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716 | Helvetii iam per angustias et fines Sequanorum suas copias traduxerant et in Aeduorum fines pervenerant eorumque agros populabantur. Aedui, cum se suaque ab iis defendere non possent, legatos ad Caesarem mittunt rogatum auxilium: Ita se omni tempore de populo Romano meritos esse, ut paene in conspectu exercitus nostri agri vastari, liberi eorum in servitutem abduci, oppida expugnari non debuerint. Eodem tempore Aedui Ambarri, necessarii et consanguinei Aeduorum, Caesarem certiorem faciunt sese depopulatis agris non facile ab oppidis vim hostium prohibere.Item Allobroges, qui trans Rhodanum vicos possessionesque habebant, fuga se ad Caesarem recipiunt et demonstrant sibi praeter agri solum nihil esse reliqui. Quibus rebus adductus Caesar non expectandum sibi statuit, dum omnibus fortunis sociorum consumptis in Santonos Helvetii pervenirent. | Già gli Elvezii avevano fatto passare le loro genti attraverso le gole e le terre dei Sequani, ed erano giunti nel paese degli Edui e saccheggiavano i loro campi. Gli Edui, non potendo difendere da quelli se stessi e le loro cose, mandano inviati a Cesare a domandare aiuto (dicendo): Essi avevano sempre avuto molti meriti verso il popolo romano che i loro campi non avrebbero dovuto essere devastati, i figli essere condotti in schiavitù, le città essere espugnate quasi sotto gli occhi del nostro esercito. Nel medesimo tempo gli edui Ambarri, amici e congiunti degli Edui, informano Cesare (che) essi, essendo stati devastati i loro campi, non respingevano facilmente dalle città gli assalti dei nemici. Parimenti gli Allobrogi, che avevano villaggi e possedimenti al di là del Rodano, si ricoverano presso Cesare con la fuga ed espongono che nulla era rimasto loro, se non il suolo del territorio. Spinto da tali cose, Cesare stabilì che non doveva attendere che, essendo stati consumati tutti gli averi degli alleati, gli Elvezii giungessero ai Santoni. |
24 | Filius Croesi regis, cum iam fari per aetatem posset, infans erat et, cum iam multum adolevisset, item nihil fari quibat. Mutus adeo et elinguis diu habitus est. Cum in patrem eius bello magno victum et urbe, in qua erat, capta hostis gladio educto regem esse ignorans invaderet, diduxit adulescens os clamare nitens eoque nisu atque impetu spiritus vitium nodumque linguae rupit planeque et articulate elocutus est clamans in hostem, ne rex Croesus occideretur.Tum et hostis gladium reduxit, et rex vita donatus est, et adulescens loqui prorsum deinceps incepit. Sed et quispiam Samius athleta,cum antea non loquens fuisset, ob similem dicitur causam loqui coepisse. Nam cum in sacro certamine sortitio inter ipsos et adversarios non bona fide fieret et sortem nominis falsam subici animadvertisset, repente in eum, qui id faciebat, videre sese, quid faceret, magnum inclamavit. Atque is oris vinculo solutus per omne inde vitae tempus non turbide neque adhaese locutus est. | Il figlio del re Creso, sebbene potesse già parlare data l'età, era ancora muto, ed essendo già molto cresciuto, non poteva parlare per niente. Egli fu ritenuto muto e senza lingua a lungo. Dopo che Creso fu vinto in battaglia, essendo stata presa la città, nella quale era, il nemico gli piombò addosso, sguainando la spada, non sapendo che fosse il re. Suo figlio aprì la bocca, tentando di chiamare, e ruppe il difetto ed il nodo della lingua con quello sforzo e parlò chiaramente e in modo articolato, gridando contro il nemico di non uccidere il re Creso. Allora il nemico rifoderò la spada, donò la vita al re ed il giovane cominciò a parlare d'ora in poi. Ma anche un certo atleta di Samo cominciò a parlare per una causa simile, non essendo stato prima capace di farlo. Infatti, poichè si stava facendo il sorteggio nella gara tra gli abitanti di Samo e gli avversari slealmente, e poichè si era accorto l'atleta che si falsificava il sorteggio del nome, gridò repentinamente contro quello che faceva ciò, che egli vedeva ciò che faceva. E da allora in poi parlò correttamente. |
918 | His constitutis rebus, nactus idoneam ad navigandum tempestatem III. fere vigilia solvit equitesque in ulteriorem portum progredi et naves conscendere et se sequi iussit. A quibus cum paulo tardius esset administratum, ipse hora diei circiter IIII. cum primis navibus Britanniam attigit atque ibi in omnibus collibus eitas hostium copias armatas conspexit. Cuius loci haec erat natura atque ita montibus angustis mare continebatur, uti ex locis superioribus in litus telum adigi posset.Hunc ad egrediendum nequaquam idoneum locum arbitratus, dum reliquae naves eo convenirent ad horam nonam in ancoris expectavit. Interim legatis tribunisque militum convocatis et quae ex Voluseno cognovisset et quae fieri vellet ostendit monuitque, ut rei militaris ratio, maximeque ut maritimae res postularent, ut, cum celerem atque instabilem motum haberent, ad nutum et ad tempus D omnes res ab iis administrarentur. His dimissis, et VII ab eo loco progressus aperto ac plano litore naves constituit. | Presi tali provvedimenti, approfittando del tempo favorevole alla navigazione, salpò all'incirca dopo mezzanotte e comandò alla cavalleria di raggiungere il porto successivo per imbarcarsi e seguirlo. I cavalieri eseguirono gli ordini troppo lentamente; Cesare, invece, con le prime navi pervenne alle coste della Britannia verso le nove di mattina e lì vide le truppe nemiche, in armi, schierate su tutte le alture circostanti. La natura del luogo era tale e le scogliere erano così a precipizio sul mare, che i dardi scagliati dall'alto potevano raggiungere il litorale. Avendo giudicato il luogo assolutamente inadatto per uno sbarco, gettò l'ancora e fino alle due del pomeriggio attese l'arrivo delle altre navi. Nel frattempo, convocati i legati e i tribuni militari, espose le informazioni raccolte da Voluseno e il suo piano, invitandoli a compiere tutte le manovre al primo cenno e istantaneamente, come richiede la tecnica militare, soprattutto negli scontri navali, dove i movimenti sono rapidi e variano continuamente. Dopo averli congedati, sfruttando il contemporaneo favore della marea e del vento, diede il segnale e levò le ancore. Avanzò per circa sette miglia e mise le navi alla fonda in un punto in cui il litorale era aperto e piano. |
880 | Vix agmen novissimum extra munitiones processerat, cum Galli cohortati inter se, ne speratam praedam ex manibus dimitterent--longum esse per territis Romanis Germanorum auxilium exspectare, neque suam pati dignitatem ut tantis copiis tam exiguam manum praesertim fugientem atque impeditam adoriri non audeant--flumen transire et iniquo loco committere proelium non dubitant. Quae fore suspicatus Labienus, ut omnes citra flumen eliceret, eadem usus simulatione itineris placide progrediebatur.Tum praemissis paulum impedimentis atque in tumulo quodam collocatis "Habetis," inquit, "milites, quam petistis facultatem: hostem impedito atque iniquo loco tenetis: praestate eandem nobis ducibus virtutem, quam saepe numero imperatori praestitistis, atque illum adesse et haec coram cernere existimate." Simul signa ad hostem converti aciemque dirigi iubet, et paucis turmis praesidio ad impedimenta dimissis reliquos equites ad latera disponit. Celeriter nostri clamore sublato pila in hostes immittunt. Illi, ubi praeter spem quos fugere credebant infestis signis ad se ire viderunt, impetum modo ferre non potuerunt ac primo concursu in fugam coniecti proximas silvas petierunt. Quos Labienus equitatu consectatus, magno numero interfecto, compluribus captis, paucis post diebus civitatem recepit. Nam Germani qui auxilio veniebant percepta Treverorum fuga sese domum receperunt. Cum his propinqui Indutiomari, qui defectionis auctores fuerant, comitati eos ex civitate excesserunt. Cingetorigi, quem ab initio permansisse in officio demonstravimus, principatus atque imperium est traditum. | La retroguardia era appena uscita dalle fortificazioni, che i Galli si spronano a vicenda a non lasciarsi sfuggire dalle mani la preda sperata: sarebbe stato troppo lungo, con i Romani atterriti, aspettare i rinforzi dei Germani; per la loro dignità era inammissibile, numerosi com'erano, non osare l'attacco a un reparto nemico così esiguo e, oltretutto, in fuga e carico di bagagli. Così, non esitano a varcare il fiume e a venire a battaglia in posizione di svantaggio. Labieno, avendo previsto ogni mossa, allo scopo di attirare tutti i nemici al di qua del fiume continuava nella sua finzione e proseguiva la marcia, lentamente. Poi, inviate le salmerie un po' più avanti e avendole disposte su di un rialzo, disse: "Soldati, avete l'occasione che vi auguravate: tenete in pugno il nemico, in un luogo malagevole e per loro svantaggioso; date prova, adesso, sotto la nostra guida, dello stesso valore che più di una volta avete dimostrato al comandante in capo, fate conto che lui sia qui e che assista allo scontro di persona". Contemporaneamente ordina di volgere le insegne contro il nemico e di formare la linea di battaglia, invia pochi squadroni a presidio delle salmerie e dispone il resto della cavalleria sulle ali. I nostri rapidamente, tra alte grida, scagliano i giavellotti sui nemici. Costoro, quando contro ogni aspettativa videro i Romani volgere le insegne e avanzare, mentre li credevano già in fuga, non riuscirono neanche a sostenerne l'urto: al primo assalto batterono in ritirata e cercarono rifugio nelle selve più vicine. Labieno li inseguì con la cavalleria, ne uccise molti e ne fece prigionieri parecchi: pochi giorni dopo i Treveri si arresero. Infatti, i Germani, che venivano in loro aiuto, avuta notizia della fuga dei Treveri, rientrarono in patria. Al loro seguito lasciarono il paese i parenti di Induziomaro, che avevano istigato alla defezione. A Cingetorige, rimasto fedele fin dall'inizio, come abbiamo ricordato, fu conferito il principato e il comando. |
78 | Iucundum, mea vita, mihi proponis amoremHunc nostrum inter nos perpetuum fore.Di magni facit ut vere promittere possit,atque id sincere dicat et ex animo,ut liceat nobis tota perducere vitaaeternum hoc sanctae foedus amicitiae. | Mi assicuri, vita mia, che questo nostroAmore comune sarà felice ed eterno.O dei grandi, fate che sia capace di promettereSenza sottintesi e lo dica sinceramente dal profondo del cuore,Perché a noi sia possibile prolungare per tutta la vitaQuesto patto perenne d’inviolabile affetto. |
386 | Quamobrem placuit ei, ut ad Ariovistum legatos mitteret, qui ab eo postularent, uti aliquem locum medium utriusque colloquio deligeret: velle sese de re publica et summis utriusque rebus cum eo agere. Ei legationi Ariovistus respondit: Si quid ipsi a Caesare opus esset, sese ad eum venturum fuisse; si quid ille se velit, illum ad se venire oportere. Praeterea se neque sine exercitu in eas partes Galliae venire audere, quas Caesar possideret, neque exercitum sine magno commeatu atque molimento in unum locum contrahere posse.Sibi autem mirum videri quid in sua Gallia, quam bello vicisset, aut Caesari aut omnino populo Romano negotii esset. | Per tale ragione piacque a lui di mandare inviati ad Ariovisto, i quali chiedessero a lui che fissasse per un colloquio qualche luogo di mezzo tra l'uno e l'altro: egli voleva trattare con lui di affari pubblici e di cose di somma importanza per ambedue. Ariovisto rispose a quella ambasciata: se egli stesso avesse avuto bisogno di qualche cosa da Cesare, egli sarebbe andato da lui; se quello voleva qualche cosa da lui, bisognava che quello venisse da lui. Inoltre, egli né si metteva a rischio di venire senza esercito in quelle parti della Gallia che Cesare possedeva, né poteva concentrare l'esercito in un solo luogo senza grandi trasporti e gran disagio. Gli sembrava, però, strano che ci fosse qualcosa che potesse interessare o a Cesare o in generale al popolo romano nella sua Gallia, che aveva vinta in guerra. |
115 | Iam primum adulescens Catilina multa nefanda stupra fecerat, cum virgine nobili, cum sacerdote Vestae, alia huiusce modi contra ius fasque. Postremo captus amore Aureliae Orestillae, cuius praeter formam nihil umquam bonus laudavit, quod ea nubere illi dubitabat timens privignum adultum aetate, pro certo creditur, necato filio, vacuam domum scelestis nuptiis fecisse. Quae quidem res mihi in primis videtur causa fuisse facinus maturandi. Namque animus impurus, dis hominibusque infestus, neque vigiliis neque quietibus sedari poterat; ita conscientia mentem excitam vastabat.Igitur colos ei exsanguis, foedi oculi, citus modo, modo tardus incessus: prorsus in facie voltuque vecordia inerat. | Già fin dalla prima giovinezza Catilina aveva intrapreso molte relazioni illecite con una donna nobile, con una sacerdotessa di Vesta, altre di questo genere contro il diritto umano e divino. Infine innamoratosi di Aurelia Orestilla, della quale tranne la bellezza un uomo onesto non lodò mai nulla poiché ella esitava a sposarlo temendo il figliastro adulto si ritenne per certo che (Catilina) ucciso il figlio abbia liberato la casa per le nozze scellerate. Proprio questo fatto a me sembra proprio essere stata la causa dell'esecuzione della rapida congiura; e infatti un animo contaminato ostile agli dei e agli uomini non poteva trovare pace ne nella veglia che nel riposo: così il rimorso devastava la mente sconvolta. Perciò il colorito era pallido, gli occhi torvi, l'andatura ora rapida ora lenta, insomma dal suo volto e dal suo aspetto traspariva il suo furore. |
217 | Humiles laborant ubi potentes dissident.Rana e palude pugnam taurorum intuens,‘Heu, quanta nobis instat pernicies’ ait.interrogata ab alia cur hoc diceret,de principatu cum illi certarent gregislongeque ab ipsis degerent vitam boves,‘Sit statio separata ac diversum genus;expulsus regno nemoris qui profugerit,paludis in secreta veniet latibula,et proculcatas obteret duro pede.Ita caput ad nostrum furor illorum pertinet’. | Soffrono i poveri quando i potenti si scontrano.Una rana, mentre assisteva dalla palude alla lottadei tori, esclamò: «Quale male incombe su di noi!».Interrogata da un’altra sul perché affermasse ciò, vistoche quelli si affrontavano per il potere sul greggee, per di più, vivevano lontano da loro, disse:«Sia pure la loro dimora separata, e disuguale la loro razza,ma colui che fuggirà, estromesso dal regno del bosco, verrànei nascondigli segreti della palude e, una volta calpestate,ci schiaccerà con le sue pesanti zampe. Così la lororabbia avrà ripercussioni sulle nostre teste». |
842 | Ea quae secuta est hieme, qui fuit annus Cn. Pompeio, M. Crasso consulibus, Usipetes Germani et item Tencteri magna [cum] multitudine hominum flumen Rhenum transierunt, non longe a mari, quo Rhenus influit. Causa transeundi fuit quod ab Suebis complures annos exagitati bello premebantur et agri cultura prohibebantur. Sueborum gens est longe maxima et bellicosissima Germanorum omnium. Hi centum pagos habere dicuntur, ex quibus quotannis singula milia armatorum bellandi causa ex finibus educunt.Reliqui, qui domi manserunt, se atque illos alunt; hi rursus in vicem anno post in armis sunt, illi domi remanent. Sic neque agri cultura nec ratio atque usus belli intermittitur. Sed privati ac separati agri apud eos nihil est, neque longius anno remanere uno in loco colendi causa licet. Neque multum frumento, sed maximam partem lacte atque pecore vivunt multum sunt in venationibus; quae res et cibi genere et cotidiana exercitatione et libertate vitae, quod a pueris nullo officio aut disciplina adsuefacti nihil omnino contra voluntatem faciunt, et vires alit et immani corporum magnitudine homines efficit. Atque in eam se consuetudinem adduxerunt ut locis frigidissimis neque vestitus praeter pelles habeant quicquam, quarum propter exiguitatem magna est corporis pars aperta, et laventur in fluminibus. | L'inverno successivo, nell'anno di consolato di Cn. Pompeo e M. Crasso, gli Usipeti e pure i Tenteri, popoli germanici, con un gran numero di uomini oltrepassarono il Reno, non lontano dal mare in cui il fiume sfocia. Motivo della loro migrazione fu che, tormentati per molti anni dagli attacchi degli Svevi, si trovavano in difficoltà e non potevano coltivare i loro campi. Gli Svevi, tra tutti i Germani, sono il popolo più numeroso ed agguerrito in assoluto. Si dice che siano formati da cento tribù: ognuna fornisce annualmente mille soldati, che vengono portati a combattere fuori dai loro territori contro i popoli vicini. Chi è rimasto a casa, provvede a mantenere sé e gli altri; l'anno seguente si avvicendano: quest'ultimi vanno a combattere, i primi rimangono in patria. Così non tralasciano né l'agricoltura, né la teoria e la pratica delle armi. E non hanno terreni privati o divisi, nessuno può rimanere più di un anno nello stesso luogo per praticare l'agricoltura. Si nutrono poco di frumento, vivono soprattutto di latte e carne ovina, praticano molto la caccia. Il tipo di alimentazione, l'esercizio quotidiano e la vita libera che conducono (fin da piccoli, infatti, non sono sottoposti ad alcun dovere o disciplina e non fanno assolutamente. nulla contro la propria volontà) accrescono le loro forze e li rendono uomini dal fisico imponente. Sono abituati a lavarsi nei fiumi e a portare come vestito, in quelle regioni freddissime, solo delle pelli che, piccole come sono, lasciano scoperta gran parte del corpo. |
454 | Ad ea Caesar respondit: nulli omnium has partes vel querimoniae vel miserationis minus convenisse. Reliquos enim omnes officium suum praestitisse: se, qui etiam bona condicione, et loco et tempore aequo, confligere noluerit, ut quam integerrima essent ad pacem omnia; exercitum suum, qui iniuria etiam accepta suisque interfectis, quos in sua potestate habuerit, conservarit et texerit; illius denique exercitus milites, qui per se de concilianda pace egerint; qua in re omnium suorum vitae consulendum putarint.Sic omnium ordinum partes in misericordia constitisse: ipsos duces a pace abhorruisse; eos neque colloquii neque indutiarum iura servasse et homines imperitos et per colloquium deceptos crudelissime interfecisse. Accidisse igitur his, quod plerumque hominum nimia pertinacia atque arrogantia accidere soleat, uti eo recurrant et id cupidissime petant, quod paulo ante contempserint. Neque nunc se illorum humilitate neque aliqua temporis opportunitate postulare, quibus rebus opes augeantur suae; sed eos exercitus, quos contra se multos iam annos aluerint, velle dimitti. Neque enim sex legiones alia de causa missas in Hispaniam septimamque ibi conscriptam neque tot tantasque classes paratas neque submissos duces rei militaris peritos. Nihil horum ad pacandas Hispanias, nihil ad usum provinciae provisum, quae propter diuturnitatem pacis nullum auxilium desiderarit. Omnia haec iam pridem contra se parari; in se novi generis imperia constitui, ut idem ad portas urbanis praesideat rebus et duas bellicosissimas provincias absens tot annis obtineat; in se iura magistratuum commutari, ne ex praetura et consulatu, ut semper, sed per paucos probati et electi in provincias mittantur; in se etiam aetatis excusationem nihil valere, cum superioribus bellis probati ad obtinendos exercitus evocentur; in se uno non servari, quod sit omnibus datum semper imperatoribus, ut rebus feliciter gestis aut cum honore aliquo aut certe sine ignominia domum revertantur exercitumque dimittant. Quae tamen omnia et se tulisse patienter et esse laturum; neque nunc id agere, ut ab illis abductum exercitum teneat ipse, quod tamen sibi difficile non sit, sed ne illi habeant, quo contra se uti possint. Proinde, ut esset dictum, provinciis excederent exercitumque dimitterent; si id sit factum, se nociturum nemini. Hanc unam atque extremam esse pacis condicionem. | A tali parole Cesare risponde: a nessuno meno che ad Afranio conviene il ruolo di chi si lamenta e cerca compassione. Tutti gli altri infatti avevano fatto il loro dovere: lui, Cesare, che non aveva voluto venire alle armi anche in condizioni favorevoli, in un luogo e in un momento conveniente, affinché persistessero al massimo tutte le opportunità di pace; il suo esercito, che nonostante le ingiurie ricevute e le uccisioni dei compagni, aveva salvato e protetto i soldati nemici in propria mano; e infine i soldati dell'esercito nemico, che di propria iniziativa avevano agito per trattative di pace e in tal modo avevano pensato di provvedere alla salvezza di tutti i loro compagni. Così ognuno, coerentemente, secondo il grado, aveva agito in base a un sentimento di pietà. Sono stati i capi a essere contrari alla pace: essi non hanno mantenuto fede al diritto di colloquio e di tregua e hanno ucciso con grande crudeltà uomini senza difese e tratti in inganno col pretesto del colloquio. Era pertanto accaduto a loro ciò che suole accadere per lo più a uomini troppo ostinati ed arroganti, cioè di ricorrere, desiderandolo ardentemente, a ciò che poco prima avevano disprezzato. Ora egli non chiede, approfittando della loro sottomissione e del favore della circostanza, di che accrescere le sue forze; ma pretende che siano congedati quegli eserciti mantenuti ormai per troppi anni contro di lui. Né infatti per altro motivo sono state mandate in Spagna sei legioni e qui ne è stata arruolata una settima, e tante e così grandi flotte sono state apprestate e sono stati di nascosto mandati comandanti esperti di guerra. Nessuno di tali provvedimenti era stato preso per la pacificazione delle Spagne e per l'utilità della provincia che durante il periodo di pace non aveva avuto bisogno di nessun aiuto. Già da tempo tutti i provvedimenti erano rivolti contro di lui, contro di lui si istituivano comandi di nuovo genere così che una medesima persona, standosene alle porte di Roma, presiedeva le questioni della città e, pure assente, teneva per tanti anni due bellicosissime province; contro di lui venivano mutate le leggi sul conferimento delle magistrature per essere mandati nelle province non dopo la pretura e il consolato, come nel passato, ma attraverso l'elezione e l'approvazione di pochi; contro di lui non valeva più la giustificazione dell'età poiché venivano chiamate al comando degli eserciti persone segnalatesi in precedenti guerre; contro di lui solo non si manteneva ciò che era sempre stato concesso a tutti i generali, di tornare in patria, dopo avere compiuto campagne fortunate, o con qualche onore o certamente senza ignominia e di congedare l'esercito. Tuttavia egli ha sopportato con pazienza e sopporterà ancora tutto ciò; e ora vuole non tenersi l'esercito a loro sottratto, cosa che tuttavia non sarebbe per lui difficile, ma che non rimanga a loro per potersene servire contro di lui. Dunque, come è stato detto, ordina di uscire dalle province e di congedare l'esercito; se ciò viene fatto, egli non ha intenzione di nuocere a nessuno. Questa è l'unica e l'ultima condizione di pace. |
410 | His rebus confectis Caesar, ut reliquum tempus a labore intermitteretur, milites in proxima municipia deducit; ipse ad urbem proficiscitur. Coacto senatu iniurias inimicorum commemorat. Docet se nullum extraordinarium honorem appetisse, sed exspectato legitimo tempore consulatus eo fuisse contentum, quod omnibus civibus pateret. Latum ab X tribunis plebis contradicentibus inimicis, Catone vero acerrime repugnante et pristina consuetudine dicendi mora dies extrahente, ut sui ratio absentis haberetur, ipso consule Pompeio ; qui si improbasset, cur ferri passus esset? Si probasset, cur se uti populi beneficio prohibuisset? Patientiam proponit suam, cum de exercitibus dimittendis ultro postulavisset; in quo iacturam dignitatis atque honoris ipse facturus esset.Acerbitatem inimicorum docet, qui, quod ab altero postularent, in se recusarent, atque omnia permisceri mallent, quam imperium exercitusque dimittere. Iniuriam in eripiendis legionibus praedicat, crudelitatem et insolentiam in circumscribendis tribunis plebis; condiciones a se latas, expetita colloquia et denegata commemorat. Pro quibus rebus hortatur ac postulat, ut rem publicam suscipiant atque una secum administrent. Sin timore defugiant illi, se oneri non defuturum et per se rem publicam administraturum. Legatos ad Pompeium de compositione mitti oportere, neque se reformidare, quod in senatu Pompeius paulo ante dixisset, ad quos legati mitterentur, his auctoritatem attribui timoremque eorum, qui mitterent significari. Tenuis atque infirmi haec animi videri. Se vero, ut operibus anteire studuerit, sic iustitia et aequitate velle superare. | Fatto questo, Cesare, volendo usare il tempo che gli rimaneva per fare riposare i soldati, li conduce nei municipi più vicini; egli invece si dirige alla volta di Roma. Convoca il senato ed espone le ingiurie arrecategli dagli avversari. Dichiara di non avere cercato nessun potere illegittimo, ma, dopo avere atteso il tempo stabilito dalla legge per il consolato, di essere stato pago di questa carica che era concessa a tutti i cittadini. Ricorda che, nonostante l'opposizione dei suoi avversari e la resistenza violentissima di Catone, il quale secondo una sua antica abitudine guadagnava giorni e giorni tirando per le lunghe con i suoi discorsi, al tempo del consolato di Pompeo era stato proposto da dieci tribuni che si tenesse conto della sua candidatura, pur se egli era assente: se Pompeo fosse stato contrario alla proposta, perché avrebbe permesso che essa venisse presentata? E se era favorevole, perché avrebbe impedito che egli si servisse di tale beneficio voluto dal popolo? Fa notare la sua tolleranza, avendo egli per primo chiesto il congedo degli eserciti, mostrandosi con tale proposta disposto a perdere dignità e onore. Mette in luce l'accanimento degli avversari che rifiutano di fare ciò che pretendono dagli altri e preferiscono porre tutto quanto a soqquadro piuttosto che lasciare potere ed esercito. Fa notare l'ingiuria a lui arrecata togliendogli le legioni, la crudeltà e l'insolenza nel limitare il potere dei tribuni; ricorda le proposte di pace che egli ha avanzato, gli abboccamenti richiesti e rifiutati. In nome di ciò prega e chiede ai senatori di assumere il governo e amministrare la cosa pubblica insieme a lui. Ma se essi fuggono per timore, dichiara di non avere intenzione di sottrarsi a questo onere: di governare da solo lo stato. Sostiene che è opportuno mandare ambasciatori a Pompeo per trattare un accordo e dichiara di non temere ciò che poco prima Pompeo aveva detto in senato, cioè che a quelli ai quali si inviano ambasciatori si attribuisce autorità e che il mandarli è segno della paura di chi li manda. Queste affermazioni sono opinioni di chi è piccolo e debole. Egli invero, come ha cercato di primeggiare con le sue imprese, così vuole essere superiore per giustizia ed imparzialità. |
