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946 | Hac re cognita Caesar mittit complures equitum turmas; eis de media nocte imperat, ut paulo tumultuosius omnibus locis vagarentur. Prima luce magnum numerum impedimentorum ex castris mulorumque produci deque his stramenta detrahi mulionesque cum cassidibus equitum specie ac simulatione collibus circumvehi iubet. His paucos addit equites qui latius ostentationis causa vagarentur. Longo circuitu easdem omnes iubet petere regiones. Haec procul ex oppido videbantur, ut erat a Gergovia despectus in castra, neque tanto spatio certi quid esset explorari poterat.Legionem unam eodem iugo mittit et paulum progressam inferiore constituit loco silvisque occultat. Augetur Gallis suspicio, atque omnes illo ad munitionem copiae traducuntur. Vacua castra hostium Caesar conspicatus tectis insignibus suorum occultatisque signis militaribus raros milites, ne ex oppido animadverterentur, ex maioribus castris in minora traducit legatisque, quos singulis legionibus praefecerat, quid fieri velit ostendit: in primis monet ut contineant milites, ne studio pugnandi aut spe praedae longius progrediantur; quid iniquitas loci habeat incommodi proponit: hoc una celeritate posse mutari; occasionis esse rem, non proeli. His rebus eitis signum dat et ab dextra parte alio ascensu eodem tempore Aeduos mittit. | Saputo ciò, Cesare verso mezzanotte invia sul luogo vari squadroni di cavalleria. Comanda di compiere scorrerie dappertutto, producendo un po' più rumore del solito. All'alba fa uscire dal campo un gran numero di bagagli e muli, ai mulattieri ordina di togliere il basto ai loro animali e di mettersi l'elmo: fingendosi cavalieri, avrebbero dovuto aggirare il colle. Invia con essi pochi cavalieri veri, che avevano l'incarico di spingersi più lontano a scopo di simulazione. A tutti, poi, dà istruzione di convergere su un unico punto dopo un lungo giro. Le nostre manovre venivano scorte dalla città, perché da Gergovia la vista dava proprio sul nostro accampamento, ma a tale distanza non era possibile comprendere che cosa stesse accadendo con esattezza. Invia una legione verso il colle e, dopo un certo tratto, la ferma ai piedi del rialzo e la tiene nascosta tra la vegetazione. I sospetti dei Galli aumentano, mandano tutte le truppe ai lavori di fortificazione. Cesare, appena vede il campo nemico sguarnito, guida i soldati dal campo maggiore al minore, a piccoli gruppi, ordinando di non applicare i fregi e di tener nascoste le insegne, per non essere scorti dalla città. Ai legati preposti alle varie legioni spiega come dovevano agire: primo, li ammonisce a tenere a freno i soldati, che non si allontanassero troppo per desiderio di lotta o speranza di bottino; illustra gli svantaggi della posizione; li si poteva eludere solo con la rapidità; si trattava di un colpo di mano, non di una battaglia. Detto ciò, dà il segnale e, al contempo, ordina agli Edui di sferrare l'attacco da un altro lato, sulla destra. |
1,001 | Quod cum animadverterent oppidani miserrimaque Alesiae memoria solliciti similem casum obsessionis vererentur, maximeque ex omnibus Lucterius, qui fortunae illius periculum fecerat, moneret frumenti rationem esse habendam, constituunt omnium consensu parte ibi relicta copiarum ipsi cum expeditis ad importandum frumentum proficisci. Eo consilio probato proxima nocte duobus milibus armatorum relictis reliquos ex oppido Drappes et Lucterius educunt.Hi paucos dies morati ex finibus Cadurcorum, qui partim re frumentaria sublevare eos cupiebant, partim prohibere quo minus sumerent non poterant, magnum numerum frumenti comparant, nonnumquam autem expeditionibus nocturnis castella nostrorum adoriuntur. Quam ob causam Gaius Caninius toto oppido munitiones circumdare moratur, ne aut opus effectum tueri non possit aut plurimis in locis infirma disponat praesidia. | Appena se ne accorgono, gli assediati, inquieti per il tristissimo ricordo di Alesia, temono l'eventualità di un blocco simile. Tra tutti Lucterio in particolare, che quel pericolo lo aveva corso, invita a preoccuparsi del grano. Decidono, per consenso generale, di lasciare lì parte dell'esercito e di recarsi personalmente in cerca di frumento con truppe leggere. Approvata la decisione, la notte successiva Drappete e Lucterio lasciano duemila armati in città e si allontanano con i rimanenti. Si trattengono pochi giorni e raccolgono una gran quantità di grano nelle terre dei Cadurci, che in parte desideravano aiutarli nell'approvvigionamento, in parte non potevano impedirne la raccolta. Di tanto in tanto, poi, attaccano le nostre ridotte con assalti notturni. Per tale motivo, Caninio rallenta i lavori di fortificazione tutt'intorno alla città, nel timore di non poterli difendere, una volta terminati, oppure di essere costretto a dislocare in più settori guarnigioni troppo deboli. |
793 | Sed nostri milites dato signo cum infestis pilis procucurrissent atque animum advertissent non concurri a Pompeianis, usu periti ac superioribus pugnis exercitati sua sponte cursum represserunt et ad medium fere spatium constiterunt, ne consumptis viribus appropinquarent, parvoque intermisso temporis spatio ac rursus renovato cursu pila miserunt celeriterque, ut erat praeceptum a Caesare, gladios strinxerunt. Neque vero Pompeiani huic rei defuerunt.Nam et tela missa exceperunt et impetum legionum tulerunt et ordines suos servarunt pilisque missis ad gladios redierunt. Eodem tempore equites ab sinistro Pompei cornu, ut erat imperatum, universi procucurrerunt, omnisque multitudo sagittariorum se profudit. Quorum impetum noster equitatus non tulit, sed paulatim loco motus cessit, equitesque Pompei hoc acrius instare et se turmatim explicare aciemque nostram a latere aperto circumire coeperunt. Quod ubi Caesar animadvertit, quartae aciei, quam instituerat sex cohortium, dedit signum. Illi celeriter procucurrerunt infestisque signis tanta vi in Pompei equites impetum fecerunt, ut eorum nemo consisteret, omnesque conversi non solum loco excederent, sed protinus incitati fuga montes altissimos peterent. Quibus submotis omnes sagittarii funditoresque destituti inermes sine praesidio interfecti sunt. Eodem impetu cohortes sinistrum cornu pugnantibus etiam tum ac resistentibus in acie Pompeianis circumierunt eosque a tergo sunt adorti. | Ma, dato il segnale di attacco, i nostri soldati, avanzati di corsa con i giavellotti contro i nemici e accortisi che i Pompeiani non andavano all'assalto, pratici per esperienza e ammaestrati in battaglie precedenti, spontaneamente rallentarono e si fermarono quasi a metà distanza per non avvicinarsi stremati e, dopo un breve intervallo di tempo, ripresa nuovamente la corsa, lanciarono i giavellotti e rapidamente, come era stato ordinato da Cesare, misero mano alle spade. Invero i Pompeiani non vennero meno al loro dovere. Infatti sostennero il lancio dei giavellotti e l'assalto dei legionari; conservarono le file e dopo avere lanciato i giavellotti ricorsero alle spade. Nello stesso tempo, come era stato ordinato, tutti i cavalieri dal lato sinistro di Pompeo si lanciarono all'assalto e si riversò tutta la moltitudine degli arcieri. La nostra cavalleria non sopportò il loro assalto, ma, respinta dalle sue posizioni, indietreggiò un poco e i cavalieri di Pompeo cominciarono, perciò, a incalzare con più accanimento, a disporsi a squadroni e ad aggirare dal lato scoperto il nostro schieramento. Quando Cesare si accorse di ciò, diede il segnale di combattimento alla quarta fila che aveva formata con sei coorti. Quelle coorti si lanciarono con prontezza e, in schieramento di assalto, con tanta irruenza assalirono i cavalieri di Pompeo che nessuno di loro resistette e tutti, fatto "dietro front", non solo si allontanarono dalla posizione, ma subito fuggirono, dirigendosi verso i monti più alti. Respinti questi, tutti gli arcieri e i frombolieri, abbandonati senza protezione e senza armi, vennero uccisi. Col medesimo impeto le coorti aggirarono il lato sinistro, mentre i Pompeiani ancora combattevano e resistevano nel loro schieramento iniziale, e li attaccarono alle spalle. |
59 | Peras imposuit Iuppiter nobis duas:propriis repletam vitiis post tergum dedit,alienis ante pectus suspendit gravem.Hac re videre nostra mala non possumus;alii simul delinquunt, censores sumus. | Giove ci mise addosso due bisacce; una, pienadei nostri vizi, la sistemò sulle spalle, l’altra,pesante dei vizi altrui, davanti al petto. E noi,per questo, non possiamo vedere i nostri errori maquando gli altri sbagliano, diventiamo censori. |
9 | At ego tibi sermone isto Milesio varias fabulas conseram auresque tuas benivolas lepido susurro permulceam — modo si papyrum Aegyptiam argutia Nilotici calami inscriptam non spreveris inspicere —, figuras fortunasque hominum in alias imagines conversas et in se rursus mutuo nexu refectas ut mireris. Exordior. "Quis ille?" Paucis accipe. Hymettos Attica et Isthmos Ephyrea et Taenaros Spartiatica, glebae felices aeternum libris felicioribus conditae, mea vetus prosapia est; ibi linguam Atthidem primis pueritiae stipendiis merui.Mox in urbe Latia advena studiorum Quiritium indigenam sermonem aerumnabili labore nullo magistro praeeunte aggressus excolui. En ecce praefamur veniam, siquid exotici ac forensis sermonis rudis locutor offendero. Iam haec equidem ipsa vocis immutatio desultoriae scientiae stilo quem accessimus respondet. Fabulam Graecanicam incipimus. Lector intende: laetaberis. | E ora io per te, con questa narrazione Milesia, intreccerò favole diverse e accarezzerò le tue orecchie benevole con un piacevole sussurro - se solo tu non rifiuterai di esaminare un papiro egiziano scritto con la finezza di un calamo del Nilo - così che tu ti stupirai di fronte a forme e sorti di uomini mutate in figure diverse e poi ritornate di nuovo in sé con alterna vicenda. Comincio. "Chi è costui?". Apprendilo in poche parole. L'Imetto dell'Attica, l'Ismeno di Corinto e il Tenaro di Sparta, terre felici celebrate per sempre in libri ancora più felici, (questa) è la mia antica stirpe; lì, da adolescente alle prime armi, appresi la lingua attica. Poi, nella città del Lazio, estraneo alla cultura dei Romani, coltivai con cura la lingua locale com penoso sforzo, avendola intrapresa senza che alcun maestro mi guidasse. Ecco, chiedo anticipatamente scusa se, da rozzo parlatore, avrò incappato in qualche termine esotico e straniero. D'altra parte, anche questa stessa varietà di linguaggio ben si accorda allo stile da funambolo che adottammo. Iniziamo una favola alla greca. Lettore, stai attento: ti divertirai. |
