero essere rifatte se non in un lungo tempo, sicché non vi era per loro occasione di inganno o sortita e non rimaneva alcun punto attraverso cui arrecare danno ai soldati con le armi o ai lavori con il fuoco. Parimenti comprendono che tutta quanta la città, dalla parte di terra, poteva essere accerchiata dal muro e dalle torri, sicché non sarebbe stato loro possibile resistere a piè fermo sulle loro stesse fortificazioni: il nostro esercito infatti sembrava quasi costruire le mura del terrapieno appoggiate alle mura della città così che i proiettili potevano essere scagliati a mano, mentre per il poco spazio non potevano usare le loro macchine da guerra, in cui avevano posto grande speranza. Quando comprendono che sul muro e sulle torri il combattimento può essere condotto nelle stesse condizioni e che essi non possono eguagliare i nostri in valore, ricorrono alle medesime condizioni di resa della volta precedente. |
503 | Postridie eius diei, quod omnino biduum supererat, cum exercitui frumentum metiri oporteret, et quod a Bibracte, oppido Haeduorum longe maximo et copiosissimo, non amplius milibus passuum XVIII aberat, rei frumentariae prospiciendum existimavit; itaque iter ab Helvetiis avertit ac Bibracte ire contendit. Ea res per fugitivos L. Aemilii, decurionis equitum Gallorum, hostibus nuntiatur. Helvetii, seu quod timore perterritos Romanos discedere a se existimarent, eo magis quod pridie superioribus locis occupatis proelium non commisissent, sive eo quod re frumentaria intercludi posse confiderent, commutato consilio atque itinere converso nostros a novissimo agmine insequi ac lacessere coeperunt. | L'indomani, considerando che mancavano solo due giorni alla distribuzione di grano e che Bibracte, la città degli Edui più grande e più ricca in assoluto, non distava più di diciotto miglia, Cesare pensò di dover provvedere ai rifornimenti. Smette di seguire gli Elvezi e si affretta verso Bibracte. Alcuni schiavi, fuggiti dalla cavalleria gallica del decurione L. Emilio, riferiscono al nemico la faccenda. Gli Elvezi, o perché pensavano che i Romani si allontanassero per paura, tanto più che il giorno precedente non avevano attaccato pur occupando le alture, o perché contavano di poter impedire ai nostri l'approvvigionamento di grano, modificarono i loro piani, invertirono il senso di marcia e incominciarono a inseguire e a provocare la nostra retroguardia. |
238 | Vivamus mea Lesbia, atque amemus,rumoresque senum severiorumomnes unius aestimemus assis!soles occidere et redire possunt:nobis cum semel occidit brevis lux,nox est perpetua una dormienda.da mi basia mille, deinde centum,dein mille altera, dein secunda centum,deinde usque altera mille, deinde centum.dein, cum milia multa fecerimus,conturbabimus illa, ne sciamus,aut ne quis malus invidere possit,cum tantum sciat esse basiorum. | Viviamo, mia Lesbia, e amiamo(ci) (alcuni interpretano "facciamo l'amore"), e valutiamo le chiacchiere dei vecchi troppo bacchettoni un soldo appena. I giorni (lett: i soli) possono tramontare e sorgere: (ma) noi, una volta tramontata la giornata della vita, (noi) dobbiamo dormire una sola continua notte. Dammi mille baci, poi cento, quindi altri mille, poi ancora cento, quindi un'altra volta mille, poi cento. (E) dopo, quando ne avremo contati molte migliaia, li rimescoleremo, per non riconoscerli, o perché nessun maligno possa gettare il malocchio, ché sa che tanti posson essere (lett: sono) i baci |
837 | His de rebus Caesar certior factus et infirmitatem Gallorum veritus, quod sunt in consiliis capiendis mobiles et novis plerumque rebus student, nihil his committendum existimavit. Est enim hoc Gallicae consuetudinis, uti et viatores etiam invitos consistere cogant et quid quisque eorum de quaque re audierit aut cognoverit quaerant et mercatores in oppidis vulgus circumsistat quibus ex regionibus veniant quas ibi res cognoverint pronuntiare cogat.His rebus atque auditionibus permoti de summis saepe rebus consilia ineunt, quorum eos in vestigio paenitere necesse est, cum incertis rumoribus serviant et pleri ad voluntatem eorum ficta respondeant. | Informato di tali avvenimenti, Cesare, che temeva la debolezza di carattere dei Galli, volubili nel prendere decisioni e per lo più desiderosi di rivolgimenti, stimò di non doversi assolutamente fidare di essi. I Galli, infatti, hanno la seguente abitudine: costringono, anche loro malgrado, i viandanti a fermarsi e si informano su ciò che ciascuno di essi ha saputo o sentito su qualsiasi argomento; nelle città, la gente attornia i mercanti e li obbliga a dire da dove provengano e che cosa lì abbiano saputo; poi, sulla scorta delle voci e delle notizie udite, spesso decidono su questioni della massima importanza e devono ben presto pentirsene, perché prestano fede a dicerie infondate, in quanto la maggior parte degli interpellati risponde cose non vere pur di compiacerli. |
104 | Ibam forte via Sacra, sicut meus est mos,nescio quid meditans nugarum, totus in illis.Accurrit quidam notus mihi nomine tantum,arreptaque manu "quid agis, dulcissime rerum?""suaviter, ut nunc est, "inquam, "et cupio omnia quae vis".cum assectaretur, "num quid vis?" occupo.At ille "noris nos" inquit; "docti sumus". Hic ego "plurishoc" inquam "mihi eris". Misere discedere quaerens,ire modo ocius, interdum consistere, in aurem dicere nescio quidpuero, cum sudor ad imos manaret talos."O te, Bolane, cerebri felicem!" aiebam tacitus,cum quidlibet ille garriret, vicos, urbem laudaret.ut illi nil respondebam, "misere cupis" inquit "abire;iamdudum video: sed nil agis; usque tenebo;persequar hinc quo nunc iter est tibi"."Nil opus est tecircumagi: quendam volo visere non tibi notum:trans Tiberim longe cubat is, prope Caesaris hortos"."Nil habeo quod agam et non sum piger: usque sequar te".demitto auriculas, ut iniquae mentis asellus,cum grauius dorso subiit onus. Incipit ille:"Si bene me novi non Viscum pluris amicum,non Varium facies: nam quis me scribere plurisaut citius possit versus? Quis membra moveremollius? Invideat quod et Hermogenes ego canto".interpellandi locus hic erat: "Est tibi mater,cognati, quis te salvo est opus?". "Naud mihi quisquam:omnis composui". "Felices! Nunc ego resto.confice; namque instat fatum mihi triste, Sabellaquod puero cecinit diuina mota anus urna:hunc neque dira venena nec hosticus auferet ensis,nec laterum dolor aut tussis, nec tarda podagra;garrulus hunc quando consumet cumque: loquaces,si sapiat, vitet, simul atque adoleverit aetas".Ventum erat ad Vestae, quarta iam parte dieipraeterita, et casu tunc respondere vadatodebebat, quod ni fecisset, perdere litem.'si me amas,' inquit 'paulum hic ades.' 