112 | Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur, quod in exiguum aevi gignimur, quod haec tam velociter, tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant, adeo ut exceptis admodum paucis ceteros in ipso vitae apparatu vita destituat. Nec huic publico, ut opinantur, malo turba tantum et imprudens volgus ingemuit; clarorum quoque virorum hic affectus querellas evocavit. Inde illa maximi medicorum exlamatio est: "Vitam brevem esse, longam artem"; inde Aristotelis cum rerum natura exigentis minime conveniens sapienti viro lis: "Aetatis illam animalibus tantum indulsisse, ut quina aut dena saecula educerent, homini in tam multa ac magna genito tanto citeriorem terminum stare".Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus. Satis longa vita in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bane collocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei inpenditur, ultima demum necessitate cogente, quam ire non intelleximus transisse sentimus. Ita est: non accipimus brevem vitam, sed fecimus, nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut amplae et regiae opes, ubi ad malum dominum pervenerunt, momento dissipantur, at quamvis modicae, si bono custodi traditae sunt, usu crescunt, ita aetas nostra bene disponenti multum patet. | La maggior parte degli uomini si lamenta della malvagità della natura, poiché siamo generati per poco tempo, perché questi lassi di tempo dati a noi scorrono via, tanto rapidamente tanto velocemente (a tal punto) che, fatta eccezione per pochissimi, la vita abbandona gli altri nella stessa preparazione della vita. Né, come si crede, soltanto la massa e il volgo dissennato si lamenta di questo male comune; questo stato d’animo ha evocato le lamentele anche di uomini celebri. Di lì deriva quella esclamazione del più grande tra i medici: “La vita è breve, l’arte è lunga”. Di lì l’accusa, niente affatto conveniente a un uomo saggio, di Aristotele che si lamenta con la natura: “Quella ha concesso tanto tempo agli animali da farli vivere cinque o dieci generazioni, all’uomo generato per molte e grandi cose, ha concesso di vivere per un tempo tanto più breve”. Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo perso molto. La vita è abbastanza lunga e ci è stata data in abbondanza per il compimento di grandissime imprese se fosse impiegata tutta bene; ma quando scorre nel lusso e nella trascuratezza, quando non è spesa per nessuna buona attività, spingendo infine l’estrema necessità, capiamo che è passata quella che non abbiamo capito che stava passando. È così: non riceviamo una vita breve, ma l’abbiamo resa tale, né siamo privi di essa, ma prodighi. Come ricchezze ampie e regali, quando sono giunte a un cattivo padrone sono sperperate in un momento ma, sebbene modeste, se sono state affidate a un buon amministratore aumentano con l’uso: così la nostra vita si estende molto per chi la gestisce bene. |
860 | Longius prosequi veritus, quod silvae paludesque intercedebant neque etiam parvulo detrimento illorum locum relinqui videbat, omnibus suis incolumibus copiis eodem die ad Ciceronem pervenit. Institutas turres, testudines munitionesque hostium admiratur; legione producta cognoscit non decimum quemque esse reliquum militem sine vulnere: ex his omnibus iudicat rebus, quanto cum periculo et quanta cum virtute res sint administratae. Ciceronem pro eius merito legionemque collaudat; centuriones singillatim tribunosquc militum appellat, quorum egregiam fuisse virtutem testimonio Ciceronis cognoverat.De casu Sabini et Cottae certius ex captivis cognoscit. Postero die contione habita rem gestam proponit, milites consolatur et confirmat: quod detrimentum culpa et temeritate legati sit acceptum, hoc aequiore animo ferendum docet, quod beneficio deorum immortalium et virtute eorum expiato incommodo neque hostibus diutina laetatio neque ipsis longior dolor relinquatur. | Cesare ritenne rischioso spingersi troppo in là, perché si frapponevano selve e paludi, e si rendeva conto che non c'era modo di infliggere agli avversari il benché minimo danno. Così, quel giorno stesso, senza nessuna perdita, raggiunge Cicerone. Qui, con stupore, vede le torri costruite, le testuggini e le fortificazioni dei nemici; quando la legione viene schierata, si rende conto che neanche un soldato su dieci è illeso; da tutti questi elementi giudica con quanto pericolo e con quale valore sia stata affrontata la situazione: loda pubblicamente per i suoi meriti Cicerone e i soldati, chiama individualmente i centurioni e i tribuni militari che - lo sapeva per testimonianza di Cicerone - si erano distinti per singolare valore. Dai prigionieri apprende altri particolari sulla fine di Sabino e Cotta. Il giorno seguente riunisce le truppe, descrive l'accaduto, ma rincuora e rassicura i soldati; spiega che il rovescio, subito per colpa e imprudenza di un legato, doveva essere sopportato con animo tanto più sereno, in quanto, per beneficio degli dèi immortali e per il loro valore, il disastro era stato vendicato; la gioia dei nemici era stata breve, quindi il loro dolore non doveva durare troppo a lungo. |
954 | Quod cum cotidie fieret ac iam consuetudine diligentia minueretur, quod plerumque accidit diu turnitate, Bellovaci delecta manu peditum cognitis stationibus cotidianis equitum nostrorum silvestribus locis insidias disponunt eodemque equites postero die mittunt, qui primum elicerent nostros, deinde circumventos aggrederentur. Cuius mali sors incidit Remis, quibus ille dies fungendi muneris obvenerat. Namque hi, cum repente hostium equites animad vertissent ac numero superiores paucitatem contempsissent, cupidius insecuti peditibus undique sunt circumdati.Quo facto perturbati celerius quam consuetudo fert equestris proeli se receperunt amisso Vertisco, principe civitatis, praefecto equitum; qui cum vix equo propter aetatem posset uti, tamen consuetudine Gallorurn neque aetatis excusatione in suscipienda praefectura usus erat neque dimicari sine se voluerat. Inflantur atque incitantur hostium animi secundo proelio, principe et praefecto Remorum interfecto, nostrique detrimento admonentur diligentius exploratis locis stationes disponere ac mode ratius cedentem insequi hostem. | La cosa accadeva ogni giorno, e ormai le precauzioni diminuivano per via dell'abitudine, come spesso accade quando si ripetono le stesse azioni. I Bellovaci, una volta conosciuti i punti dove stazionavano quotidianamente i nostri cavalieri, con un gruppo scelto di fanti preparano un agguato in una zona ricca di vegetazione. Lì inviano, il giorno seguente, dei cavalieri, che dovevano attirare i nostri nel bosco, dove poi i fanti appostati li avrebbero circondati e assaliti. La mala sorte capitò ai Remi, a cui quel giorno era toccato il servizio di scorta. Quando all'improvviso videro i cavalieri nemici, i nostri, sentendosi superiori per numero, disprezzarono le forze avversarie: li inseguirono con troppa foga e vennero circondati dai fanti. Scossi dall'accaduto, si ritirarono più rapidamente di quanto non comporti, di regola, un combattimento di cavalleria; ma persero il principe del loro popolo e comandante della cavalleria, Vertisco, persona ormai anziana, a stento in grado di cavalcare, che però, com'è costume dei Galli, non aveva accampato la scusa dell'età al momento di rivestire il comando, né aveva voluto che si lottasse senza di lui. Il successo nello scontro esalta e accende lo spirito dei nemici, vista anche l'uccisione del principe e comandante dei Remi, mentre la sconfitta insegna ai nostri a disporre i posti di guardia dopo aver esplorato con più attenzione i luoghi e a inseguire con maggior criterio il nemico in fuga. |
244 | Etsi me assiduo confectum cura doloresevocat a doctis, Ortale, virginibus,nec potis est dulcis Musarum expromere fetusmens animi, tantis fluctuat ipsa malis--namque mei nuper Lethaeo in gurgite fratrispallidulum manans alluit unda pedem,Troia Rhoeteo quem subter litore tellusereptum nostris obterit ex oculis.alloquar, audiero numquam tua <facta> loquentemnumquam ego te, vita frater amabilior,aspiciam posthac? at certe semper amabo,semper maesta tua carmina morte canam,qualia sub densis ramorum concinit umbrisDaulias, absumpti fata gemens Ityli-sed tamen in tantis maeroribus, Ortale, mittohaec expressa tibi carmina Battiadae,ne tua dicta vagis nequiquam credita ventiseffluxisse meo forte putes animo,ut missum sponsi furtivo munere malumprocurrit casto virginis e gremio,quod miserae oblitae molli sub veste locatum,dum adventu matris prosilit, excutitur,atque illud prono praeceps agitur decursu,huic manat tristi conscius ore rubor. | Benché, sfinito dall'assillante dolore, l'angosciami distolga dalle dotte vergini, o Ortalo,e la mia ispirazione più non sia capace di produrrei dolci frutti delle Muse, da tante sciagure è agitatapoiché da poco l'onda che scorre nei vortici del Letelambisce l'esangue piede di mio fratello,che la terra troiana nasconde,rapito ai miei occhi, sotto il lido Reteo;ti parlerò mai più? ti udrò ancora narrarmi le tue <imprese>?non ti rivedrò mai più nei giorni avvenire, o fratello,a me più caro della vita? ma certo per sempre ti amerò,sempre velerò con la tua morte i mesti miei carmi,quali canta sotto l'ombra densa dei ramil'uccello della Daulide che geme il fato di Itilo scomparso;tuttavia fra tante lacrime. Orlalo, ti mandoquesti versi di Callimaco tradotti,perché non pensi che le tue parole, gettate al vento che passa,mi siano per caso cadute di mente,così come il pomo, furtivo dono del fidanzato,cade dal casto grembo della fanciulla,che, poveretta, più non ricorda di averlo nascosto nelle morbide pieghe della veste,e, balzando in piedi al giungere di sua madre, lo lascia cadere;il pomo veloce per terra va rotolando,e a lei sul volto smarrito si spande un rossore di vergogna. |
437 | Tum demum Liscus oratione Caesaris adductus, quod antea tacuerat, proponit: esse non nullos, quorum auctoritas apud plebem plurimum valeat, qui privatim plus possint quam ipsi magistratus. Hos seditiosa atque improba oratione multitudinem deterrere, ne frumentum conferant, quod debeant: praestare, si iam principatum Galliae obtinere non possint, Gallorum quam Romanorum imperia perferre, neque dubitare, quin, si Helvetios superaverint Romani, una cum reliqua Gallia Aeduis libertatem sint erepturi.Ab isdem nostra consilia quaeque in castris gerantur hostibus enuntiari: hos a se coerceri non posse. Quin etiam, quod necessariam rem coactus Caesari enuntiarit, intellegere sese, quanto id cum periculo fecerit, et ob eam causam, quam diu potuerit tacuisse. | Allora finalmente Lisco, indotto dal discorso di Cesare, espone ciò che aveva taciuto prima: vi erano alcuni, la cui autorità valeva moltissimo presso la plebe, i quali privatamente potevano più che i magistrati stessi. Costoro con discorsi sediziosi e mendaci distoglievano la moltitudine, dal portare il frumento che dovevano (somministrare), dicendo che, se ormai (gli Edui) non potevano ottenere l’egemonia della Gallia, era preferibile sopportare la dominazione dei Galli piuttosto che quella dei Romani, e che non dubitavano che, se i Romani avessero superato gli Elvezi, avrebbero tolto la libertà agli Edui insieme con la restante Gallia. I nostri giudizi e quelle cose che si facevano nel campo erano comunicate ai nemici dai medesimi: costoro non potevano essere tenuti a freno da lui. Che anzi, perché sforzato dalla necessità, aveva palesato (il tutto) a Cesare, egli stesso capiva con quanto grande pericolo avesse fatto ciò, e (che) per questa ragione aveva taciuto finché aveva potuto. |
49 | Quae tecum, Catilina, sic agit et quodam modo tacita loquitur: 'Nullum iam aliquot annis facinus exstitit nisi per te, nullum flagitium sine te; tibi uni multorum civium neces, tibi vexatio direptioque sociorum inpunita fuit ac libera; tu non solum ad neglegendas leges et quaestiones, verum etiam ad evertendas perfringendasque valuisti. Superiora illa, quamquam ferenda non fuerunt, tamen, ut potui, tuli; nunc vero me totam esse in metu propter unum te, quicquid increpuerit, Catilinam timeri, nullum videri contra me consilium iniri posse, quod a tuo scelere abhorreat, non est ferendum.Quam ob rem discede atque hunc mihi timorem eripe; si est verus, ne opprimar, sin falsus, ut tandem aliquando timere desinam. | Ed essa, Catilina, si rivolge a tè e oserei dire che nel suo silenzio pronuncia queste parole: «Da diversi anni ormai non s'è verifìcata nessuna azione delittuosa ne infamante se non per opera tua; a tè solo è stato possibile, liberamente e impunemente, assassinare tanti concittadini, sottoporre a vessazioni e razzie i nostri alleati; tu sei stato capace non solo di non tenere in nessun conto ne leggi ne giustizia, ma pure di sovvertirle e distruggerle. Ora, i tuoi misfatti precedenti, per quanto assolutamente insopportabili, pure li ho sopportati così come ho potuto; ma che adesso io debba vivere tutta quanta nel terrore solo per causa tua, che ad ogni stormir di foglia si debba temer Catilina, che evidentemente non sia possibile ordire nessuna trama ai miei danni che sia indipendente dalla tua delittuosa attività, questo è assolutamente insopportabile. Vattene dunque e liberami da questo timore: per non soccombere, se è fondato; per cessare una buona volta per tutte di temere, se è privo di qualunque fondamento. |
402 | Tertium est genus eorum, qui uri appellantur. Hi sunt magnitudine paulo infra elephantos, specie et colore et figura tauri. Magna vis eorum est et magna velocitas, neque homini neque ferae quam conspexerunt parcunt. Hos studiose foveis captos interficiunt. Hoc se labore durant adulescentes atque hoc genere venationis exercent, et qui plurimos ex his interfecerunt, relatis in publicum cornibus, quae sint testimonio, magnam ferunt laudem. Sed adsuescere ad homines et mansuefieri ne parvuli quidem excepti possunt.Amplitudo cornuum et figura et species multum a nostrorum boum cornibus differt. Haec studiose conquisita ab labris argento circumcludunt atque in amplissimis epulis pro poculis utuntur. | Il terzo genere è di quelli che si chiamano uri. Questi sono per grandezza poco inferiori agli elefanti, per l'aspetto e il colore e la forma sono tori. La loro forza è grande e grande è la velocità. E non risparmiano né l'uomo né la bestia che hanno avvistato. Uccidono questi (gli uri) dopo averli presi con cura in fosse. I giovani si irrobustiscono con questa fatica e si esercitano con questo genere di caccia; e quelli che ne hanno ucciso il maggior numero, portate le corna in pubblico che ne siano testimonianza, riportano grande lode. Ma neppure se catturati da piccoli si possono abituare all'uomo né addomesticare. L'ampiezza e la forma e l'aspetto delle corna differiscono molto dalle corna dei nostri buoi. Queste, ricercate con cura, le cerchiano di argento all'orlo e se ne servono come bicchieri in ricchissimi banchetti. |
738 | Nuntiatur Afranio magnos commeatus, qui iter habebant ad Caesarem, ad flumen constitisse. Venerant eo sagittarii ex Rutenis, equites ex Gallia cum multis carris magnisque impedimentis, ut fert Gallica consuetudo. Erant praeterea cuiusque generis hominum milia circiter VI cum servis liberisque; sed nullus ordo, nullum imperium certum, cum suo quisque consilio uteretur atque omnes sine timore iter facerent usi superiorum temporum atque itinerum licentia.Erant complures honesti adulescentes, senatorum filii et ordinis equestris; erant legationes civitatum; erant legati Caesaris. Hos omnes flumina continebant. Ad hos opprimendos cum omni equitatu tribusque legionibus Afranius de nocte proficiscitur imprudentesque ante missis equitibus aggreditur. Celeriter sese tamen Galli equites expediunt proeliumque committunt. Ei, dum pari certamine res geri potuit, magnum hostium numerum pauci sustinuere; sed ubi signa legionum appropinquare coeperunt, paucis amissis sese in proximos montes conferunt. Hoc pugnae tempus magnum attulit nostris ad salutem momentum; nacti enim spatium se in loca superiora receperunt. Desiderati sunt eo die sagittarii circiter CC, equites pauci, calonum atque impedimentorum non magnus numerus. | Viene comunicato ad Afranio che grandi approvvigionamenti, diretti a Cesare, erano fermi presso il fiume. Erano qui giunti arcieri ruteni, cavalieri della Gallia con molti carri e grandi bagagli, come l'uso gallico richiede. Vi erano inoltre circa seimila uomini di ogni categoria sociale con i servi e i figli; ma nessun ordine, nessun comando sicuro vi era, ciascuno agiva secondo il proprio giudizio e tutti procedevano senza timore, senza disciplina come nei giorni e nelle tappe precedenti. Vi erano parecchi giovani di nobile famiglia, figli di senatori e di cavalieri, vi erano ambascerie delle città, vi erano luogotenenti di Cesare. A tutti costoro la strada era preclusa dalla piena. Afranio con tutta la cavalleria e tre legioni si muove di notte per annientarli e, mandati avanti i cavalieri, li assale all'improvviso. Tuttavia la cavalleria dei Galli si appronta velocemente e attacca battaglia. Finché il combattimento fu condotto ad armi pari, costoro, pur essendo pochi, fecero fronte a un gran numero di nemici; ma, quando incominciarono ad avvicinarsi le insegne delle legioni, perduti pochi soldati, si rifugiano sui monti vicini. La durata di questa battaglia fu decisiva per la salvezza dei nostri; infatti, approfittando di questo tempo, si ritirarono sulle alture. In quel giorno si persero circa duecento sagittari, pochi cavalieri, un numero non grande di addettial trasporto dei bagagli e non molte salmerie. |
122 | “Videsne illam urbem, quae parere populo Romano coacta per me renovat pristina bella nec potest quiescere?” Ostendebat autem Karthaginem de excelso et pleno stellarum, illustri et claro quodam loco.“Ad quam tu oppugnandam nunc venis paene miles, hanc hoc biennio consul evertes, eritque cognomen id tibi per te partum quod habes adhuc a nobis hereditarium. Cum autem Karthaginem deleveris, triumphum egeris censorque fueris et obieris legatus Aegyptum, Syriam, Asiam, Graeciam, deligere iterum consul absens bellumque maximum conficies, Numantiam exscindes.Sed cum eris curru in Capitolium invectus, offendes rem publicam consiliis perturbatam nepotis mei.” | Vedi quella città che, costretta per mia opera ad ubbidire al popolo romano, rinnova gli antichi conflitti e non può trovare pace?” Intanto stava mostrando Cartagine da un certo luogo elevato e pieno di stelle, luminose e splendenti. “Ora tu vieni per assediarla quasi da soldato semplice, ma entro due anni la distruggerai, come console, e avrai quel soprannome, procurato per merito tuo, che fino a ora hai ereditato da noi. Quando poi avrai distrutto Cartagine, avrai celebrato il trionfo, sarai stato censore e avrai percorso, come ambasciatore, l’Egitto, la Siria, l’Asia, la Grecia, e sarai scelto come console per la seconda volta pur essendo assente e porterai a termine una Guerra importantissima, raderai al suolo Numanzia. Ma quando sarai trasportato su un carro trionfale in Campidoglio troverai lo stato sconvolto dai piani di mio nipote.” |
1,007 | Delectum habuit tota provincia, legionibus completis duabus cohortes circiter XXX alarias addidit. Frumenti magnum numerum coegit, quod Massiliensibus, item quod Afranio Petreioque mitteret. Naves longas X Gaditanis ut facerent imperavit, complures praeterea Hispali faciendas curavit. Pecuniam omnem omniaque ornamenta ex fano Herculis in oppidum Gades contulit; eo sex cohortes praesidii causa ex provincia misit Gaiumque Gallonium, equitem Romanum, familiarem Domitii, qui eo procurandae hereditatis causa venerat missus a Domitio, oppido Gadibus praefecit; arma omnia privata ac publica in domum Gallonii contulit.Ipse habuit graves in Caesarem contiones. Saepe ex tribunali praedicavit adversa Caesarem proelia fecisse, magnum numerum ab eo militum ad Afranium perfugisse: haec se certis nuntiis, certis auctoribus comperisse. Quibus rebus perterritos cives Romanos eius provinciae sibi ad rem publicam administrandam HS | CLXXX | 18,000,000. et argenti pondo XX milia, tritici modium CXX milia polliceri coegit. Quas Caesari esse amicas civitates arbitrabatur, his graviora onera iniungebat praesidiaque eo deducebat et iudicia in privatos reddebat qui verba atque orationem adversus rem publicam habuissent: eorum bona in publicum addicebat, Provinciam omnem in sua et Pompei verba iusiurandum adigebat. Cognitis eis rebus, quae sunt gestae in citeriore Hispania, bellum parabat. Ratio autem haec erat belli, ut se cum II legionibus Gades conferret, naves frumentumque omne ibi contineret; provinciam enim omnem Caesaris rebus favere cognoverat. In insula frumento navibusque comparatis bellum duci non difficile existimabat. Caesar, etsi multis necessariisque rebus in Italiam revocabatur, tamen constituerat nullam partem belli in Hispaniis relinquere, quod magna esse Pompei beneficia et magnas clientelas in citeriore provincia sciebat. | In tutta la provincia fece reclutamenti; completate due legioni, aggiunse a esse circa trenta coorti di milizie ausiliarie. Raccolse una grande quantità di frumento da inviare ai Marsigliesi e parimenti ad Afranio e Petreio. Ordinò ai Gaditani di costruire dieci navi da guerra, inoltre ne fece costruire molte altre a Ispali. Fece portare dal tempio di Ercole nella città di Gades tutto il denaro e tutti gli oggetti preziosi; mandò colà di presidio dalla provincia sei coorti e mise a capo della città di Gades Gaio Gallonio, cavaliere romano amico di Domizio, che qui era giunto mandato da Domizio come procuratore in una questione di eredità; fece radunare tutte le armi pubbliche e private nella casa di Gallonio. Egli stesso pronunciò parole dure contro Cesare. Spesso dal palco affermò che Cesare aveva subito sconfitte, che un gran numero di suoi soldati erano passati dalla parte di Afranio; e che egli era venuto a sapere ciò da messaggeri sicuri, da fonti sicure. Costrinse i cittadini romani della sua provincia, atterriti da queste notizie, a promettere, per la pubblica amministrazione, diciotto milioni di sesterzi, ventimila libbre d'argento e centoventi moggi di grano. Imponeva oneri più pesanti alle città che credeva essere amiche di Cesare e vi mandava presidi e autorizzava processi contro i privati che avevano pronunciato parole o discorsi contro lo stato e confiscava i loro beni. Costringeva tutta la provincia a giurare fedeltà a lui e a Pompeo. Venuto a sapere di ciò che era avvenuto nella Spagna Citeriore, si preparava alla guerra. Il suo piano di guerra era il seguente: recarsi con due legioni a Gades, concentrare là le navi e tutto il frumento; aveva saputo infatti che l'intera provincia era favorevole a Cesare. Una volta raccolti nell'isola frumento e navi, riteneva non difficile tirare in lungo la guerra. Cesare, sebbene richiamato in Italia da molte questioni urgenti, aveva tuttavia stabilito di non lasciare in Spagna nessun focolaio di guerra, poiché sapeva che nella provincia citeriore grandi erano i benefizi di Pompeo e molti erano i suoi clienti. |
286 | Dicebas quondam solum te nosse Catullum, Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem. Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam, sed pater ut gnatos diligit et generos. Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror, mult mi tamen es vilior et levior. Qui potis est, inquis? Quod amantem iniuria talis cogit amare magis, sed bene velle minus. | Un tempo dicevi, o Lesbia, che tu conoscessi solo Catullo, e che non volessi abbracciare Giove in confronto a me. Allora ti ho amato non tanto quanto il volgo ama l'amante, ma come il padre ama i figli e i generi. Ora ti ho conosciuta: perciò, nonostante io bruci più fortemente, tuttavia mi sei molto più vile e leggera. "Come è possibile, dici?. Poiché un'offesa tale obbliga l'amante ad amare di più, ma a volere meno bene. |
444 | Natio est omnis Gallorum admodum dedita religionibus, atque ob eam causam, qui sunt adfecti gravioribus morbis quique in proeliis periculisque versantur, aut pro victimis homines immolant aut se immolaturos vovent, administrisque ad ea sacrificia druidibus utuntur, quod pro vita hominis nisi hominis vita reddatur, non posse aliter deorum immortalium numen placari arbitrantur, publiceque eiusdem generis habent instituta sacrificia. Alii immani magnitudine simulacra habent, quorum contexta viminibus membra vivis hominibus complent; quibus succensis circumventi flamma exanimantur homines.Supplicia eorum, qui in furto aut in latrocinio aut aliqua noxii sint comprehensi, gratiora dis immortalibus esse arbitrantur. Sed cum eius generis copia deficit, etiam ad innocentium supplicia descendunt. | Tutto il popolo dei Galli è molto dedito alle religioni, e per questo motivo chi è affetto da malattie abbastanza gravi e chi è coinvolto in pericoli e combattimenti, o sacrifica uomini come vittime o fa voto di sacrificarli, e usa, per questi sacrifici, i druidi come officianti, poiché ritengono che la volontà degli dei immortali non si possa placare se la vita di un uomo non è data per la vita di un uomo, e sacrifici dello stesso genere hanno usanza pubblicamente. Altri hanno statue di immane grandezza, le cui parti del corpo intrecciate in vimini essi riempiono con uomini vivi; dopo aver incendiato questi, gli uomini periscono, avvolti dalla fiamma. Ritengono che i supplizi di coloro che siano stati catturati in un furto, o in briganteggio o in qualche colpa siano più graditi agli dei immortali. Tuttavia, quando manca abbondanza di questo genere, si riducono anche a sacrifici di innocenti. |
12 | At ego tibi sermone isto Milesio varias fabulas conseram, auresque tuas benivolas lepido susurro permulceam, modo si papyrum Aegyptiam argutia Nilotici calami inscriptam non spreveris inspicere, figuras fortunasque hominum in alias imagines conversas et in se rursum mutuo nexu refectas ut mireris. Exordior. "Quis ille?". Paucis accipe. Hymettos Attica et Isthmos Ephyrea et Taenaros Spartiaca, glebae felices aeternum libris felicioribus conditae, mea vetus prosapia est.Ibi linguam Attidem primis pueritiae stipendiis merui. Mox in urbe Latina advena studiorum Quiritium indigenam sermonem aerumnabili labore, nullo magistro praeeunte, aggressus excolui. En ecce praefamur veniam, siquid exotici ac forensis sermonis rudis locutor offendero. Iam haec quidem ipsa vocis immutatio desultoriae scientiae stilo quem accessimus respondet. Fabulam Graecanicam incipimus. Lector intende: laetaberis. | Ed io intreccerò per te varie storie con questa narrazione Milesia e accarezzerò le tue orecchie benevole con un grazioso sussurro, purché tu non disprezzerai di dare un'occhiata al papiro egizio scritto con la finezza di un calamo del Nilo, in modo che ammirerai aspetti e sorti di uomini mutati in forme diverse e tornati di nuovo in sé, con alterna vicenda. Comincio. (Tu dirai) "Chi è costui?". Sappilo in poche parole. La mia antica stirpe sono l'Imetto dell'Attica, l'istmo di Corinto e il Ténaro di Sparta, terre felici rese eterne da libri ancora più felici. Lì ho imparato nei primi esercizi della fanciullezza la lingua greca. Presto, (venuto) a Roma, estraneo agli studi romani, senza alcun maestro, dopo essermi avvicinato ad essa, ho coltivato la lingua del posto, con grandissima fatica. Ed ecco, chiedo scusa se da rozzo parlatore introdurrò qualcosa di strano e di estraneo (o popolare) alla lingua. D'altra parte, questa stessa varietà di tono risponde certamente allo stile dell'arte da funambolo a cui mi sono avvicinato. Iniziamo il racconto di tipo greco. Lettore, stai attento: ti divertirai. |