941 | Civitatibus maxima laus est quam latissime circum se vastatis finibus solitudines habere. Hoc proprium virtutis existimant, expulsos agris finitimos cedere, neque quemquam prope audere consistere; simul hoc se fore tutiores arbitrantur repentinae incursionis timore sublato. Cum bellum civitas aut illa tum defendit aut infert, magistratus, qui ei bello praesint, ut vitae necisque habeant potestatem, deliguntur. In pace nullus est communis magistratus, sed principes regionum atque pagorum inter suos ius dicunt controversiasque minuunt.Latrocinia nullam habent infamiam, quae extra fines cuiusque civitatis fiunt, atque ea iuventutis exercendae ac desidiae minuendae causa fieri praedicant. Atque ubi quis ex principibus in concilio dixit se ducem fore, qui sequi velint, profiteantur, consurgunt ei qui et causam et hominem probant suumque auxilium pollicentur atque ab multitudine collaudantur: qui ex his secuti non sunt, in desertorum ac proditorum numero ducuntur, omniumque his rerum postea fides derogatur. Hospitem violare fas non putant; qui quacumque de causa ad eos venerunt, ab iniuria prohibent, sanctos habent, hisque omnium domus patent victusque communicatur. | Per le città è un grandissimo merito avere territori deserti intorno a sé il più estesamente possibile, dopo aver devastato le terre. Stimano che ciò sia proprio del valore, cioè che si allontanino i popoli vicini cacciati dai campi, e che nessuno osi di stabilirsi vicino a loro; con ciò nello stesso tempo ritengono che saranno più sicuri, eliminato il timore di un'improvvisa incursione. Quando un popolo o si difende da una guerra mossagli o la muove, vengono eletti dei magistrati che siano a capo di quella guerra ed abbiano potere di vita e di morte. In tempo di pace non c'è alcun magistrato comune, ma i capi delle regioni e dei villaggi amministrano la giustizia e sminuiscono le controversie fra loro. Nessun disonore portano con sé le razzie che avvengono oltre i confini di quel popolo, e vanno dicendo che quelle avvengono per esercitare la gioventù e per combattere la pigrizia. E quando uno dei capi dice all'assemblea che sarà capo di quella spedizione, e chi lo vuole seguire dichiara questo, si alzano quelli che accettano sia il pretesto che l'uomo e promettono il proprio aiuto e sono lodati dalla moltitudine; ma quelli tra costoro che non lo hanno seguito sono annoverati nel numero dei disertori e dei traditori e in seguito vengono del tutto screditati. Non considerano lecito offendere un ospite, e difendono dalle offese quelli che sono venuti da loro per qualunque motivo, e li considerano sacri e a questi sono aperte le case di tutti, ed è messo in comune il vitto. |
2 | Inter hos ego inbecilla tunc aetate discebam libros eloquentiae, in qua eminere cupiebam, fine damnabili et ventoso per gaudia vanitatis humanae; et usitato iam discendi ordine perveneram in librum cuiusdam Ciceronis, cuius linguam fere omnes mirantur, pectus non ita. sed liber ille ipsius exhortationem continet ad philosophiam et vocatur Hortensius. ille vero liber mutavit affectum meum, et ad te ipsum, domine, mutavit preces meas, et vota ac desideria mea fecit alia.viluit mihi repente omnis vana spes, et inmortalitatem sapientiae concupiscebam aestu cordis incredibili, et surgere coeperam, ut ad te redirem. non enim ad acuendam linguam, quod videbar emere maternis mercedibus, cum agerem annum aetatis undevicensimum, iam defuncto patre ante biennium; non ergo ad acuendam linguam referebam illum librum, neque mihi locutionem, sed quod loquebatur persuaserat. | Tra questi (oratori) io, in età all'epoca ancora immatura, studiavo i libri di eloquenza, nella quale desideravo distinguermi con un fine biasimevole e vano, attraverso le gioie della vanità umana, e secondo l'usuale programma di studi, ero già arrivato al libro di un certo Cicerone, la cui lingua quasi tutti ammiravano, non altrettanto il pensiero. Ma quel libro contiene un'esortazione di questo alla filosofia, ed è intitolato "Ortensio". Ma quel libro mutò la mia mentalità e cambiò le mie preghiere (rivolte) a te, Signore, e rese diverse le mie aspettative e i miei desideri. Di colpo mi si rinvilì ogni vana speranza e desideravo con ardore di cuore incredibile l'immortalità della sapienza e avevo cominciato a rialzarmi per ritornare a te. Ma non per affinare la mia lingua, cosa che sembrava che pagassi con il mensile materno - poiché avevo diciotto anni e (mio) padre era morto già da due - perciò non rivolgevo (la lettura di) quel libro per affinare la lingua, né mi aveva persuaso del suo stile ma di ciò di cui parlava. [...] |
10 | An turpe arbitraris formam suam spectaculo assiduo explorare? An non Socrates philosophus ultro etiam suasisse fertur discipulis suis, crebro ut semet in speculo contemplarentur, ut qui eorum foret pulchritudine sibi complacitus, impendio procuraret ne dignitatem corporis malis moribus dedecoraret, qui vero minus se commendabilem forma putaret, sedulo operam daret ut virtutis laude turpitudinem tegeret? Adeo vir omnium sapientissimus speculo etiam ad disciplinam morum utebatur.Demostenen vero, primarium dicendi artificem, quis est qui non sciat semper ante speculum quasi ante magistrum causas meditatum? Ita ille summus orator cum a Platone philosopho facundiam ausisset, ab Eubulide dialectico argumentationes edidicisset, novissimam pronuntiandi congruentiam ab speculo petivit. | Pensi forse che sia vergogna scrutare con una analisi assidua il proprio aspetto esteriore? Non si dice forse che il filosofo Socrate anche lui di sua iniziativa persuadesse i suoi allievi a guardarsi spesso nello specchio, affinché chi tra loro si compiacesse della sua bellezza badasse attentamente a non disonorare la bellezza fisica con un comportamento negativo, chi invece si giudicasse meno bello esteriormente si sforzasse di nascondere la sua bruttezza con il merito della virtù? A tal punto quell’uomo che era il più saggio di tutti si avvaleva anche dello specchio per insegnare la disciplina dei costumi. Quanto poi a Demostene, il più grande artista della parola, chi c’è che non sa che studiava le orazioni che doveva pronunciare sempre davanti allo specchio come davanti ad un maestro? Così quel sommo oratore dopo aver attinto dal filosofo Platone l’eloquenza, e aver appreso da Eubulide dialettico le qualità argomentative, chiese allo specchio alla fine la capacità di pronunciare l’orazione in modo armonico. |
555 | Pompeius noctu magnis additis munitionibus reliquis diebus turres exstruxit, et in altitudinem pedum XV effectis operibus vineis eam partem castrorum obtexit, et quinque intermissis diebus alteram noctem subnubilam nactus obstructis omnibus castrorum portis et ad impediendum obicibus obiectis tertia inita vigilia silentio exercitum eduxit et se in antiquas munitiones recepit. | Pompeo, accresciute poderosamente di notte le fortificazioni, nei giorni seguenti costruì delle torri e, fatti edificare i baluardi alti quindici piedi, coprì con vinee quella parte dell'accampamento. Cinque giorni dopo, approfittando di un'altra notte nuvolosa, fece ostruire tutte le porte del campo per sbarrare il passaggio e, poco dopo mezzanotte, condusse fuori l'esercito in silenzio e si rifugiò nel campo precedente. |
51 | In tanta tamque corrupta civitate Catilina, id quod factu facillumum erat, omnium flagitiorum atque facinorum circum se tamquam stipatorum catervas habebat. Nam quicumque impudicus, ganeo, aleo, bona patria laceraverat, quique alienum aes grande conflaverat, quo flagitium aut facinus redimeret, praeterea omnes undique parricidae, sacrilegi, convicti iudiciis aut pro factis iudicium timentes, ad hoc quos manus atque lingua periurio alit sanguine civili alebat, postremo omnes, quos flagitium, egestas, conscius animus exagitabat, ii Catilinae proxumi familiaresque erant.Quod si quis etiam a culpa vacuus in amicitiam eius inciderat, cotidiano usu atque illecebris facile par similisque ceteris efficiebatur. Sed maxume adulescentium familiaritates appetebat: eorum animi molles etiam et fluxi dolis haud difficulter capiebantur. Nam ut cuiusque studium ex aetate flagrabat, aliis scorta praebere, aliis canes atque equos mercari, postremo neque sumptui neque modestiae suae parcere, dum illos obnoxios fidosque sibi faceret. Scio fuisse nonnullos qui ita existumarent, iuventutem, quae domum Catilinae frequentabat, parum honeste pudicitiam habuisse; sed ex aliis rebus magis, quam quod cuiquam id compertum foret, haec fama valebat. | In una città così grande e corrotta Catilina, cosa che era facilissima a farsi, aveva attorno a se bande di depravati e di criminali come guardie del corpo. Infatti qualsiasi impudico, adultero, crapulone che aveva scialacquato il patrimonio ereditato con il gioco, con i banchetti e col sesso, e quello che aveva contratto un grande debito, per riscattare una vergogna, un delitto, e inoltre da ogni parte tutti i parricidi, i sacrileghi, i pregiudicati e quelli che temevano un processo per le (loro) azioni, inoltre coloro ai quali davano sostentamento la mano e la lingua con lo spergiuro e con il sangue civile, e infine tutti quelli che il delitto, la povertà, il rimorso tormentava, (tutti) questi erano amici intimi (endiadi, lett.: "vicinissimi e amici") di Catilina. E se qualcuno era caduto nella sua amicizia anche vuoto di colpa, con la frequentazione quotidiana e con le lusinghe facilmente era reso del tutto simile agli altri. Ma desiderava moltissimo la compagnia dei giovani: i loro animi molli e malleabili per l'età erano presi senza difficoltà dalle frodi. Infatti a seconda di come il desiderio di entrambi ardeva a causa dell'età, ad alcuni procurava donne, ad altri comprava cani e cavalli; infine non badava né a spese né alla sua reputazione, purché rendesse quelli obbedienti e fidati verso di lui. So che c'è stato qualcuno, che così pensava, (e cioè) che la gioventù, che frequentava la casa di Catilina, fosse stata sfacciatamente impudica, ma questa voce correva per altri motivi, più perché qualcuno l'avesse accertato. |