'inteream, siaut valeo stare aut novi civilia iura;et propero quo scis.' 'dubius sum, quid faciam', inquit,'tene relinquam an rem.' 'me, sodes.' 'non faciam' ille,et praecedere coepit; ego, ut contendere durumcum victore, sequor. 'Maecenas quomodo tecum?'hinc repetit. 'paucorum hominum et mentis bene sanae.'nemo dexterius fortuna est usus. haberesmagnum adiutorem, posset qui ferre secundas,hunc hominem velles si tradere: dispeream, nisummosses omnis.' 'non isto vivimus illic,quo tu rere, modo; domus hac nec purior ulla estnec magis his aliena malis; nil mi officit, inquam,ditior hic aut est quia doctior; est locus unicuique suus.' 'magnum narras, vix credibile.' 'atquisic habet.' 'accendis quare cupiam magis illiproximus esse.' 'velis tantummodo: quae tua virtus,expugnabis: et est qui vinci possit eoquedifficilis aditus primos habet.' 'haud mihi dero:muneribus servos corrumpam; non, hodie siexclusus fuero, desistam; tempora quaeram,occurram in triviis, deducam. nil sine magnovita labore dedit mortalibus.' haec dum agit, ecceFuscus Aristius occurrit, mihi carus et illumqui pulchre nosset. consistimus. 'unde venis etquo tendis?' rogat et respondet. vellere coepiet pressare manu lentissima bracchia, nutans,distorquens oculos, ut me eriperet. male salsusridens dissimulare; meum iecur urere bilis.'certe nescio quid secreto velle loqui teaiebas mecum.' 'memini bene, sed melioretempore dicam; hodie tricensima sabbata: vin tucurtis Iudaeis oppedere?' 'nulla mihi' inquam'relligio est.' 'at mi: sum paulo infirmior, unusmultorum. ignosces; alias loquar.' huncine solemtam nigrum surrexe mihi! fugit inprobus ac mesub cultro linquit. casu venit obvius illiadversarius et 'quo tu, turpissime?' magnainclamat voce, et 'licet antestari?' ego verooppono auriculam. rapit in ius; clamor utrimque,undique concursus. sic me servavit Apollo. | Camminavo per caso lungo la Via Sacra come mio solito, pensando non so quali sciocchezze, tutto assorto in esse.Arriva un tale noto a me solo per nome e afferratami la mano: "Come va, o carissimo?""Bene, almeno per ora", rispondo, "e ti auguro tutto ciò che desideri".Poichè mi veniva dietro: "Vuoi qualcosa?" anticipo.E costui: "Dovresti conoscermi", rispose, "siamo letterati".Io dissi a quello: "Mi sarai più caro, per questo".Cercando disperatamente di staccarmene camminavo ora più infretta, mentre quello continuava ad insistere, facendo finta di dire non so cosa all'orecchio dello schiavo che mi stava a fianco, mentre il sudore mi colava dalla testa ai talloni."Beato te, o Bolano, per il tuo carattere!" dicevo tra me e me, mentre lui parlava a vanvera e lodava i vicoli e la città.E poichè non gli rispondevo disse: "O misero, tu speri disperatamente di fuggire, lo vedo da un bel po', ma non concludi nulla; ti terrò fino all'ultimo, ti perseguiterò da qui fin dove andrai.""Non è necessario che tu mi segua, voglio visitare un tale sconosciuto a te: lui giace malato lontano oltre il Tevere, vicino ai giardini di Cesare.""Non ho nulla da fare e non sono pigro, quindi ti seguirò."Abbasso le orecchie, come un'asinello dalla mente rassegnata quando sul dorso subisce un peso più grave.Ricomincia quello: "Se mi conoscessi bene, non avresti più caro ne' l'amico Visco ne' Vario, infatti chi può scrivere più versi o più velocemente di me? E chi sa danzare più dolcemente? Io canto ciò che anche Ermogene invidia."Era arrivato il momento di chiedergli: "Hai tu una madre, parenti, qualcuno a cui importa se sei salvo?"."Non ho più nessuno, li ho tutti sepolti.""Beati loro! ora resto io. Uccidimi, infatti pesa su di me un triste destino che una vecchia sabina predisse a me fanciullo, agitata l'urna delle profezie: "ne' un potente veleno,ne' una spada nemica, ne' la tisi, la tosse o la gota che arriva tardi lo rapiranno, un giorno o l'altro lo ucciderà un chiacchierone, se è intelligente, eviterà i chiacchieroni, non appena l'età sarà matura. Si era giunti al tempio di Vesta e si era già conclusa la quarta parte del giorno e per caso allora (ill seccatore) doveva rispondere in giudizio avendo prestato garanzia, se non l'avesse fatto avrebbe perso la causa."Se mi vuoi bene, disse, resta qui con me un momento". "Possa io morire se ho la forza di stare in piedi o se mi intendo di diritto civile; e poi devo andare in fretta dove sai". "Ho un dubbio, non so cosa fare - disse- se abbandonare te o la causa". "Lascia stare me". "Non lo farò" - risponde quello ed aumenta il passo. Io, malvolentieri, lo seguo, infatti è cosa difficile lottare con il più forte. "Con Mecenate come va?" disse lui, "E' un uomo di poca compagnia e di sano giudizio. "Nessuno ha saputo far uso della fortuna meglio di lui. Avresti in me un grande aiutante, che potrebbe farti da spalla, se volessi presentare ( a lui ) quest'uomo: potessi morire se non avresti scalzato tutti". "Lì non si vive in questo modo che tu pensi; e non c'è casa più pura di questa, né più aliena a questi mali - io dico - e non mi disturba affatto che egli sia più ricco o più saggio: c'è per ciascuno il suo posto". "Racconti un fatto grande, a stento credibile". "Eppure è così". "Mi interessi, perciò vorrei essere uno dei suoi intimi amici". "Basta che tu lo voglia: dato il tuo valore, lo conquisterai; ed è tale da poter essere vinto, e per questo ritiene difficili i primi approcci". 