247 | Zmyrna mei Cinnae nonam post denique messemquam coepta est nonamque edita post hiemem,milia cum interea quingenta Hortensius uno. . . . . . . . .Zmyrna cavas Satrachi penitus mittetur ad undas,Zmyrnam cana diu saecula pervoluent.at Volusi annales Paduam morientur ad ipsamet laxas scombris saepe dabunt tunicas.. . . . . . . . .Parva mei mihi sint cordi monimenta ...,at populus tumido gaudeat Antimacho. | La Zmyrna del mio Cinna dopo nove estati e dopo nove inverniche è stata cominciata è stata infine pubblicata,mentre Ortensio (ha scritto) cinquecentomila versi in un solo (anno). . . . . . . . .La Zmyrna sarà mandata profondamente fino alle onde del Satraco,La Zmyrna per lungo tempo leggeranno le vecchie generazioni.Ma gli annali di Volusio moriranno sulla stessa Padovae spesso forniranno tuniche abbondanti per gli sgombri.. . . . . . . . .Che i piccoli capolavori del mio (amico) mi stiano a cuore ...,al contrario, che il pubblico esalti il gonfio Antimaco. |
877 | Pompeius, qui castra in colle habebat, ad infimas radices montis aciem instruebat, semper, ut videbatur, exspectans, si iniquis locis Caesar se subiceret. Caesar nulla ratione ad pugnam elici posse Pompeium existimans, hanc sibi commodissimam belli rationem iudicavit, uti castra ex eo loco moveret semperque esset in itineribus, haec spectans: ut movendis castris pluribusque adeundis locis commodiore re frumentaria uteretur, simulque in itinere ut aliquam occasionem dimicandi nancisceretur et insolitum ad laborem Pompei exercitum cotidianis itineribus defatigaret.His constitutis rebus, signo iam profectionis dato tabernaculisque detensis, animadversum est paulo ante extra cotidianam consuetudinem longius vallo esse aciem Pompei progressamn, ut non iniquo loco posse dimicari videretur. Tunc Caesar apudsuos, cum iam esset agmen in portis: "Differendum est" inquit "iter in praesentia nobis et de proelio cogitandum, ut semper depoposcimus. Animo simus ad dimicandum parati, non facile occasionem postea reperiemus" confestimque expeditas copias educit. | Pompeo che aveva l'accampamento sul colle, schierò in ordine di battaglia l'esercito ai piedi del monte sempre, come sembrava, aspettando che Cesare venisse a trovarsi in una situazione sfavorevole. Cesare, stimando che in nessun modo Pompeo poteva essere spinto a combattere giudicò che per lui il più vantaggioso piano di guerra fosse questo: cioè che spostasse l'accampamento da quel luogo e fosse sempre in viaggio, puntando a ciò che, spostando l'accampamento, usufruisse di viveri più adeguati e, nello stesso tempo, andando in molti luoghi, trovasse lungo il cammino qualche occasione per combattere e stancasse con le marce quotidiane l'esercito di Pompeo non abituato alla fatica. Stabilite queste cose dato già il segnale della partenza e levate le tende si capì che l'esercito di Pompeo poco prima era avanzato piuttosto avanti rispetto a loro contrariamente alla quotidiana abitudine, tanto che sembrava si potesse combattere in un luogo non svantaggioso. Allora Cesare essendo l'esercito alle porte dell'accampamento disse presso i suoi soldati: "Noi dobbiamo rimandare la marcia in questa circostanza e dobbiamo pensare alla battaglia come sempre abbiamo desiderato. Siamo pronti a combattere con coraggio, in seguito non troveremo facilmente un'occasione del genere" e subito porta fuori le truppe armate alla leggera. |
745 | Massilienses post superius incommodum veteres ad eundem numerum ex navalibus productas naves refecerant summaque industria armaverant (remigum, gubernatorum magna copia suppetebat) piscatoriasque adiecerant atque contexerant, ut essent ab ictu telorum remiges tuti; has sagittariis tormentisque compleverunt. Tali modo instructa classe omnium seniorum, matrum familiae, virginum precibus et fletu excitati, extremo tempore civitati subvenirent, non minore animo ac fiducia, quam ante dimicaverant, naves conscendunt.Communi enim fit vitio naturae, ut inusitatis atque incognitis rebus magis confidamus vehementiusque exterreamur; ut tum accidit. Adventus enim L. Nasidii summa spe et voluntate civitatem compleverat. Nacti idoneum ventum ex portu exeunt et Tauroenta, quod est castellum Massilensium, ad Nasidium perveniunt ibique naves expediunt rursusque se ad confligendum animo confirmant et consilia communicant. Dextra pars attribuitur Massiliensibus, sinistra Nasidio. | I Marsigliesi, dopo la precedente sconfitta, avevano riparato le vecchie navi, tratte fuori dagli arsenali nello stesso numero di quelle perdute, e le avevano armate con grande cura (disponevano di un buon numero di rematori e di comandanti); vi avevano aggiunto battelli da pesca che avevano coperto per protezione, perché i rematori fossero al sicuro dal getto dei proiettili; riempirono tutte queste imbarcazioni di saettatori e di macchine da guerra. Allestita in tal modo la flotta, incitati dalle preghiere e dal pianto di tutti, vecchi, madri e fanciulle, a venire in aiuto alla città in un momento di estremo pericolo, s'imbarcano con non meno coraggio e fiducia che nella precedente battaglia. Infatti per una normale debolezza della natura umana avviene che in presenza di situazioni insolite e sconosciute si abbia maggiore fiducia [e più fortemente si tema]; allora accadde così; infatti l'arrivo di L. Nasidio aveva riempito la città di grande speranza e di ardore. Approfittando di un vento favorevole escono dal porto e giungono a Tauroento, che è una piazzaforte dei Marsigliesi, presso Nasidio e qui dispongono le navi in ordine di battaglia e di nuovo si rinsaldano nella volontà di combattere e discutono i piani di battaglia. L'ala destra è assegnata ai Marsigliesi, quella sinistra a Nasidio. |
150 | Libenter ex iis qui a te veniunt cognovi familiariter te cum servis tuis vivere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. 'Servi sunt.' Immo homines. 'Servi sunt.' Immo contubernales. 'Servi sunt.' Immo humiles amici. 'Servi sunt.' Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae. Itaque rideo istos qui turpe existimant cum servo suo cenare: quare, nisi quia superbissima consuetudo cenanti domino stantium servorum turbam circumdedit? Est ille plus quam capit, et ingenti aviditate onerat distentum ventrem ac desuetum iam ventris officio, ut maiore operā omnia egerat quam ingessit.At infelicibus servis movere labra ne in hoc quidem ut loquantur, licet; virgā murmur omne compescitur, et ne fortuita quidem verberibus excepta sunt, tussis, sternumenta, singultus; magno malo ullā voce interpellatum silentium luitur; nocte totā ieiuni mutique perstant. Sic fit ut isti de domino loquantur quibus coram domino loqui non licet. At illi quibus non tantum coram dominis sed cum ipsis erat sermo, quorum os non consuebatur, parati erant pro domino porrigere cervicem, periculum imminens in caput suum avertere; in conviviis loquebantur, sed in tormentis tacebant. | Ho saputo con piacere da coloro che vengono da te (da casa tua) che tu vivi con liberalità con i tuoi servi (servi può essere sostituito con schiavi): ciò si addice alla tua cultura (saggezza), alla tua educazione. “Sono servi”, anzi, uomini. “Sono servi”, anzi, conviventi (compagni di vita). “Sono servi”, anzi, amici di umili origini. “Sono servi”, anzi, compagni di schiavitù, se consideri che è lecito alla fortuna essere uguale nei confronti di entrambi. Pertanto me la rido di codesti i quali (costoro che) considerano turpe cenare con il proprio servo: per quale motivo, se non per una superbissima abitudine, ha posto intorno al signore che cena una turba di schiavi che stanno in piedi? Quegli (il padrone) mangia più di quanto possa contenere (lett. Che contiene), e con enorme avidità appesantisce il ventre gonfio e non più avvezzo al dovere del ventre, cosicché vomita tutto con maggior fatica (di quanta fatta per ingerirlo). Ma ai servi infelici in questa situazione non è lecito neppure muovere le labbra per parlare; ogni più piccolo rumore è represso con la vergata (con il bastone) e neppure quelli (sottinteso: i rumori) fortuiti sono immuni dalle percosse, cioè un colpo di tosse, lo starnuto, un singulto (singhiozzo): con una pesante pena si paga il silenzio interrotto da qualche rumore; per tutta la notte (lett. Per la notte tutta intera) stanno continuamente in piedi, digiuni e muti. Così accade che sparlino del signore costoro ai quali non è concesso parlare davanti al signore. Ma coloro ai quali non soltanto davanti ai padroni ma con essi stessi c’era la possibilità di parlare, quelli ai quali la bocca non era cucita, erano pronti a porgere il collo (lett. Il capo) per il padrone, a volgere sulla propria testa il pericolo incombente (che li minacciava): essi avevano libertà di parlare nei conviti (nelle cene), ma sotto tortura tacevano. |
283 | Multas per gentes et multa per aequora vectusadvenio has miseras, frater, ad inferias,ut te postremo donarem munere mortiset mutam nequiquam alloquerer cinerem.quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum.heu miser indigne frater adempte mihi,nunc tamen interea haec, prisco quae more parentumtradita sunt tristi munere ad inferias,accipe fraterno multum manantia fletu,atque in perpetuum, frater, ave atque vale. | Essendo stato trascinato per molte genti e molti marisono giunto a queste tristi offerte funebri, o fratelloper donarti un estremo dono di mortee per parlare invano alla tua cenere mutadal momento che la sorte mi ha strappato via proprio teo misero fratello strappato a me prematuramenteora tuttavia nel frattempo, queste cose secondo l'antico costume dei padrisono state presentate come una funzione di triste dono per i riti funebriaccoglile che grondano di pianto fraternoe per sempre, o fratello, salve e addio. |
418 | Erat eo loco fossa pedum XV et vallum contra hostem in altitudinem pedum X, tantundemque eius valli agger in latitudinem patebat: ab eo intermisso spatio pedum DC alter conversus in contrariam partem erat vallus humiliore paulo munitione. Hoc enim superioribus diebus timens Caesar, ne navibus nostri circumvenirentur, duplicem eo loco fecerat vallum, ut, si ancipiti proelio dimicaretur, posset resisti. Sed operum magnitudo et continens omnium dierum labor, quod milium passuum in circuitu XVII munitiones erat complexus, perficiendi spatium non dabat.Itaque contra mare transversum vallum, qui has duas munitiones coniungeret, nondum perfecerat. Quae res nota erat Pompeio delata per Allobrogas perfugas, magnumque nostris attulerat incommodum. Nam ut ad mare duo cohortes nonae legionis excubuerant, accessere subito prima luce Pompeiani; simul navibus circumvecti milites in exteriorem vallum tela iaciebant, fossaeque aggere complebantur, et legionarii interioris munitionis defensores scalis admotis tormentis cuiusque generis telisque terrebant, magnaque multitudo sagittariorum ab utraque parte circumfundebatur. Multum autem ab ictu lapidum, quod unum nostris erat telum, viminea tegimenta galeis imposita defendebant. Itaque cum omnibus rebus nostri premerentur atque aegre resisterent animadversum est vitium munitionis, quod supra demonstratum est, atque inter duos vallos, qua perfectum opus non erat, Pompeiani navibus expositi in aversos nostros impetum fecerunt atque ex utraque munitione deiectos terga vertere coegerunt. | In quel luogo vi era una fossa di quindici piedi e, dirimpetto al nemico, una palizzata alta dieci piedi, il cui terrapieno si estendeva altrettanto in larghezza; a una distanza di seicento piedi vi era, rivolto dalla parte opposta, un altro vallo con una fortificazione un po' più bassa. Infatti Cesare, nei giorni precedenti, aveva fatto costruire un duplice vallo in quel luogo, temendo che i nostri venissero circondati dalle navi, in modo da potere resistere nel caso si fosse combattuto su due fronti. Ma la mole del lavoro e l'ininterrotta fatica di ogni giorno non permettevano il compimento dell'impresa, poiché la lunghezza della linea delle fortificazioni era di diciassette miglia. E così il bastione posto trasversalmente di fronte al mare che doveva congiungere queste due fortificazioni non era ancora terminato. E il fatto, noto a Pompeo, poiché gli era stato riferito dai disertori Allobrogi, recò grande danno ai nostri. Infatti, quando le nostre coorti [della nona legione] avevano finito il turno di guardia presso il mare, all'improvviso all'alba giunsero i Pompeiani [vi fu l'arrivo dell'esercito]: i soldati imbarcati sulle navi, giunti alle spalle, scagliavano proiettili contro il bastione esterno, altri riempivano di materiale le fosse e contemporaneamente i legionari, appoggiate le scale, atterrivano i difensori della fortificazione interna, scagliando a mano e con macchine proiettili di ogni tipo, mentre una grande moltitudine di arcieri incalzava da entrambi i lati. La copertura di vimini posta sopra gli elmi era una valida difesa dai colpi di pietra, unica arma in mano ai nostri. E così, mentre i nostri venivano incalzati in ogni modo e a fatica resistevano, ci si rese conto, come sopra si è detto, del difetto della fortificazione; i Pompeiani, sbarcati nel tratto di mare fra i due bastioni, là dove il lavoro di fortificazione non era stato completato, fecero impeto contro i nostri alle spalle e li cacciarono da entrambe le linee di fortificazione costringendoli a fuggire. |
561 | Erant hae difficultates belli gerendi quas supra ostendimus, sed tamen multa Caesarem ad id bellum incitabant: iniuria retentorum equitum Romanorum, rebellio facta post deditionem, defectio datis obsidibus, tot civitatum coniuratio, in primis ne hac parte neglecta reliquae nationes sibi idem licere arbitrarentur. Itaque cum intellegeret omnes fere Gallos novis rebus studere et ad bellum mobiliter celeriterque excitari, omnes autem homines natura libertati studere et condicionem servitutis odisse, prius quam plures civitates conspirarent, partiendum sibi ac latius distribuendum exercitum putavit. | Abbiamo esposto le difficoltà che la guerra presentava, ma molte erano le ragioni che spingevano Cesare allo scontro: i cavalieri romani trattenuti contro ogni diritto, la rivolta dopo la resa, la defezione a ostaggi consegnati, la coalizione di tante nazioni e, soprattutto, il timore che gli altri popoli ritenessero lecito agire come i Veneti, se egli non fosse intervenuto. A Cesare era ben noto che, per lo più, i Galli amano i rivolgimenti e facilmente e prontamente sono disposti a far guerra (del resto, la natura spinge tutti gli uomini ad amare la libertà e a odiare la condizione di asservimento). Perciò, prima che la cospirazione si estendesse ad altri popoli, ritenne opportuno dividere l'esercito per coprire una zona di territorio più ampia. |
17 | Nonnulli scriptores tradunt Pisistratum tyrannum primum Athenis bibliothecas instituisse, in quibus libri disciplinarum liberalium ab omnibus legi possent. Deinde studiosius et accuratius ipsi Athenienses bibliothecas auxerunt. At postea omnem illam librorum copiam Xerxes, cum Athenas cepisset, urbe ipsa praeter arcem incensa, abstulit atque in Persidem asportavit. Hi porro libri universi, multis post tempestatibus, Seleucus rex, qui appellatus est Nicanor, ut Athenas referrentur curavit.Ingens postea numerus librorum in Aegypto a Ptolemaeis regibus vel conquisitus vel confectus est ad milia septingenta voluminum: sed ea omnia, bello priore Alexandrino, dum diripitur ea civitas, a militibus auxiliariis casu, non sponte neque opera consulta, incensa sunt. | Alcuni scrittori tramandano che il tiranno Pisistrato per primo abbia creato le biblioteche ad Atene, nelle quali i libri delle arti liberali potevano essere letti da tutti. In seguito, gli stessi Ateniesi in modo più diligente ed accurato arricchirono le biblioteche. Ma, successivamente, Serse, avendo preso Atene, dopo che la stessa città era stata incendiata tranne la roccaforte, portò via tutta quella abbondanza di libri e (li) trasportò in Persia. Dopo molto tempo, il re Seleuco, che è chiamato Nicanore, ebbe cura che tutti questi libri fossero portati di nuovo ad Atene. Poi, un grande numero di libri, circa 1700 volumi, o fu raccolto o fu messo insieme in Egitto dal re Tolomeo: ma tutti quei volumi, nella precedente guerra alessandrina, mentre quella città veniva saccheggiata, furono bruciati per caso dalle truppe ausiliarie, non per volontà né per ordine ricevuto. |
7 | Mare universum vocatur Oceanus et undique terras cingit. Oceanus et quattuor regionibus inrumpit in terras : a septentrione vocatur mare Caspium , ab oriente Persicum , a meridie Arabicum , Rubrum et Erythraeum, ad occasum magnum mare vel Atlanticum ; mare commerciis totius generis humani peragratur. Oceanus intrat in fretum Gaditanum inter montes Abinnam et Calpem ob Herculis Columnas, dein latissime simul et longissime effunditur et medium terrarum orbem inundat et nomina adquirit: mare Balearicum , quod Hispaniam adluit; Gallicum , quod Gallias tangit ; Ligusticum , quod Liguribus infunditur ; Tuscum, Tyrrhenum vel inferum , quod dextrum Italiae latus circuit; Hadriaticum, vel superum , quod sinistrum Italiae latus circuit. | Tutto il mare è chiamato oceano, e circonda ogni terra. L'oceano bagna quattro regioni: a nord si chiama mar caspio, ad oriente Persico, a sud Mar Arabico, Mar Rosso e Mar Eritreo mentre ad ovest si chiama o Grande Mare od Oceano Atlantico; con il mare commercia tutto il genere umano. L'Oceano entra nello stretto di Gibilterra fra i monti Abinna e Calpe, per le colonne d'Ercole, quindi si sviluppa in larghezza e và a formare quello che bagna tutte le terre in mezzo, ragion per quale ha il nome che ha: mare delle Baleari, perché bagna la Spagna, Gallico perché bagna la Gallia, Ligure perché bagna il territorio dei Liguri, Toscano, Tirreno o Infernale, che bagna la costa destra dell'Italia ; Adriatico, o paradisiaco, che bagna la costa sinistra dell'Italia. |
687 | Dixerat aliquis leniorem sententiam, ut primo M. Marcellus, ingressus in eam orationem, non oportere ante de ea re ad senatum referri, quam dilectus tota Italia habiti et exercitus conscripti essent, quo praesidio tuto et libere senatus, quae vellet, decernere auderet; ut M. Calidius, qui censebat, ut Pompeius in suas provincias proficisceretur, ne qua esset armorum causa: timere Caesarem ereptis ab eo duabus legionibus, ne ad eius periculum reservare et retinere eas ad urbem Pompeius videretur; ut M.Rufus, qui sententiam Calidii paucis fere mutatis rebus sequebatur. Hi omnes convicio L. Lentuli consulis correpti exagitabantur. Lentulus sententiam Calidii pronuntiaturum se omnino negavit. Marcellus perterritus conviciis a sua sententia discessit. Sic vocibus consulis, terrore praesentis exercitus, minis amicorum Pompei plerique compulsi inviti et coacti Scipionis sententiam sequuntur: uti ante certam diem Caesar exercitum dimittat; si non faciat, eum adversus rem publicam facturum videri. Intercedit M. Antonius, Q. Cassius, tribuni plebis. Refertur confestim de intercessione tribunorum. Dicuntur sententiae graves; ut quisque acerbissime crudelissimeque dixit, ita quam maxime ab inimicis Caesaris collaudatur. | Qualcuno aveva espresso opinioni più moderate, come, prima di tutti, Marco Marcello che, intervenuto nella discussione, disse che non era opportuno porre la questione in Senato prima di aver disposto una leva in massa per tutta l'Italia e aver reclutato un esercito, sotto la cui protezione, al sicuro e liberamente, il Senato avrebbe osato prendere le decisioni che voleva; o come Marco Calidio, che era dell'opinione che Pompeo partisse per la sua provincia, eliminando così ogni motivo di conflitto: secondo lui Cesare temeva che le due legioni che gli erano state sottratte fossero conservate e trattenute da Pompeo nei pressi della città per essere poi adoperate contro di lui; o come Marco Rufo, che concordava quasi alla lettera con il parere di Calidio. Tutti questi, aggrediti, erano incalzati dalla violenta opposizione del console Lucio Lentulo, che si rifiutò assolutamente di far discutere e votare la proposta di Calidio, mentre Marcello, impressionato dalle grida, ritirò la sua. Allo stesso modo, gli schiamazzi del console, la paura suscitata dalla vicinanza dell'esercito, le minacce degli amici di Pompeo, concorrono a forzare la maggior parte dei senatori, costretti, contro la loro volontà, a approvare la proposta di Scipione: Cesare congedi l'esercito entro una data fissata; se non obbedirà, sarà considerato nemico dello Stato. Marco Antonio e Quinto Crasso, tribuni della plebe, pongono il veto e la questione è immediatamente posta in discussione in Senato. Vengono espressi dei pareri pesanti; le opinioni più aspre e spietate sono quelle che trovano il maggior favore presso i nemici di Cesare. |
475 | Eo die parvulis equestribus proeliis ad aquam factis utrique sese suo loco continent: Galli, quod ampliores copias, quae nondum convenerant, exspectabant; Caesar, si forte timoris simulatione hostes in suum locum elicere posset, ut citra vallem pro castris proelio contenderet, si id efficere non posset, ut exploratis itineribus minore cum periculo vallem rivumque transiret. Prima luce hostium equitatus ad castra accedit proeliumque cum nostris equitibus committit.Caesar consulto equites cedere seque in castra recipere iubet, simul ex omnibus partibus castra altiore vallo muniri portasque obstrui atque in his administrandis rebus quam maxime concursari et cum simulatione agi timoris iubet. | Quel giorno si verificarono solo scaramucce di cavalleria nei pressi del corso d'acqua, mentre entrambi gli eserciti tenevano le proprie posizioni: i Galli in quanto aspettavano l'arrivo di truppe ancor più numerose, non ancora giunte; Cesare nella speranza di riuscire, simulando timore, ad attirare sul suo terreno i nemici per combattere al di qua della valle, dinnanzi al campo, o, in caso contrario, per riuscire, una volta esplorate le strade, ad attraversare la valle e il corso d'acqua con minore pericolo. All'alba la cavalleria avversaria si avvicina al campo e attacca battaglia con i nostri cavalieri. Cesare, di proposito, ordina ai suoi di ritirarsi e di rientrare all'accampamento. Al tempo stesso, comanda di rinforzare con un vallo più alto tutti i lati del campo e di ostruire le porte; dà ordine ai soldati di eseguire le operazioni con estrema precipitazione e di simulare paura. |
629 | Cum Caesar in Galliam venit, alterius factionis principes erant Aedui, alterius Sequani. Hi cum per se minus valerent, quod summa auctoritas antiquitus erat in Aeduis magnaeque eorum erant clientelae, Germanos atque Ariovistum sibi adiunxerant eosque ad se magnis iacturis pollicitationibusque perduxerant. Proeliis vero compluribus factis secundis atque omni nobilitate Aeduorum interfecta tantum potentia antecesserant, ut magnam partem clientium ab Aeduis ad se traducerent obsidesque ab eis principum filios acciperent et publice iurare cogerent nihil se contra Sequanos consili inituros et partem finitimi agri per vim occupatam possiderent Galliaeque totius principatum obtinerent.Qua necessitate adductus Diviciacus auxili petendi causa Romam ad senatum profectus infecta re redierat. Adventu Caesaris facta commutatione rerum, obsidibus Aeduis redditis, veteribus clientelis restitutis, novis per Caesarem comparatis, quod hi, qui se ad eorum amicitiam adgregaverant, meliore condicione atque aequiore imperio se uti videbant, reliquis rebus eorum gratia dignitateque amplificata Sequani principatum dimiserant. In eorum locum Remi successerant: quos quod adaequare apud Caesarem gratia intellegebatur, ei, qui propter veteres inimicitias nullo modo cum Aeduis coniungi poterant, se Remis in clientelam dicabant. Hos illi diligenter tuebantur: ita et novam et repente collectam auctoritatem tene bant. Eo tum statu res erat, ut longe principes haberentur Aedui, secundum locum dignitatis Remi obtinerent. | Quando Cesare arrivò in Gallia, i leader di una fazione erano i gli Edui, dell'altra i Sequani. Questi, valendo meno da soli, poiché il sommo potere fin dall'antichità era in mano agli Edui, e grandi erano le loro clientele, avevano attirato a sé i Germani ed Ariovisto e li avevno legati a sé con grandi sacrifici e promesse. In seguito, combattute molte battaglie di esito positivo e sterminata tutta la nobiltà degli Edui; li avevano superati così tanto in potenza che attrassero a sé gran parte delle clientele degli Edui e da questi ricevettero come ostaggi i figli dei capi e li costrinsero a giurare pubblicamente che non avrebbero preso nessuna decisione contro i Sequani e possedevano parte del territorio confinante , occupato con la violenza, e mantenevano l'egemonia su tutta la Gallia. E Diviziaco,spinto da questa necessità, recatosi a Roma per chiedere aiuto al senato, ritornò senza aver concluso nulla. Con l'arrivo di Cesare,avvenuto un cambiamento delle cose, restituiti i prigionieri agli Edui, restituite le vecchie clientele, acquisitene di nuove per mezzo di Cesare, poiché questi che si sono aggregati nell'amicizia con loro, vedevano che godevano di una condizione migliore e di un trattamento più equo, accresciuta la loro stima e dignità nei restanti aspetti, i Sequani avevano perduto la leadership. Al loro posto erano subentrati i Remi; poiché si capiva che questi eguagliavano (gli Edui) in simpatia presso Cesare, quelli che per vecchie inimicizie non si erano potuti in nessun mdo unire con gli Edui, si davano in clientela ai Remi. Quelli li proteggevano diligentemente: così conservavano una nuova e repentinamente ottenuta autorità. Allora lo stato delle cose era tale che gli Edui erano ritenuti di gran lunga i leader, e i Remi avevano il secondo posto in dignità. |