661 | His rebus adducti et auctoritate Orgetorigis permoti constituerunt ea quae ad proficiscendum pertinerent comparare, iumentorum et carrorum quam maximum numerum coemere, sementes quam maximas facere, ut in itinere copia frumenti suppeteret, cum proximis civitatibus pacem et amicitiam confirmare. Ad eas res conficiendas biennium sibi satis esse duxerunt; in tertium annum profectionem lege confirmant. Ad eas res conficiendas Orgetorix deligitur. Is sibi legationem ad civitates suscipit.In eo itinere persuadet Castico, Catamantaloedis filio, Sequano, cuius pater regnum in Sequanis multos annos obtinuerat et a senatu populi Romani amicus appellatus erat, ut regnum in civitate sua occuparet, quod pater ante habuerit; itemque Dumnorigi Haeduo, fratri Diviciaci, qui eo tempore principatum in civitate obtinebat ac maxime plebi acceptus erat, ut idem conaretur persuadet eique filiam suam in matrimonium dat. Perfacile factu esse illis probat conata perficere, propterea quod ipse suae civitatis imperium obtenturus esset: non esse dubium quin totius Galliae plurimum Helvetii possent; se suis copiis suoque exercitu illis regna conciliaturum confirmat. Hac oratione adducti inter se fidem et ius iurandum dant et regno occupato per tres potentissimos ac firmissimos populos totius Galliae sese potiri posse sperant. | Spinti da tali motivi e indotti dal prestigio di Orgetorige, gli Elvezi decisero di preparare ciò che serviva per la partenza: comprarono quanti più giumenti e carri fosse possibile, seminarono tutto il grano che gli riuscì di seminare, per averne a sufficienza durante il viaggio, rafforzarono i rapporti di pace e di amicizia con i popoli più vicini. Ritennero che due anni fossero sufficienti per portare a termine i preparativi: con una legge fissarono la partenza al terzo anno. Per eseguire tali operazioni viene scelto Orgetorige, che si assume il compito di recarsi in ambasceria presso gli altri popoli. Durante la sua missione, il sequano Castico, figlio di Catamantalede, che era stato per molti anni signore dei Sequani e aveva ricevuto dal senato del popolo romano il titolo di amico, venne persuaso da Orgetorige a impadronirsi del regno che in precedenza era stato del padre. Allo stesso modo Orgetorige convince ad analoga azione l'eduo Dumnorige, al quale dà in sposa sua figlia. Dumnorige era fratello di Diviziaco, a quel tempo principe degli Edui e amatissimo dal suo popolo. Orgetorige dimostra a Castico e a Dumnorige che è assai facile portare a compimento l'impresa, perché egli stesso sta per prendere il potere: gli Elvezi, senza dubbio, erano i più forti tra tutti i Galli. Assicura che con le sue truppe e con il suo esercito avrebbe procurato loro il regno. Spinti dalle sue parole, si scambiano giuramenti di fedeltà, sperando, una volta ottenuti i rispettivi domini, di potersi impadronire di tutta la Gallia mediante i tre popoli più potenti e più forti. |
110 | Illud in his rebus vereor, ne forte rearisimpia te rationis inire elementa viamqueindugredi sceleris. quod contra saepius illareligio peperit scelerosa atque impia facta.Aulide quo pacto Triviai virginis aramIphianassai turparunt sanguine foedeductores Danaum delecti, prima virorum.cui simul infula virgineos circum data comptusex utraque pari malarum parte profusast,et maestum simul ante aras adstare parentemsensit et hunc propter ferrum celare ministrosaspectuque suo lacrimas effundere civis,muta metu terram genibus summissa petebat.nec miserae prodesse in tali tempore quibat,quod patrio princeps donarat nomine regem;nam sublata virum manibus tremibundaque ad arasdeductast, non ut sollemni more sacrorumperfecto posset claro comitari Hymenaeo,sed casta inceste nubendi tempore in ipsohostia concideret mactatu maesta parentis,exitus ut classi felix faustusque daretur.tantum religio potuit suadere malorum. | Ciò a questo proposito io temo, che per caso tu pensi di abbracciare i principi di un’empia dottrina e di metterti per la via del delitto. Al contrario più spesso quella superstizione ha prodotto azioni scellerate ed empie. In tal modo i condottieri scelti dei Danai, fior fiore degli eroi, profanarono l’altare della vergine Trivia, in Aulide, con il sangue di Ifigenia. E infatti non appena la benda avvolta intorno all’acconciatura verginale fu fatta cadere in parti uguali da entrambe le guance in parti uguali e non appena si accorse che davanti agli altari c’era triste il padre e che accanto a lui i sacerdoti nascondevano il pugnale e che i cittadini alla sua vista versavano lacrime, muta per lo spavento piegata sulle ginocchia cadeva a terra.Né alla misera era favorevole in tale circostanza il fatto di aver donato per prima il nome di padre al re, infatti sollevata dalle mani degli eroi, fu condotta tremante agli altari, non perché compiuto il solenne rito secondo la sacralità della tradizione (= compiuta la solenne usanza dei riti) potesse essere scortata con lo squillante Imeneo, ma perché pura cadesse impuramente proprio nel tempo delle nozze, vittima triste del sacrificio del padre affinchè fosse dato un felice e favorevole esito alla flotta. A tanto delitto potè indurre la superstizione. |
374 | Hora circiter tertia ab antecursoribus de Crassi adventu certior factus eo die milia passuum XX pro cedit. Crassum Samarobrivae praeficit legionemque attribuit, quod ibi impedimenta exercitus, obsides civitatum, litteras publicas frumentumque omne quod eo tolerandae hiemis causa devexerat relinquebat. Fabius, ut imperatum erat, non ita multum moratus in itinere cum legione occurrit. Labienus interitu Sabini et caede cohortium cognita, cum omnes ad eum Treverorum copiae venissent, veritus, si ex hibernis fugae similem profectionem fecisset, ut hostium impetum sustinere posset, praesertim quos recenti victoria efferri sciret, litteras Caesari remittit, quanto cum periculo legionem ex hibernis educturus esset; rem gestam in Eburonibus perscribit; docet omnes equitatus peditatusque copias Treverorum tria milia passuum longe ab suis castris consedisse. | Le staffette, verso le nove di mattina, lo informano dell'arrivo di Crasso ed egli, per quel giorno, avanza di circa venti miglia. Destina Crasso a Samarobriva e gli attribuisce il comando della legione perché lasciava lì le salmerie dell'esercito, gli ostaggi delle varie popolazioni, i documenti ufficiali e tutto il grano trasportato per affrontare l'inverno. Fabio con la sua legione, secondo gli ordini, senza perdere troppo tempo, si ricongiunge con lui mentre era in marcia. Quando Labieno era ormai al corrente della morte di Sabino e della strage delle coorti, i Treveri giungono con tutto l'esercito: egli ebbe paura, se lasciava il campo con una partenza simile a una fuga, di non riuscire a tener testa all'assalto dei nemici, tanto più che li sapeva imbaldanziti per la recente vittoria. Perciò, scrive a Cesare il pericolo a cui si troverebbe esposta la legione guidata fuori dall'accampamento, gli illustra le vicende accadute tra gli Eburoni e lo informa che la fanteria e la cavalleria dei Treveri, al gran completo, si erano insediate a tre miglia di distanza dal suo campo. |
1 | Veni Karthaginem, et circumstrepebat me undique sartago flagitiosorum amorum. nondum amabam, et amare amabam, et secretiore indigentia oderam me minus indigentem. quaerebam quid amarem, amans amare, et oderam securitatem et viam sine muscipulis, quoniam fames mihi erat intus ab interiore cibo, te ipso, deus meus, et ea fame non esuriebam, sed eram sine desiderio alimentorum incorruptibilium, non quia planus eis eram, sed quo insanior, fastidiosior.et ideo non bene valebat anima mea, et ulcerosa proiciebat se foras, miserabiliter scalpi avida contactu sensibilium. [...] | Venni a Cartagine e mi strepitavano attorno da ogni parte un mucchio di amori rovinosi. Ancora non amavo e amavo amare e odiavo la sicurezza e la via senza tranelli dato che io avevo un vuoto nell'intimo di cibo interiore, di te stesso, o Dio mio, e per quella fame non avevo fame, ma ero senza desiderio di cibo incorruttibile non perché ne fossi pieno, ma perché tanto più ne ero a digiuno, tanto più ne ero nauseato. E perciò la mia anima non stava bene, e tutta piegata si protendeva all'esterno, miserabilmente avida di essere sfregata dal contatto con la realtà sensibile. [...] |
747 | At hostes, posteaquam ex nocturno fremitu vigiliisque de profectione eorum senserunt, collocatis insidiis bipertito in silvis opportuno atque occulto loco a milibus passuum circiter duobus Romanorum adventum exspectabant, et cum se maior pars agminis in magnam convallem demisisset, ex utraque parte eius vallis subito se ostenderunt novissimosque premere et primos prohibere ascensu atque iniquissimo nostris loco proelium committere coeperunt. | I nemici, quando dall'agitazione notturna e dalla veglia prolungata, si resero conto che i nostri preparavano la partenza, tesero insidie da due lati, nella boscaglia, su un terreno favorevole e coperto, a circa due miglia dal campo, in attesa dell'arrivo dei Romani. Allorché il grosso del nostro esercito era ormai entrato in un'ampia valle, all'improvviso, dai fianchi della medesima sbucarono i nemici e iniziarono a premere sulla retroguardia, a impedire all'avanguardia di salire, costringendo i nostri a combattere in condizioni assolutamente sfavorevoli. |
87 | Tum Cn. Pompeius, tertium consul corrigendis moribus delectus et gravior remediis quam delicta erant suarumque legum auctor idem ac subversor, quae armis tuebatur armis amisit. Exim continua per viginti annos discordia, non mos, non ius; deterrima quaeque impune ac multa honesta exitio fuere. Sexto demum consulatu Caesar Augustus, potentiae securus, quae triumviratu iusserat abolevit deditque iura quis pace et principe uteremur. Acriora ex eo vincla, inditi custodes et lege Papia Poppaea praemiis inducti ut, si a privilegiis parentum cessaretur, velut parens omnium populus vacantia teneret.Sed altius penetrabnat urbemque et Italiam et quod usquam civium corripuerant, multorumque excisi status. Et terror omnibus intentabatur ni Tiberius statuendo remedio quinque consularium, quinque e praetoriis, totidem e cetero senatu sorte duxisset apud quos exsoluti plerique legis nexus modicum in praesens levamentum fuere. | Allora Gneo Pompeo, eletto console per la terza volta con la funzione di riportare alla integrità i costumi e capace di ricorrere a rimedi più gravosi di quanto fossero gli errori commessi e lui stesso promotore e sovvertitore delle sue leggi, con le armi perse quanto difendeva con le armi. Quindi dominò un clima di discordia ininterrotta per vent’anni, senza rispetto per tradizioni o leggi; tutti gli aspetti più deprecabili (dei comportamenti umani) e anche molti che non lo erano determinarono impunemente la rovina. Alla fine al suo sesto consolato, Cesare Augusto, quando fu sicuro del suo potere, abolì quello che aveva imposto durante il triumvirato e dette leggi grazie a cui potessimo godere della pace e del sovrano. Da quel momento gli obblighi si fecero più duri, furono dati (alle leggi) dei custodi ed essi furono dalla legge Papia Poppea spinti con ricompense, se si rinunciava ai privilegi di padri di famiglia, a fare in modo che il popolo avesse nelle sue mani i patrimoni privi ormai di proprietari, come un padre comune a tutti. Ma essi penetravano troppo a fondo e avevano coinvolto con le loro accuse e sequestri la città di Roma e l’Italia e i cittadini dovunque fossero, e le posizioni economico-finanziarie di molti andarono in rovina. E il terrore incombeva su tutti se non fosse stato per Tiberio che, per porvi rimedio, aveva tirato a sorte cinque ex-consoli, cinque ex-pretori e altrettanti del senato che restava, grazie a cui la maggior parte dei vincoli restrittivi della legge in questione, una volta resi più elastici, rappresentarono per il momento un sollievo seppure modesto. |