56 "Non mancherò di ardire: corromperò i servi con doni; non desisterò se oggi non sarò stato ricevuto; cercherò le occasioni giuste, gli andrò incontro agli incroci, lo accompagnerò. Niente la vita diede agli uomini senza grande fatica". Mentre dice queste cose, ecco che arriva Fusco Aristio, a me caro e tale da conoscere bene quell'individuo. Ci fermiamo. "Da dove vieni e dove vai ?" - chiede e risponde. Presi a tirarlo per la toga, stringergli con la mano le braccia del tutto insensibili, facendo cenni, ammiccando con gli occhi, perché mi portasse via. Quel cattivo burlone faceva finta di niente ridendo; la bile mi bruciava il fegato. "Dicevi di volermi dire certamente in segreto non so che". "Mi ricordo bene, ma te lo dirò in un'occasione migliore: oggi è il trentesimo sabato: non vorrai mica recare offesa agli ebrei circoncisi ?". Io rispondo: "Non ho nessuno scrupolo religioso". "Ma io sì ! Sono un po' meno sicuro, uno dei tanti. Mi perdonerai; me ne parlerai in un altro momento". Questo giorno era sorto così nero per me ! Il briccone se la svigna e lascia me sotto il coltello. Per caso gli viene incontro l'avversario nella causa ed esclama a gran voce: "Dove vai, scellerato ? - e - Posso prenderti per testimone ?". E io senza esitazioni gli porgo l'orecchio. Lo trascina in giudizio; confusione da entrambe la parti, accorrere da ogni parte. Così mi salvò Apollo. |
717 | Caesar castris potitus a militibus contendit, ne in praeda occupati reliqui negotii gerendi facultatem dimitterent. Qua re impetrata montem opere circummunire instituit. Pompeiani, quod is mons erat sine aqua, diffisi ei loco relicto monte universi iugis eius Larisam versus se recipere coeperunt. Qua re animadversa Caesar copias suas divisit partemque legionum in castris Pompei remanere iussit, partem in sua castra remisit, IIII secum legiones duxit commodioreque itinere Pompeianis occurrere coepit et progressus milia passuum VI aciem instruxit.Qua re animadversa Pompeiani in quodam monte constiterunt. Hunc montem flumen subluebat. Caesar milites cohortatus, etsi totius diei continenti labore erant confecti noxque iam suberat, tamen munitione flumen a monte seclusit, ne noctu aquari Pompeiani possent. Quo perfecto opere illi de deditione missis legatis agere coeperunt. Pauci ordinis senatorii, qui se cum eis coniunxerant, nocte fuga salutem petiverunt. | Cesare, impadronitosi del campo, chiese insistentemente ai soldati, occupati a fare bottino, di non sprecare l'occasione per condurre a termine il resto dell'impresa. Ottenuto ciò, cominciò a fare lavori di fortificazione intorno al monte. I Pompeiani, poiché il monte era senza acqua, non si fidarono a rimanere in quella posizione e, lasciato il monte, tutti insieme cominciarono a dirigersi attraverso le giogaie verso Larissa. Accortosi di ciò, Cesare divise le sue truppe e ordinò a una parte delle legioni di rimanere nel campo di Pompeo, ne rimandò una parte nel proprio accampamento, condusse quattro legioni con sé e per una strada più comoda iniziò a marciare per sbarrare la strada ai Pompeiani. Avanzato seimila passi, schierò le truppe a battaglia. Visto ciò, i Pompeiani si fermarono su un monte, ai piedi del quale scorreva un fiume. Cesare rivolse parole di incoraggiamento ai soldati e, sebbene fossero sfiniti dalla fatica continua di tutta la giornata e ormai si avvicinasse la notte, tuttavia fece isolare con una fortificazione il fiume dal monte perché di notte i Pompeiani non potessero rifornirsi di acqua. Compiuta questa operazione, i Pompeiani cominciarono a trattare la resa mandando ambasciatori. Alcuni esponenti dell'ordine senatorio, che si erano uniti ai Pompeiani, di notte cercarono salvezza nella fuga. |
5 | Iam te solum amo, te solum sequor, te solum quaero, tibi soli servire paratus sum, quia tu solus iuste dominaris; tui iuris esse cupio. Iube, quaeso, atque impera quidquid vis, sed sana et aperi aures meas,quibus voces tuas audiam. Sana et aperi oculos meos, quibus nutus tuos videam. Expelle a me insaniam,ut recognoscam te. Dic mihi qua attendam, ut aspiciam te, et omnia me spero quae iusseris esse facturum. Recipe, oro, fugitivum tuum, Domine, clementissime pater: iamiam satis poenas dederim, satis inimicis tuis, quos sub pedibus habes, servierim, satis fuerim fallaciarum ludibrium.Accipe me ab istis fugientem famulum tuum, quia et isti me quando a te fugiebam acceperunt alienum.Ad te mihi redeundum esse sentio: pateat mihi pulsanti ianua tua; quomodo ad te perveniatur doce me.Nihil aliud habeo quam voluntatem; nihil aliud scio nisi fluxa et caduca spernenda esse; certa et aeterna requirenda.Hoc facio, Pater, quia hoc solum novi; sed unde ad te perveniatur ignoro. Tu mihi suggere, tu ostende, tu viaticum praebe. Si fide te inveniunt qui ad te refugiunt, fidem da; si virtute, virtutem; si scientia, scientiam. Auge in me fidem, auge spem, auge caritatem. O admiranda et singularis bonitas tua! | Ormai io te solo amo, te solo seguo, te solo cerco e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto, poiché tu solo con giustizia eserciti il dominio; ed io desidero essere di tuo diritto. Comanda ed ordina ciò che vuoi, ti prego, ma guarisci ed apri mie orecchie affinché possa udire la tua voce. Guarisci ed apri i miei occhi affinché possa vedere i tuoi cenni. Allontana da me i movimenti irragionevoli affinché possa riconoscerti. Dimmi da che parte devo guardare affinché ti veda, e spero di poter eseguire tutto ciò che mi comanderai. Riammetti, ti prego, il tuo schiavo fuggitivo, o Signore e Padre clementissimo. Dovrei ormai aver sufficientemente