755 | Curio Marcium Uticam navibus praemittit; ipse eodem cum exercitu proficiscitur biduique iter progressus ad flumen Bagradam pervenit. Ibi C. Caninium Rebilum legatum cum legionibus reliquit; ipse cum equitatu antecedit ad castra exploranda Cornelia, quod is locus peridoneus castris habebatur. Id autem est iugum directum eminens in mare, utraque ex parte praeruptum atque asperum, sed tamen paulo leniore fastigio ab ea parte, quae ad Uticam vergit. Abest directo itinere ab Utica paulo amplius passuum milibus III.Sed hoc itinere est fons, quo mare succedit longius, lateque is locus restagnat; quem si qui vitare voluerit, sex milium circuitu in oppidum pervenit. | Curione manda avanti a Utica Marcio con le navi; egli stesso con l'esercito vi si dirige e, dopo un percorso di due giorni, giunge presso il fiume Bagrada. Qui lascia con le legioni il luogotenente C. Caninio Rebilo; egli va avanti con la cavalleria a esplorare il campo Cornelio, poiché quella località era giudicata molto adatta per l'accampamento. Si tratta infatti di un colle ripido a picco sul mare, erto e scosceso da entrambe le parti, ma tuttavia con un pendio un po' più dolce dalla parte rivolta verso Utica. In linea retta dista da Utica poco più di mille passi. Ma su questa via vi è una fonte, dove il mare per ampio tratto si insinua e in quel punto si forma un vasto ristagno d'acqua. Per evitarlo, si giunge in città con un giro di sei miglia. |
183 | Caesar autem rationem adhibens consuetudinem vitiosam et corruptam pura et incorrupta consuetudine emendat. itaque cum ad hanc elegantiam verborum Latinorum--quae, etiam si orator non sis et sis ingenuus civis Romanus, tamen necessaria est--adiungit i lla oratoria ornamenta dicendi, tum videtur tamquam tabulas bene pictas conlocare in bono lumine. hanc cum habeat praecipuam laudem in communibus, non video cui debeat cedere. splendidam quandam minimeque veteratoriam rationem dicendi tenet, voce motu for ma etiam magnificam et generosam quodam modo. | Cesare invece avvalendosi di un metodo razionale corregge una consuetudine difettosa e corrotta con una consuetudine pura e incorrotta. Perciò allorché a questa elegante purezza del suo latino - la quale è comunque necessaria anche se uno non è un oratore ma solo un romano bennato - egli aggiunge gli ornamenti del linguaggio oratorio sembra quasi collocare in buona luce` delle tavole ben dipinte. Possedendo oltre a quelli che gli sono comuni con altri anche questo pregio peculiare non vedo a chi la debba cedere.` Ha un metodo oratorio brillante che non scade mai a mestiere e al quale inoltre la voce le movenze la sua figura conferiscono in un certo qual modo magnificenza e nobiltà. |
899 | Partito exercitu Titum Labienum cum legionibus tribus ad Oceanum versus in eas partes quae Menapios attingunt proficisci iubet; Gaium Trebonium cum pari legionum numero ad eam regionem quae ad Aduatucos adiacet depopulandam mittit; ipse cum reliquis tribus ad flumen Scaldem, quod influit in Mosam, extremasque Arduennae partis ire constituit, quo cum paucis equitibus profectum Ambiorigem audiebat. Discedens post diem septimum sese reversurum confirmat; quam ad diem ei legioni quae in praesidio relinquebatur deberi frumentum sciebat.Labienum Treboniumque hortatur, si rei publicae commodo facere possint, ad eum diem revertantur, ut rursus communicato consilio exploratisque hostium rationibus aliud initium belli capere possint. | Suddiviso l'esercito, ordina a T. Labieno di partire con tre legioni verso l'Oceano, puntando sulle terre al confine con i Menapi. Alla testa di altrettante legioni invia C. Trebonio a devastare i territori contigui agli Atuatuci. E lui stesso decide di muoversi, con le tre restanti legioni, in direzione della Schelda, un fiume che si getta nella Mosa, e verso le parti più lontane delle Ardenne, dove, stando alle voci, era riparato Ambiorige con pochi cavalieri. Al momento della partenza, assicura che sarebbe rientrato di lì a sette giorni, data stabilita per distribuire il grano alla legione di presidio in Atuatuca. Invita Labieno e Trebonio, se ciò non nuoceva agli interessi di stato, a rientrare lo stesso giorno: tenuto ancora consiglio e analizzate le intenzioni del nemico, avrebbero potuto riprendere, su nuove basi, le ostilità. |
542 | At hostes sine fide tempus atque occasionem fraudis ac doli quaerunt interiectisque aliquot diebus nostris languentibus atque animo remissis subito meridiano tempore, cum alius discessisset, alius ex diutino labore in ipsis operibus quieti se dedisset, arma vero omnia reposita contectaque essent, portis se foras erumpunt, secundo magnoque vento ignem operibus inferunt. Hunc sic distulit ventus, uti uno tempore agger, plueti, testudo, turris, tormenta flammam conciperent et prius haec omnia consumerentur, quam, quemadmodum accidisset, animadverti posset.Nostri repentina fortuna permoti arma, quae possunt, arripiunt; alii ex castris sese incitant. Fit in hostes impetus; sed de muro sagittis tormentisque fugientes persequi prohibentur. Illi sub murum se recipiunt ibique musculum turrimque latericiam libere incendunt. Ita multorum mensium labor hostium perfidia et vi tempestatis puncto temporis interiit. Temptaverunt hoc idem Massilienses postero die. Eandem nacti tempestatem maiore cum fiducia ad alteram turrim aggeremque eruptione pugnaverunt multumque ignem intulerunt. Sed ut superioris temporis contentionem nostri omnem remiserant, ita proximi diei casu admoniti omnia ad defensionem paraverant. Itaque multis interfectis reliquos infecta re in oppidum reppulerunt. | Ma i nemici, in mala fede, cercano un momento favorevole per un subdolo inganno e, lasciato passare qualche giorno, mentre i nostri se ne stanno rilassati e tranquilli, a mezzogiorno, all'improvviso, quando alcuni si sono allontanati, altri sui posti stessi dei lavori si sono concessi un riposo dalla lunga fatica e tutte le armi sono state messe via e coperte, irrompono fuori dalle porte, e danno fuoco ai lavori di assedio approfittando di un vento forte e favorevole. Il vento propagò il fuoco così velocemente che in un momento trincea, gallerie, testuggine, torre, macchine da guerra furono in fiamme e tutto ciò fu distrutto prima che si potesse capire in che modo l'incendio era avvenuto. I nostri, scossi dall'improvvisa sciagura, afferrano le armi che possono, altri si lanciano fuori dal campo. Assaltano i nemici, ma le frecce e i proiettili scagliati dalle mura impediscono di inseguire i fuggitivi. Quelli si ritirano ai piedi del muro e qui, senza ostacolo, incendiano la galleria e la torre di mattoni. Così il lavoro di molti mesi in un attimo va in rovina per la perfidia dei nemici e la violenza della tempesta. Il giorno dopo i Marsigliesi fecero il medesimo tentativo. Favoriti dalla medesima tempesta con maggiore temerarietà fecero una sortita e attaccarono presso l'altra torre e l'altra trincea e appiccarono molti incendi. Ma i nostri, come nei giorni precedenti avevano allentato tutta l'attenzione, così messi in guardia dal fatto dell'ultimo giorno, avevano preparato tutto per la difesa. E così, dopo avere ucciso molti nemici, ricacciarono in città i rimanenti senza che questi avessero portato a termine il loro piano. |
458 | Sed haec eius diei praefertur opinio, ut se utrique superiores discessisse existimarent: Afraniani, quod, cum esse omnium iudicio inferiores viderentur, comminus tam diu stetissent et nostrorum impetum sustinuissent et initio locum tumulumque tenuissent, quae causa pugnandi fuerat, et nostros primo congressu terga vertere coegissent; nostri autem, quod iniquo loco atque impari congressi numero quinque horis proelium sustinuissent, quod montem gladiis destrictis ascendissent, quod ex loco superiore terga vertere adversarios coegissent atque in oppidum compulissent.Illi eum tumulum, pro quo pugnatum est, magnis operibus munierunt praesidiumque ibi posuerunt. | Ma fu opinione comune a entrambe le parti di essere risultate vincitrici di questa giornata: quelli di Afranio poiché, sebbene a giudizio di tutti sembrassero essere inferiori, avevano resistito per così tanto tempo nel corpo a corpo e avevano sostenuto l'impeto dei nostri e dall'inizio avevano tenuto la posizione e il colle, e ciò era stato causa di battaglia, e nel primo attacco avevano costretto i nostri a darsi alla fuga; i nostri invece poiché avevano retto per cinque ore a una battaglia in posizione sfavorevole con un numero non pari di forze, poiché erano saliti sul monte con le spade in pugno, poiché avevano costretto gli avversari a fuggire da un luogo elevato e li avevano respinti in città. I soldati di Afranio fortificarono con grandi opere di difesa quella collinetta per la quale si combatté e vi posero un presidio. |
382 | Bello Helvetiorum confecto totius fere Galliae legati, principes civitatum, ad Caesarem gratulatum convenerunt: intellegere sese, tametsi pro veteribus Helvetiorum iniuriis populi Romani ab his poenas bello repetisset, tamen eam rem non minus ex usu [terrae] Galliae quam populi Romani accidisse, propterea quod eo consilio florentissimis rebus domos suas Helvetii reliquissent uti toti Galliae bellum inferrent imperioque potirentur, locumque domicilio ex magna copia deligerent quem ex omni Gallia oportunissimum ac fructuosissimum iudicassent, reliquasque civitates stipendiarias haberent.Petierunt uti sibi concilium totius Galliae in diem certam indicere idque Caesaris facere voluntate liceret: sese habere quasdam res quas ex communi consensu ab eo petere vellent. Ea re permissa diem concilio constituerunt et iure iurando ne quis enuntiaret, nisi quibus communi consilio mandatum esset, inter se sanxerunt. | Terminata la guerra con gli Elvezi, da quasi tutta la Gallia vennero a congratularsi con Cesare, in veste di ambasciatori, i più autorevoli cittadini dei vari popoli. Si rendevano conto che Cesare, con questa guerra, aveva punito gli Elvezi per le vecchie offese da essi inflitte al popolo romano, ma ne aveva tratto vantaggio la Gallia non meno di Roma: gli Elvezi, pur godendo di grandissima prosperità, avevano abbandonato la loro terra per portare guerra a tutta la Gallia, conquistarla e scegliersi per insediamento, tra tutte le regioni del paese, la zona che avessero giudicato più vantaggiosa e fertile, assoggettando gli altri popoli con un tributo. Chiesero a Cesare il permesso di fissare una data per una riunione generale dei Galli: volevano presentargli delle richieste, sulle quali c'era completo accordo. Cesare acconsentì e tutti giurarono solennemente di non rivelare gli argomenti trattati, se non su incarico dell'assemblea stessa. |
520 | Vercingetorix, cum ad suos redisset, proditionis insimulatus, quod castra propius Romanos movisset, quod cum omni equitatu discessisset, quod sine imperio tantas copias reliquisset, quod eius discessu Romani tanta opportunitate et celeritate venissent: non haec omnia fortuito aut sine consilio accidere potuisse; regnum illum Galliae malle Caesaris concessu quam ipsorum habere beneficio--tali modo accusatus ad haec respondit: Quod castra movisset, factum inopia pabuli etiam ipsis hortantibus; quod propius Romanos accessisset, persuasum loci opportunitate, qui se ipsum munitione defenderet: equitum vero operam neque in loco palustri desiderari debuisse et illic fuisse utilem, quo sint profecti.Summam imperi se consulto nulli discedentem tradidisse, ne is multitudinis studio ad dimicandum impelleretur; cui rei propter animi mollitiem studere omnes videret, quod diutius laborem ferre non possent. Romani si casu intervenerint, fortunae, si alicuius indicio vocati, huic habendam gratiam, quod et paucitatem eorum ex loco superiore cognoscere et virtutem despicere potuerint, qui dimicare non ausi turpiter se in castra receperint. Imperium se ab Caesare per proditionem nullum desiderare, quod habere victoria posset, quae iam esset sibi atque omnibus Gallis explorata: quin etiam ipsis remittere, si sibi magis honorem tribuere, quam ab se salutem accipere videantur. "Haec ut intellegatis", inquit, "a me sincere pronuntiari, audite Romanos milites". Producit servos, quos in pabulatione paucis ante diebus exceperat et fame vinculisque excruciaverat. Hi iam ante edocti quae interrogati pronuntiarent, milites se esse legionarios dicunt; fame et inopia adductos clam ex castris exisse, si quid frumenti aut pecoris in agris reperire possent: simili omnem exercitum inopia premi, nec iam vires sufficere cuiusquam nec ferre operis laborem posse: itaque statuisse imperatorem, si nihil in oppugnatione oppidi profecissent, triduo exercitum deducere. "Haec", inquit, "a me", Vercingetorix, "beneficia habetis, quem proditionis insimulatis; cuius opera sine vestro sanguine tantum exercitum victorem fame consumptum videtis; quem turpiter se ex fuga recipientem ne qua civitas suis finibus recipiat a me provisum est". | Appena ritorna tra i suoi, Vercingetorige viene accusato di tradimento: aveva spostato il campo troppo vicino ai Romani, si era allontanato con tutta la cavalleria, aveva lasciato truppe così numerose senza un capo, alla sua partenza erano piombati tanto tempestivi e rapidi i Romani - tutto ciò non poteva essersi verificato per caso o senza un piano prestabilito, la verità era che preferiva regnare sulla Gallia per concessione di Cesare piuttosto che per beneficio loro. A tali accuse così Vercingetorige risponde: se aveva mosso il campo, dipendeva dalla mancanza di foraggio, e loro stessi lo avevano sollecitato; si era sì avvicinato troppo ai Romani, ma lo aveva indotto la posizione vantaggiosa, che da sola permetteva la difesa senza bisogno di fortificazioni; non si doveva, poi, rimpiangere l'apporto della cavalleria nelle paludi, quando era stata utile là dove l'aveva condotta. Quanto al comando, alla sua partenza non l'aveva lasciato a nessuno deliberatamente, per evitare che il capo designato fosse indotto dall'ardore della moltitudine allo scontro, che tutti desideravano - lo vedeva - per la debolezza del carattere e perché incapaci di sopportare più a lungo le fatiche della guerra. Se i Romani erano intervenuti guidati dal caso, bisognava ringraziare la Fortuna, se erano stati richiamati dalle informazioni di un delatore, si doveva essere grati a costui, perché così, dall'alto, i Galli avevano potuto constatare quanto fossero pochi e codardi i Romani, che non avevano osato misurarsi e si erano vergognosamente ritirati nell'accampamento. Non aveva affatto bisogno di ricevere da Cesare, con il tradimento, il comando che poteva ottenere con la vittoria, ormai nelle mani sue e di tutti i Galli. Anzi, era disposto a deporre la carica, se pensavano di avergli concesso un potere troppo grande rispetto alla salvezza che da lui ricevevano. "E perché comprendiate la sincerità delle mie parole - esclamò - ascoltate i soldati romani". Introduce alcuni servi catturati pochi giorni prima mentre erano in cerca di foraggio e torturati con la fame e le catene. I servi, già istruiti in precedenza su cosa dovevano rispondere, si dichiarano legionari: erano usciti di nascosto dal campo, spinti dalla fame e dalla mancanza di viveri, nella speranza di trovare nelle campagne un po' di grano o del bestiame; tutto l'esercito versava nelle stesse condizioni di precarietà, nessuno aveva più forze, ormai, né poteva reggere alla fatica dei lavori; perciò, il comandante aveva deciso che, se l'assedio non sortiva effetto, dopo tre giorni avrebbe ritirato l'esercito. Vercingetorige aggiunge: "Ecco i benefici che io vi ho procurato, e voi mi accusate di tradimento. Grazie a me, senza versare una goccia di sangue, ora vedete annientato dalla fame un esercito forte e vittorioso. E quando si ritirerà vergognosamente in fuga, ho già provveduto in modo che nessun popolo lo accolga nelle proprie terre". |
504 | Erat Orici Lucretius Vespillo et Minucius Rufus cum Asiaticis navibus XVIII, quibus iussu D. Laelii praeerant, M. Bibulus cum navibus ex Corcyrae. Sed neque illi sibi confisi ex portu prodire sunt ausi, cum Caesar omnino XII naves longas praesidio duxisset, in quibus erant constratae IIII, neque Bibulus impeditis navibus dispersisque remigibus satis mature occurrit, quod prius ad continentem visus est Caesar, quam de eius adventu fama omnino in eas regiones perferretur. | A Orico vi erano Lucrezio Vespillo e Minucio Rufo con diciotto navi asiatiche delle quali essi erano a capo per ordine di D. Lelio; a Corcira vi era M. Bibulo con centodieci navi. Ma quelli, non fidandosi delle proprie forze, non osarono uscire dal porto, sebbene Cesare avesse condotto di scorta in tutto solo dodici navi lunghe da guerra, fra cui quattro coperte; e Bibulo, a sua volta, dal momento che non aveva le navi in ordine per salpare e i rematori erano dispersi, non lo affrontò in tempo poiché Cesare fu visto vicino a terra prima che la notizia del suo arrivo si fosse sparsa in quei luoghi. |
77 | Muli gravati sarcinis ibant duo:unus ferebat fiscos cum pecunia,alter tumentis multo saccos hordeo.ille onere dives celsa cervice eminens,clarumque collo iactans tintinabulum;comes quieto sequitur et placido gradu.subito latrones ex insidiis advolant,interque caedem ferro ditem sauciant:diripiunt nummos, neglegunt vile hordeum.spoliatus igitur casus cum fleret suos,«Equidem» inquit alter «me contemptum gaudeo;nam nil amisi, nec sum laesus vulnere».Hoc argumento tuta est hominum tenuitas,magnae periclo sunt opes obnoxiae. | Due muli camminavano gravati dai loro pesi. L’unotrasportava due panieri pieni di monete, l’altrosacchi strapieni di orzo. Quello carico di soldiprocedeva a testa alta e scuoteva con il collola splendida sonagliera, il compagno se ne andavatranquillo. Improvvisamente piombano addossodai nascondigli i ladroni e durante la zuffafanno fuori con le armi il primo: afferranoil danaro, trascurano il misero orzo. Mentre il mulodepredato piangeva per la sua malasorte, l’altro disse:«Certo, godo di essere stato trascurato, infatti nullaho perduto, né sono rimasto leso di ferite». Ci dicequesta storia che le modeste condizioni mettono l’uomoal sicuro, mentre le grandi ricchezze generano rischio. |
494 | Re bene gesta Caninius ex captivis comperit partem copiarum cum Drappete esse in castris a milibus longe non amplius XII. Qua re ex compluribus cognita, cum intellegeret fugato duce altero perterritos reliquos facile opprimi posse, magnae felicitatis esse arbitrabatur neminem ex caede refugisse in castra qui de accepta calamitate nuntium Drappeti perferret. Sed in experiendo cum periculum nullum videret, equitatum omnem Germanosque pedites, summae velocitatis homines, ad castra hostium praemittit; ipse legionem unam in trina castra distribuit, alteram secum expeditam ducit.Cum propius hostes accessisset, ab exploratoribus quos praemiserat cognoscit castra eorum, ut barbarorum fere consuetudo est, relictis locis superioribus ad ripas fluminis esse demissa; at Germanos equitesque imprudentibus omnibus de improviso advolasse proeliumque commisisse. Qua re cognita legionem armatam instructamque adducit. Ita repente omnibus ex partibus signo dato loca superiora capiuntur. Quod ubi accidit, Germani equitesque signis legionis visis vehementissime proeliantur. Confestim cohortes undique impetum faciunt omnibusque aut interfectis aut captis magna praeda potiuntur. Capitur ipse eo proelio Drappes. | Condotta a termine con successo l'operazione, Caninio apprende dai prigionieri che parte delle truppe, con Drappete, era rimasta nell'accampamento a non più di dodici miglia. La cosa gli viene confermata da diverse fonti ed egli si rende conto che, dopo la rotta di uno dei due capi, poteva con facilità schiacciare gli altri nemici atterriti, ma riteneva ben difficile l'eventualità per lui più fortunata, ossia che qualche superstite fosse rientrato all'accampamento nemico, portando a Drappete la notizia della disfatta subita. Fare un tentativo, comunque, gli sembrava che non comportasse alcun rischio: manda in avanti, verso il campo nemico, la cavalleria al completo e i fanti germanici, uomini straordinariamente veloci; dal canto suo, sistema una legione nei tre diversi accampamenti, l'altra la porta con sé senza bagagli. Quando è ormai vicino al nemico, gli esploratori, mandati in avanscoperta, lo avvisano che i barbari, secondo la loro consuetudine, avevano lasciato le alture e posto il campo lungo le rive del fiume; inoltre, i Germani e i cavalieri erano piombati all'improvviso sui nemici che non se l'aspettavano e avevano attaccato battaglia. Appena lo sa, avanza con la legione in armi e schierata. Così, al segnale, da tutte le parti repentinamente i nostri occupano le alture. Subito i Germani e i cavalieri, avendo visto le insegne della legione, combattono con estremo ardore. Le coorti si lanciano immediatamente all'attacco da ogni lato: tutti i nemici vengono uccisi o catturati, i nostri si impadroniscono di un grande bottino. Nella battaglia cade prigioniero lo stesso Drappete. |
569 | Hoc proelio facto et prope ad internecionem gente ac nomine Nerviorum redacto, maiores natu, quos una cum pueris mulieribusque in aestuaria ac paludes coniectos dixeramus, hac pugna nuntiata, cum victoribus nihil impeditum, victis nihil tutum arbitrarentur, omnium qui supererant consensu legatos ad Caesarem miserunt seque ei dediderunt; et in commemoranda civitatis calamitate ex DC ad tres senatores, ex hominum milibus LX vix ad D, qui arma ferre possent, sese redactos esse dixerunt.Quos Caesar, ut in miseros ac supplices usus misericordia videretur, diligentissime conservavit suisque finibus atque oppidis uti iussit et finitimis imperavit ut ab iniuria et maleficio se suosque prohiberent. | Con la battaglia era pressoché annientata la stirpe e il nome dei Nervi. I più anziani, che con le donne e i bambini, come si era detto, si trovavano negli stagni e nelle paludi, non appena seppero l'esito dello scontro, considerando che nulla avrebbe ostacolato i vincitori o tutelato i vinti, con il consenso di tutti i superstiti mandarono a Cesare dei messi e si arresero. Menzionando la disfatta subita, gli dissero che di seicento senatori tre soli erano sopravvissuti e che di sessantamila uomini in grado di combattere se ne erano salvati a malapena cinquecento. Cesare, per render palese la sua clemenza nei confronti dei miseri e dei supplici, li tutelò con ogni cura, permise ai Nervi di mantenere territori e città, ingiunse ai popoli limitrofi e ai loro alleati di non provocare offese o danni. |
159 | Quid est hoc, Lucili, quod nos alio tendentes alio trahit et eo unde recedere cupimus inpellit? Quid conluctatur cum animo nostro nec permittit nobis quicquam semel velle? Fluctuamur inter varia consilia; nihil libere volumus, nihil absolute, nihil semper. “Stultitia” inquis “est cui nihil constat, nihil diu placet.” Sed quomodo nos aut quando ab illa revellemus? Nemo per se satis valet ut emergat; oportet manum aliquis porrigat, aliquis educat. […]Puta enim duo aedificia excitata esse, ambo paria, aeque excelsa atque magnifica.Alter puram aream accepit, illic protinus opus crevit; alterum fundamenta lassarunt in mollem et fluvidam humum missa multumque laboris exhaustum est dum pervenitur ad solidum: intuenti ambo quicquid fecit <alter, in aperto est>, alterius magna pars et difficilior latet. Quaedam ingenia facilia, expedita, quaedam manu, quod aiunt, facienda sunt et in fundamentis suis occupata. Itaque illum ego faliciorem dixerim qui nihil negotii secum habuit, hunc quidem melius de se meruisse qui malignitatem naturae suae vicit et ad sapientiam se non perduxit sed extraxit.Hoc dorum ac laboriosum ingenium nobis datum scias licet: imus per obstantia. Itaque pugnemus, aliquorum invocemus auxilium. “Quem” inquis “ invocabo? Hunc aut illum?” Tu vero etiam ad priores revertere, qui vacant; adiuvare nos possunt non tantum qui sunt, sed qui fuerunt. Ex his autem qui sunt, eligamus non eos qui verba magna celeritate praecipitant et communes locos volvunt et in privato circulantur, sed eos qui vita docent quid vitandum sit, nec umquam in eo quod fugiendum dixerunt deprehenduntur. Eum elige adiutorem, quem magis admireris cum videris quam cum audieris. Nec ideo te prohibuerim hos quoque audire, quibus admittere populum ac disserere consuetudo est, si modo hoc proposito in turbam prodeunt, ut meliores fiant faciantque meliores, si non ambitionis hoc causa exercent. Quid enim turpius philosophia captante clamores? Numquid aeger laudat medicum secantem? | Che cos’è questa cosa, Lucilio, che ci trascina da una parte quando tendiamo all’altra e ci spinge là da dove vogliamo venir via? Che cosa combatte con il nostro animo e non ci permette di volere definitivamente qualcosa? Fluttuiamo tra vari pareri; niente vogliamo liberamente, niente assolutamente, niente per sempre. Dici: “Ha stoltezza colui a cui nulla consta, (a cui) nulla piace a lungo.” Ma in che modo e quando ci strapperemo da quella? Nessuno per sé vale abbastanza da emergere; bisogna che qualcuno ci porga una mano, che qualcuno ci tragga fuori. […]Infatti supponi che siano stati edificati due edifici, entrambi simili, ugualmente alti e magnifici. L’uno ha trovato un’area pura, lì l’opera è cresciuta velocemente; le fondamenta messe sulla terra molle fecero cadere l’altro e fu adoperato molto lavoro prima che si giunga alla (terra) solida: a chi guarda entrambi, qualunque cosa fece l’uno è visibile, la grande parte e più difficile dell’altro è nascosta. Taluni ingegni sono facili, predisposti, altri, cosa che dicono, sono da farsi (oppure: si devono fare) a mano e sono stati saldati nelle sue fondamenta. Perciò io oserei dire più fortunato quello che non ha avuto nessuna difficoltà con se stesso, però che questo ha meritato il meglio di se stesso il quale ha vinto le opposizioni della propria natura, e non si portò verso la sapienza ma si tirò fuori.Bisogna che tu sappia che questo carattere duro e laborioso è stato dato a noi: andiamo attraverso gli ostacoli. Perciò combattiamo, invochiamo l’aiuto di qualcuno. “Chi” dici “invocherò? Questo o quello?” Ma tu rivolgiti anche agli antichi, che mancano; ci possono aiutare non tanto coloro che ci sono, ma coloro che ci furono. Però fra questi che ci sono, non scegliamo coloro che precipitano parole con grande velocità e rigirano i luoghi comuni e fanno comizi in privato, ma coloro che insegnano con la vita, che, quando hanno detto cosa bisogna fare, lo provano facendo, coloro che insegnano cosa bisogna evitare, e non vengono mai colti in ciò che hanno detto, bisogna fuggire. Scegli come aiutante colui che ammiri di più avendolo visto sia avendolo udito. Perciò non ti proibire di sentire anche questi, ai quali è consuetudine avvicinare il popolo e discutere, solo se procedono nella folla con questo proposito, per diventare migliori e per rendere migliori (gli altri), se non esercitano questo per ammirazione. Cos’è infatti più turpe di una filosofia che cerca di ottenere successi? Forse che un malato loda il medico mentre lo taglia? |