524 | Quibus rebus perterritis animis adversariorum Caesar, ne semper magno circuitu per pontem equitatus esset mittendus, nactus idoneum locum fossas pedum XXX in latitudinem complures facere instituit, quibus partem aliquam Sicoris averteret vadumque in eo flumine efficeret. His paene effectis magnum in timorem Afranius Petreiusque perveniunt, ne omnino frumento pabuloque intercluderentur, quod multum Caesar equitatu valebat. Itaque constituunt illis locis excedere et in Celtiberiam bellum transferre.Huic consilio suffragabatur etiam illa res, quod ex duobus contrariis generibus, quae superiore bello cum Sertorio steterant civitates, victae nomen atque imperium absentis Pompei timebant, quae in amicitia manserant, magnis affectae beneficiis eum diligebant; Caesaris autem erat in barbaris nomen obscurius. Hic magnos equitatus magnaque auxilia exspectabant et suis locis bellum in hiemem ducere cogitabant. Hoc inito consilio toto flumine Hibero naves conquiri et Octogesam adduci iubent. Id erat oppidum positum ad Hiberum miliaque passuum a castris aberat XXX. Ad eum locum fluminis navibus iunctis pontem imperant fieri legionesque duas flumen Sicorim traducunt, castraque muniunt vallo pedum XII. | Mentre gli animi degli avversari erano atterriti da questi eventi, Cesare, per non dovere sempre fare transitare la cavalleria per il ponte con un lungo giro, trovato un luogo idoneo, fece costruire parecchie fosse larghe trenta piedi con le quali deviare una parte del fiume Sicori e creare un guado in questo fiume. Quasi terminati questi lavori, Afranio e Petreio sono colti dal grande timore di essere completamente tagliati fuori dai rifornimenti di frumento e foraggio, poiché Cesare era molto forte nella cavalleria. Così essi stessi decidono di lasciare quei luoghi e trasferire in Celtiberia l'azione bellica. Veniva in appoggio a questa decisione anche il fatto che delle due opposte fazioni che nella guerra precedente avevano parteggiato per Q. Sertorio, le popolazioni vinte temevano il nome e il potere di Pompeo, benché lontano, quelle che erano rimaste nell'alleanza, colmate di grandi benefici, lo amavano, mentre il nome di Cesare fra quelle popolazioni barbare risultava alquanto poco noto. Qui in Celtiberia speravano in un gran numero di cavalieri e di truppe ausiliarie e, su un territorio a loro favorevole, pensavano di potere trascinare la guerra fino al periodo invernale. Presa questa decisione danno ordine di radunare le navi reperite lungo tutto il corso del fiume Ebro e di condurle a Octogesa, città sulla riva del fiume a venti miglia dall'accampamento. Presso questa località ordinano di costruire un ponte di navi; conducono due legioni al di là del fiume Sicori e fortificano l'accampamento con un vallo di dodici piedi. |
712 | Iam de sacerdotio Caesaris Domitius, Scipio Spintherque Lentulus cotidianis contentionibus ad gravissimas verborum contumelias palam descenderunt, cum Lentulus aetatis honorem ostentaret, Domitius urbanam gratiam dignitatemque iactaret, Scipio affinitate Pompei confideret. Postulavit etiam L. Afranium proditionis exercitus Acutius Rufus apud Pompeium, quod gestum in Hispania diceret. Et L. Domitius in consilio dixit placere sibi bello confecto ternas tabellas dari ad iudicandum eis, qui ordinis essent senatorii belloque una cum ipsis interfuissent, sententiasque de singulis ferrent, qui Romae remansissent quique intra praesidia Pompei fuissent neque operam in re militari praestitissent: unam fore tabellam, qui liberandos omni periculo censerent; alteram, qui capitis damnarent; tertiam, qui pecunia multarent.Postremo omnes aut de honoribus suis aut de praemiis pecuniae aut de persequendis inimicitiis agebant nec, quibus rationibus superare possent, sed, quemadmodum uti victoria deberent, cogitabant. | Ben presto Domizio, Scipione e Lentulo Spintere, nelle quotidiane discussioni sulla successione al pontificato di Cesare, giunsero pubblicamente a gravissime ingiurie verbali: Lentulo ostentava il privilegio dell'età, Domizio vantava il favore e l'autorità di cui godeva a Roma, Scipione confidava nella parentela con Pompeo. Acuzio Rufo inoltre accusò, presso Pompeo, L. Afranio del tradimento dell'esercito, che diceva essere accaduto in Spagna. E L. Domizio in consiglio disse che era favorevole a che, una volta terminata la guerra, ai senatori che avevano partecipato con loro alla guerra venissero distribuite tre tavolette di voto, per esprimere singoli giudizi su chi era rimasto a Roma o chi, trovandosi nelle terre occupate da Pompeo, non aveva combattuto: una sarebbe stata la tavoletta per assolvere da ogni imputazione; un'altra per condannare a morte, la terza per infliggere multe. In una parola tutti discutevano o delle proprie cariche o delle ricompense in denaro o dei nemici da perseguire e pensavano non in che modo vincere, ma come mettere a frutto la vittoria. |
452 | Cum in omnibus locis consumpta iam reliqua parte noctis pugnaretur, semperque hostibus spes victoriae redintegraretur, eo magis, quod deustos pluteos turrium videbant nec facile adire apertos ad auxiliandum animadvertebant, semperque ipsi recentes defessis succederent omnemque Galliae salutem in illo vestigio temporis positam arbitrarentur, accidit inspectantibus nobis quod dignum memoria visum praetereundum non existimavimus. Quidam ante portam oppidi Gallus per manus sebi ac picis traditas glebas in ignem e regione turris proiciebat: scorpione ab latere dextro traiectus exanimatusque concidit.Hunc ex proximis unus iacentem transgressus eodem illo munere fungebatur; eadem ratione ictu scorpionis exanimato alteri successit tertius et tertio quartus, nec prius ille est a propugnatoribus vacuus relictus locus quam restincto aggere atque omni ex parte summotis hostibus finis est pugnandi factus. | Si combatteva in ogni settore, quando era trascorsa ormai la parte restante della notte. Nei nemici, man mano, si rafforzava la speranza di vittoria, tanto più che vedevano i plutei delle torri distrutti dal fuoco e intuivano le difficoltà dei nostri, che dovevano uscire allo scoperto per portar soccorso. Forze fresche nemiche, via via, davano il cambio a chi era stanco, ed erano convinti che tutte le sorti della Gallia dipendessero da quel frangente. Allora, sotto i nostri occhi, accadde un fatto degno di ricordo, che crediamo di non dover tacere. Davanti a una porta della città, un Gallo scagliava in direzione di una torre palle di sego e pece passate di mano in mano: trafitto al fianco destro dal dardo di uno scorpione, cadde senza vita. Uno dei più vicini scavalcò il compagno morto e ne prese il posto. Quando anch'egli, allo stesso modo, cadde colpito dallo scorpione, gli subentrò un terzo, e al terzo un quarto. I difensori non abbandonarono quella posizione fino a che, estinto l'incendio sul terrapieno e respinto il loro attacco in tutto quel settore, la battaglia non ebbe termine. |
863 | Ad haec Ariovistus respondit: Ius esse belli, ut ,qui vicissent ,iis, quos vicissent , quemadmodum vellent , imperarent :item populum Romanum victis non ad alterius praescriptum, sed ad suum arbitrium imperare consuesse. Si ipse populo Romano non praescriberet ,quemadmodum suo iure uteretur, non oportere sese a populo Romano in suo iure impediri. Aeduos sibi, quoniam belli fortunam temptassent et armis congressi superati essent, stipendiarios esse factos.Magnam Caesarem iniuriam facere, qui suo adventu vectigalia sibi deteriora faceret. Aeduis sese obsides redditurum non esse, neque iis neque eorum sociis iniuria bellum illaturum, si in eo manerent, quod convenisset,stipendiumque quotannis penderent; si id non fecissent, longe iis fraternum nomen populi Romani afuturum. Quod sibi Caesar denuntiaret, se Aeduorum iniurias non neglecturum, neminem secum sine sua pernicie contendisse. Cum vellet, congrederetur: intellecturum quid invicti Germani, exercitatissimi in armis, qui inter annos XIIII tectum non subissent, virtute possent. | Ariovisto rispose a queste parole: Che il diritto di guerra era che quelli che avessero vinto comandassero in quel modo che volevano a quelli che avevano vinto; parimente il popolo romano aveva la consuetudine di comandare ai vinti non secondo la prescrizione di un altro, ma a proprio arbitrio. Che se egli non prescriveva al popolo Romano in qual modo dovesse servirsi del suo diritto, non era giusto che egli fosse impedito nel suo diritto dal popolo romano. Che gli Edui erano divenuti a lui tributari perché avevano tentato la fortuna della guerra e si erano con lui affrontati con le armi ed erano stati superati; che Cesare commetteva una grande ingiustizia, il quale con la sua venuta faceva le sue entrate peggiori. Egli non avrebbe restituito gli ostaggi agli Edui né portato guerra ingiustamente a loro e ai loro alleati, se si fossero attenuti a ciò che si era tra loro convenuto e che pagassero il tributo ogni anno; se non avessero fatto ciò, il nome di fratelli del popolo romano sarebbe stato lungi da loro. Quanto a ciò che Cesare dichiarava, che egli non avrebbe trascurato le offese degli Edui, (diceva che) nessuno aveva combattuto contro di lui senza sua rovina; venisse ad attaccarlo quando voleva: avrebbe capito che cosa potessero per valore i Germani invincibili, esercitatissimi nelle armi, i quali durante 14 anni non avevano alloggiato in case. |