scontato, abbastanza dovrei esser stato schiavo dei tuoi nemici che tu conculchi sotto i tuoi piedi, abbastanza dovrei esser stato ludibrio di cose ingannevoli. Ricevi me tuo servo che fugge da queste cose che bene accolsero me, lo straniero, mentre da te fuggivo. Sento che devo ritornare a te; a me che picchio si apra la tua porta; insegnami come si può giungere fino a te. Non ho altro che il buon volere; so soltanto che le cose caduche e passeggere si devono disprezzare, le cose immutabili ed eterne ricercare. Ciò so, o Padre, poiché questo solo ho appreso, ma ignoro da dove si deve partire per giungere a te. Tu suggeriscimelo, tu mostrami la via e forniscimi ciò che necessita al viaggio. Se con la fede ti ritrovano coloro che tornano a te, dammi la fede; se con la virtù, dammi la virtù; se con il sapere, dammi il sapere. Aumenta in me la fede, aumenta la speranza, aumenta la carità. O bontà tua ammirevole e singolare. |
589 | Quod ubi Caesar resciit, quorum per fines ierant, his, uti conquirerent, et reducerent, si sibi purgati esse vellent, imperavit: reductos in hostium numero habuit; reliquos omnes obsidibus, armis, perfugis traditis in deditionem accepit. Helvetios, Tulingos, Latovicos in fines suos, unde erant profecti, reverti iussit, et, quod omnibus fructibus amissis domi nihil erat quo famem tolerarent, Allobrogibus imperavit, ut iis frumenti copiam facerent; ipsos oppida vicosque, quos incenderant, restituere iussit.Id ea maxime ratione fecit, quod noluit eum locum unde Helvetii discesserant, vacare, ne propter bonitatem agrorum Germani, qui trans Rhenum incolunt, e suis finibus in Helvetiorum fines transirent et finitimi Galliae provinciae Allobrogibusque essent. Boios petentibus Aeduis, quod egregia virtute erant cogniti, ut in finibus suis collocarent, concessit; quibus illi agros dederunt quosque postea in parem iuris libertatisque condicionem, atque ipsi erant, receperunt. | Quando Cesare seppe ciò, comandò a coloro, per le terre dei quali erano andati, che li ricercassero e li riconducessero, se volevano essere considerati, ai suoi occhi, innocenti: tenne nel numero dei nemici i ricondotti; ricevette in arresa tutti gli altri, dopo la consegna di ostaggi, armi, disertori. Comandò agli Elvezi, ai Tulingi, ai Latovici di ritornare nel loro territorio, da dove erano partiti, e perché, essendo andati perduti tutti i raccolti, non avevano di che sfamarsi, ordinò agli Allobrogi di far loro provvista di frumento; comandò a loro stessi di ricostruire le città e i villaggi che avevano incendiato. Fece ciò per questa ragione soprattutto, perché non volle che quel luogo da dove gli Elvezi erano partiti rimanesse vuoto, affinché i Germani, che abitano oltre il Reno, non passassero dalle loro terre nelle terre degli Elvezi a causa della fertilità dei campi e fossero limitrofi della provincia di Gallia e degli Allobrogi. Ai Boi, perché erano stati riconosciuti di valore singolare, su richiesta degli Edui, concesse che si stabilissero nel loro territorio; ad essi quelli diedero campi, e poi ammisero in condizione di pari diritto e libertà come essi stessi erano. |
255 | Furi et Aureli comites Catulli,sive in extremos penetrabit Indos,litus ut longe resonante Eoatunditur unda,sive in Hyrcanos Arabesve molles,seu Sagas sagittiferosve Parthos,sive quae septemgeminus colorataequora Nilus,sive trans altas gradietur Alpes,Caesaris visens monimenta magni,Gallicum Rhenum horribile aequorultimosque Britannos,omnia haec, quaecumque feret voluntascaelitum, temptare simul parati,pauca nuntiate meae puellaenon bona dicta.cum suis vivat valeatque moechis,quos simul complexa tenet trecentos,nullum amans vere, sed identidem omniumilia rumpens;nec meum respectet, ut ante, amorem,qui illius culpa cecidit velut pratiultimi flos, praetereunte postquamtactus aratro est. | Furio e Aurelio, compagni di Catullo,sia che voglia andare dagli Indi ai confini del mondo,dove la costa è battuta dall'ondaorientale lungisonante,sia dagli Ircani o dagli Arabi effeminati,sia dai Saci o dai Prti armati di fracce,sia (presso) le acque che il Nilodalle sette foci colora,Sia che (Catullo) oltrepassi le alte Alpi,per visitare i luoghi che ricordano le imprese di Cesare,il Gallico Reno, e i selvaggiBritanni, i più selvaggli (fra gli uomini)pronti ad affrontare con me tutte queste cosetutte quelle che porterà da volontà degli deiriferite alla mia ragazza queste poche,amare parole.Viva e stia bene con i suoi amanti,che (ella) abbraccia e possiede trecento alla volta(lei che) nessuno ama davvero, e senza treguarompe i fianchi a tutti (lett: di tutti);e non conti più, come prima, sul mio amore,che per colpa sua è caduto, come un fioreal margine d'un prato dopo che è stato toccatodall'aratro che passava |
904 | Dum in his locis Caesar navium parandarum causa moratur, ex magna parte Morinorum ad eum legati venerunt, qui se de superioris temporis consilio excusarent, quod homines barbari et nostrae consuetudinis imperiti bellum populo Romano fecissent, seque ea quae imperasset facturos pollicerentur. Hoc sibi Caesar satis oportune accidisse arbitratus, quod neque post tergum hostem relinquere volebat neque belli gerendi propter anni tempus facultatem habebat neque has tantularum rerum occupationes Britanniae anteponendas iudicabat, magnum iis numerum obsidum imperat.Quibus adductis eos in fidem recipit. Navibus circiter LXXX onerariis coactis contractisque, quot satis esse ad duas transportandas legiones existimabat, quod praeterea navium longarum habebat quaestori, legatis praefectisque distribuit. Huc accedebant XVIII onerariae naves, quae ex eo loco a milibus passuum VIII vento tenebantur quo minus in eundem portum venire possent: has equitibus tribuit. Reliquum exercitum Q. Titurio Sabino et L. Aurunculeio Cottae legatis in Menapios atque in eos pagos Morinorum a quibus ad eum legati