74 | Vivamus mea Lesbia, atque amemus,rumoresque senum seueriorumomnes unius aestimemus assis!soles occidere et redire possunt:nobis cum semel occidit breuis lux,nox est perpetua una dormienda.da mi basia mille, deinde centum,dein mille altera, dein secunda centum,deinde usque altera mille, deinde centum.dein, cum milia multa fecerimus,conturbabimus illa, ne sciamus,aut ne quis malus inuidere possit,cum tantum sciat esse basiorum. | Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,e i rimproveri dei vecchi pedantitutti insieme non consideriamoli un soldo.I giorni tramontano e tornano;ma noi quando cade la breve luce della vita,dobbiamo dormire una sola interminabile notte.Donami mille baci, poi ancora cento,poi altri mille, poi ancora altri cento,poi di seguito mille, e poi di nuovo altri cento.Quando poi ne avremo dati migliaia,confonderemo le somme, per non sapere (il numero dei baci),e perchè nessun malvagio ci invidi,sapendo che esite un dono così grande di baci. |
429 | His responsis ad Caesarem relatis iterum ad eum Caesar legatos cum his mandatis mittit: Quoniam tanto suo populique Romani beneficio affectus, cum in consulatu suo rex atque amicus a senatu appellatus esset, hanc sibi populoque Romano gratiam referret, ut in conloquium venire invitatus gravaretur neque de communi re dicendum sibi et cognoscendum putaret, haec esse quae ab eo postularet: primum ne quam multitudinem hominum amplius trans Rhenum in Galliam traduceret; deinde obsides quos haberet ab Aeduis redderet Sequanisque permitteret, ut, quos illi haberent voluntate eius reddere illis liceret; neve Aeduos iniuria lacesseret, neve his sociisque eorum bellum inferret.Si id ita fecisset, sibi populoque Romano perpetuam gratiam atque amicitiam cum eo futuram; si non impetraret, sese, quoniam M. Messala, M. Pisone consulibus senatus censuisset, uti ,quicumque Galliam provinciam obtineret, quod commodo reipublicae lacere posset, Aeduos ceterosque amicos populi Romani defenderet, se Aeduorum iniurias non neglecturum. | Questa risposta essendo stata riferita a Cesare, Cesare manda di nuovo a lui inviati con queste commissioni: Poiché sebbene favorito da un sì gran beneficio suo e del popolo Romano, poiché durante il consolato suo era stato salutato dal senato re ed amico , rendeva questo contraccambio a sé ed al popolo Romano ,che invitato a venire a colloquio se ne risentiva , né credeva doversi parlare e informarsi da lui circa un affare comune, queste essere le cose, che domandava lui : in primo luogo che non trasportasse più oltre attraverso il Reno nella Gallia alcun numero d'uomini; poi, che restituisse gli ostaggi che aveva dagli Edui, e permettesse ai Sequani, che fosse lecito a loro di restituire con il consenso suo quegli che essi avevano; e che non provocasse gli Edui con offese, né portasse guerra a loro e agli alleati di loro . Se avesse fatto ciò così, gratitudine perpetua e amicizia con lui sarebbe stata a sè è al popolo Romano; se non otteneva, egli, poichè il senato ,quando Marco Messala, e Marco Pisone erano stati i consoli, aveva decretato che ,chiunque governasse la provincia di Gallia, difendesse gli Edui e gli altri amici del popolo Romano in quanto potesse farlo con vantaggio della repubblica, egli non avrebbe trascurato le ingiurie degli Edui. |
215 | Quintia formosa est multis. mihi candida, longa,recta est: haec ego sic singula confiteor.Totum illud formosa nego: nam nulla venustas,nulla in tam magno est corpore mica salis.Lesbia formosa est, quae cum pulcerrima tota est,tum omnibus una omnis surripuit Veneres. | Molti ritengono che Quinzia sia bella. Per me ha la pelle luminosa è alta,slanciata: io ritengo che abbia queste uniche qualità.Ma nego che sia tutta bella: infatti non c’è nessuna grazia,neanche un briciolo di spirito in un così gran bel corpo.E’ attraente Lesbia che è splendida dentro e fuori,e da sola toglie a tutte le Grazie. |
448 | [Mosa profluit ex monte Vosego, qui est in finibus Lingonum, et parte quadam ex Rheno recepta, quae appellatur Vacalus insulam efficit Batavorum, in Oceanum influit neque longius ab Oceano milibus passuum LXXX in Rhenum influit. Rhenus autem oritur ex Lepontiis, qui Alpes incolunt, et longo spatio per fines Nantuatium, Helvetiorum, Sequanorum, Mediomatricorum, Tribocorum, Treverorum citatus fertur et, ubi Oceano adpropinquavit, in plures diffluit partes multis ingentibus insulis effectis, quarum pars magna a feris barbaris nationibus incolitur, ex quibus sunt qui piscibus atque ovis avium vivere existimantur, multis capitibus in Oceanum influit.] | La Mosa nasce dai monti Vosgi, nella regione dei Lingoni; a non più di ottanta miglia di distanza dall'Oceano, si getta nel Reno. Il Reno nasce nella regione dei Leponzi, un popolo delle Alpi, scorre vorticoso per lungo tratto nelle terre dei Nantuati, degli Elvezi, dei Sequani, dei Mediomatrici, dei Triboci e dei Treveri; poi, nei pressi dell'Oceano, si divide in diversi rami e forma molte isole di notevoli dimensioni, per la maggior parte abitate da genti incolte e barbare, alcune delle quali si ritiene che vivano di pesci e di uova d'uccelli. Sfocia con molte diramazioni nell'Oceano. |
856 | Caesar Pompeianis ex fuga intra vallum compulsis nullum spatium perterritis dari oportere existimans milites cohortatus est, ut beneficio fortunae uterentur castraque oppugnarent. Qui, etsi magno aestu fatigati (nam ad meridiem res erat perducta), tamen ad omnem laborem animo parati imperio paruerunt. Castra a cohortibus, quae ibi praesidio erant relictae, industrie defendebantur, multo etiam acrius a Thracibus barbarisque auxiliis. Nam qui acie refugerant milites, et animo perterriti et lassitudine confecti, missis plerique armis signisque militaribus, magis de reliqua fuga quam de castrorum defensione cogitabant.Neque vero diutius, qui in vallo constiterant, multitudinem telorum sustinere potuerunt, sed confecti vulneribus locum reliquerunt, protinusque omnes ducibus usi centurionibus tribunisque militum in altissimos montes, qui ad castra pertinebant, confugerunt. | 1. Cesare esortò i soldati, essendo stati i Pompeiani costretti in un vallo dalla fuga, ad assalire l’accampamento e ad approfittare del beneficio della sorte, ritenendo che non dovesse essere dato alcuno spazio di tempo a quelli, che erano atterriti. 2. Quelli benché fossero affaticati dal gran calore, infatti la battaglia si era prolungata fino a mezzogiorno, tuttavia obbedirono all’ordine, pronti a ogni fatica con coraggio (Qui iniziale con valore di nesso relativo).3. L’accampamento era difeso con impegno da corti che erano stati lasciati lì a difesa (presidio = complemento di fine), molto più aspramente anche dalle truppe Trace e barbare (non c’è disciplina da parte dei soldati Romani che dovrebbero difendere l’accampamento Pompeiano, quasi fossero Barbari). 4. Infatti i soldati che si erano ritirati dalla schiera (campo), sia atterriti dallo stato d’animo sia sfiniti dalla stanchezza, la maggior parte, dopo aver lasciato le armi e le insegne militari, pensavano più alla rimanente fuga che alla difesa dell’accampamento (gettare le spade e le bandiere rappresentava una vergogna gravissima, che veniva punita con pene durissime). 5. E non veramente più a lungo coloro che si erano riuniti nella trincea poterono sostenere la moltitudine di frecce ma sfinito per le ferite lasciarono il luogo, e immediatamente tutti si rifugiarono sulle vette (sugli altissimi monti) che si estendevano fino all’accampamento essendosi serviti come guide dei centurioni e dei tribuni dei soldati. |
630 | Tum demum Titurius, qui nihil ante providisset, trepidare et concursare cohortesque disponere, haec tamen ipsa timide atque ut eum omnia deficere viderentur; quod plerumque eis accidere consuevit, qui in ipso negotio consilium capere coguntur. At Cotta, qui cogitasset haec posse in itinere accidere atque ob eam causam profectionis auctor non fuisset, nulla in re communi saluti deerat et in appellandis cohortandisque militibus imperatoris et in pugna militis officia praestabat.Cum propter longitudinem agminis minus facile omnia per se obire et, quid quoque loco faciendum esset, providere possent, iusserunt pronuntiare, ut impedimenta relinquerent atque in orbem consisterent. Quod consilium etsi in eiusmodi casu reprehendendum non est, tamen incommode accidit: nam et nostris militibus spem minuit et hostes ad pugnam alacriores effecit, quod non sine summo timore et desperatione id factum videbatur. Praeterea accidit, quod fieri necesse erat, ut vulgo milites ab signis discederent, quae quisque eorum carissima haberet, ab impedimentis petere atque arripere properaret, clamore et fletu omnia complerentur. | Solo allora Titurio, che nulla aveva previsto, cominciò ad agitarsi, a correre qua e là, a disporre le coorti, ma sempre impaurito: sembrava che tutto gli venisse a mancare, come per lo più accade a chi è costretto a decidere proprio mentre l'azione è in corso. Cotta, invece, che aveva pensato all'eventualità di un attacco durante la marcia e che, perciò, non era stato fautore della partenza, non risparmiò nulla per la salvezza di tutti e, chiamando e incoraggiando i legionari, durante la battaglia, svolgeva le funzioni di comandante e di soldato. La lunghezza della colonna rendeva più difficile provvedere a tutto personalmente e impartire gli ordini necessari in ogni settore della battaglia, perciò i comandanti diedero disposizione, passando la voce, di abbandonare i bagagli e di assumere la formazione a cerchio. La manovra, anche se in circostanze del genere non è riprovevole, si risolse in un danno: diminuì la fiducia dei nostri soldati e rese più arditi i nemici, perché sembrava che fosse stata fatta per estremo timore e scoraggiamento. Inoltre, accadde l'inevitabile: i soldati, ovunque, si allontanavano dalle insegne, ciascuno correva ai bagagli per cercare e riprendersi le cose più care, tutto risuonava di grida e pianti. |
457 | Exercitum cum militari more ad pugnam cohortaretur suaque in eum perpetui temporis officia praedicaret, imprimis commemoravit: testibus se militibus uti posse, quanto studio pacem petisset; quae per Vatinium in colloquiis, quae per Aulum Clodium eum Scipione egisset, quibus modis ad Oricum cum Libone de mittendis legatis contendisset. Neque se umquam abuti militum sanguine neque rem publicam alterutro exercitu privare voluisse. Hac habita oratione exposcentibus militibus et studio pugnae ardentibus tuba signum dedit. | Esortato l'esercito alla battaglia secondo il costume militare e messi in evidenza i propri meriti verso l'esercito in ogni tempo, principalmente rammentò che poteva provare con la testimonianza dei soldati con quanto zelo aveva cercato la pace, quali trattative aveva condotto per mezzo di Vatinio negli abboccamenti, quali per mezzo di Aulo Claudio con Scipione, in che modo si fosse adoperato con Libone presso Orico perché si mandassero ambasciatori. Egli non aveva mai abusato del sangue dei soldati né aveva voluto privare la repubblica dell'uno o dell'altro esercito. Tenuto questo discorso, poiché i soldati lo richiedevano e ardevano dalla brama di combattere, diede con la tromba il segnale. |
888 | Haec dum inter eos aguntur, Domitius navibus Massiliam pervenit atque ab eis receptus urbi praeficitur; summa ei belli administrandi permittitur. eius imperio classem quoquo versus dimittunt; onerarias naves, quas ubique possunt, deprehendunt atque in portum deducunt, parum clavis aut materia atque armamentis instructis ad reliquas armandas reficiendasque utuntur; frumenti quod inventum est, in publicum conferunt; reliquas merces commeatusque ad obsidionem urbis, si accidat, reservant.Quibus iniuriis permotus Caesar legiones tres Massiliam adducit; turres vineasque ad oppugnationem urbis agere, naves longas Arelate numero XII facere instituit. Quibus effectis armatisque diebus XXX, a qua die materia caesa est, adductisque Massiliam his D. Brutum praeficit, C. Trebonium legatum ad oppugnationem Massiliae relinquit. | Durante questi colloqui, Domizio giunge con le navi a Marsiglia e, accolto dai Marsigliesi, viene messo a capo della città; a lui è affidata la suprema direzione della guerra. Al suo comando la flotta viene inviata ovunque; si impossessano delle navi onerarie ove possono e le conducono in porto; si servono di quelle poche provviste di ferro, legname o altri attrezzi per riparare e armare le altre; raccolgono nei magazzini dello stato il frumento che viene trovato; mettono in serbo altri tipi di merce e vettovaglie da utilizzare nel caso di un assedio della città. Cesare, mosso da tali affronti, conduce tre legioni davanti a Marsiglia; ordina la costruzione di torri e casotti mobili per l'assedio della città, ad Arles fa costruire dodici navi da guerra. Esse vengono costruite e armate dopo soli trenta giorni dal taglio del legname; condotte a Marsiglia, Cesare le pone sotto il comando di D. Bruto e lascia il suo luogotenente C. Trebonio all'assedio della città. |
267 | Phaselus ille, quem videtis, hospites,ait fuisse navium celerrimus,neque ullus natantis impetum trabisnequisse praeterire, sive palmulisopus foret volare sive linteo.Et hoc negat minacis hadriaticinegare litus insulasve CycladasRhodumque nobilem horridamque ThraciamPropontida trucemve Ponticum sinum,ubi iste post phaselus antea fuitcomata silva; nam Cyrotioin iugoloquente saepe sibilum edidit coma.Amastri Pontica et Cytore buxifer,tibi haec fuisse et esse cognitissimaait phaselus, ultima ex originetuo stetisse dicit in cacumine,tuo imbuisse palmulas in aequore,et inde tot per impotentia fretaerum tulisse, laeva sive dexteravocaret aura, sive utrumque Iuppitersimul secundus incidisset in pedem;neque ulla vota litoralibus deissibi esse facta, cum veniret a marinovissimo hunc ad usque limpidum lacum.Sed haec prius fuere; nunc reconditasenet quiete seque dedicat tibi,gemelle Castor et gemelle Castoris. | La barca che vedete, ospiti, dice che fu la più veloce d'ogni nave, e mai slancio di legno navigante le passò avanti, fosse necessario volare col remeggio o colla vela. E dice che non possono negarlo la costiera adriatica malfida e le Cicladi e Rodi celebrata, la selvaggia Propontide di Tracia, il torvo seno del Mar Nero, dove prima di essere nave fu foresta frondosa: là, sul giogo del Citoro, molto parlò la frasca sibilando. O Amastri del Mar Nero, e tu Citoro folto di bossi, a voi fu familiare, dice la nave; a ella sua prima origine fu lassù, in lato alla vostra vetta, poi nelle vostre acque immerse i remi, quindi attraverso tanti mari folli portò il padrone, e i venti la chiamavano da destra a sinistra e Giove Padre batteva l'una e l'altra scotta, poi senza dover fare voti mai agli dei delle rive, lasciò il mare e giunse infine a questo lago chiaro, Tutto questo è un passato. Ora, appartata, riposa e invecchia, e si consacra a voi, a Castore e Polluce, i due Gemelli. |
510 | Contra haec Pompeius naves magnas onerarias, quas in portu Brundisino deprehenderat, adornabat. Ibi turres cum ternis tabulatis erigebat easque multis tormentis et omni genere telorum completas ad opera Caesaris adpellebat, ut rates perrumperet atque opera disturbaret. Sic cotidie utrimque eminus fundis, sagittis reliquisque telis pugnabatur. Atque haec Caesar ita administrabat, ut condiciones pacis dimittendas non existimaret; ac tametsi magnopere admirabatur Magium, quem ad Pompeium cum mandatis miserat, ad se non remitti, atque ea res saepe temptata etsi impetus eius consiliaque tardabat, tamen omnibus rebus in eo perseverandum putabat.Itaque Caninium Rebilum legatum, familiarem necessariumque Scriboni Libonis, mittit ad eum colloquii causa; mandat, ut Libonem de concilianda pace hortetur; imprimis, ut ipse cum Pompeio colloqueretur, postulat; magnopere sese confidere demonstrat, si eius rei sit potestas facta, fore, ut aequis condicionibus ab armis discedatur. Cuius rei magnam partem laudis atque existimationis ad Libonem perventuram, si illo auctore atque agente ab armis sit discessum. Libo a colloquio Canini digressus ad Pompeium proficiscitur. Paulo post renuntiat, quod consules absint, sine illis non posse agi de compositione. Ita saepius rem frustra temptatam Caesar aliquando dimittendam sibi iudicat et de bello agendum. | In risposta a questi preparativi, Pompeo faceva allestire grandi navi da carico, prese nel porto di Brindisi. Su di esse faceva innalzare torrette a tre piani e, riempitele con molte macchine da guerra e con ogni genere di armi, le lanciava contro i lavori di sbarramento, che Cesare stava facendo, per distruggere le zattere e fare azione di disturbo. Così ogni giorno da entrambe le parti si combatteva da lontano con fionde, frecce e altri tipi d'arma. Cesare, pur dirigendo queste operazioni, non credeva tuttavia che si dovessero interrompere le trattative di pace. Sebbene si stupisse molto che Magio, inviato a Pompeo con le sue proposte, non gli venisse rimandato e sebbene i reiterati tentativi di pace rallentassero il suo slancio e i suoi piani, tuttavia giudicava di dovere perseverare con ogni mezzo in quel proposito. E così manda il luogotenente Caninio Rebilo, intimo e parente di Scribonio Libone, a parlare con costui; gli affida l'incarico di esortare Libone a essere mediatore di pace; chiede sopra tutto di potere avere un colloquio con Pompeo; sottolinea di avere piena fiducia che, se ciò sarà possibile, si metterà fine alla guerra con giuste trattative; fa presente che, se si porrà fine alle armi per l'intercessione e l'intervento di Libone, egli conseguirà grande parte di gloria e onore. Libone, dopo l'abboccamento con Caninio, parte per andare da Pompeo. Poco dopo riferisce che, essendo andati via i consoli, senza di essi non è possibile iniziare una trattativa. E così Cesare, dopo avere troppe volte invano tentato di giungere alla pace, ritiene di dovere finalmente abbandonare tale proposito e pensare alla guerra. |
14 | Ianum Quinnum, quem claussum esse maiores nostri voluerunt cum per totum imperium populi Romam terra marique esset parta victoriis pax, cum priusquam nascerer, a condita urbe bis ommno clausum fuisse prodatur memoriae, ter me principe senatus claudendum esse censuit. | Il senato deliberò che il tempio di Giano doveva essere chiuso per la terza volta, sotto il mio principato che che i nostri antenati vollero fosse chiuso, quando la pace fosse stata realizzata in tutto l'impero Romano, per terra e per mare, grazie alle vittorie e prima che io nascessi si tramandava che era stato chiuso dalla fonondazione della città in tutto due volte. |
125 | ANFITRIONE, SOSIAsequere sis, erum qui ludificas 585adictis delirantibus, 585bqui quoniam erus quod imperavit neglexisti persequi,nunc venis etiam ultro inrisum dominum: quae neque fieripossunt neque fando umquam accepit quisquam profers, carnifex;quoius ego hodie in tergum faxo ista expetant mendacia.SOS. Amphitruo, miserrima istaec miseria est servo bono, 590apud erum qui vera loquitur, si id vi verum vincitur.AMPH. Quo id, malum, pacto potest nam—mecum argumentis puta —fieri, nunc uti tu <et> hic sis et domi? id dici volo.SOS. Sum profecto et hic et illic. hoc cuivis mirari licet,neque tibi istuc mirum *** magis videtur quam mihi. 595AMPH. Quo modo? S. Nihilo, inquam, mirum magis tibi istuc quam mihi;neque, ita me di ament, credebam primo mihimet Sosiae,donec Sosia illic egomet fecit sibi uti crederem.ordine omne, uti quicque actum est, dum apud hostis sedimus,edissertavit. tum formam una abstulit cum nomine. 600neque lac lactis magis est simile quam ille ego similest mei.nam ut dudum ante lucem a portu me praemisisti domum—A. Quid igitur? S. Prius multo ante aedis stabam quam illo adveneram.AMPH. Quas, malum, nugas? satin tu sanus es? SOS. Sic sum ut vides.AMPH. Huic homini nescio quid est mali mala obiectum manu, 605postquam a me abiit. SOS. Fateor, nam sum obtusus pugnis pessume.AMPH. Quis te verberavit? SOS. Egomet memet, qui nunc sum domi.AMPH. Cave quicquam, nisi quod rogabo te, mihi responderis.omnium primum iste qui sit Sosia, hoc dici volo.SOS. Tuos est servos. AMPH. Mihi quidem uno te plus etiam est quam volo, 610neque postquam sum natus habui nisi te servom Sosiam.SOS. At ego nunc, Amphitruo, dico: Sosiam servom tuompraeter me alterum, inquam, adveniens faciam ut offendas domi,Davo prognatum patre eodem quo ego sum, forma, aetate itemqua ego sum. quid opust verbis? geminus Sosia hic factust tibi. 615AMPH. Nimia memoras mira. sed vidistin uxorem meam?S. Quin intro ire in aedis numquam licitum est. A. Quis te prohibuit?SOS. Sosia ille, quem iam dudum dico, is qui me contudit.AMPH. Quis istic Sosia est? SOS. Ego, inquam. quotiens dicendum est tibi?AMPH. Sed quid ais? num obdormivisti dudum? SOS. Nusquam gentium. 620AMPH. Ibi forte istum si vidisses quendam in somnis Sosiam—SOS. Non soleo ego somniculose eri imperia persequi.vigilans vidi, vigilans nunc <te> video, vigilans fabulor,vigilantem ille me iam dudum vigilans pugnis contudit.AMPH. Quis homo? SOS. Sosia, inquam, ego ille. quaeso, nonne intellegis? 625AMPH. Qui, malum, intellegere quisquam potis est? ita nugas blatis.SOS. Verum actutum nosces, quom illum nosces servom Sosiam.AMPH. Sequere hac igitur me, nam mi istuc primum exquisito est opus.[sed vide ex navi efferantur quae imperavi iam omnia.SOS. Et memor sum et diligens, ut quae imperes compareant; 630non ego cum vino simitu ebibi imperium tuom.AMPH. Vtinam di faxint, infecta dicta re eveniant tua.] | ANF. Seguimi, (tu) che prendi in giro il padrone con parole (lett. detti) deliranti, che poiché trascurasti di eseguire (ciò) che il (tuo) padrone ordinò, ora vieni anche, per giunta, a irrider(lo): racconti (lett. proferisci) cose che né possono accadere né alcuno sentì mai raccontare (lett. col parlare), canaglia (lett. carnefice)! Sulla schiena del quale io oggi farò (in modo che) ricadano queste menzogne.SO. Anfitrione, la disgrazia (lett. la miseria) più disgraziata (più misera) per un servo buono, che dice la verità al (lett. presso il) (suo) padrone, è questa: se questa verità (lett. questo vero) viene contraddetto (lett. vinto) con la violenza.ANF. In che modo (lett. con quale patto), mascalzone (lett. malvagio), infatti, (ragiona con me con ragionamenti (lett. con argomenti)), può essere che tu sia e qui e a casa? Che questo (mi) sia detto voglio.SO. Sono sicuramente e qui e lì. E lo si trovi pure strano da parte di chiunque (lett. Di questo è lecito a chiunque meravigliarsi). Né a te questa cosa strana sembra più strana che a me.ANF. Come? (lett. In che modo)?SO. Per niente, (ti) ripeto (lett. dico), questa cosa è strana a te più che a me; né, che gli dei mi assistano (lett. così gli dei mi amino), dapprima credevo a me stesso Sosia, finchè quel Sosia lì, io stesso, fece (in modo che) credessi a se stesso. In ordine ogni (cosa), come ciascuna accadde quando presso i nemici ponemmo l’assedio, raccontò.. Allora (mi) portò via l’aspetto (lett. la forma) insieme col nome. Né il latte è più simile del latte di quanto quell’io è simile a me (lett. di me). Infatti quando poco fa, prima dell’alba (lett. della luce), dal porto mi mandasti avanti, a casa …ANF Ebbene? (Lett. Che cosa allora?)SO. Stavo davanti alla porta (lett. alle porte) molto prima di essere giunto lì (lett. che ero arrivato lì).ANF. Che sciocchezze, mascalzone, (mi racconti)? Sei tu abbastanza sano?SO. Sono così come( mi) vedi.ANF. A quest’uomo non so che malanno (lett. che cosa di male) è stato gettato (addosso) da una mano stregata (lett. stregata), dopo che andò via da me.SO. (Lo) ammetto (Lett. confesso), infatti sono contuso (lett. ottuso) terribilmente (Lett. terribilmente) dai pugni.AMF. Chi ti ha picchiato?So. Io stesso me stesso, (quello) che ora sono a casa.AMF. Bada (a non) rispondere a me alcuna cosa, se non (ciò) che ti chiederò. Prima di tutto (lett. di tutte le cose) chi è questo Sosia, che (mi) sia detto questo voglio.SO. Il tuo servo.AMF. A me in verità(servirmi di) un solo te è anche più di quanto voglio, né da quando (Lett. dopo che) sono nato ebbi un (altro) servo Sosia se non te.SO. E io ora, Anfitrione, (ti) dico: il tuo servo Sosia diverso da me (lett. un altro oltre me), (ti) dico, arrivando farò che tu incontri in casa, nato dallo stesso padre Davo dal quale io sono (nato),, dell’ aspetto (lett, forma), dell’età di cui io sono, ugualmente. Che bisogno c’è di (altre) parole? Un Sosia gemello ti è stato fatto qui.ANF. Cose troppo strane racconti (lett. ricordi). Ma vedesti mia moglie?SO. Anzi, non (mi) è stato permesso (lett. lecito) entrare in casa (lett. nelle porte).ANF. Chi te (lo) proibì?SO. Quel Sosia, che già prima ti sto dicendo (lett. dico), quello che mi picchiò (lett. contuse).ANF. Chi è codesto Sosia?SO. Io, (lo) ripeto (lett. dico). Quante volte devo dirtelo?ANF. Ma cosa dici? Forse ti addormentasti prima?SO. Mai (lett. in nessun luogo tra le genti).ANF. (Lo dico) se per caso lì avessi visto questo tizio Sosia, in sogno (Lett. nei sogni).SO. Non sono solito eseguire gli ordini del padrone sonnecchiando (lett. in modo sonnacchioso). Da sveglio (lett. vegliando) (lo) vidi, come ora vedo da sveglio, da sveglio parlo e me sveglio quello da sveglio poco fa ha riempito (lett. ha colpito) di pugni.ANF. Chi (lett. Quale uomo)?SO. Sosia, (ti) ripeto (lett. dico), quell’io. Di grazia, forse non capisci?ANF. Come, manigoldo (lett. malvagio), uno è capace di capire? Blateri tali (lett. così) sciocchezze.SO Invece conoscerai subito la verità (lett. il vero), quando conoscerai quel servo Sosia.AMF. Seguimi per di qua allora, infatti dapprima ho bisogno di appurare questa (cosa) (lett. a me è bisogno dapprima di indagine su questo). Ma vedi (che) siano scaricate dalla nave tutte (le cose) che già prima ordinai.SO. Io sono e di buona memoria (lett. memore) e diligente, (controllerò) che siano pronte (le cose) che comandi; non ho io bevuto insieme col vino i tuoi ordini (lett. il tuo ordine).ANF. Che gli dei facciano (che) le cose che hai detto (lett.i tuoi detti) risultino in realtà inventate. |
966 | Caesar in eam spem venerat, se sine pugna et sine vulnere suorum rem conficere posse, quod re frumentaria adversarios interclusisset. Cur etiam secundo proelio aliquos ex suis amitteret? Cur vulnerari pateretur optime de se meritos milites? Cur denique fortunam periclitaretur? Praesertim cum non minus esset imperatoris consilio superare quam gladio. Movebatur etiam misericordia civium, quos interficiendos videbat; quibus salvis atque incolumibus rem obtinere malebat.Hoc consilium Caesaris plerisque non probabatur: milites vero palam inter se loquebantur, quoniam talis occasio victoriae dimitteretur, etiam cum vellet Caesar, sese non esse pugnaturos. Ille in sua sententia perseverat et paulum ex eo loco digreditur, ut timorem adversariis minuat. | Cesare era venuto in quella speranza di poter terminare l'opera senza battaglia e senza perdita dei suoi, poiché aveva bloccato gli avversari dagli approvvigionamenti. Perché avrebbe dovuto perdere alcuni dei suoi in un combattimento anche favorevole? Perché avrebbe dovuto sopportare che i soldati molto giusti nei suoi confronti venissero feriti? E inoltre perché avrebbe dovuto mettere alla prova la sorte? Soprattutto poiché non era degno di un comandante vincere (i nemici) con l'ingegno non meno che con la spada. Era mosso anche dalla pietà verso i cittadini che vedeva in pericolo di vita; preferiva ottenere la vittoria lasciando questi incolumi e salvi. Questa decisione di Cesare non era approvata dalla maggior parte; in realtà i soldati parlavano tra di loro pubblicamente e dicevano che essi stessi non avrebbero combattuto, anche se Cesare avesse voluto, poiché una tale occasione di vittoria era tralasciata. Quello persevera nella sua decisione e si allontana un poco da quel luogo perché diminuisca il timore degli avversari. |