737 | Hac oratione habita mirum in modum conversae sunt omnium mentes summaque alacritas et cupiditas belli gerendi innata est, princepsque X. legio per tribunos militum ei gratias egit quod de se optimum iudicium fecisset, seque esse ad bellum gerendum paratissimam confirmavit. Deinde reliquae legiones cum tribunis militum et primorum ordinum centurionibus egerunt uti Caesari satis facerent: se neque umquam dubitasse neque timuisse neque de summa belli suum iudicium sed imperatoris esse existimavisse.Eorum satisfactione accepta et itinere exquisito per Diviciacum, quod ex Gallis ei maximam fidem habebat, ut milium amplius quinquaginta circuitu locis apertis exercitum duceret, de quarta vigilia, ut dixerat, profectus est. Septimo die, cum iter non intermitteret, ab exploratoribus certior factus est Ariovisti copias a nostris milia passuum IIII et XX abesse. | Dopo il discorso di Cesare, lo stato d'animo di tutti mutò in modo sorprendente e in ognuno nacque una gran voglia di agire, un gran desiderio di combattere. Per prima la decima legione, attraverso i tribuni militari, lo ringraziò per lo straordinario apprezzamento ricevuto e confermò di essere prontissima a scendere in campo. Poi le altre legioni, con i tribuni militari e i centurioni più alti in grado, provvidero a scusarsi con Cesare: non avevano mai nutrito dubbi o timori, né avevano pensato che la valutazione delle scelte strategiche spettasse a loro, ma al comandante. Cesare ne accettò le scuse e a Diviziaco, l'unico a cui riservava la massima fiducia tra i Galli, chiese l'itinerario da seguirsi per portare l'esercito in luoghi aperti compiendo un giro di oltre cinquanta miglia. Come aveva preannunziato, dopo le tre di notte partì. Il settimo giorno di marcia ininterrotta fu informato dagli esploratori che le truppe di Ariovisto distavano dai nostri ventiquattro miglia. |
992 | Caesar equitatu praemisso subsequebatur omnibus copiis; sed ratio ordoque agminis aliter se habebat ac Belgae ad Nervios detulerant. Nam quod hostibus adpropinquabat, consuetudine sua Caesar VI legiones expeditas ducebat; post eas totius exercitus impedimenta conlocarat; inde duae legiones quae proxime conscriptae erant totum agmen claudebant praesidioque impedimentis erant. Equites nostri cum funditoribus sagittariisque flumen transgressi cum hostium equitatu proelium commiserunt.Cum se illi identidem in silvis ad suos reciperent ac rursus ex silva in nostros impetum facerent, neque nostri longius quam quem ad finem porrecta [ac] loca aperta pertinebant cedentes insequi auderent, interim legiones VI quae primae venerant, opere dimenso, castra munire coeperunt. Ubi prima impedimenta nostri exercitus ab iis qui in silvis abditi latebant visa sunt, quod tempus inter eos committendi proelii convenerat, ut intra silvas aciem ordinesque constituerant atque ipsi sese confirmaverant, subito omnibus copiis provolaverunt impetumque in nostros equites fecerunt. His facile pulsis ac proturbatis, incredibili celeritate ad flumen decucurrerunt, ut paene uno tempore et ad silvas et in flumine [et iam in manibus nostris] hostes viderentur. Eadem autem celeritate adverso colle ad nostra castra atque eos qui in opere occupati erant contenderunt. | Cesare, mandata in avanti la cavalleria, la seguiva con tutte le truppe. La disposizione e l'ordine di marcia, però, erano diversi da quelli che i Belgi avevano riferito ai Nervi. Infatti, trovandosi in prossimità del nemico, Cesare, secondo la sua abitudine, faceva avanzare libere da carichi le sei legioni, ponendo dietro di esse i bagagli di tutto l'esercito; le due legioni di recente arruolate chiudevano lo schieramento e presidiavano le salmerie. La nostra cavalleria, insieme ai frombolieri e agli arcieri, attraversò il fiume e si scontrò con i cavalieri avversari. I nemici sistematicamente si ritiravano nei boschi presso i loro e, da lì, attaccavano i nostri, che non osavano inseguire i fuggitivi oltre il limite segnato dalla zona pianeggiante e senza vegetazione. Nel frattempo, le sei legioni che erano in testa, tracciato lo spazio, iniziarono a fortificare il campo. I nemici, nascosti nelle selve, avevano già formato le linee di attacco e le file, spronandosi alla lotta: non appena videro i primi carri del nostro esercito - era il segnale convenuto per l'attacco - in massa si lanciarono in avanti e puntarono contro i nostri cavalieri. Li volsero in fuga e dispersero con facilità, poi scesero di corsa verso il fiume, velocissimi: sembrava quasi che fossero, nello stesso istante, sul limitare dei boschi, nel fiume e già addosso ai nostri. Poi, con altrettanta rapidità, salirono il colle opposto dirigendosi contro il nostro accampamento e i legionari intenti ai lavori di fortificazione. |
109 | Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.Nescio, sed fieri sentio et excrucior. | Odio ed amo. Come lo faccia, forse chiedi.Non so, ma sento che accade e mi tormento. |
236 | Cui dono lepidum novum libellumarida modo pumice expolitumCorneli, tibi: namque tu solebasmeas esse aliquid putare nugasiam tum, cum ausus es unus Italorumomne aevum tribus explicare cartisdoctis, Iuppiter, et laboriosis.quare habe tibi quidquid hoc libelliqualecumque, quod, o patrona virgo,plus uno maneat perenne saeclo. | A chi dono un nuovo grazioso librettoappena levigato dalla ruvida pomice?A te, o Cornelio: infatti tu eri solitoritenere che le mie bazzecole valessero qualcosagià allora, quando hai osato solo unico tra gli Italicispiegare tutta la storia in tre libridotti e laboriosi, per Giove.Perciò abbi questo libro quale che siae come che sia; questo, o vergine patrona,duri perenne più di una sola generazione. |
208 | Sicelides Musae, paulo maiora canamus.non omnis arbusta iuvant humilesque myricae;si canimus silvas, silvae sint consule dignae.Ultima Cumaei venit iam carminis aetas;magnus ab integro saeclorum nascitur ordo. 5iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna,iam nova progenies caelo demittitur alto.tu modo nascenti puero, quo ferrea primumdesinet ac toto surget gens aurea mundo,casta fave Lucina; tuus iam regnat Apollo.10Teque adeo decus hoc aevi, te consule, inibit,Pollio, et incipient magni procedere menses;te duce, si qua manent sceleris vestigia nostri,inrita perpetua solvent formidine terras.ille deum vitam accipiet divisque videbit 15permixtos heroas et ipse videbitur illispacatumque reget patriis virtutibus orbem.At tibi prima, puer, nullo munuscula cultuerrantis hederas passim cum baccare tellusmixtaque ridenti colocasia fundet acantho. 20ipsae lacte domum referent distenta capellaeubera nec magnos metuent armenta leones;ipsa tibi blandos fundent cunabula flores.occidet et serpens et fallax herba venenioccidet; Assyrium vulgo nascetur amomum. 25At simul heroum laudes et facta parentisiam legere et quae sit poteris cognoscere virtus,molli paulatim flavescet campus aristaincultisque rubens pendebit sentibus uvaet durae quercus sudabunt roscida mella. 30Pauca tamen suberunt priscae vestigia fraudis,quae temptare Thetin ratibus, quae cingere murisoppida, quae iubeant telluri infindere sulcos.alter erit tum Tiphys et altera quae vehat Argodelectos heroas; erunt etiam altera bella 35atque iterum ad Troiam magnus mittetur Achilles.Hinc, ubi iam firmata virum te fecerit aetas,cedet et ipse mari vector nec nautica pinusmutabit merces; omnis feret omnia tellus.non rastros patietur humus, non vinea falcem, 40robustus quoque iam tauris iuga solvet arator;nec varios discet mentiri lana colores,ipse sed in pratis aries iam suave rubentimurice, iam croceo mutabit vellera luto,sponte sua sandyx pascentis vestiet agnos. 45'Talia saecla' suis dixerunt 'currite' fusisconcordes stabili fatorum numine Parcae.Adgredere o magnos—aderit iam tempus—honores,cara deum suboles, magnum Iovis incrementum.aspice convexo nutantem pondere mundum, 50terrasque tractusque maris caelumque profundum;aspice, venturo laetantur ut omnia saeclo.O mihi tum longae maneat pars ultima vitae,spiritus et quantum sat erit tua dicere facta:non me carminibus vincat nec Thracius Orpheus 55nec Linus, huic mater quamvis atque huic pater adsit,Orphei Calliopea, Lino formosus Apollo.Pan etiam, Arcadia mecum si iudice certet,Pan etiam Arcadia dicat se iudice victum.Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem; 60matri longa decem tulerunt fastidia menses.incipe, parve puer. qui non risere parenti,nec deus hunc mensa dea nec dignata cubili est. | O Muse siciliane, cantiamo cose un po’ più elevate!Non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici;se cantiamo le selve, le selve siano degne di un console.È ormai giunta l’età della profezia umana,il grande ciclo dei secoli rinasce di nuovo;ritorna la Vergine, ritornano i regni di Saturno,una nuova progenie è fatta discendere dall’alto dei cieli.O casta Lucina, proteggi il fanciullo che ora sta nascendoper il quale avrà fine l’età del ferro e sorgerà l’età dell’oroin tutto il mondo; ora governa il tuo Apollo.E sotto il tuo consolato avrà inizio questa splendida età,o Pollione, e i grandi mesi cominceranno a trascorrere;e resteranno le tracce della nostra scelleratezza,dissolte libereranno le terre dall’eterno timore.Egli prenderà la vita degli dei, e con gli dei vedràmescolati gli eroi e lui sarà visto da loro,e reggerà un mondo reso pacifico dalle virtù paterne.Ma per te, o fanciullo, senza essere coltivata,la terra produrrà edere erranti qua e là insieme con il baccaromescolato con la collocasia e con l’acanto ridente;lei stessa produrrà per te delicati fiori come giaciglio.Le caprette riporteranno a casa le poppe piene di latte,né gli armenti temeranno i grandi leoni;perirà il serpente, perirà l’erba ingannatrice del veleno;nascerà ovunque l’amomo assiro.Non appena potrai leggere le imprese degli eroi ele gesta del padre e non appena potrai conoscere quale sia la virtù,a poco a poco la campagna si farà bionda di morbide spighe,l’uva rosseggiante penderà da arbusti incoltie le dure querce trasuderanno miele rugiadoso.Resteranno poche tracce dell’antica malvagità,che indurranno a solcare il mare con battelli, a cingeredi mura le città, ad incidere di solchi la terra.Vi sarà un'altra Tifi e vi sarà un’altra Argo che trasporteràeroi prescelti; vi saranno anche altre guerree di nuovo il grande Achille sarà mandato a Troia.Quindi, quando l’età adulta ti avrà reso uomo,anche il navigante lascerà il mare, e la nave di pinonon scambierà più le merci, tutta la terra produrrà tutto:il suolo non dovrà più sopportare i rastrelli, né la vigna la falce,anche il robusto aratore libererà dal giogo i buoi.La lana non imparerà a mentire i vari colori,ma lo stesso ariete cambierà spontaneamente il suo mantoora nel colore soave della porpora rossastra, ora nel colore giallo zafferano;spontaneamente il carminio rivestirà gli agnelli pascolanti.«Filate tali secoli», dissero le Parche ai loro fusiconcordi per ferma volontà del Fato.Avvicinati ai grandi onori (è giunto ormai il tempo),cara progenie degli dei, grande rampollo di Giove!Guarda il mondo ondeggiante nella sua massa ricurva,e le terre e gli spazi del mare e il cielo profondo;guarda come tutte le cose siano liete per il secolo venturo!A me rimanga l’ultima parte di una lunga vita,e tanta ispirazione quanto basta per cantare le tue imprese!Non mi vincerà nei canti né il tracio Orfeo,né Lino; sebbene l’uno si è ispirato dalla madre e l’altro dal padre,Orfeo da Calliope, Lino dal bell'Apollo.Anche Pan, se gareggiasse con me, sotto il giudizio dell’Arcadiaanche Pan, sotto il giudizio dell’Arcadia, si direbbe vinto.Comincia, o piccolo fanciullo, a riconoscere col sorriso la madre:i dieci mesi arrecarono alla madre lunghe pene.Comincia, o giovane fanciullo: colui al quale non sorrisero i genitori,e né un dio lo degnò della sua mensa, né una dea del suo letto. |