non venerant ducendum dedit. P. Sulpicium Rufum legatum cum eo praesidio quod satis esse arbitrabatur portum tenere iussit. | Mentre per preparare la flotta Cesare si attardava nei territori dei Morini, molte tribù della regione gli inviarono emissari per scusarsi della loro condotta passata, quando, barbari e ignari delle nostre consuetudini, avevano mosso guerra al popolo romano: adesso promettevano ubbidienza ai suoi ordini. Cesare la giudicò una circostanza veramente favorevole, perché non voleva lasciarsi un nemico alle spalle e, con l'estate che volgeva al termine, non aveva il tempo di sostenere una guerra; inoltre, stimava di non dover anteporre un problema di così lieve entità alla Britannia; pretese, allora, la consegna di un alto numero di ostaggi. Ricevuti i quali, pose i Morini sotto la propria protezione. Circa ottanta navi da carico, numero che giudicava sufficiente per il trasporto delle legioni, vennero radunate e munite di tolde. Le navi da guerra di cui disponeva vennero suddivise tra il questore, i legati e i prefetti. A esse si aggiungevano altre diciotto navi da carico, che erano a otto miglia di distanza e non riuscivano a raggiungere il porto per via del vento: le riservò alla cavalleria. Ai legati Q. Titurio Sabino e L. Aurunculeio Cotta affidò il resto dell'esercito col compito di guidarlo contro i Menapi e le tribù dei Morini che non avevano inviato ambascerie. Lasciò al legato P. Sulpicio Rufo una guarnigione giudicata sufficiente, con l'ordine di presidiare il porto. |
913 | Deductis orae maritimae praesidiis Caesar, ut supra demonstratum est, III cohortes Orici oppidi tuendi causa reliquit isdemque custodiam navium longarum tradidit, quas ex Italia traduxerat. Huic officio oppidoque Acilius Caninus legatus praeerat. Is naves nostras interiorem in portum post oppidum reduxit et ad terram deligavit faucibusque portus navem onerariam submersam obiecit et huic alteram coniunxit; super quam turrim effectam ad ipsum introitum portus opposuit et militibus complevit tuendamque ad omnes repentinos casus tradidit. | Cesare, dopo avere ritirato i presidi dalla costa, come si è detto sopra, lasciò a Orico tre coorti per difendere la città e ad esse assegnò la difesa delle navi da guerra che aveva condotto dall'Italia. Il luogotenente Canino era preposto a questo incarico e alla città. Costui fece portare le nostre navi in una zona più interna del porto, dietro la città, e le fece ormeggiare a terra e all'ingresso del porto fece collocare una nave da carico che era stata affondata e a questa ne unì una seconda, sul davanti della quale fece costruire una torre rivolta all'ingresso del porto e la riempì di soldati, affidando loro la difesa contro attacchi improvvisi. |
256 | Miser Catulle, desinas ineptire,et quod vides perisse perditum ducas.Fulsere quondam candidi tibi soles,cum ventitabas quo puella ducebatamata nobis quantum amabitur nulla.Ibi illa multa cum iocosa fiebant,quae tu volebas nec puella nolebat,fulsere vere candidi tibi soles.Nunc iam illa non vult: tu quoque impotens noli,nec quae fugit sectare, nec miser vive,sed obstinata mente perfer, obdura.Vale puella, iam Catullus obdurat,nec te requiret nec rogabit invitam.At tu dolebis, cum rogaberis nulla.Scelesta, vae te, quae tibi manet vita?quis nunc te adibit? cui videberis bella?quem nunc amabis? Cuius esse diceris?quem basiabis? Cui labella mordebis?At tu, Catulle, destinatus obdura. | O misero Catullo, smetti di impazziree ciò che vedi esser perso consideralo perduto.Risplendettero un tempo per te candidi giorni,quando andavi dove ti conduceva la fanciullaamata da me quanto mai nessuna sarà amata.Lì, allora, avvenivano quei molti giochi d'amore,che tu volevi e nè la fanciulla non voleva,in verità risplendettero per te candidi giorni.Ora lei non vuole più: anche tu poichè non puoi (non vuoi),non inseguire chi fugge, non vivere misero,ma sopporta con mente ostinata, resisti.Addio fanciullo. Ormai Catullo resiste,non ti cercherà benchè tu non lo voglia.Ma tu soffrirai, quando sarai chiamata in qualità di nessuno.Scellerata, guai a te, quale vita ti resta?chi ti cercherà ora? a chi sembrerai bella? (a chi sembrerà che tu sia bella)chi ora amerai? di chi sarai detta essere? (di chi si dirà che tu sia)chi bacerai? a chi morderai le labbra?Ma tu, Catullo, ostinato resisti. |
344 | Caesar tempore anni difficillimo, cum satis haberet convenientes manus dissipare, ne quod initium belli nasceretur, quantumque in ratione esset, exploratum haberet sub tempus aestivorum nullum summum bellum posse conflari, Gaium Trebonium cum duabus legionibus, quas secum habebat, in hibernis Cenabi collocavit; ipse, cum crebris legationibus Remorum certior fieret Bellovacos, qui belli gloria Gallos omnes Belgasque praestabant, finitimasque his civitates duce Correo Bellovaco et Commio Atrebate exercitus comparare atque in unum locum cogere, ut omni multitudine in fines Suessionum, qui Remis erant attributi, facerent impressionem, pertinere autem non tantum ad dignitatem sed etiam ad salutem suam iudicaret nullam calamitatem socios optime de re publica meritos accipere, legionem ex hibernis evocat rursus undecimam; litteras autem ad Gaium Fabium mittit, ut in fines Suessionum legiones duas quas habebat adduceret, alteramque ex duabus ab Labieno arcessit.Ita, quantum hibernorum opportunitas bellique ratio postulabat, perpetuo suo labore in vicem legionibus expeditionum onus iniungebat. | Cesare, in una stagione davvero ostile, al fine di prevenire l'inizio di una guerra riteneva di aver fatto a sufficienza per disperdere le forze nemiche che si stavano concentrando ed era convinto, per quanto si poteva ragionevolmente supporre, che nessun grave conflitto potesse scoppiare fino all'estate. Allora, alloggiò a Cenabo, nei quartieri d'inverno, C. Trebonio alla testa delle due legioni che aveva con