66 | Per aliquot annos quaedam dilectum virumamisit et sarchphago corpus condidit;a quo revelli nullo cum posset modoet in sepulchro lugens vitam degeret,claram assecuta est famam castae coniugis.Interea fanum qui compilarant Iovis,cruci suffixi luerunt poenas numini.Horum reliquias ne quis posset tollere,custodes dantur milites cadaverum,monumentum iuxta, mulier quo se incluserat.Aliquando sitiens unus de custodibusaquam rogavit media nocte ancillulam,quae forte dominae tunc adsistebat suaedormitum eunti; namque lucubraveratet usque in serum vigilias perduxerat.“Paulum reclusis foribus miles prospicit,videtque egregiam facie pulchra feminam.Correptus animus ilico succenditururitque sensus impotentis cupiditas.sollers acumen mille causas invenit,per quas videre posset viduam saepius.Cotidiana capta consuetudinepaulatim facta est advenae submissior,mox artior revinxit animum copula.Hic dum consumit noctes custos diligens,desideratum est corpus ex una cruce.Turbatus miles factum exponit mulieri.At sancta mulier “Non est quod timeas” ait,virique corpus tradit figendum cruci,ne subeat ille poenas neglegentiae.Sic turpitudo laudis obsedit locum. | Una donna di Efeso, dopo alcuni anni, rimasesenza il caro consorte e seppellì il corpo di costuiin un sarcofago; da lì – non c’era verso – non si riuscivaa farla allontanare e, trascorrendo i giorni in lacrimeaccanto al sepolcro, s’acquistò una bella famadi vedova onorata. Frattanto, alcuni malviventiche avevano predato il tempio di Giove, finironocrocefissi, pagando la colpa alla divinità.Furono posti dei soldati a guardia di quei cadaveri, perchénessuno potesse portarli via, proprio vicinoal tempietto mortuario dove s’era chiusa la donna.Una volta, a mezzanotte, una di quelle sentinelle ebbesete e chiese dell’acqua a una serva che assistevaper caso la sua padrona sul punto di andare a letto;aveva difatti lavorato di notte e vegliato a lungo;poiché l’uscio era mal chiuso, il soldato butta lo sguardo“e scorge una donna egregia, bellissima.Si accendea poco a poco il suo cuore rapito; scattal’ardore dell’audace, il suo abile acume trovamille occasioni per vedere spesso la vedova.Lei, vinta dalla corte quotidiana, man manosi piega al forestiero e in breve vi incatenail suo cuore. Mentre il custodediligente consuma qui le sue veglie d’amore, si lamentala perdita di un corpo. Il soldato, turbato,racconta l’accaduto al suo amore. E lei, castavedova: «Non devi temere nulla» disse. E offrìil corpo di suo marito per metterlo in croce,perché lui non avesse castighiper colpa della sua negligenza. Cosìl’infamia prese il posto della lode. |
111 | Ibam forte via sacra, sicut meus est mos,nescio quid meditans nugarum, totus in illis:accurrit quidam notus mihi nomine tantumarreptaque manu 'quid agis, dulcissime rerum?''suaviter, ut nunc est,' inquam 'et cupio omnia quae vis.'cum adsectaretur, 'numquid vis?' occupo. at ille'noris nos' inquit; 'docti sumus.' hic ego 'plurishoc' inquam 'mihi eris.' misere discedere quaerensire modo ocius, interdum consistere, in auremdicere nescio quid puero, cum sudor ad imosmanaret talos.'o te, Bolane, cerebrifelicem' aiebam tacitus, cum quidlibet illegarriret, vicos, urbem laudaret. ut illinil respondebam, 'misere cupis' inquit 'abire:iamdudum video; sed nil agis: usque tenebo;persequar hinc quo nunc iter est tibi.' 'nil opus est tecircumagi: quendam volo visere non tibi notum;trans Tiberim longe cubat is prope Caesaris hortos.''nil habeo quod agam et non sum piger: usque sequar te.'demitto auriculas, ut iniquae mentis asellus,cum gravius dorso subiit onus. incipit ille:'si bene me novi, non Viscum pluris amicum,non Varium facies; nam quis me scribere plurisaut citius possit versus? quis membra moveremollius? invideat quod et Hermogenes, ego canto.'interpellandi locus hic erat 'est tibi mater,cognati, quis te salvo est opus?' 'haud mihi quisquam.omnis conposui.' 'felices. nunc ego resto.confice; namque instat fatum mihi triste, Sabellaquod puero cecinit divina mota anus urna:"hunc neque dira venena nec hosticus auferet ensisnec laterum dolor aut tussis nec tarda podagra:garrulus hunc quando consumet cumque: loquaces,si sapiat, vitet, simul atque adoleverit aetas."'ventum erat ad Vestae, quarta iam parte dieipraeterita, et casu tum respondere vadatodebebat, quod ni fecisset, perdere litem.'si me amas,' inquit 'paulum hic ades.' 'inteream, siaut valeo stare aut novi civilia iura;et propero quo scis.' 'dubius sum, quid faciam', inquit,'tene relinquam an rem.' 'me, sodes.' 'non faciam' ille,et praecedere coepit; ego, ut contendere durumcum victore, sequor. 'Maecenas quomodo tecum?'hinc repetit. 'paucorum hominum et mentis bene sanae.'nemo dexterius fortuna est usus. haberesmagnum adiutorem, posset qui ferre secundas,hunc hominem velles si tradere: dispeream, nisummosses omnis.' 'non isto vivimus illic,quo tu rere, modo; domus hac nec purior ulla estnec magis his aliena malis; nil mi officit, inquam,ditior hic aut est quia doctior; est locus unicuique suus.' 'magnum narras, vix credibile.' 'atquisic habet.' 'accendis quare cupiam magis illiproximus esse.' 'velis tantummodo: quae tua virtus,expugnabis: et est qui vinci possit eoquedifficilis aditus primos habet.' 'haud mihi dero:muneribus servos corrumpam; non, hodie siexclusus fuero, desistam; tempora quaeram,occurram in triviis, deducam. nil sine magnovita labore dedit mortalibus.' haec dum agit, ecceFuscus Aristius occurrit, mihi carus et illumqui pulchre nosset. consistimus. 'unde venis etquo tendis?' rogat et respondet. vellere coepiet pressare manu lentissima bracchia, nutans,distorquens oculos, ut me eriperet. male salsusridens dissimulare; meum iecur urere bilis.'certe nescio quid secreto velle loqui teaiebas mecum.' 'memini bene, sed melioretempore dicam; hodie tricensima sabbata: vin tucurtis Iudaeis oppedere?' 'nulla mihi' inquam'relligio est.' 'at mi: sum paulo infirmior, unusmultorum. ignosces; alias loquar.' huncine solemtam nigrum surrexe mihi! fugit inprobus ac mesub cultro linquit. casu venit obvius illiadversarius et 'quo tu, turpissime?' magnainclamat voce, et 'licet antestari?' ego verooppono auriculam. rapit in ius; clamor utrimque,undique concursus. sic me servavit Apollo. | Camminavo per caso lungo la Via Sacra come mio solito, pensando non so quali sciocchezze, tutto assorto in esse.Arriva un tale noto a me solo per nome e afferratami la mano: "Come va, o carissimo?""Bene, almeno per ora", rispondo, "e ti auguro tutto ciò che desideri".Poichè mi veniva dietro: "Vuoi qualcosa?" anticipo.E costui: "Dovresti conoscermi", rispose, "siamo letterati".Io dissi a quello: "Mi sarai più caro, per questo".Cercando disperatamente di staccarmene camminavo ora più infretta, mentre quello continuava ad insistere, facendo finta di dire non so cosa all'orecchio dello schiavo che mi stava a fianco, mentre il sudore mi colava dalla testa ai talloni."Beato te, o Bolano, per il tuo carattere!" dicevo tra me e me, mentre lui parlava a vanvera e lodava i vicoli e la città.E poichè non gli rispondevo disse: "O misero, tu speri disperatamente di fuggire, lo vedo da un bel po', ma non concludi nulla; ti terrò fino all'ultimo, ti perseguiterò da qui fin dove andrai.""Non è necessario che tu mi segua, voglio visitare un tale sconosciuto a te: lui giace malato lontano oltre il Tevere, vicino ai giardini di Cesare.""Non ho nulla da fare e non sono pigro, quindi ti seguirò."Abbasso le orecchie, come un'asinello dalla mente rassegnata quando sul dorso subisce un peso più grave.Ricomincia quello: "Se mi conoscessi bene, non avresti più caro ne' l'amico Visco ne' Vario, infatti chi può scrivere più versi o più velocemente di me? E chi sa danzare più dolcemente? Io canto ciò che anche Ermogene invidia." Era arrivato il momento di chiedergli: "Hai tu una madre, parenti, qualcuno a cui importa se sei salvo?"."Non ho più nessuno, li ho tutti sepolti.""Beati loro! ora resto io. Uccidimi, infatti pesa su di me un triste destino che una vecchia sabina predisse a me fanciullo, agitata l'urna delle profezie: "ne' un potente veleno,ne' una spada nemica, ne' la tisi, la tosse o la gota che arriva tardi lo rapiranno, un giorno o l'altro lo ucciderà un chiacchierone, se è intelligente, eviterà i chiacchieroni, non appena l'età sarà matura.Si era giunti al tempio di Vesta e si era già conclusa la quarta parte del giorno e per caso allora (ill seccatore) doveva rispondere in giudizio avendo prestato garanzia, se non l'avesse fatto avrebbe perso la causa."Se mi vuoi bene, disse, resta qui con me un momento". "Possa io morire se ho la forza di stare in piedi o se mi intendo di diritto civile; e poi devo andare in fretta dove sai". "Ho un dubbio, non so cosa fare - disse- se abbandonare te o la causa". "Lascia stare me". "Non lo farò" - risponde quello ed aumenta il passo. Io, malvolentieri, lo seguo, infatti è cosa difficile lottare con il più forte. "Con Mecenate come va?" disse lui, "E' un uomo di poca compagnia e di sano giudizio. "Nessuno ha saputo far uso della fortuna meglio di lui. Avresti in me un grande aiutante, che potrebbe farti da spalla, se volessi presentare ( a lui ) quest'uomo: potessi morire se non avresti scalzato tutti". "Lì non si vive in questo modo che tu pensi; e non c'è casa più pura di questa, né più aliena a questi mali - io dico - e non mi disturba affatto che egli sia più ricco o più saggio: c'è per ciascuno il suo posto". "Racconti un fatto grande, a stento credibile". "Eppure è così". "Mi interessi, perciò vorrei essere uno dei suoi intimi amici". "Basta che tu lo voglia: dato il tuo valore, lo conquisterai; ed è tale da poter essere vinto, e per questo ritiene difficili i primi approcci". 56 "Non mancherò di ardire: corromperò i servi con doni; non desisterò se oggi non sarò stato ricevuto; cercherò le occasioni giuste, gli andrò incontro agli incroci, lo accompagnerò. Niente la vita diede agli uomini senza grande fatica". Mentre dice queste cose, ecco che arriva Fusco Aristio, a me caro e tale da conoscere bene quell'individuo. Ci fermiamo. "Da dove vieni e dove vai ?" - chiede e risponde. Presi a tirarlo per la toga, stringergli con la mano le braccia del tutto insensibili, facendo cenni, ammiccando con gli occhi, perché mi portasse via. Quel cattivo burlone faceva finta di niente ridendo; la bile mi bruciava il fegato. "Dicevi di volermi dire certamente in segreto non so che". "Mi ricordo bene, ma te lo dirò in un'occasione migliore: oggi è il trentesimo sabato: non vorrai mica recare offesa agli ebrei circoncisi ?". Io rispondo: "Non ho nessuno scrupolo religioso". "Ma io sì ! Sono un po' meno sicuro, uno dei tanti. Mi perdonerai; me ne parlerai in un altro momento". Questo giorno era sorto così nero per me ! Il briccone se la svigna e lascia me sotto il coltello. Per caso gli viene incontro l'avversario nella causa ed esclama a gran voce: "Dove vai, scellerato ? - e - Posso prenderti per testimone ?". E io senza esitazioni gli porgo l'orecchio. Lo trascina in giudizio; confusione da entrambe la parti, accorrere da ogni parte. Così mi salvò Apollo. |
198 | O fons Bandusiae splendidior vitrodulci digne mero non sine floribus,cras donaberis haedo,cui frons turgida cornibusprimis et venerem et proelia destinat;Frustra: nam gelidos inficiet tibirubro sanguine rivoslascivi suboles gregis.Te flagrantis atrox hora Caniculaenescit tangere, tu frigus amabilefessis vomere taurispraebes et pecori vago.Fies nobilium tu quoque fontium,me dicente cavis impositam ilicemsaxis, unde loquaceslymphae desiliunt tuae. | Oh fonte di Bandusia più splendente del cristallo degna di vino non senza corone di fiori, domani ti donerò un capretto, a cui la fronte gonfia per le prime corna destina all'amore e alle lotte;Invano: infatti il figlio del gregge lascivo macchierà con il rosso del sangu le tue gelide acque, l'ora spietata della bruciante canicola non riesce a toccare te, tu offri ai tori stanchi a causa del vomere, e al gregge errante un'amabile frescura. Diventerai anche tu una delle fonti famose, mentre io canto il lecce che sovrasta le grotte rocciose, dove canterine saltano le tue acque. |
955 | Vercingetorix, priusquam munitiones ab Romanis perficiantur, consilium capit omnem ab se equitatum noctu dimittere. Discedentibus mandat ut suam quisque eorum civitatem adeat omnesque qui per aetatem arma ferre possint ad bellum cogant. Sua in illos merita proponit obtestaturque ut suae salutis rationem habeant neu se optime de communi libertate meritum in cruciatum hostibus dedant. Quod si indiligentiores fuerint, milia hominum delecta octoginta una secum interitura demonstrat.Ratione inita se exigue dierum triginta habere frumentum, sed paulo etiam longius tolerari posse parcendo. His datis mandatis, qua opus erat intermissum, secunda vigilia silentio equitatum mittit. Frumentum omne ad se referri iubet; capitis poenam eis qui non paruerint constituit: pecus, cuius magna erat copia ab Mandubiis compulsa, viritim distribuit; frumentum parce et paulatim metiri instituit; copias omnes quas pro oppido collocaverat in oppidum recepit. His rationibus auxilia Galliae exspectare et bellum parat administrare. | Vercingetorige decide di far partire durante la notte tutta la cavalleria, prima che i Romani abbiano completato le opere di fortificazione. Alla partenza, incarica ciascun cavaliere di recarsi presso la propria gente e di reclutare per la guerra tutti gli uomini che erano in età da portare alle armi. Ricorda loro quanto gli devono, li scongiura di pensare alla sua salvezza e di non consegnarlo ai nemici, per morire tra le torture, dopo che si era tanto adoperato per la comune libertà. Fa notare loro che, se trascureranno l’incarico, ottantamila uomini scelti periranno con lui. A conti fatti gli rimaneva frumento per trenta giorni, o poco più, se si fosse fatta economia. Affidato loro questo messaggio, fa partire la cavalleria, in silenzio, alla seconda veglia, attraverso un passaggio ancora sguarnito delle nostre linee. Ordina di consegnare tutto il frumento, decreta la pena di morte per chi non obbedirà; distribuisce a ciascun uomo una parte del bestiame portato in grande quantità dai Mandubi, stabilisce di razionare il frumento distribuendolo in piccole quantità e poco alla volta. Ritira nella città tutte le truppe che aveva collocato presso le mura. Dopo aver preso queste misure, si prepara ad aspettare i rinforzi che sarebbero venuti dalla Gallia, per poi riprendere la guerra. |
157 | Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur autexcidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis,quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit.Et si volueris attendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vitaaliud agentibus. Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, quiintellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iampraeterît; quidquid aetatis retro est mors tenet.Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omneshoras complectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris.Dum differturvita transcurrit. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est; in huius rei unius fugacis aclubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortaliumest ut quae minima et vilissima sunt, certe reparabilia, imputari sibi cum impetravere patiantur,nemo se iudicet quicquam debere qui tempus accepit, cum interim hoc unum est quod ne gratusquidem potest reddere. | Fai così, mio Lucilio: Rivendica a te stesso la proprietà di te stesso e ogni cammino verso la sapienza inizia con la riappropriazione di se per raggiungere l”AUTARKEIA” (dominare e bastare a se stessi senza dipendere dagli altri, pensare solo al sommo bene), controllare il proprio tempo. Tutti perdono tempo e lo considerano una res vilissima (cosa di nessun valore).Sono presenti esortazioni al corretto uso e alla valutazione del nostro tempo. Il tono è affettuoso e quasi rassicurante. C’è il modello analogico (immagine del tempo denaro). Ricorso a molte SENTENTIAE che esprimono principi filosofici importanti.Questo brano fa parte della raccolta di lettere in cui Seneca affronta i temi fondamentali della filosofia stoica (il tempo, la morte, la vita condotta secondo ragione, la virtù, l’amicizia, il tema religioso, la libertà, la folla, la schiavitù).In questo brano Seneca esorta Lucilio a custodire il tempo e a non sprecarlo perché la più vergognosa di tutte le perdite è la perdita di tempo che avviene per negligenza. Sbagliamo nel guardare la morte lontano avanti a noi perché gran parte è già alle nostre spalle. Esorta Lucilio ad allungare la mano sull’oggi per non dover guardare al domani poiché il tempo è soggettivo. Così ci presenta la metafora della spesa: Seneca non può dire che non spreca nulla ma può dire cosa, quanto e come spende: troppo tardi risparmiare quando ormai si è al fondo in cui resta anche la parte peggiore. |
289 | Verani, omnibus e meis amicisantistans mihi milibus trecentis,venistine domom ad tuos penatesfratresque unanimos anumque matrem?Venisit. O mihi nuntii beati!Visam te incolumem audiamque Hiberumnarrantem loca, facta, nationes,ut mos est tuus applicansque collumiucundum os oculosque suaviabor?O quantum est hominum beatiorem,quid me laetius est beatiusvne? | Veranio, primo per me fra tutti i miei trecento mila amici (altra interpretazione: "che fra tutti i miei amici per me sei avanti di trecento miglia"), sei tornato a casa dai tuoi Penati e dai fratelli unanimi (nell'affetto per te) e dalla vecchia madre. O notizia per me felice! Ti verrò a vedere incolume, e (ti) sentirò mentre parli dei paesi, delle imprese, dei popoli della spagna, come è tuo solito, e avvicinando a me il tuo collo ti bacerò il viso giocondo e gli occhi. Voi tutti uomini che siete felici, chi fra gli uomini è più felice di me? |
250 | Chommoda dicebat, si quando commoda velletdicere, et insidias Arrius hinsidias,et tum mirifice sperabat se esse locutum,cum quantum poterat dixerat hinsidias.Credo, sic mater, sic liber avunculus eius,sic maternus avus dixerat atque avia.Hoc misso in Syriam requierant omnibus aures:audibant eadem haec leniter et leviter,nec sibi postilla metuebant talia verba,cum subito affertur nuntius horribilis:Ionios fluctus, postquam illuc Arrius isset,iam non Ionios esse sed Hionios. | Arrio, quando voleva dire commoda e insidiae,pronunciava chommoda e hinsidiae,e si illudeva di aver fatto colpoquanto più aveva aspirato l'acca di hinsidiae.Credo che così parlasse sua madre, così lo zio materno, che era stato schiavo,così il nonno e la nonna materni.Quando Arrio fu inviato nella Siria, le orecchie di tutti, più non furono infastidite:ascoltavano quelle stesse parole pronunciate senza aspirazione e senza sforzo,e non le temevano più per l'avvenire,quand'ecco giunge un'orripilante notizia:i flutti del mar Ionio, dopo che Arrio li aveva attraversati,non erano più lenii, ma Hionii. |
61 | Pendere ad lanium quidam vidit simiuminter relicuas merces atque opsonia;quaesivit quidnam saperet. Tum lanius iocans«Quale» inquit «caput est, talis praestatur sapor.»Ridicule magis hoc dictum quam vere aestimo;quando et formosos saepe inveni pessimos,et turpi facie multos cognovi optimos. | Un tipo vide dal macellaio una scimmia appesatra merci varie e generi commestibili edomandò di che cosa sapesse. E il macellaio scherzando:«Come è la testa» rispose «così si presta il sapore».Ritengo questo discorso più ridicolo che vero;ho trovato spesso belli i pessimi; mentre ho scopertoottima molta gente dal turpe aspetto. |
383 | Eodem Brutus contendit aucto navium numero. Nam ad eas, quae factae erant Arelate per Caesarem, captivae Massiliensium accesserant sex. Has superioribus diebus refecerat atque omnibus rebus instruxerat. Itaque suos cohortatus, quos integros superarissent ut victos contemnerent, plenus spei bonae atque animi adversus eos proficiscitur. Facile erat ex castris C. Trebonii atque omnibus superioribus locis prospicere in urbem, ut omnis iuventus, quae in oppido remanserat, omnesque superioris aetatis cum liberis atque uxoribus ex publicis locis custodiisque aut e muro ad caelum manus tenderent, aut templa deorum immortalium adirent et ante simulacra proiecti victoriam ab diis exposcerent.Neque erat quisquam omnium, quin in eius diei casu suarum omnium fortunarum eventum consistere existimaret. Nam et honesti ex iuventute et cuiusque aetatis amplissimi nominatim evocati atque obsecrati naves conscenderant ut, si quid adversi accidisset, ne ad conandum quidem sibi quicquam reliqui fore viderent; si superavissent, vel domesticis opibus vel externis auxiliis de salute urbis confiderent. | Verso il medesimo luogo si dirige Bruto, dopo avere incrementato il numero delle navi. Infatti a quelle costruite ad Arles per ordine di Cesare aveva aggiunto le sei navi prese ai Marsigliesi. E così esorta i suoi a disprezzare da vinti quei nemici che avevano debellato quando erano intatti nelle forze e, pieno di buona speranza e di coraggio, muove contro di loro. Era facile dall'accampamento di Trebonio e da tutte le alture vedere dentro la città tutta la gioventù che era ivi rimasta e tutti gli anziani con i figli e le mogli nei luoghi pubblici, nei posti di guardia e sulle mura tendere le mani al cielo o andare nei templi degli dèi immortali e, prostrati davanti alle statue, chiedere loro la vittoria. E fra tutti non vi era nessuno che non pensasse che il destino di tutti loro dipendeva dall'esito di quella giornata. E infatti i giovani di nobile nascita e i più ragguardevoli cittadini di ogni età, chiamati nominatamente e pregati di imbarcarsi, erano saliti sulle navi; sapevano bene che, se accadeva qualche disgrazia, non rimaneva loro nulla da tentare; se invece risultavano vincitori, confidavano nella salvezza della città grazie alle loro forze o ad aiuti esterni. |
234 | Quum essem in provincia legatus, quamplures ad praetores et consules vinum honorarium dabant: numquam accepi, ne privatus quidem. | Quando ricoprivo l'incarico di luogotenente nella provincia, sebbene molti offrissero del vino, a titolo d'onore, ai pretori e ai consoli, io non l'accettai mai, neppure come privato cittadino. |
943 | Huius Hercyniae silvae, quae supra demonstrata est, latitudo novem dierum iter expedito patet: non enim aliter finiri potest, neque mensuras itinerum noverunt. Oritur ab Helvetiorum et Nemetum et Rauracorum finibus rectaque fluminis Danubi regione pertinet ad fines Dacorum et Anartium; hinc se flectit sinistrorsus diversis ab flumine regionibus multarumque gentium fines propter magnitudinem adtingit; neque quisquam est huius Germaniae, qui se aut adisse ad initium eius silvae dicat, cum dierum iter LX processerit, aut, quo ex loco oriatur, acceperit: multaque in ea genera ferarum nasci constat, quae reliquis in locis visa non sint; ex quibus quae maxime differant ab ceteris et memoriae prodenda videantur haec sunt. | Di questa Selva Ercinia, di cui si è parlato poco sopra, la larghezza si estende per nove giorni di cammino, per uno che viaggi senza bagagli ; infatti non si può delimitarla diversamente, e non conoscono misure di lunghezza. Comincia dal paese degli Elvezi e dei Nemeti e dei Rauraci e in direzione parallela al fiume Danubio si estende fino al paese dei Daci e degli Anarti; da qui si volge a sinistra dalle regioni divergenti dal fiume e per la (sua) estensione tocca le terre di molti popoli; e non c'è nessuno di questa Germania che dica o di essere arrivato all'estremità di quella selva, sebbene abbia camminato per sessanta giorni, e abbia saputo da quale luogo ha origine; e si sa che in essa nascono mote specie di animali che non si viste in altri luoghi; ed ecco quelli che fra questi differiscono di più dagli altri e sembrano più degni di passare alla memoria. |
170 | Mendacium neque dicebat neque pati poterat. Itaque eius comitas non sine severitate erat neque gravitas sine facilitate, ut difficile esset intellectu, utrum eum amici magis vererentur an amarent. Quidquid rogabatur, religiose promittebat, quod non liberalis, sed levis arbitrabatur polliceri, quod praestare non posset. Idem in nitendo, quod semel annuisset, tanta erat cura, ut non mandatam, sed suam rem videretur agere. Numquam suscepti negotii eum pertaesum est: suam enim existimationem in ea re agi putabat; qua nihil habebat carius.Quo fiebat, ut omnia Ciceronum, Catonis Marci, Q. Hortensii, Auli Torquati, multorum praeterea equitum Romanorum negotia procuraret. Ex quo iudicari poterat non inertia, sed iudicio fugisse rei publicae procurationem. | La bugia nè la diceva,nè la poteva soffrire.La sua piacevolezza non era senza severità, nè la sua gravità senza affabilità; talmente che era difficile cosa il discernere se gli amici gli portassero piu rispetto o amore. Qualora veniva richiesto di qualche cosa,prometteva con gran riguardo, perchè stimava essere cosa non da liberale ma da leggero il promettere ciò che non si poteva mantenere.Nel procurare l'esito di cio in cui si fosse una volta impegnato adoperava tanta sollecitudine, che sembrava che facesse non gli altri interessi, ma i propri. Non si ritirò mia da un affare intrapreso: era del parere che in quello consisteva la sua reputazione, di cui non aveva cosa piu cara. Quindi avveniva che maneggiasse tutti gli affari di Marco e di Quinto Cicerone, di Catone, di Mario, di Q.Ortensio, di Aulo Torquato e di molti altri cavalieri romani.Dal che si poteva giudicare che non per dappocaggine ma a ragione si era ritirato dall'amministrazione pubblica. |