683 | Caesar, ut Brundisium venit, contionatus apud milites, quoniam prope ad finem laborum ac periculorum esset perventum, aequo animo mancipia atque impedimenta in Italia relinquerent, ipsi expediti naves conscenderent, quo maior numerus militum posset imponi, omniaque ex victoria et ex sua liberalitate sperarent, conclamantibus omnibus, imperaret, quod vellet, quodcumque imperavisset, se aequo animo esse facturos, II Nonas Ianuarias naves solvit. Impositae (sunt), ut supra demonstratum est, legiones VII.Postridie terram attigit. Inter Cerauniorum saxa et alia loca periculosa quietam nactus stationem et portus omnes timens, quos teneri ab adversariis arbitrabatur, ad eum locum, qui appellabatur Palaeste, omnibus navibus ad unam incolumibum milites exposuit. [...] Expositis militibus naves eadem nocte Brundisium a Cesare remittuntur, ut reliquae legiones equitatusue transportari possent. | Appena Cesare arrivò a Brindisi tenne un discorso ai soldati: poiché si era giunti quasi alla fine delle fatiche e dei pericoli, essi dovevano di buon animo lasciare in Italia schiavi e bagagli, imbarcarsi sulle navi senza altri carichi, perché vi si potesse caricare un maggior numero di soldati, e riporre ogni speranza nella vittoria e nella sua liberalità. Avendo tutti risposto a gran voce che comandasse pure ciò che voleva, che essi avrebbero eseguito di buon animo qualsiasi suo ordine, salpò due giorni dopo le none di gennaio (7 gennaio). Furono imbarcate, come abbiamo già detto, sette legioni. Il giorno dopo si toccò terra. Trovato un ancoraggio tranquillo tra gli scogli dei Ceurani e altri luoghi pericolosi, evitando tutti i porti che riteneva in mano avversaria, senza aver subito alcun danno alle navi, sbarcò le sue truppe in un luogo chiamato Paleste. [...] Sbarcate le truppe, Cesare rimandò le navi a Brindisi la notte stessa, perché potessero trasportare il resto dell'esercito e la cavalleria. |
287 | Annales Volusi, cacata carta,votum solvite pro mea puella.Nam sanctae Veneri Cupidinquevovit, si sibi restitutus essemdessemque truces vibrare iambos,electissima pessimi poetaescripta tardipedi deo daturaminfelicibus ustulanda lignis.Et hoc pessima se puella viditiocose lepide vovere divis.Nunc o caeruleo creata ponto,quae sanctum Idalium Uriosque apertosquaeque Ancona Cnidumque harundinosamcolis quaeque Amanthunta quaeque Golgosquaeque Durrachium Hadriae tabernum,acceptum face redditumque votum,si non illepidum neque invenustum est.At vos interea venite in ignem,pleni ruris et infacetiarumannales Volusi, cacata carta. | Annali di Volusio, fogli di carta immerdata,sciogliete il voto fatto dalla mia ragazza;proprio lei ha promesso in voto alla santa Venere e ad Amore,se io le fossi stato restituitoe se avessi smesso di impugnare contro di lei i miei sgarbati giambi,di gettare su fiamme di legna esecrata,in onore del dio zoppicante, versiscelti del peggiore fra tutti i poeti.La peggiore fra tutte le ragazze ha decisoin modo scherzoso e divertente di sciogliere questo voto agli dei.Ora, o tu creata dal mare celeste,che abiti il santo Idalio e l'ampio golfo di Uriie Ancona e Cnido, assiepata di canne,e Amatunte e Golgie Durazzo, bordello del mare Adriatico,considera accettato il voto ed esaudito,se non è privo di spirito e indegno della grazia d'amore.E ora a voi, venite sul fuoco,pieni di cafoneria e di balordaggine,Annali di Volusio, fogli di carta immerdata. |
560 | Cassivellaunus, ut supra demonstravimus, omni deposita spe contentionis dimissis amplioribus copiis milibus circiter quattuor essedariorum relictis itinera nostra servabat paulumque ex via excedebat locisque impeditis ac silvestribus sese occultabat, atque eis regionibus quibus nos iter facturos cognoverat pecora atque homines ex agris in silvas compellebat et, cum equitatus noster liberius praedandi vastandique causa se in agros eiecerat, omnibus viis semitisque essedarios ex silvis emittebat et magno cum periculo nostrorum equitum cum eis confligebat atque hoc metu latius vagari prohibebat.Relinquebatur ut neque longius ab agmine legionum discedi Caesar pateretur, et tantum in agris vastandis incendiisque faciendis hostibus noceretur, quantum labore atque itinere legionarii milites efficere poterant. | Cassivellauno - lo abbiamo detto in precedenza - persa ogni speranza di proseguire nello scontro aperto, aveva congedato il grosso dell'esercito e con solo circa quattromila essedari sorvegliava i nostri movimenti: si teneva a poca distanza dalle strade, nascosto in luoghi di difficile accesso e fitti di boschi; nelle zone per cui sapeva che dovevamo transitare cacciava via bestiame e popolazione dalle campagne nelle foreste. Quando la nostra cavalleria si spingeva troppo in là nei campi, per saccheggiare e devastare, lungo tutte le strade e i sentieri, dai boschi Cassivellauno lanciava all'attacco i carri e combatteva con i nostri con tale rischio per loro, da costringerli, per il timore di scontri, a non spingersi troppo distante. A Cesare non restava che impedire alla cavalleria di allontanarsi troppo dal grosso delle legioni in marcia, e accontentarsi di danneggiare i nemici devastandone le campagne e appiccando incendi, per quanto lo potevano i legionari, impegnati in marce faticose. |
820 | Quibus ille cognitis rebus eruptionisque iam ante capto consilio, ut demonstratum est, tegimenta galeis milites ex viminibus facere atque aggerem iubet comportare. His paratis rebus magnum numerum levis armaturae et sagittariorum aggeremque omnem noctu in scaphas et naves actuarias imponit et de media nocte cohortes LX ex maximis castris praesidiisque deductas ad eam partem munitionum ducit, quae pertinebant ad mare longissimeque a maximis castris Caesaris aberant.Eodem naves, quas demonstravimus, aggere et levis armaturae militibus completas, quasque ad Dyrrachium naves longas habebat, mittit et, quid a quoque fieri velit, praecipit. Ad eas munitiones Caesar Lentulum Marcellinum quaestorem cum legione VIIII positum habebat. Huic, quod valetudine minus commoda utebatur, Fulvium Postumum adiutorem submiserat. | Pompeo, venuto a conoscenza di queste cose e avendo deciso già in precedenza, come si è detto, di fare una sortita, ordina ai soldati di preparare con vimini coperture per gli elmi e di ammassare materiale per formare un terrapieno. Predisposto ciò, di notte fa salire su battelli e navi veloci un gran numero di soldati armati alla leggera e di arcieri e caricare tutto il materiale per il terrapieno. Intorno a mezzanotte fa uscire fuori dal campo maggiore e dai presidi sessanta coorti conducendole da quella parte delle fortificazioni rivolta verso il mare e molto lontana dall'accampamento più grande di Cesare. Colà manda le navi cariche, come si è detto, di soldati armati alla leggera e del materiale e le navi da guerra di stanza a Durazzo e a ciascuno impartisce ordini dettagliati. Presso quelle fortificazioni Cesare aveva disposto il questore Lentulo Marcellino con la nona legione. A costui, che non godeva di buona salute, aveva affiancato, come aiutante, Fulvio Postumo. |
986 | Cum tridui viam processisset, nuntiatum est ei Ariovistum cum suis omnibus copiis ad occupandum Vesontionem, quod est oppidum maximum Sequanorum, contendere [triduique viam a suis finibus processisse]. Id ne accideret, magnopere sibi praecavendum Caesar existimabat. Namque omnium rerum quae ad bellum usui erant summa erat in eo oppido facultas, idque natura loci sic muniebatur ut magnam ad ducendum bellum daret facultatem, propterea quod flumen [alduas] Dubis ut circino circumductum paene totum oppidum cingit, reliquum spatium, quod est non amplius pedum MDC, qua flumen intermittit, mons continet magna altitudine, ita ut radices eius montis ex utraque parte ripae fluminis contingant, hunc murus circumdatus arcem efficit et cum oppido coniungit.Huc Caesar magnis nocturnis diurnisque itineribus contendit occupatoque oppido ibi praesidium conlocat. | Dopo tre giorni di marcia gli riferirono che Ariovisto era partito dai suoi territori già da tre giorni e si dirigeva con tutte le truppe verso Vesonzione, la più grande città dei Sequani, per occuparla. Cesare giudicò di dover impedire a ogni costo che Vesonzione cadesse. Infatti, nella città si trovava, in abbondanza, tutto ciò che serve in guerra; inoltre, era così protetta dalla conformazione naturale, da permettere con facilità le operazioni belliche: il fiume Doubs la circonda quasi completamente, come se il suo corso fosse stato tracciato con un compasso; dove non scorre il fiume, in una zona che si estende per non più di milleseicento piedi, sorge un monte molto elevato, la cui base tocca da entrambi i lati le sponde del Doubs. Un muro circonda il monte, lo unisce alla città e ne fa una roccaforte. Cesare qui si diresse, a marce forzate di giorno e di notte. occupò la città e vi pose un presidio. |
765 | Quibus rebus confectis flens Petreius manipulos circumit militesque appellat, neu se neu Pompeium, imperatorem suum, adversariis ad supplicium tradant, obsecrat. Fit celeriter concursus in praetorium. Postulat, ut iurent omnes se exercitum ducesque non deserturos neque prodituros neque sibi separatim a reliquis consilium capturos. Princeps in haec verba iurat ipse; idem iusiurandum adigit Afranium; subsequuntur tribuni militum centurionesque; centuriatim producti milites idem iurant.Edicunt, penes quem quisque sit Caesaris miles, ut producatur: productos palam in praetorio interficiunt. Sed plerosque ei, qui receperant, celant noctuque per vallum emittunt. Sic terror oblatus a ducibus, crudelitas in supplicio, nova religio iurisiurandi spem praesentis deditionis sustulit mentesque militum convertit et rem ad pristinam belli rationem redegit. | Compiuto ciò, Petreio in lacrime passa da un manipolo all'altro e chiama i soldati per nome, li scongiura di non lasciare in balia degli avversari né lui né Pompeo, il loro comandante assente. Prontamente vi è un affollamento di soldati davanti alla tenda pretoria. Petreio chiede che tutti giurino di non tradire e di non abbandonare l'esercito e i comandanti e di non prendere decisioni, ciascuno per sé, separatamente dagli altri. Egli stesso per primo pronuncia la formula del giuramento; fa prestare lo stesso giuramento ad Afranio; seguono i tribuni militari e i centurioni; i soldati, fatti avanzare per centurie, fanno il medesimo giuramento. Ordinano che chiunque abbia presso di sé soldati di Cesare li presenti; al cospetto di tutti uccidono davanti alla tenda pretoria coloro che sono stati consegnati. Ma i più vengono nascosti da coloro che li avevano accolti e di notte vengono fatti scappare attraverso la trincea. Così il terrore cagionato dai capi, la crudeltà del massacro, il nuovo vincolo del giuramento portarono via la speranza di una resa immediata, mutarono l'animo dei soldati e ricondussero la situazione alla fase di prima: la guerra. |