sé. I Remi, con frequenti ambascerie, lo informavano che i Bellovaci, superiori a tutti i Galli e ai Belgi quanto a gloria militare, e i popoli limitrofi, sotto la guida del bellovaco Correo e dell'atrebate Commio, allestivano truppe e le radunavano in un solo luogo, per attaccare in massa le terre dei Suessioni, vassalli dei Remi. Che alleati benemeriti verso la nostra repubblica non patissero alcun torto, Cesare la ritenne questione riguardante non solo la sua dignità, ma anche la sua sicurezza. Perciò, richiama nuovamente dal campo invernale l'undicesima legione, poi invia una lettera a C. Fabio, perché guidi nei territori dei Suessioni le due legioni che aveva ai suoi ordini; a Labieno richiede una delle due legioni di cui disponeva. Così, conciliando le necessità dei campi invernali e le esigenze del conflitto, alle legioni imponeva a turno l'onere delle spedizioni, ma non concedeva mai riposo a se stesso. |
886 | Ab hac spe repulsi Nervii vallo pedum IX et fossa pedum XV hiberna cingunt. Haec et superiorum annorum consuetudine ab nobis cognoverant et, quos clam de exercitu habebant captivos, ab eis docebantur; sed nulla ferramentorum copia quae esset ad hunc usum idonea, gladiis caespites circumcidere, manibus sagulisque terram exhaurire nitebantur. Qua quidem ex re hominum multitudo cognosci potuit: nam minus horis tribus milium pedum XV in circuitu munitionem perfecerunt reliquisque diebus turres ad altitudinem valli, falces testudinesque, quas idem captivi docuerant, parare ac facere coeperunt. | Svanita tale speranza, i Nervi cingono il campo romano con un vallo alto dieci piedi e una fossa larga quindici. Negli anni precedenti, per i frequenti contatti con noi, avevano appreso tale tecnica e adesso erano istruiti da alcuni prigionieri del nostro esercito; ma, privi degli attrezzi di ferro adatti, erano costretti a fendere le zolle con le spade e a trasportare la terra con le mani o i saguli. Ma anche da ciò, comunque, si poté capire quanto fossero numerosi: in meno di tre ore ultimarono una linea fortificata per un perimetro di quindici miglia. Nei giorni successivi, sempre sulla base delle istruzioni dei prigionieri, cominciarono a preparare e costruire torri alte come il vallo, falci e testuggini. |
432 | Ad hos omnes casus provisa erant praesidia cohortium duarum et viginti, quae ex ipsa provincia ab Lucio Caesare legato ad omnes partes opponebantur. Helvii sua sponte cum finitimis proelio congressi pelluntur et Gaio Valerio Donnotauro, Caburi filio, principe civitatis, compluribusque aliis interfectis intra oppida ac muros compelluntur. Allobroges crebris ad Rhodanum dispositis praesidiis magna cum cura et diligentia suos fines tuentur. Caesar, quod hostes equitatu superiores esse intellegebat et interclusis omnibus itineribus nulla re ex provincia atque Italia sublevari poterat, trans Rhenum in Germaniam mittit ad eas civitates quas superioribus annis pacaverat, equitesque ab his arcessit et levis armaturae pedites, qui inter eos proeliari consuerant.Eorum adventu, quod minus idoneis equis utebantur, a tribunis militum reliquisque equitibus Romanis atque evocatis equos sumit Germanisque distribuit. | Per far fronte a ogni evenienza, i nostri avevano provveduto a disporre un presidio di ventidue coorti: arruolate nella provincia stessa dal legato L. Cesare, formavano uno sbarramento lungo tutto il fronte. Gli Elvi, scesi per proprio conto a battaglia con i popoli limitrofi, vengono respinti e sono costretti a rifugiarsi all'interno delle loro città e mura, dopo aver registrato gravi perdite: tra i tanti altri, era caduto C. Valerio Domnotauro, figlio di Caburo e loro principe. Gli Allobrogi dislocano parecchi presidi lungo il Rodano, sorvegliano con cura e attenzione i propri territori. Cesare capiva che la cavalleria nemica era superiore e che, con tutte le strade tagliate, non poteva contare su rinforzi dalla provincia e dall'Italia. Allora invia emissari oltre il Reno, in Germania, alle genti da lui sottomesse negli anni precedenti: chiede cavalleria e fanti armati alla leggera, abituati a combattere tra i cavalieri. Appena arrivano, Cesare, notando che montavano su cavalli non di razza, requisisce i destrieri dei tribuni militari, degli altri cavalieri romani e dei richiamati e li distribuisce ai Germani. |
235 | Ille mi par esse deo videtur,ille, si fas est, superare divos,qui sedens adversus identidem tespectat et auditdulce ridentem, misero quod omniseripit sensus mihi: nam simul te,Lesbia, aspexi, nihil est super mi* * * * * * * *lingua sed torpet, tenuis sub artusflamma demanat, sonitu suoptetintinant aures gemina, tegunturlumina nocte.otium, Catulle, tibi molestum est:otio exsultas nimiumque gestis:otium et reges prius et beatasperdidit urbes. | Quello mi sembra essere pari a un Dioquello, se è lecito, (mi sembra) superare gli deiquello che sedendo di fronte a teti guarda e ascolta incessantementementre ridi dolcemente, cosa che a me misero tuttii sensi strappa; infatti, non appena tivedo, o Lesbia, niente più mi rimane (è)di voce in boccama la lingua s'intorpidisce, sotto le membra tenueuna fiamma si espande, di un suono propriole orecchie ronzano, sono coperti da una duplicenotte gli occhi (le luci).L'ozio, o Catullo, ti è dannoso;per l'ozio ti esalti e ti ecciti troppo.L'ozio prima i re e le fiorenticittà mandò in rovina. |