656 | Septimo oppugnationis die maximo coorto vento ferventes fusili ex argilla glandes fundis et fervefacta iacula in casas, quae more Gallico stramentis erant tectae, iacere coeperunt. Hae celeriter ignem comprehenderunt et venti magnitudine in omnem locum castrorum distulerunt. Hostes maximo clamore sicuti parta iam atque explorata victoria turres testudinesque agere et scalis vallum ascendere coeperunt. At tanta militum virtus atque ea praesentia animi fuit, ut, cum undique flamma torrerentur maximaque telorum multitudine premerentur suaque omnia impedimenta atque omnes fortunas conflagrare intellegerent, non modo demigrandi causa de vallo decederet nemo, sed paene ne respiceret quidem quisquam, ac tum omnes acerrime fortissimeque pugnarent.Hic dies nostris longe gravissimus fuit; sed tamen hunc habuit eventum, ut eo die maximus numerus hostium vulneraretur atque interficeretur, ut se sub ipso vallo constipaverant recessumque primis ultimi non dabant. Paulum quidem intermissa flamma et quodam loco turri adacta et contingente vallum tertiae cohortis centuriones ex eo, quo stabant, loco recesserunt suosque omnes removerunt, nutu vocibusque hostes, si introire vellent, vocare coeperunt; quorum progredi ausus est nemo. Tum ex omni parte lapidibus coniectis deturbati, turrisque succensa est. | Il settimo giorno d'assedio si levò un vento fortissimo: i nemici iniziarono a scagliare proiettili roventi d'argilla incandescente e frecce infuocate contro le capanne che, secondo l'uso gallico, avevano il tetto ricoperto di paglia. I tetti presero subito fuoco e, per la violenza delle raffiche, le fiamme si diffusero in ogni punto del campo. I nemici, tra alte grida, come se avessero già la vittoria in pugno, cominciarono a spingere in avanti le torri e le testuggini, a tentar di salire sul nostro vallo con scale. I nostri, nonostante il calore sprigionato ovunque dalle fiamme e il nugolo di dardi che pioveva su di loro e sebbene si rendessero conto che tutti i bagagli e ogni loro bene era perduto, diedero una tal prova di valore e presenza di spirito, che nessuno si mosse e abbandonò il vallo in fuga, anzi, non girarono neanche le teste: tutti si batterono con estrema tenacia e straordinario coraggio. Per i nostri fu il giorno più duro in assoluto, ma col risultato che, proprio in esso, i nemici subirono il maggior numero di perdite, tra morti e feriti, perché si erano ammassati proprio ai piedi del vallo e gli ultimi impedivano ai primi la ritirata. Le fiamme erano un po' calate e, in una zona, una torre nemica era stata spinta contro il vallo; i centurioni della terza coorte ripiegarono dal settore in cui si trovavano e ordinarono a tutti i loro di retrocedere, poi con cenni e grida cominciarono a chiamare il nemico, sfidandolo a entrare: nessuno osò farsi avanti. Allora i nostri, da ogni parte, scagliarono pietre e i Galli vennero dispersi; la torre fu incendiata. |
23 | Milo Crotoniensis, athleta inlustris, quem in chronicis scriptum est Olympiade LXII primum coronatum esse, exitum habuit e vita miserandum et mirandum. Cum iam natu grandis artem athleticam desisset iterque faceret forte solus in locis Italiae silvestribus, quercum vidit proxime viam patulis in parte media rimis hiantem. Tum experiri, credo, etiam tunc volens, an ullae sibi reliquae vires adessent, inmissis in cavernas arboris digitis diducere et rescindere quercum conatus est.Ac mediam quidem partem discidit divellitque; quercus autem in duas diducta partis, cum ille quasi perfecto, quod erat conixus, manus laxasset, cessante vi rediit in naturam manibusque eius retentis inclusisque stricta denuo et cohaesa dilacerandum hominem feris praebuit. [...] | Milone di Crotone, celebre atleta, di cui è scritto che fu incoronato vincitore nella 62ª olimpiade, ebbe dei risultati da una vita deplorevole e meravigliosa. Dopo che aveva rinunciato alla propria arte atletica per l'età già avanzata, mentre camminava per caso solo in regioni boscose d'Italia, vide una quercia vicinissima ad una strada, di cui i rami si aprivano nella parte centrale. Allora volle mettere alla prova le sue forze, introdusse le dita nelle fenditure dell'albero e tentò di dividere e rompere la quercia. E senza dubbio ruppe e svelse la parte centrale, poi aveva diviso la quercia in due parti, e con quella mano allargò. Pertanto, poiché la forza si era arrestata, la quercia ritornò alla conformazione naturale, ma trattenne e chiuse dentro le mani di lui e, unita nuovamente, mostrò agli animali il misero uomo e quelli lo lacerarono. [...] |
635 | Insequenti nocte Fabius equites praemittit sic paratos ut confligerent atque omne agmen morarentur, dum consequeretur ipse. Cuius praeceptis ut res gereretur, Quintus Atius Varus, praefectus equitum, singularis et animi et prudentiae vir, suos hortatur agmenque hostium consecutus turmas partim idoneis locis disponit, parte equitum proelium committit. Confligit audacius equitatus hostium succedentibus sibi peditibus, qui toto agmine subsistentes equitibus suis contra nostros ferunt auxilium.Fit proelium acri certamine. Namque nostri contemptis pridie superatis hostibus, cum subsequi legiones meminissent, et pudore cedendi et cupiditate per se conficiendi proeli fortissime contra pedites proeliantur, hostesque nihil amplius copiarum accessurum credentes, ut pridie cognoverant, delendi equitatus nostri nacti occasionem videbantur. | La notte successiva Fabio manda in avanscoperta i cavalieri, pronti allo scontro e a ritardare la marcia di tutto l'esercito nemico fino all'arrivo di Fabio stesso. Perché le cose procedessero secondo gli ordini, Q. Azio Varo, prefetto della cavalleria, uomo di straordinario coraggio e senno, sprona i suoi e, dopo aver inseguito le schiere nemiche, dispone una parte degli squadroni in zone favorevoli, mentre con il resto attacca battaglia. La cavalleria nemica si batte con particolare audacia, perché a essa subentravano i fanti, che, piazzatisi lungo tutta la colonna, recavano aiuto ai propri cavalieri contro i nostri. Si accende un'aspra battaglia. I nostri, infatti, disprezzavano i nemici già sconfitti il giorno precedente e, ben sapendo che le legioni erano in arrivo, combattevano contro i fanti con straordinario ardore, sia per la vergogna di un'eventuale ritirata, sia per il desiderio di risolvere da soli la battaglia; i nemici, dal canto loro, in base all'esperienza del giorno precedente, credevano che non sarebbero giunte altre truppe romane e pensavano di avere trovato l'occasione per annientare la nostra cavalleria. |
538 | Hic subitam commutationem fortunae videre licuit. Qui modo sibi timuerant, hos tutissimus portus recipiebat; qui nostris navibus periculum intulerant, de suo timere cogebantur. Itaque tempore commutato tempestas et nostros texit et naves Rhodias afflixit, ita ut ad unam omnes, constratae numero XVI, eliderentur et naufragio interirent, et ex magno remigum propugnatorumque numero pars ad scopulos allisa interficeretur, pars ab nostris detraheretur; quos omnes conservatos Caesar domum dimisit. | Fu possibile allora vedere un improvviso capovolgimento della Fortuna. Coloro che poco prima avevano temuto per la propria salvezza, erano accolti in un porto sicurissimo; quelli che avevano messo in pericolo le nostre navi erano costretti a temere per la propria salvezza. E così, mutata la situazione, la tempesta protesse i nostri e si abbatté contro le navi rodie: tutte e sedici le navi coperte, dalla prima all'ultima, vengono distrutte e affondate e del gran numero di rematori e combattenti una parte, sbattuta contro gli scogli, rimane uccisa, una parte viene tratta in salvo dai nostri. Cesare a tutti risparmiò la vita e li mandò a casa. |
753 | Eodem tempore equites nostri levisque armaturae pedites, qui cum iis una fuerant, quos primo hostium impetu pulsos dixeram, cum se in castra reciperent, adversis hostibus occurrebant ac rursus aliam in partem fugam petebant; et calones, qui ab decumana porta ac summo iugo collis nostros victores flumen transire conspexerant, praedandi causa egressi, cum respexissent et hostes in nostris castris versari vidissent, praecipites fugae sese mandabant.Simul eorum qui cum impedimentis veniebant clamor fremitusque oriebatur, aliique aliam in partem perterriti ferebantur. Quibus omnibus rebus permoti equites Treveri, quorum inter Gallos virtutis opinio est singularis, qui auxilii causa a civitate missi ad Caesarem venerant, cum multitudine hostium castra [nostra] compleri, legiones premi et paene circumventas teneri, calones, equites, funditores, Numidas diversos dissipatosque in omnes partes fugere vidissent, desperatis nostris rebus domum contenderunt: Romanos pulsos superatosque, castris impedimentisque eorum hostes potitos civitati renuntiaverunt. | In quel mentre, rientravano nell'accampamento i nostri cavalieri e i fanti armati alla leggera, che a essi si erano affiancati (entrambi erano stati messi in fuga, come avevamo detto, al primo assalto dei Nervi). Trovandosi di fronte i nemici, si sbandarono di nuovo, in un'altra direzione. I caloni, invece, che dalla porta decumana e dalla sommità del colle avevano visto i nostri, vittoriosi, portarsi oltre il fiume, uscivano dall'accampamento per far bottino, ma, dopo essersi voltati e aver scorto i nemici nel nostro campo, scapparono precipitosamente. Nello stesso istante si levavano le grida e gli strepiti degli addetti alle salmerie: in preda al panico, si lanciarono dove capitava. Scossi da tale confusione, i cavalieri dei Treveri, che pure rispetto agli altri Galli godono di una fama di straordinario valore e che erano stati mandati dal loro popolo a Cesare come rinforzo, quando videro il campo romano pieno di nemici, le legioni pressate da vicino e quasi circondate, i caloni, i cavalieri, i frombolieri e i Numidi dispersi in fuga disordinata, si diressero in patria, convinti che la nostra situazione fosse disperata; al loro popolo annunciarono che i Romani erano stati sconfitti e debellati e che i nemici si erano impossessati dell'accampamento e delle salmerie. |
210 | Nunc ad propositum revertamur. Sapiens etiam si contentus est se, tamen habere amicum vult, si nihil aliud, ut exerceat amicitiam, ne tam magna virtus iaceat; non ad hoc, quod dicebat Epicurus in hac isa epistula, “ut habeat, qui sibi aegro adsideat, succurrat in vincula coniecto vel inopi”, sed ut habeat aliquem cui ipse aegro adsideat, quem ipse circumventum hostili custodia liberet. Qui se spectat et propter hoc ad amicitiam venit, male cogitat.Quemadmodum coepit, sic desinet. Paravit amicum adversum vincula laturum opem: cum primum crepuerit catena, discedet. Hae sunt amicitiae, quas temporarias populous appellat: qui utilitatis causa assumptus est, tamdiu placebit, quamdiu utilis fuerit. Hac re florentes amicorum turba circumsedet; circa eversos solitude est, et inde amici fugiunt, ubi probantur. Hac re ista tot nefaria exempla sunt aliorum metu relinquentium, aliorum metu prodentium. Necesse est initia inter se et exitus congruant. Qui amicus esse coepit, quia expedit, <desinet etiam quia expedit>: placebit aliquod pretium contra amicitiam, si ullum in illa placet praeter ipsam. In quid amicum paro? Ut habeam pro quo mori possim, ut habeam quem in exilium sequar, cuius me morti et obponam et impendam: ista, quam tu describis, negotiatio est, non amicitia, quae ad commodum accedit, quae, quid consecutura sit, spectat. Non dubie habet aliquid simile amicitiae affectus amantium. Possis dicere illam esse insanam amicitiam: numquid ergo quisquam amat lucri causa? Numquid ambitionis aut gloriae? Ipse per se amor omnium aliarum rerum neglegens animos in cupiditatem formae non sine spe mutuae caritatis accendit. Quid ergo? Ex honestiore causa coit turpis affectus? “Non agitur, inquis, nunc de hoc, an amicitia propter se ipsam adpetenda sit.” Immo vero nihil magis probandum est: nam si propter se ipsam expetenda est, potest ad illam accedere, qui se ipso contentus est. “Quomodo ergo ad illam accedit?” Quomodo ad rem pulcherrimam, non lucro captus nec varietate fortunae perterritus. Detrahit amicitiae maiestatem suam, qui illam parat ad bonos casus. | Adesso torniamo all’argomento. Il saggio anche se basta a se stesso, tuttavia vuole avere un amico, se nient’altro, per esercitare l’amicizia, affinchè non resti inerte una virtù tanto grande; non per questo fine, che diceva Epicuro in questa stessa lettera, “affinchè abbia colui che lo assista da malato, gli venga in aiuto fatto prigioniero o bisognoso”, ma affinchè abbia qualcuno da assistere malato lui stesso, che liberi lui stesso, imprigionato da una custodia ostile. Colui che pensa a sé e fa amicizia a causa di questo, pensa male. Come ha cominciato, così finirà. Si è procurato un amico che porterà aiuto contro il carcere: non appena avrà fatto rumore la catena, lo abbandonerà. Queste sono le amicizie, che il popolo chiama opportunistiche: colui che è preso (come amico) per utilità piacerà tanto a lungo quanto sarà utile. Per questa ragione una folla di amici circonda a coloro che sono in auge; intorno ai falliti c’è il deserto, e gli amici fuggono da lì dove sono messi alla prova. Per questo motivo codesti sono esempi tanto funesti degli uni che abbandonano per timore, degli altri che per timore tradiscono. E’ inevitabile che gli inizi e le fini siano coerenti fra loro. Colui che comincia ad essere amico, poiché è conveniente <terminerà anche perché è conveniente>: piacerà qualche vantaggio contro l’amicizia se in quella piace qualche (vantaggio) al di là di essa stessa. Per quale fine ti procuri un amico? Affinchè io abbia qualcuno per cui io possa morire, affinchè abbia chi seguire in esilio, alla cui morte io mi opponga ed impedisca: codesta che tu descrivi, è una compravendita, non amicizia, che mira all’interesse, che pensa a quale utile conseguirà. Certo, l’affetto degli amanti ha qualcosa di simile all’amicizia. Potrei dire che quella è un’amicizia morbosa: forse che, dunque, qualcuno ama per guadagno? Per ambizione o gloria? L’amore stesso, per sua natura, trascurando tutte le altre cose, accende gli animi di un desiderio di bellezza non senza una speranza di mutuo affetto. Che cosa dunque? Un affetto turpe deriva da una causa più nobile? “Non si tratta di questo” dici “adesso, se l'amicizia si debba desiderare per se stessa.” Anzi, niente dobbiamo dimostrare di più: infatti se bisogna desiderarla per se stessa, può raagggiungerla colui che basta a se stesso. “Non si tratta di questo” dici “adesso, se l'amicizia si debba desiderare per se stessa.” Anzi, niente dobbiamo dimostrare di più: infatti se bisogna desiderarla per se stessa, può raagggiungerla colui che basta a se stesso. |
977 | His rebus in Italiam Caesari nuntiatis, cum iam ille urbanas res virtute Cn. Pompei commodiorem in statum pervenisse intellegeret, in Transalpinam Galliam profectus est. Eo cum venisset, magna difficultate adficiebatur, qua ratione ad exercitum pervenire posset. Nam si legiones in provinciam arcesseret, se absente in itinere proelio dimicaturas intellegebat; si ipse ad exercitum contenderet, ne eis quidem eo tempore qui quieti viderentur suam salutem recte committi videbat. | Quando in Italia gli giunse notizia dell'accaduto, Cesare, rendendosi conto che a Roma le cose si erano accomodate grazie alla fermezza di Cn. Pompeo, partì per la Gallia transalpina. Appena arrivato, si trovò in grave difficoltà, perché non sapeva come raggiungere l'esercito. Infatti, se avesse richiamato le legioni in provincia, capiva che durante la marcia avrebbero dovuto combattere senza di lui; se invece, si fosse diretto egli stesso verso l'esercito, sapeva di non poter affidare senza rischi la propria vita, in quel frangente, neppure ai popoli che sembravano tranquilli. |
79 | cui dono lepidum nouum libellumarida modo pumice expolitum.Corneli tibi namque tu solebasmeas esse aliquid putare nugasiam tum cum ausus es unus Italorumomne aeuum tribus explicare cartisdoctis Iuppiter et laboriosis.quare habe tibi quidquid hoc libelliqualecumque quidem est. patroni et ergoplus uno maneat perenne saeclo. | Dedicarlo a chi questo libretto, moderno passatempo,che scabra pietra pomice ha terminato or ora di rasare ai bordi?Ma a tè, Cornelio! Proprio tu andavi ripetendoche le mie poesiole valevano qualcosa,fin dal giorno in cui arditamente hai affrontato, unico fra gli Itali,la storia universale in tré volumi,eruditi - per Giove! - e travagliati.Di conseguenza accetta il modesto libretto,anche se vale poco, esso possa vivere, o vergine dea che mi proteggi,di anno in anno, ben oltre la mia generazione. |
841 | Segni Condrusique, ex gente et numero Germanorum, qui sunt inter Eburones Treverosque, legatos ad Caesarem miserunt oratum, ne se in hostium numero duceret neve omnium Germanorum, qui essent citra Rhenum, unam esse causam iudicaret: nihil se de bello cogitavisse, nulla Ambiorigi auxilia misisse. Caesar explorata re quaestione captivorum, si qui ad eos Eburones ex fuga convenissent, ad se ut reducerentur, imperavit; si ita fecissent, fines eorum se violaturum negavit.Tum copiis in tres partes distributis impedimenta omnium legionum Aduatucam contulit. Id castelli nomen est. Hoc fere est in mediis Eburonum finibus, ubi Titurius atque Aurunculeius hiemandi causa consederant. Hunc cum reliquis rebus locum probabat, tum quod superioris anni munitiones integrae manebant, ut militum laborem sublevaret. Praesidio impedimentis legionem quartamdecimam reliquit, unam ex eis tribus, quas proxime conscriptas ex Italia traduxerat. Ei legioni castrisque Quintum Tullium Ciceronem praeficit ducentosque equites attribuit. | I Segni e i Condrusi, popoli di stirpe germanica e tali ritenuti, che abitano tra gli Eburoni e i Treveri, mandarono a Cesare un'ambasceria per pregarlo di non considerarli nemici e di non credere che tutti i Germani stanziati al di qua del Reno avessero fatto causa comune: essi non avevano pensato alla guerra, né inviato ad Ambiorige rinforzi. Cesare, accertato come stavano le cose interrogando i prigionieri, comandò ai Segni e ai Condrusi di ricondurgli eventuali fuggiaschi degli Eburoni giunti nelle loro terre; se avessero eseguito l'ordine, non avrebbe violato i loro territori. Quindi, divise in tre corpi le sue truppe e ammassò le salmerie di tutte le legioni ad Atuatuca. È il nome di una fortezza che si trova circa al centro dei territori degli Eburoni, dove Titurio e Aurunculeio avevano posto i quartieri d'inverno. Tra gli altri motivi, Cesare approvava la scelta del luogo soprattutto perché erano ancora intatte le fortificazioni dell'anno precedente, così avrebbe risparmiato fatica ai soldati. A presidio delle salmerie lasciò la quattordicesima legione, una delle tre che, arruolate di recente, aveva condotto dall'Italia. Affidò il comando della legione e del campo a Q. Tullio Cicerone, assegnandogli duecento cavalieri. |
726 | Quanto erat in dies gravior atque asperior oppugnatio, et maxime quod magna parte militum confecta vulneribus res ad paucitatem defensorum pervenerat, tanto crebriores litterae nuntiique ad Caesarem mittebantur; quorum pars deprehensa in conspectu nostrorum militum cum cruciatu necabatur. Erat unus intus Nervius nomine Vertico, loco natus honesto, qui a prima obsidione ad Ciceronem perfugerat suamque ei fidem praestiterat. Hic servo spe libertatis magnisque persuadet praemiis, ut litteras ad Caesarem deferat.Has ille in iaculo illigatas effert et Gallus inter Gallos sine ulla suspicione versatus ad Caesarem pervenit. Ab eo de periculis Ciceronis legionisque cognoscitur. | Quanto più l'assedio diventava, di giorno in giorno, duro e insostenibile (soprattutto perché la maggior parte dei soldati era ferita e il numero dei difensori si era ridotto a ben poca cosa), tanto più di frequente venivano inviate lettere e messi a Cesare: alcuni di loro, catturati, vennero uccisi tra i supplizi al cospetto dei nostri soldati. Nell'accampamento c'era un Nervio, di nome Verticone, persona di nobili natali: fin dall'inizio dell'assedio era passato dalla parte di Cicerone e gli aveva giurato fedeltà assoluta. Verticone persuade un suo servo a portare una lettera a Cesare e gli promette la libertà e grosse ricompense. Costui porta fuori dal campo la lettera legata al suo giavellotto: Gallo, tra Galli, si muove senza destare alcun sospetto e raggiunge Cesare, informandolo dei pericoli che incombono su Cicerone e la sua legione. |
905 | Civitatibus maxima laus est quam latissime circum se vastatis finibus solitudines habere. Hoc proprium virtutis existimant, expulsos agris finitimos cedere, neque quemquam prope audere consistere; simul hoc se fore tutiores arbitrantur repentinae incursionis timore sublato. Cum bellum civitas aut illa tum defendit aut infert, magistratus, qui ei bello praesint, ut vitae necisque habeant potestatem, deliguntur. In pace nullus est communis magistratus, sed principes regionum atque pagorum inter suos ius dicunt controversiasque minuunt.Latrocinia nullam habent infamiam, quae extra fines cuiusque civitatis fiunt, atque ea iuventutis exercendae ac desidiae minuendae causa fieri praedicant. Atque ubi quis ex principibus in concilio dixit se ducem fore, qui sequi velint, profiteantur, consurgunt ei qui et causam et hominem probant suumque auxilium pollicentur atque ab multitudine collaudantur: qui ex his secuti non sunt, in desertorum ac proditorum numero ducuntur, omniumque his rerum postea fides derogatur. Hospitem violare fas non putant; qui quacumque de causa ad eos venerunt, ab iniuria prohibent, sanctos habent, hisque omnium domus patent victusque communicatur. | 1. Il vanto maggiore è avere intorno a se zone deserte, il più estesamente possibile, essendo stati devastati i luoghi circostanti. 2. Ritengono questa cosa segno di valore che quelli scacciati dai campi confinanti se ne vadano e che nessuno osi trattenersi nelle vicinanze. 3. Contemporaneamente con ciò ritengono che saranno più sicuri, essendo stato eliminato il timore di un assalto improvviso. 4. Quando una cittadinanza o respinge una guerra portata (contro di se) o la muove (la scaglia), sono eletti magistrati che siano a capo a quella guerra in modo tale che abbiano potere di vita e di morte. 5. In pace non c’è nessuna magistratura unica per tutti, ma i capi delle regioni e dei villaggi amministrano la giustizia tra i loro e risolvono (diminuiscono) le controversie. 6. Le razzie che accadono fuori dai confini di ciascuna tribù non hanno alcuna infamia, anzi, affermano che quelle sono fatte per esercitare i giovani e per diminuire la pigrizia. 7. E quando qualcuno tra i capi disse in assemblea che sarebbe stato capo (di una razzia), coloro che vogliano (eventualmente) seguire (lui), lo dicano, si alzano coloro che approvano sia l’idea sia l’uomo (il capo) e promettono il proprio aiuto e sono lodati dalla moltitudine; 8. coloro che tra questi non l’hanno seguito (dopo averlo promesso), sono giudicati nel numero dei disertori e traditori, e la fiducia di tutte le cose in seguito è negata a loro. 9. Ritengono un sacrilegio violare l’ospite; coloro che per qualsiasi motivo giungono (vennero) da loro, li difendono dalle offese e li ritengono sacri, e le case di tutti sono aperte a loro e il cibo è condiviso con loro. |
213 | Hic ego etsi eram perterritus non tam mortis metu quam insidiarum a meis, quaesivi tamen viveretne ipse et Paulus pater et alii quos nos exstinctos arbitraremur.”Immo vero” inquit “hi vivunt qui e corporum vinculis tamquam e carcere evolaverunt, vestra vero, quae dicitur vita, mors est. Quin tu aspicis ad te venientem Paulum patrem?”. Quem ut vidi, equidem vim lacrimarum profudi, ille autem me complexus atque osculans flere prohibebat. | A questo punto, sebbene fossi atterrito non tanto dal timore della morte, quanto dal timore delle insidie dei miei, chiesi tuttavia se egli fosse vivo e mio padre Paolo e gli altri che noi consideriamo morti. “Certo anzi” disse “proprio questi vivono, i quali si liberarono volando via dalle catene del corpo come da un carcere, mentre quella vostra che dite vita, è morte. Perché non guardi tu sesso se padre Paolo che viene verso di te?”. Non appena lo vidi, subito proruppi in un gran pianto, mentre egli, abbracciandomi e baciandomi, cercava di impedirmi di piangere. |
321 | Quibus rebus cognitis Caesar apud milites contionatur. Omnium temporum iniurias inimicorum in se commemorat; a quibus deductum ac depravatum Pompeium queritur invidia atque obtrectatione laudis suae, cuius ipse honori et dignitati semper faverit adiutorque fuerit. Novum in re publica introductum exemplum queritur, ut tribunicia intercessio armis notaretur atque opprimeretur, quae superioribus annis armis esset restituta. Sullam nudata omnibus rebus tribunicia potestate tamen intercessionem liberam reliquisse.Pompeium, qui amissa restituisse videatur, dona etiam, quae ante habuerint, ademisse. Quotienscumque sit decretum, darent operam magistratus, ne quid res publica detrimenti caperet (qua voce et quo senatus consulto populus Romanus ad arma sit vocatus), factum in perniciosis legibus, in vi tribunicia, in secessione populi templis locisque editioribus occupatis: atque haec superioris aetatis exempla expiata Saturnini atque Gracchorum casibus docet; quarum rerum illo tempore nihil factum, ne cogitatum quidem: nulla lex promulgata, non cum populo agi coeptum, nulla secessio facta. Hortatur, cuius imperatoris ductu VIIII annis rem publicam felicissime gesserint plurimaque proelia secunda fecerint, omnem Galliam Germaniamque pacaverint, ut eius existimationem dignitatemque ab inimicis defendant. Conclamant legionis XIII, quae aderat, milites--hanc enim initio tumultus evocaverat, reliquae nondum convenerant--sese paratos esse imperatoris sui tribunorumque plebis iniurias defendere. | Cesare, venuto a conoscenza di questi fatti, parla ai soldati. Rammenta gli affronti fattigli dagli avversari in ogni tempo; e si duole che Pompeo, per invidia e gelosia della sua gloria, sia stato da essi sedotto e corrotto, mentre egli stesso lo ha sempre aiutato nella carriera e ne è stato il sostenitore. Lamenta che è stato introdotto un precedente, insolito nello stato, cioè che il veto dei tribuni, che negli anni addietro era stato ristabilito con le armi, con le armi ora venga infamato e soffocato. Silla, pur avendo spogliato il potere dei tribuni di ogni forza, tuttavia aveva lasciato libero il veto; Pompeo, che sembra avere restituito i privilegi perduti, ha tolto anche quelli che i tribuni hanno avuto in passato. Ogniqualvolta si decretò che i magistrati provvedessero affinché lo stato non ricevesse alcun danno (e con questa formula e con questo decreto il popolo romano veniva chiamato alle armi), ciò fu fatto in caso di leggi perniciose, di azioni di forza dei tribuni, di sommosse popolari, con l'occupazione di templi e di posizioni dominanti; e rammenta che questi fatti del passato sono stati espiati con la morte di Saturnino e dei Gracchi. In quel tempo nulla di questo fu fatto e neppure pensato: non fu promulgata nessuna legge, non vi fu inizio di ricorso al popolo, non venne fatta alcuna sommossa. Esorta i soldati a difendere dagli avversari la reputazione e l'onore del comandante sotto la cui guida, durante nove anni, hanno servito fedelmente lo stato e combattuto moltissime battaglie con esito favorevole, hanno portato pace in tutta la Gallia e la Germania. Elevano un grido di approvazione i soldati della XIII legione che era presente (questa infatti egli aveva richiamato all'inizio del disordine, le altre invece non erano ancora giunte), proclamando di essere pronti a respingere le ingiurie arrecate al loro comandante e ai tribuni della plebe. |