975 | Ambiorix copias suas iudicione non conduxerit, quod proelio dimicandum non existimarit, an tempore exclusus et repentino equitum adventu prohibitus, cum reliquum exercitum subsequi crederet, dubium est. Sed certe dimissis per agros nuntiis sibi quemque consulere iussit. Quorum pars in Arduennam silvam, pars in continentes paludes profugit; qui proximi Oceano fuerunt, his insulis sese occultaverunt, quas aestus efficere consuerunt: multi ex suis finibus egressi se suaque omnia alienissimis crediderunt.Catuvolcus, rex dimidiae partis Eburonum, qui una cum Ambiorige consilium inierat, aetate iam confectus, cum laborem aut belli aut fugae ferre non posset, omnibus precibus detestatus Ambiorigem, qui eius consilii auctor fuisset, taxo, cuius magna in Gallia Germaniaque copia est, se exanimavit. | Non è chiaro se Ambiorige non avesse raccolto le sue truppe di proposito, non ritenendo opportuno uno scontro aperto, oppure se gli fosse mancato il tempo e glielo avesse impedito l'arrivo improvviso della cavalleria, che credeva seguita dal resto dell'esercito. L'unica cosa certa è che inviò messi nelle campagne con l'ordine di pensare ciascuno per sé. Alcuni dei suoi si rifugiarono nella selva delle Ardenne, altri nelle paludi interminabili. Chi viveva nei pressi dell'Oceano riparò nelle isole che le maree sono solite formare. Molti, poi, abbandonati i propri territori, affidarono se stessi, con ogni avere, a genti del tutto estranee. Catuvolco, re di una metà degli Eburoni, che aveva assunto l'iniziativa insieme ad Ambiorige, era ormai sfinito dagli anni e non poteva reggere le fatiche di una guerra o di una fuga. Perciò, dopo aver maledetto con ogni sorta d'imprecazioni Ambiorige, l'ideatore del piano, si tolse la vita con il tasso, una pianta molto diffusa in Gallia e in Germania. |
95 | ecce autem duro fumans sub vomere taurus 515concidit et mixtum spumis vomit ore cruoremextremosque ciet gemitus. it tristis aratormaerentem abiungens fraterna morte iuvencum,atque opere in medio defixa reliquit aratra.non umbrae altorum nemorum, non mollia possunt 520prata mouere animum, non qui per saxa uolutuspurior electro campum petit amnis; at imasolvuntur latera, atque oculos stupor urget inertisad terramque fluit devexo pondere cervix. | Ecco il toro, fumante di sudore sotto il duro vomere, stramazza e vomita dalla bocca sangue e bava, ed emette gli estremi gemiti. Va triste l 'Aratore, staccando l'altro giovenco afflitto per la morte del fratello, e lascia l'aratro piantato a mezzo il solco.Non le ombre dei boschi profondi, non i soffia prati possono allettarlo più, non il ruscello che, fra i sassi correndo più puro dell'ambra, va verso il piano: e già gli vengon meno i fianchi e lo stupore grava gli occhi inerti, e a terra piega, per il peso che tira giù, la cervice. |
224 | At hostes, ubi primum nostros equites conspexerunt, quorum erat V milium numerus, cum ipsi non amplius DCCC equites haberent, quod ii qui frumentandi causa erant trans Mosam profecti nondum redierant, nihil timentibus nostris, quod legati eorum paulo ante a Caesare discesserant atque is dies indutiis erat ab his petitus, impetu facto celeriter nostros perturbaverunt; rursus his resistentibus consuetudine sua ad pedes desiluerunt subfossis equis compluribus nostris deiectis reliquos in fugam coniecerunt atque ita perterritos egerunt ut non prius fuga desisterent quam in conspectum agminis nostri venissent. | Ma i nemici, appena videro i nostri cavalieri - benché ci fossero circa cinquemila unità, mentre essi non ne avevano più di ottocento, non essendo ancora rientrati i cavalieri che avevano varcato la Mosa in cerca di rifornimenti - si lanciarono all'attacco e sbalzarono in breve tempo i nostri, che non nutrivano alcun timore, in quanto l'ambasceria dei Germani aveva appena lasciato Cesare chiedendo, per quel giorno, tregua. Quando i nostri riuscirono a opporre resistenza, gli avversari, secondo la loro tecnica abituale, balzarono a terra e, ferendo al ventre i cavalli, disarcionarono molti dei nostri e costrinsero alla fuga i superstiti, premendoli e terrorizzandoli al punto che non cessarono la ritirata se non quando furono in vista del nostro esercito in marcia. |
280 | Passer, deliciae meae puellae,quicum ludere, quem in sinu tenere,cui primum digitum dare appetentiet acris solet incitare morsus,cum desiderio meo nitenticarum nescio quid lubet iocariet solaciolum sui doloris,credo ut tum gravis acquiescat ardor:tecum ludere sicut ipsa possemet tristis animi levare curas! | O passero, delizia della mia ragazzacon cui suole giocare, suole tenerlo in seno,a lui che assale suole dare la punta del ditoe suole incitare violenti morsi,quando alla splendida amata miapiace prendersi un so che di giocoe un piccolo conforto del suo dolore,redo, perché allora s'acquieti il forte ardore:con te potessi come lei giocaree alleviare i tristi affanni dell'animo!Tanto quanto fu gradito a me dicono alla fanciullafosse la mela dorata,la quale sciolse la zona legata da tempo. |
492 | His copiis coactis ad Bellovacos proficiscitur castrisque in eorum finibus positis equitum turmas dimittit in omnes partes ad aliquos excipiendos ex quibus hostium consilia cognosceret. Equites officio functi renuntiant paucos in aedificiis esse inventos, atque hos, non qui agrorum colendorum causa remansissent (namque esse undique diligenter demigratum), sed qui speculandi causa essent remissi. A quibus cum quaereret Caesar quo loco multitudo esset Bellovacorum quodve esset consilium eorum, inveniebat Bellovacos omnes qui arma ferre possent in unum locum convenisse, itemque Ambianos, Aulercos, Caletos, Veliocasses, Atrebatas; locum castris excelsum in silva circumdata palude delegisse, impedimenta omnia in ulteriores silvas contulisse.Complures esse principes belli auctores, sed multitudinem maxime Correo obtemperare, quod ei summo esse odio nomen populi Romani intellexissent. Paucis ante diebus ex his castris Atrebatem Commium discessisse ad auxilia Germanorum adducenda; quorum et vicinitas propinqua et multitudo esset infinita. Constituisse autem Bellovacos omnium principum consensu, summa plebis cupiditate, si, ut diceretur, Caesar cum tribus legionibus veniret, offerre se ad dimicandum, ne miseriore ac duriore postea condicione cum toto exercitu decertare cogerentur; si maiores copias adduceret, in eo loco permanere quem delegissent, pabulatione autem, quae propter anni tempus cum exigua tum disiecta esset, et frumentatione et reliquo commeatu ex insidiis prohibere Romanos. | Riunite queste truppe, punta sui Bellovaci, stabilisce il campo nei loro territori e manda dappertutto squadroni di cavalleria per catturare prigionieri, che lo avrebbero messo al corrente dei piani nemici. I cavalieri, eseguito l'ordine, riferiscono di aver trovato solo pochi nemici in case isolate, ma non si trattava di gente rimasta a coltivare i campi (tutte le zone, infatti, erano state scrupolosamente evacuate), bensì di osservatori rispediti a sorvegliare le nostre mosse. Avendo chiesto ai prigionieri dove si trovava il grosso dei Bellovaci e quali ne fossero i disegni, Cesare ricevette le seguenti indicazioni: tutti i Bellovaci in grado di portare armi si erano radunati in un solo luogo, come pure gli Ambiani, gli Aulerci, i Caleti, i Veliocassi, gli Atrebati; avevano scelto per l'accampamento una località in alto, in una selva circondata da una palude e avevano ammassato tutti i bagagli nei boschi alle spalle. Parecchi erano i capi, fautori della guerra, ma la massa obbediva in particolare a Correo, in quanto era noto il suo odio mortale per il nome del popolo romano. Pochi giorni prima, l'atrebate Commio si era allontanato dal campo in cerca di rinforzi presso i Germani, che erano vicini e di numero sterminato. Poi, i Bellovaci, col consenso di tutti i capi, tra l'entusiasmo generale, avevano deciso di esporsi a un combattimento, se davvero Cesare fosse giunto con tre legioni, come si diceva; in tal modo, non sarebbero stati costretti, in seguito, a lottare contro tutto l'esercito in condizioni più difficili e ardue; se, invece, Cesare avesse condotto truppe più numerose, si sarebbero attestati nella posizione che avevano scelto e avrebbero impedito ai Romani, mediante imboscate, la raccolta di foraggio (che non solo scarseggiava, ma era anche disperso qua e là per via della stagione), nonché di grano e di altri viveri. |
864 | Re frumentaria praeparata confirmatisque militibus et satis longo spatio temporis a Dyrrachinis proeliis intermisso, quo satis perspectum habere militum animum videretur, temptandum Caesar existimavit, quidnam Pompeius propositi aut voluntatis ad dimicandum haberet. Itaque exercitum ex castris eduxit aciemque instruxit, primum suis locis pauloque a castris Pompei longius, continentibus vero diebus, ut progrederetur a castris suis collibusque Pompeianis aciem subiceret.Quae res in dies confirmatiorem eius exercitum efficiebat. Superius tamen institutum in equitibus, quod demonstravimus, servabat, ut, quoniam numero multis partibus esset inferior, adulescentes atque expeditos ex antesignanis electis ad pernicitatem armis inter equites proeliari iuberet, qui cotidiana consuetudine usum quoque eius generis proeliorum perciperent. His erat rebus effectum, ut equitum mille etiam apertioribus locis VII milium Pompeianorum impetum, cum adesset usus, sustinere auderent neque magnopere eorum multitudine terrerentur. Namque etiam per eos dies proelium secundum equestre fecit atque unum Allobrogem ex duobus, quos perfugisse ad Pompeium supra docuimus, cum quibusdam interfecit. | Provveduto al vettovagliamento e rincuorati i soldati, lasciato trascorrere dalla battaglia di Durazzo il tempo necessario per conoscere a sufficienza l'animo dei soldati, Cesare giudicò opportuno di saggiare l'intenzione e la volontà di Pompeo di combattere. E così condusse fuori dal campo l'esercito e lo schierò a battaglia, dapprima in posizioni favorevoli e alquanto lontano dal campo di Pompeo, poi, nei giorni seguenti, allontanandosi dal suo campo e schierando le truppe ai piedi dei colli occupati dai Pompeiani. La qual cosa rafforzava di giorno in giorno il morale del suo esercito. Tuttavia manteneva, per la cavalleria, la medesima disposizione di cui abbiamo detto: poiché i suoi cavalieri erano molto inferiori per numero ordinò che giovani e soldati armati alla leggera, scelti tra gli antesignani, con armi adatte alla velocità, combattessero in mezzo ad essi, affinché con un esercizio quotidiano acquisissero esperienza anche di questo genere di combattimento. Il risultato di ciò fu che un migliaio di cavalieri, impadronitisi della pratica, erano in grado, anche in campo aperto, di sostenere l'impeto di settemila pompeiani senza facilmente spaventarsi per la loro grande superiorità numerica. E infatti in quei giorni combatté con successo una battaglia equestre, uccidendo con alcuni altri Eco, uno dei due Allobrogi, che, come sopra abbiamo detto, si erano rifugiati presso Pompeo. |