638 | Litaviccus accepto exercitu, cum milia passuum circiter XXX ab Gergovia abesset, convocatis subito militibus lacrimans, "Quo proficiscimur", inquit, "milites? Omnis noster equitatus, omnis nobilitas interiit; principes civitatis, Eporedorix et Viridomarus, insimulati proditionis ab Romanis indicta causa interfecti sunt. Haec ab ipsis cognoscite, qui ex ipsa caede fugerunt: nam ego fratribus atque omnibus meis propinquis interfectis dolore prohibeor, quae gesta sunt, pronuntiare".Producuntur hi quos ille edocuerat quae dici vellet, atque eadem, quae Litaviccus pronuntiaverat, multitudini exponunt: multos equites Aeduorum interfectos, quod collocuti cum Arvernis dicerentur; ipsos se inter multitudinem militum occultasse atque ex media caede fugisse. Conclamant Aedui et Litaviccum obsecrant ut sibi consulat. "Quasi vero", inquit ille, "consili sit res, ac non necesse sit nobis Gergoviam contendere et cum Arvernis nosmet coniungere. An dubitamus quin nefario facinore admisso Romani iam ad nos interficiendos concurrant? Proinde, si quid in nobis animi est, persequamur eorum mortem qui indignissime interierunt, atque hos latrones interficiamus". Ostendit cives Romanos, qui eius praesidi fiducia una erant: magnum numerum frumenti commeatusque diripit, ipsos crudeliter excruciatos interficit. Nuntios tota civitate Aeduorum dimittit, eodem mendacio de caede equitum et principum permovet; hortatur ut simili ratione atque ipse fecerit suas iniurias persequantur. | Litavicco assume il comando dell'esercito. A un tratto, a circa trenta miglia da Gergovia, convoca i suoi: "Dove andiamo, soldati?" dice tra le lacrime. "Tutti i nostri cavalieri, tutti i nobili sono caduti. I capi, Eporedorige e Viridomaro, accusati di tradimento dai Romani, sono stati messi a morte senza neppure un processo. Ma sentitelo da costoro, che sono scampati al massacro: i miei fratelli e tutti i miei parenti sono morti, il dolore mi impedisce di narrarvi l'accaduto". Si fanno avanti alcune persone già istruite su cosa dire. Ripetono alla massa dei soldati gli stessi discorsi di Litavicco: i cavalieri edui erano stati trucidati, li si accusava di una presunta complicità con gli Arverni; loro si erano nascosti nel folto del gruppo e avevano preso la fuga proprio nel bel mezzo della strage. Gli Edui levano alte grida, supplicano Litavicco di prendersi cura di loro. "C'è forse bisogno di decidere?" risponde. "Non dobbiamo forse dirigerci a Gergovia e unirci agli Averni? Oppure dubitiamo che i Romani, dopo il loro empio crimine, esitino a gettarsi su di noi e a massacrarci? Perciò, se ancora in noi è rimasto del coraggio, vendichiamo la morte dei nostri, trucidati nel modo più indegno, uccidiamo questi ladroni", e indica alcuni cittadini romani che, fidando nella sua protezione. erano al suo seguito. Saccheggia frumento e viveri in quantità, uccide i cittadini romani tra crudeli tormenti. Invia messi in tutta la regione edua, solleva il popolo sempre con la falsa notizia della strage dei cavalieri e dei principi. Esorta a seguire il suo esempio e a vendicare le ingiurie. |
446 | Calenus legionibus equitibusque Brundisii in naves impositis, ut erat praeceptum a Caesare, quantum navium facultatem habebat, naves solvit paulumque a portu progressus litteras a Caesare accipit, quibus est certior factus portus litoraque omnia classibus adversariorum teneri. Quo cognito se in portum recipit navesque omnes revocat Una ex his, quae perseveravit neque imperio Caleni obtemperavit, quod erat sine militibus privatoque consilio administrabatur, delata Oricum atque a Bibulo expugnata est; qui de servis liberisque omnibus ad impuberes supplicium sumit et ad unum interficit.Ita exiguo tempore magnoque casu totius exercitus salus constitit. | Caleno, imbarcate a Brindisi legioni e cavalleria, quel tanto che le navi potevano contenerne, come era stato comandato da Cesare, salpa e, allontanatosi un po' dal porto, riceve una lettera da Cesare che lo informa che i porti e tutto il litorale sono in mano alla flotta nemica. Venuto a conoscenza di ciò, fa ritorno in porto e richiama tutte le navi. Una di esse, che continuò la navigazione e non obbedì al comando di Caleno, poiché non c'erano soldati a bordo ed era comandata da un privato, spintasi fino a Orico, fu presa da Bibulo che sfogò il proprio odio sui servi e su tutti gli uomini liberi, non risparmiando neppure i fanciulli, uccidendo tutti. Così da un breve intervallo di tempo e da un caso accidentale dipese la salvezza di tutto l'esercito. |
675 | Fuit haec oratio non ingrata Gallis, et maxime, quod ipse animo non defecerat tanto accepto incommodo neque se in occultum abdiderat et conspectum multitudinis fugerat; plusque animo providere et praesentire existimabatur, quod re integra primo incendendum Avaricum, post deserendum censuerat. Itaque ut reliquorum imperatorum res adversae auctoritatem minuunt, sic huius ex contrario dignitas incommodo accepto in dies augebatur. Simul in spem veniebant eius adfirmatione de reliquis adiungendis civitatibus; primumque eo tempore Galli castra munire instituerunt et sic sunt animo confirmati, homines insueti laboris, ut omnia quae imperarentur sibi patienda existimarent. | Il discorso non riuscì sgradito ai Galli, soprattutto perché Vercingetorige non si era abbattuto dopo un rovescio così grave, non si era rintanato, né sottratto alla vista della gente. Si pensava che sapesse prevedere e presentire nell'animo più degli altri, perché, quando le cose non erano ancora compromesse, aveva prima consigliato di incendiare Avarico, poi di evacuarla. E come gli insuccessi indeboliscono il prestigio degli altri comandanti, così al contrario, dopo la sconfitta, la dignità di Vercingetorige cresceva di giorno in giorno. Al contempo, si sperava nella sua garanzia circa l'alleanza con gli altri popoli. Allora, per la prima volta, i Galli cominciarono a fortificare l'accampamento: uomini non avvezzi alle fatiche, si erano convinti a tal punto, da credere di dover ubbidire a qualsiasi ordine. |