876 | Sub vesperum consilio convocato cohortatus ut ea quae imperasset diligenter industrieque administrarent, naves, quas Metiosedo deduxerat, singulas equitibus Romanis attribuit, et prima confecta vigilia quattuor milia passuum secundo flumine silentio progredi ibique se exspectari iubet. Quinque cohortes, quas minime firmas ad dimicandum esse existimabat, castris praesidio relinquit; quinque eiusdem legionis reliquas de media nocte cum omnibus impedimentis adverso flumine magno tumultu proficisci imperat.Conquirit etiam lintres: has magno sonitu remorum incitatus in eandem partem mittit. Ipse post paulo silentio egressus cum tribus legionibus eum locum petit quo naves appelli iusserat. | Verso sera convoca il consiglio di guerra e incita a eseguire gli ordini con scrupolo e impegno. Ciascuna delle navi portate da Metlosedo viene affidata a un cavaliere romano. Li incarica di discendere in silenzio, dopo le nove di sera, il fiume per quattro miglia e di attendere lì il suo arrivo. Lascia a presidio dell'accampamento le cinque coorti che riteneva meno valide per il combattimento. Alle altre cinque della stessa legione comanda di partire con tutti i bagagli dopo mezzanotte e di risalire il corso del fiume con molto baccano. Si procura anche zattere: spinte a forza di remi con grande frastuono, le invia nella stessa direzione. Dal canto suo, poco dopo lascia in silenzio il campo alla testa di tre legioni e raggiunge il punto dove le navi dovevano approdare. |
657 | Prima luce et nostri omnes erant transportati, et hostium acies cernebatur. Labienus milites cohortatus ut suae pristinae virtutis et secundissimorum proeliorum retinerent memoriam atque ipsum Caesarem, cuius ductu saepe numero hostes superassent, praesentem adesse existimarent, dat signum proeli. Primo concursu ab dextro cornu, ubi septima legio constiterat, hostes pelluntur atque in fugam coniciuntur; ab sinistro, quem locum duodecima legio tenebat, cum primi ordines hostium transfixi telis concidissent, tamen acerrime reliqui resistebant, nec dabat suspicionem fugae quisquam.Ipse dux hostium Camulogenus suis aderat atque eos cohortabatur. Incerto nunc etiam exitu victoriae, cum septimae legionis tribunis esset nuntiatum quae in sinistro cornu gererentur, post tergum hostium legionem ostenderunt signaque intulerunt. Ne eo quidem tempore quisquam loco cessit, sed circumventi omnes interfectique sunt. Eandem fortunam tulit Camulogenus. At ei qui praesidio contra castra Labieni erant relicti, cum proelium commissum audissent, subsidio suis ierunt collemque ceperunt, neque nostrorum militum victorum impetum sustinere potuerunt. Sic cum suis fugientibus permixti, quos non silvae montesque texerunt, ab equitatu sunt interfecti. Hoc negotio confecto Labienus revertitur Agedincum, ubi impedimenta totius exercitus relicta erant: inde cum omnibus copiis ad Caesarem pervenit. | All'alba tutti i nostri avevano ormai varcato il fiume ed erano in vista della schiera nemica. Labieno esorta i soldati a ricordarsi dell'antico valore e delle loro grandissime vittorie, a far conto che fosse presente Cesare in persona, sotto la cui guida tante volte avevano battuto il nemico. Quindi, dà il segnale d'attacco. Al primo assalto, all'ala destra, dove era schierata la settima legione, il nemico viene respinto e costretto alla fuga; sulla sinistra, settore presidiato dalla dodicesima legione, le prime file dei Galli erano cadute sotto i colpi dei giavellotti, ma gli altri resistevano con estrema tenacia e nessuno dava segni di fuga. Il comandante nemico stesso, Camulogeno, stava al fianco dei suoi e li incoraggiava. E l'esito dello scontro era ancora incerto, quando ai tribuni militari della settima legione venne riferito come andavano le cose all'ala sinistra: la legione comparve alle spalle del nemico e si lanciò all'attacco. Nessuno dei Galli, neppure allora, abbandonò il proprio posto, ma tutti vennero circondati e uccisi. La stessa sorte toccò a Camulogeno. I soldati nemici rimasti come presidio di fronte al campo di Labieno, non appena seppero che si stava combattendo, mossero in aiuto dei loro e si attestarono su un colle, ma non riuscirono a resistere all'assalto dei nostri vittoriosi. Così, si unirono agli altri in fuga: chi non trovò riparo nelle selve o sui monti, venne massacrato dalla nostra cavalleria. Portata a termine l'impresa, Labieno rientra ad Agedinco, dove erano rimaste le salmerie di tutto l'esercito. Da qui, con tutte le truppe raggiunge Cesare. |
700 | Dum haec in conloquio geruntur, Caesari nuntiatum est equites Ariovisti propius tumulum accedere et ad nostros adequitare, lapides telaque in nostros coicere. Caesar loquendi finem fecit seque ad suos recepit suisque imperavit ne quod omnino telum in hostes reicerent. Nam etsi sine ullo periculo legionis delectae cum equitatu proelium fore videbat, tamen committendum non putabat ut, pulsis hostibus, dici posset eos ab se per fidem in conloquio circumventos.Postea quam in vulgus militum elatum est qua arrogantia in conloquio Ariovistus usus omni Gallia Romanis interdixisset, impetumque in nostros eius equites fecissent, eaque res conloquium ut diremisset, multo maior alacritas studiumque pugnandi maius exercitui iniectum est. | Mentre queste cose si trattavano nel colloquio, fu annunciato a Cesare che i cavalieri di Ariovisto avanzavano più vicino a monticello, e cavalcavano verso i nostri, gettavano contro i nostri sassi e armi. Cesare pone termine al parlare, e si ritirò dai suoi, e comandò ai suoi, che non riscagliassero affatto alcun dardo contro i nemici. Poiché, sebbene vedesse che il combattimento della legione scelta con la cavalleria sarebbe avvenuto senza alcun pericolo, tuttavia, riteneva che non si doveva rischiare che, dopoché i nemici fossero stati ributtati, potesse dirsi che essi erano stati sorpresi a tradimento da lui nel colloquio mediante l'affidamento. Dopo che fu divulgato alla moltitudine dei soldati, di quale arroganza avendo fatta prova Ariovisto nel colloquio, aveva vietato ai Romani tutta la Gallia, e che i suoi cavalieri avevano fatto impeto contro i nostri, e come una tale cosa avesse troncato il colloquio, un entusiasmo molto maggiore e maggior desiderio di combattere fu ispirato all'esercito. |
447 | Interim Lucterius Cadurcus in Rutenos missus eam civitatem Arvernis conciliat. Progressus in Nitiobriges et Gabalos ab utrisque obsides accipit et magna coacta manu in provinciam Narbonem versus eruptionem facere contendit. Qua re nuntiata Caesar omnibus consiliis antevertendum existimavit, ut Narbonem proficisceretur. Eo cum venisset, timentes confirmat, praesidia in Rutenis provincialibus, Volcis Arecomicis, Tolosatibus circumque Narbonem, quae loca hostibus erant finitima, constituit; partem copiarum ex provincia supplementumque, quod ex Italia adduxerat, in Helvios, qui fines Arvernorum contingunt, convenire iubet. | Nel frattempo, il cadurco Lucterio, inviato tra i Ruteni, li guadagna all'alleanza con gli Arverni. Procede nelle terre dei Nitiobrogi e dei Gabali, riceve ostaggi da entrambi i popoli e, raccolte ingenti truppe, tenta un'incursione in provincia, verso Narbona. Appena ne è informato, Cesare ritenne di dover subordinare qualsiasi piano alla partenza per Narbona. Una volta giunto, rassicura chi nutre timori, colloca guarnigioni nelle terre dei Ruteni provinciali, dei Volci Arecomici, dei Tolosati e tutt'intorno a Narbona, ossia nelle zone di confine col nemico. Ordina che parte delle truppe della provincia, insieme ai rinforzi da lui stesso condotti dall'Italia, si concentrino nella regione degli Elvi, popolo limitrofo agli Arverni. |
296 | Lugete, o Veneres Cupidinesque,et quantum est hominum venustiorum:passer mortuus est meae puellae,passer, deliciae meae puellae,quem plus illa oculis suis amabat.nam mellitus erat suamque noratipsam tam bene quam puella matrem,nec sese a gremio illius movebat,sed circumsiliens modo huc modo illucad solam dominam usque pipiabat.qui nunc it per iter tenebricosumilluc, unde negant redire quemquam.at vobis male sit, malae tenebraeOrci, quae omnia bella devoratis:tam bellum mihi passerem abstulistiso factum male! o miselle passer!tua nunc opera meae puellaeflendo turgiduli rubent ocelli. | Piangete, o Veneri e Amorini, quanto vi è di uomini dal cuore assai gentile. È morto il passero della mia fanciulla, il passero, delizia della mia fanciulla, che ella amava più dei propri occhi; infatti era tenero, e conosceva la sua padrona bene come la fanciulla (conosceva) la madre, e non si muoveva dal suo grembo, ma saltellando ora qua ora là fino alla padrona sempre pigolava. Esso ora va per il cammino tenebroso lì da dove negano a chiunque di ritornare. Ma siate maledette, malvage tenebre dell'Orco, che divorate tutto ciò che è grazioso; mi avete portato via un passero tanto grazioso. O disgrazia! O povero passerotto! Ora per colpa tua gli occhi della mia fanciulla sono rossi, gonfi di pianto. |
781 | Alterum genus est equitum. Hi, cum est usus atque aliquod bellum incidit (quod fere ante Caesaris adventum quotannis accidere solebat, uti aut ipsi iniurias inferrent aut illatas propulsarent), omnes in bello versantur, atque eorum ut quisque est genere copiisque amplissimus, ita plurimos circum se ambactos clientesque habet. Hanc unam gratiam potentiamque noverunt. | La seconda classe è quella dei cavalieri. Questi, quando c'è bisogno, o capita qualche guerra (cosa che soleva accadere quasi ogni anno, prima dell'arrivo di Cesare, o che portassero offesa, o le respingessero se ricevute) tutti prendono parte alla guerra e quanto sono più potenti per ricchezza o per stirpe, tanti più schiavi e clienti hanno attorno a se. Conoscono solo questa distinzione e potenza. |
18 | Historia de Papirio Praetextato dicta scriptaque est a M. Catone in oratione, qua usus est ad milites contra Galbam, cum multa quidem venustate atque luce atque munditia verborum. Ea Catonis verba huic prorsus commentario indidissem, si libri copia fuisset id temporis, cum haec dictavi. Quod si non virtutes dignitatesque verborum, sed rem ipsam scire quaeris, res ferme ad hunc modum est: mos antea senatoribus Romae fuit in curiam cum praetextatis filiis introire.Tum, cum in senatu res maior quaepiam consultata eaque in diem posterum prolata est, placuitque, ut eam rem, super qua tractavissent, ne quis enuntiaret, priusquam decreta esset, mater Papirii pueri, qui cum parente suo in curia fuerat, percontata est filium, quidnam in senatu patres egissent. Puer respondit tacendum esse neque id dici licere. Mulier fit audiendi cupidior; secretum rei et silentium pueri animum eius ad inquirendum everberat: quaerit igitur compressius violentiusque. Tum puer matre urgente lepidi atque festivi mendacii consilium capit. Actum in senatu dixit, utrum videretur utilius exque republica esse, unusne ut duas uxores haberet, an ut una apud duos nupta esset. Hoc illa ubi audivit, animus compavescit, domo trepidans egreditur ad ceteras matronas. Pervenit ad senatum postridie matrum familias caterva; lacrimantes atque obsecrantes orant, una potius ut duobus nupta fieret, quam ut uni duae. Senatores ingredientes in curiam, quae illa mulierum intemperies et quid sibi postulatio istaec vellet, mirabantur. Puer Papirius in medium curiae progressus, quid mater audire institisset, quid ipse matri dixisset, rem, sicut fuerat, denarrat. Senatus fidem atque ingenium pueri exosculatur, consultum facit, uti posthac pueri cum patribus in curiam ne introeant, praeter ille unus Papirius, atque puero postea cognomentum honoris gratia inditum "Praetextatus" ob tacendi loquendique in aetate praetextae prudentiam. | La storia di Papirio Pretestato è stata raccontata e scritta da Marco Catone nell'orazione che fece ai soldati contro Galba, con certamente molta eleganza e splendore e raffinatezza di linguaggio. In questo diario avrei riportato direttamente queste parole di Catone, se, quando ho dettato queste cose, avessi avuto una copia del libro di quell'epoca. Ma se non mi chiedi il valore e la dignità delle parole, ma la conoscenza del fatto in sé, la storia è all'incirca così: prima era usanza dei senatori di Roma di entrare in senato coi figli che ancora indossavano la toga pretesta. Allora, quando in senato fu discussa una faccenda piuttosto importante e fu rinviata al giorno successivo, e si decise che nessuno dovesse parlare della faccenda su cui stavano discutendo prima che fosse stata deliberata, la madre del giovane Papirio, che era stato in senato con suo padre, interrogò il figlio su cosa mai i senatori avessero discusso in senato. Il ragazzo rispose che ciò doveva essere taciuto e non era lecito fosse detto. La donna diventa più desiderosa di sentire; la segretezza della cosa e il silenzio del ragazzo invitò il suo animo ad indagare: chiede dunque più insistentemente e più violentemente. Allora il ragazzo siccome la madre (lo) opprimeva decide di (dire) una bugia arguta e divertente. Disse che in senato si era discusso se sembrasse più utile e fosse più nell'interesse dello stato se uno avesse due mogli o se una fosse sposa di due. Quando quella udì ciò, si impaurì, uscì di casa tremante (per andare) dalle altre signore. Accorse in senato il giorno dopo una folla di madri di famiglia; piangendo e supplicando pregano che una (donna) potesse essere in sposa a due invece che due (donne) a uno. I senatori che entravano in curia si stupivano di quale insubordinazione di donne (fosse) quella, e di che cosa quella petizione lì volesse da loro. Il giovane Papirio, avanzato al centro della curia, racconta che cosa la madre aveva stabilito di sentire, (e) che cosa lui avesse detto alla madre, (insomma) la storia così com'era stata. Il senato loda la lealtà e l'ingegno del ragazzo, prende la decisione che da quel momento in poi i ragazzi non (potessero) entrare in senato con i genitori, tranne quel Papirio, e in seguito fu dato al ragazzo in onore il cognome "Pretestato" per la prudenza nel tacere e nel parlare già in età pretesta. |
791 | Quae civitates commodius suam rem publicam administrare existimantur, habent legibus sanctum, si quis quid de re publica a finitimis rumore aut fama acceperit, uti ad magistratum deferat neve cum quo alio communicet, quod saepe homines temerarios atque imperitos falsis rumoribus terreri et ad facinus impelli et de summis rebus consilium capere cognitum est. Magistratus quae visa sunt occultant quaeque esse ex usu iudicaverunt multitudini produnt.De re publica nisi per concilium loqui non conceditur. | I popoli che si ritiene che curino meglio degli altri il loro governo, hanno sancito con leggi che se qualcuno ha recepito dai vicini qualche notizia sul governo per diceria o per fama, lo riporti al magistrato e non lo comunichi a nessuno, poiché si sa che spesso gli uomini sconsiderati e inesperti si spaventano a false voci e sono spinti ad azioni sconsiderate, e a prendere decisioni su cose importantissime. I magistrati nascondo ciò che sembrò loro opportuno, fanno conoscere al popolo ciò che hanno giudicato che fosse utile. Non è concesso di parlare degli affari pubblici se non nell'assemblea. |
769 | Interim Gaius Caninius legatus, cum magnam multitudinem convenisse hostium in fines Pictonum litteris nuntiisque Durati cognosceret, qui perpetuo in amicitia manserat Romanorum, cum pars quaedam civitatis eius defecisset, ad oppidum Lemonum contendit. Quo cum adventaret atque ex captivis certius cognosceret multis hominum milibus a Dumnaco, duce Andium, Duratium clausum Lemoni oppugnari neque infirmas legiones hostibus committere auderet, castra posuit loco munito.Dumnacus, cum appropinquare Caninium cognosset, copiis omnibus ad legiones conversis castra Romanorum oppugnare instituit. Cum complures dies in oppugnatione consumpsisset et magno suorum detrimento nullam partem munitionum convellere potuisset, rursus ad obsidendum Lemonum redit. | Nel frattempo, grazie a una lettera e ai messi inviati da Durazio - rimasto sempre fedele all'alleanza con i Romani, mentre una parte del suo popolo aveva defezionato - il legato C. Caninio, avvertito che un gran numero di nemici si era raccolto nelle terre dei Pictoni, si dirige alla città di Lemono. Era sul punto di raggiungerla, quando riceve dai prigionieri informazioni più dettagliate: alla testa di molte migliaia di uomini Dumnaco, capo degli Andi, aveva stretto d'assedio Durazio in Lemono. Così, non osando arrischiare in uno scontro coi nemici le sue legioni, troppo deboli, stabilì il campo in una zona ben munita. Dumnaco, saputo dell'arrivo di Caninio, volge tutte le truppe contro le legioni e comincia l'assalto all'accampamento dei Romani. Dopo aver speso diversi giorni nell'attacco, a prezzo di gravi perdite e senza riuscire a far breccia in nessun punto delle fortificazioni, Dumnaco torna ad assediare Lemono. |
757 | Quae res etsi nihil ad levandas iniurias pertinere videbantur, tamen idoneos nactus homines, per quos ea, quae vellet, ad eum perferrentur, petit ab utroque, quoniam Pompei mandata ad se detulerint, ne graventur sua quoque ad eum postulata deferre, si parvo labore magnas controversias tollere atque omnem Italiam metu liberare possint. Sibi semper primam rei publicae fuisse dignitatem vitaque potiorem. Doluisse se, quod populi Romani beneficium sibi per contumeliam ab inimicis extorqueretur, ereptoque semenstri imperio in urbem retraheretur, cuius absentis rationem haberi proximis comitiis populus iussisset.Tamen hanc iacturam honoris sui rei publicae causa aequo animo tulisse; cum litteras ad senatum miserit, ut omnes ab exercitibus discederent, ne id quidem impetravisse. Tota Italia delectus haberi, retineri legiones II, quae ab se simulatione Parthici belli sint abductae, civitatem esse in armis. Quonam haec omnia nisi ad suam perniciem pertinere? Sed tamen ad omnia se descendere paratum atque omnia pati rei publicae causa. Proficiscatur Pompeius in suas provincias, ipsi exercitus dimittant, discedant in Italia omnes ab armis, metus e civitate tollatur, libera comitia atque omnis res publica senatui populoque Romano permittatur. Haec quo facilius certisque condicionibus fiant et iureiurando sanciantur, aut ipse propius accedat aut se patiatur accedere: fore uti per colloquia omnes controversiae componantur. | Era chiaro che tutto ciò non serviva a cancellare le offese; tuttavia Cesare, approfittando di uomini adatti, tramite i quali poteva trasmettere il suo volere a Pompeo, chiede a entrambi, dal momento che gli hanno riferito le ambascerie di Pompeo, di non rifiutarsi di riferire a lui anche le sue richieste, per vedere se mai, con poca fatica, fossero in grado di sanare grandi controversie e liberare dal timore tutta l'Italia. Dice che egli ha sempre posto l'onore al primo posto, considerandolo più importante della vita. Che ha provato dolore perché, con atto oltraggioso, gli è stato strappato dagli avversari un privilegio concesso dal popolo romano e, privato di sei mesi di comando, egli è stato richiamato a Roma, benché il popolo avesse deliberato che nei prossimi comizi si ritenesse valida la sua candidatura, pur se assente. Tuttavia, per il bene dello stato, ha sopportato di buon grado questo danno; quando ha mandato una lettera al senato, chiedendo che tutti i comandanti venissero allontanati dagli eserciti, neppure questo ha ottenuto. In tutta Italia si fanno arruolamenti, sono trattenute le due legioni che gli sono state sottratte col pretesto della guerra contro i Parti; la popolazione è in armi. A che volgono tutte queste manovre se non a suo danno? Pur tuttavia egli è pronto a rassegnarsi e a tutto sopportare per il bene dello stato. Pompeo se ne ritorni nelle sue province, tutti e due congedino gli eserciti, tutti in Italia lascino le armi, il popolo venga liberato dal timore, siano garantiti al senato e al popolo romano liberi comizi e l'esercizio della cosa pubblica. Perché ciò si possa fare più facilmente e con patti sicuri, sanciti da giuramento, o Pompeo si avvicini o lasci che sia Cesare ad avvicinarsi; tutte le controversie si potrebbero dirimere tramite contatti diretti. |
858 | Consurgitur ex consilio; comprehendunt utrumque et orant, ne sua dissensione et pertinacia rem in summum periculum deducat: facilem esse rem, seu maneant, seu proficiscantur, si modo unum omnes sentiant ac probent; contra in dissensione nullam se salutem perspicere. Res disputatione ad mediam noctem perducitur. Tandem dat Cotta permotus manus: superat sententia Sabini. Pronuntiatur prima luce ituros. Consumitur vigiliis reliqua pars noctis, cum sua quisque miles circumspiceret, quid secum portare posset, quid ex instrumento hibernorum relinquere cogeretur.Omnia excogitantur, quare nec sine periculo maneatur, et languore militum et vigiliis periculum augeatur. Prima luce sic ex castris proficiscuntur, ut quibus esset persuasum non ab hoste, sed ab homine amicissimo Ambiorige consilium datum, longissimo agmine maximisque impedimentis. | Si alzano dal consiglio, prendono nel mezzo entrambi i legati e li pregano di non portare la situazione al massimo rischio con il loro dissenso ostinato; la faccenda era facile sia rimanendo, sia levando le tende, purché tutti fossero dello stesso avviso e partito; in caso di disaccordo, invece, non intravedevano alcuna speranza di salvezza. La discussione prosegue fino a notte fonda. Alla fine Cotta, turbato, si dà per vinto: prevale il parere di Sabino. La partenza viene annunciata per l'alba. Il resto della notte la passano a vegliare, ogni soldato valuta che cosa possa prendere con sé e quali oggetti dell'accampamento invernale debba abbandonare per forza. Le pensano tutte pur di non garantire, la mattina dopo, una partenza priva di rischi, e di aumentare il pericolo con la stanchezza dei soldati, dovuta alla veglia. All'alba lasciano il campo, non come se fossero stati persuasi dal nemico, ma quasi che avessero accolto il suggerimento di un amico di provata lealtà, Ambiorige. L'esercito in marcia formava una schiera interminabile, con numerosissimi bagagli. |
327 | Caesar neque tempus illud animadversionis esse existimans et multa virtuti corum concedens rem totam distulit; illos secreto castigavit, quod quaestui equites haberent, monuitque, ut ex sua amicitia omnia exspectarent et ex praeteritis suis officiis reliqua sperarent. Magnam tamen haec res illis offensionem et contemptionem ad omnes attulit, idque ita esse cum ex aliorum obiectationibus tum etiam ex domestico iudicio atque animi conscientia intellegebant.Quo pudore adducti et fortasse non se liberari, sed in aliud tempus reservari arbitrati discedere a nobis et novam temptare fortunam novasque amicitias experiri constituerunt. Et cum paucis collocuti clientibus suis, quibus tantum facinus committere audebant, primum conati sunt praefectum equitum C. Volusenum interficere, ut postea bello confecto cognitum est, ut cum munere aliquo perfugisse ad Pompelum viderentur; postquam id difficilius visum est neque facultas perficiendi dabatur, quam maximas potuerunt pecunias mutuati, proinde ac si suis satisfacere et fraudata restituere vellent, multis coemptis equis ad Pompeium transierunt cum eis, quos sui consilii participes habebant. | Cesare, giudicando che quello non era il momento per punizioni, con atto di grande condiscendenza per il loro valore, differì l'intera disputa; li rimproverò privatamente per i guadagni sui cavalieri, ricordando loro che dovevano attendersi ogni bene solo dalla sua amicizia e sperare, come per il passato, in altri suoi favori. Questa vicenda tuttavia recò loro grande offesa e il disprezzo da parte di tutti, e tale disprezzo lo coglievano sia dai rimproveri degli altri sia dal giudizio e rimorso della propria coscienza. Spinti da questa vergogna e credendo forse di non essere assolti, ma di venire risparmiati solo temporaneamente, decisero di allontanarsi da noi e tentare una nuova sorte, sperimentando nuove amicizie. E accordatisi con qualche loro cliente, che osarono mettere a parte di una simile azione delittuosa, dapprima tentarono di uccidere il prefetto di cavalleria C. Voluseno, come in seguito, a guerra finita, si venne a sapere, per potere trovare rifugio da Pompeo con qualche benemerenza; quando la cosa apparve troppo difficile e non vi era possibilità di condurla a termine, preso a prestito quanto più denaro poterono, come se volessero dare soddisfazione ai loro compagni e restituire il mal tolto, dopo avere comprato molti cavalli, passarono dalla parte di Pompeo con i complici del loro piano. |
944 | Ipsum erat oppidum Alesia in colle summo admodum edito loco, ut nisi obsidione expugnari non posse videretur; cuius collis radices duo duabus ex partibus flumina subluebant. Ante id oppidum planities circiter milia passuum tria in longitudinem patebat: reliquis ex omnibus partibus colles mediocri interiecto spatio pari altitudinis fastigio oppidum cingebant. Sub muro, quae pars collis ad orientem solem spectabat, hunc omnem locum copiae Gallorum compleverant fossamque et maceriam sex in altitudinem pedum praeduxerant.Eius munitionis quae ab Romanis instituebatur circuitus XI milia passuum tenebat. Castra opportunis locis erant posita ibique castella viginti tria facta, quibus in castellis interdiu stationes ponebantur, ne qua subito eruptio fieret: haec eadem noctu excubitoribus ac firmis praesidiis tenebantur. | La città di Alesia sorgeva sulla cima di un colle molto elevato, tanto che l'unico modo per espugnarla sembrava l'assedio. I piedi del colle, su due lati, erano bagnati da due fiumi. Davanti alla città si stendeva una pianura lunga circa tre miglia; per il resto, tutt'intorno, la cingevano altri colli di uguale altezza, poco distanti l'uno dall'altro. Sotto le mura, la parte del colle che guardava a oriente brulicava tutta di truppe galliche; qui, in avanti, avevano scavato una fossa e costruito un muro a secco alto sei piedi. Il perimetro della cinta di fortificazione iniziata dai Romani raggiungeva le dieci miglia. Si era stabilito l'accampamento in una zona vantaggiosa, erano state costruite ventitré ridotte: di giorno vi alloggiavano corpi di guardia per prevenire attacchi improvvisi, di notte erano tenute da sentinelle e saldi presidi. |
242 | Lesbia mi dicit semper male nec tacet umquamde me: Lesbia me dispeream nisi amat.quo signo? quia sunt totidem mea: deprecor illamassidue, verum dispeream nisi amo. | Lesbia parla sempre male di me e non tace maia proposito di me: possa io morire se Lesbia non mi ama.Per quale segno (lo capisco)? Perché i miei (segni) sono gli stessi: la insultocontinuamente, ma possa morire se non (la) amo. |