733 | Magna adfectus sollicitudine hoc nuntio Caesar, quod semper Aeduorum civitati praecipue indulserat, nulla interposita dubitatione legiones expeditas quattuor equitatumque omnem ex castris educit; nec fuit spatium tali tempore ad contrahenda castra, quod res posita in celeritate videbatur; Gaium Fabium legatum eum legionibus duabus castris praesidio relinquit. Fratres Litavicci eum comprehendi iussisset, paulo ante reperit ad hostes fugisse. Adhortatus milites, ne necessario tempore itineris labore permoveantur, cupidissimis omnibus progressus milia passuum XXV agmen Aeduorum conspicatus immisso equitatu iter eorum moratur atque impedit interdicitque omnibus ne quemquam interficiant.Eporedorigem et Viridomarum, quos illi interfectos existimabant, inter equites versari suosque appellare iubet. His cognitis et Litavicci fraude perspecta Aedui manus tendere, deditionem significare et proiectis armis mortem deprecari incipiunt. Litaviccus cum suis clientibus, quibus more Gallorum nefas est etiam in extrema fortuna deserere patronos, Gergoviam profugit. | La notizia desta viva preoccupazione in Cesare, perché aveva sempre nutrito una benevolenza particolare nei confronti degli Edui. Senza alcun indugio guida fuori dall'accampamento quattro legioni prive di bagagli e la cavalleria al completo. In quel frangente non si ebbe il tempo di restringere il campo: l'esito dell'azione sembrava dipendere dalla rapidità. A presidio dell'accampamento lascia il legato C. Fabio con due legioni. Ordina di imprigionare i fratelli di Litavicco, ma viene a sapere che poco prima erano fuggiti presso i nemici. Esorta i soldati a non sgomentarsi, in un momento così critico, per le fatiche della marcia: tra il fervore generale avanza di venticinque miglia e avvista la schiera degli Edui. Manda in avanti la cavalleria e rallenta la loro avanzata, ma dà ordine tassativo di non uccidere nessuno. A Eporedorige e Viridomaro, che gli Edui credevano morti, comanda di rimanere tra i cavalieri e di chiamare i loro. Appena riconoscono i capi e comprendono l'inganno di Litavicco, gli Edui cominciano a tendere le mani in segno di resa, a gettare le armi, a implorare la grazia. Litavicco con i suoi clienti - secondo i costumi dei Galli non è lecito abbandonare i patroni neppure nei momenti più gravi - ripara a Gergovia. |
529 | Caesar cum complures suos vulnerari videret, ex omnibus oppidi partibus cohortes montem ascendere et simulatione moenium occupandorum clamorem undique iubet tollere. Quo facto perterriti oppidani, cum quid ageretur in locis reliquis essent suspensi, revocant ab impugnandis operibus armatos murisque disponunt. Ita nostri fine proeli facto celeriter opera flamma comprehensa partim restinguunt, partim interscindunt. Cum pertinaciter resisterent oppidani, magna etiam parte amissa siti suorum in sententia permanerent, ad postremum cuniculis venae fontis intercisae sunt atque aversac.Quo facto repente perennis exaruit fons tantamque attulit oppidanis salutis desperationem, ut id non hominum consilio, sed deorum voluntate factum putarent. Itaque se necessitate coacti tradiderunt. | Cesare, vedendo che parecchi dei suoi venivano colpiti, ordina alle coorti di scalare il monte da tutti i lati della città e di levare dappertutto violenti clamori, simulando di dover occupare le mura. Gli abitanti, terrorizzati dalla nostra manovra, inquieti su ciò che succedeva altrove, richiamano i soldati che attaccavano le nostre costruzioni e li dispongono sulle mura. Così, i nostri, chiusosi lo scontro, presto in parte domano, in parte isolano l'incendio che si era propagato sulle nostre difese. Eppure gli assediati continuavano testardamente la difesa e, pur avendo perso per sete gran parte dei loro, rimanevano fermi nel loro proposito; alla fine i nostri, con le gallerie, riuscirono a tagliare le vene della sorgente e a deviare l'acqua. Il che inaridì all'improvviso una fonte perenne e provocò negli abitanti la caduta di ogni speranza, al punto che pensarono si trattasse non di opera umana, ma della volontà divina. Così, costretti dalla necessità, si arresero. |
605 | Arpineius et Iunius, quae audierunt, ad legatoc deferunt. Illi repentina re perturbati, etsi ab hoste ea dicebantur, tamen non neglegenda existimabant maximeque hac re permovebantur, quod civitatem ignobilem atque humilem Eburonum sua sponte populo Romano bellum facere ausam vix erat credendum. Itaque ad consilium rem deferunt magnaque inter eos exsistit controversia. Lucius Aurunculeius compluresque tribuni militum et primorum ordinum centuriones nihil temere agendum neque ex hibernis iniussu Caesaris discedendum existimabant: quantasvis [magnas] copias etiam Germanorum sustineri posse munitis hibernis docebant: rem esse testimonio, quod primum hostium impetum multis ultro vulneribus illatis fortissime sustinuerint: re frumentaria non premi; interea et ex proximis hibernis et a Caesare conventura subsidia: postremo quid esse levius aut turpius, quam auctore hoste de summis rebus capere consilium? | Arpineio e Giunio riferiscono le parole di Ambiorige ai legati, che, turbati dagli eventi repentini, stimavano di dover dar peso alle informazioni, per quanto fornite dal nemico. Li spingeva, soprattutto, una considerazione: era ben poco credibile che un popolo così oscuro e debole come gli Eburoni avesse osato, di propria iniziativa, muovere guerra a Roma. Perciò, rimandano la questione al consiglio di guerra, dove si verificano forti contrasti. L. Aurunculeio, seguito da molti tribuni militari e dai centurioni più alti in grado, era dell'avviso di non prendere iniziative avventate e di non lasciare i quartieri d'inverno senza ordine di Cesare; spiegavano che, essendo il campo fortificato, era possibile tener testa alle truppe dei Germani, per quanto numerose; lo testimoniava il fatto che avevano retto con grandissimo vigore al primo assalto e avevano inflitto al nemico gravi perdite; la situazione delle scorte di grano non era preoccupante; nel frattempo, sia dai campi più vicini, sia da Cesare sarebbero arrivati rinforzi; infine, cosa c'era di più avventato o vergognoso che deliberare su questioni gravissime, per suggerimento dei nemici? |