612 | Omnia experti Galli, quod res nulla successerat, postero die consilium ceperunt ex oppido profugere hortante et iubente Vercingetorige. Id silentio noctis conati non magna iactura suorum sese effecturos sperabant, propterea quod neque longe ab oppido castra Vercingetorigis aberant, et palus, quae perpetua intercedebat, Romanos ad insequendum tardabat. Iamque hoc facere noctu apparabant, cum matres familiae repente in publicum procurrerunt flentesque proiectae ad pedes suorum omnibus precibus petierunt, ne se et communes liberos hostibus ad supplicium dederent, quos ad capiendam fugam naturae et virium infirmitas impediret.Vbi eos in sententia perstare viderunt, quod plerumque in summo periculo timor misericordiam non recipit, conclamare et significare de fuga Romanis coeperunt. Quo timore perterriti Galli, ne ab equitatu Romanorum viae praeoccuparentur, consilio destiterunt. | I Galli le provarono tutte, ma senza successo: il giorno seguente decisero di evacuare la città, su consiglio e ordine di Vercingetorige. Speravano che la manovra non costasse loro gravi perdite, se tentata nel silenzio della notte: il campo di Vercingetorige, infatti, non era lontano dalla città, e una palude, che si frapponeva interminabile, ritardava l'inseguimento dei Romani. Già si apprestavano di notte alla ritirata, quando all'improvviso le madri di famiglia scesero nelle strade, si gettarono in lacrime ai piedi dei loro e li scongiurarono con preghiere d'ogni sorta di non abbandonare alla ferocia nemica loro stesse e i figli comuni, che non potevano fuggire, deboli com'erano per il sesso o l'età. Quando videro che gli uomini non recedevano dalla decisione - in caso di pericolo estremo, in genere, il timore non lascia spazio alla compassione - cominciarono a gridare e a segnalare ai Romani la fuga. I Galli, preoccupati che la cavalleria romana li prevenisse e occupasse le strade, rinunciarono al loro proposito. |
206 | Nunc, ut a me, patres conscripti, quandam prope iustam patriae querimoniam detester ac deprecer, percipite, quaeso, diligenter, quae dicam, et ea penitus animis vestris mentibusque mandate. Etenim, si mecum patria, quae mihi vita mea multo est carior, si cuncta Italia, si omnis res publica loquatur: 'M.Tulli, quid agis? Tune eum, quem esse hostem comperisti, quem ducem belli futurum vides, quem expectari imperatorem in castris hostium sentis, auctorem sceleris, principem coniurationis, evocatorem servorum et civium perditorum, exire patiere, ut abs te non emissus ex urbe, sed immissus in urbem esse videatur? Nonne hunc in vincla duci, non ad mortem rapi, non summo supplicio mactari imperabis? Quid tandem te impedit? mosne maiorum? At persaepe etiam privati in hac re publica perniciosos cives morte multarunt.An leges, quae de civium Romanorum supplicio rogatae sunt? At numquam in hac urbe, qui a re publica defecerunt, civium iura tenuerunt. An invidiam posteritatis times? Praeclaram vero populo Romano refers gratiam, qui te, hominem per te cognitum nulla commendatione maiorum tam mature ad summum imperium per omnis honorum gradus extulit, si propter invidiam aut alicuius periculi metum salutem civium tuorum neglegis.Sed, si quis est invidiae metus, non est vehementius severitatis ac fortitudinis invidia quam inertiae ac nequitiae pertimescenda. An, cum bello vastabitur Italia, vestabuntur urbes, tecta ardebunt tum te non existumas invidiae incendio conflagraturum?' | Ora, Senatori, affinchè io allontani e storni da me una lamentela, in un certo senso, giusta della patria, ascoltate, per favore, attentamente ciò che dirò e imprimetelo profondamente nelle vostre menti. Infatti, se la patria, che per me è molto più cara della vita mia, se tutta l’Italia, se tutto lo stato mi dicesse: “ Marco Tullio, che fai? Hai scoperto che costui è un nemico, che vedi che sarà lui a condurre la guerra, che ti accorgi che è attesto come comandante supremo nel campo nemico, l’ideatore del crimine, capo della congiura, istigatore degli schiavi e l’agitatore dei cittadini malvagi,permetti che si allontani, così che sembra che sembra che non sia stato scacciato da te, ma che tu l’abbia fatto entrare in città? Non ordinerai che sia condotto in prigione, condotto alla morte, che sia sacrificato con l’estremo supplizio? (climax ascendente) Che cosa te lo impedisce finora? La tradizione degli avi? Ma assai spesso, anche dei privati, in questo stato, hanno messo a morte cittadini pericolosi. O forse te lo impediscono le leggi che sono state emanate sull’esecuzione capitale dei cittadini romani? Eppure, in questa città, quelli che si sono ribellati allo stato non hanno mai conservato i diritti civili. O temi la disapprovazione dei posteri? Dimostri una riconoscenza davvero mirabile nei confronti del popolo romano, che ti innalzò, uomo conosciuto per mezzo di te, senza la garanzia di una famiglia nobile, tanto presto sei arrivato al sommo potere attraverso la serie di cariche politiche (cursus honorum), trascuri la salvezza dei tuoi concittadini a causa della paura di qualche pericolo o a causa della disapprovazione. Ma se c’è qualche paura della disapprovazione, non deve essere temuta la disapprovazione per una severa fermezza (endiadi – per la severità e la fermezza) più intensamente che di quella per una inerte malvagità (endiadi – per l’inerzia e per la malvagità)? O forse quando l’Italia sarà devastata dalla guerra, le città saranno distrutte, le case bruceranno, non ritieni che allora te brucerai nel fuoco della disapprovazione? |
184 | Odi et amo fortasse requiris quare id faciamnescio sed fieri et excrucior | Odio e amo. Forse chiedi per quale motivo io faccia ciò.Non lo so ma sento che mi tormento. |
123 | Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. Horum omnium fortissimi sunt Belgae, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longe absunt minimeque ad eos mercatore saepe commeant nec ea, quae ad mollitiam animorum pertinent, important.Proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt: hac de causa Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod fere cotidianis proeliis cum Germanis contendunt, cum aut a suis finibus eos prohibent aut ipsi in eorum finibus bellum gerunt. Eorum una pars, quam Gallos obtinere dictum est, initium capit a flumine Rhodano, continetur Garumna flumine, Oceano, finibus Belgarum, sed attingit flumen Rhenum et vergit ad septemtriones. Belgae ab extremis Galliae finibus oriuntur pertinent ad inferiorem partem fluminis Rheni, spectant in septentrionem et orientem solem. | La gallia nel suo insieme è divisa in tre parti, delle quali una abitata dai Belgi, una dagli Aquitani, la terza da coloro che nella propria lingua si chiamano Celti, nella nostra Galli. Tutti questi popoli si differenziano per lingua, istituzioni, leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquitani, la Marna e la Senna li dividono dai Belgi. Di tutti questi i più forti sono i Belgi, perche sono i più lontani dalla vita civilizzata e dalla provincia, e molto raramente i mercanti giungono fino a loro, nè vi importano i prodotti che rendono gli animi effeminati; e sono più vicini ai Germani, che abitano oltre il Reno, con i quali combattono continuamente. Per questo motivo gli Elvezi superano in virtù gli altri Galli, poichè quasi quotidinamente combattono contro i Germani, o respingendoli dai propri confini o portando la guerra nel loro territorio. Una parte di quelle, che come si è detto è abitata dai Galli, inizia dal fiume Rodano, è compresa tra il fiume Garonna, l'Oceano e il territorio dei Belgi, dalla parte dei Sequani e degli Elvezi raggiunge anche il fiume Reno, si stende verso Settentrione. Il territorio dei Belgi comincia dai limiti della Gallia, si estende fino al corso inferiore del fiume Reno, guarda a settentrione e a Oriente. L'Aquitania si estende dal fiume Garonna fino ai monti Pirenei e alla parte dell'Oceano che bagna la Spagna; è disposta tra Occidente e Settentrione. |
744 | His rebus et feriis Latinis comitiisque omnibus perficiendis XI dies tribuit dictaturaque se abdicat et ab urbe proficiscitur Brundisiumque pervenit. Eo legiones XII, equitatum omnem venire iusserat. Sed tantum navium repperit, ut anguste XV milia legionariorum militum, DC equites transportari possent. Hoc unum Caesari ad celeritatem conficiendi belli defuit. Atque hae ipsae copiae hoc infrequentiores imponuntur, quod multi Gallicis tot bellis defecerant, longumque iter ex Hispania magnum numerum deminuerat, et gravis autumnus in Apulia circumque Brundisium ex saluberrimis Galliae et Hispaniae regionibus omnem exercitum valetudine temptaverat. | Impiega undici giorni per sbrigare queste cose, per celebrare le Ferie latine e per portare a termine tutti i comizi; rinuncia alla dittatura, parte da Roma e giunge a Brindisi. Aveva ordinato che si recassero colà dodici legioni e tutta la cavalleria. Ma di navi trovò solo un numero sufficiente a trasportare, a mala pena, quindicimila legionari e cinquecento cavalieri. Solo questo [la scarsità delle navi] mancò a Cesare per condurre a termine la guerra in breve tempo. Inoltre quelle stesse legioni che vengono fatte imbarcare sono al di sotto del numero effettivo di uomini in quanto molti di essi erano venuti a mancare in tante guerre galliche, e il lungo viaggio dalla Spagna ne aveva di molto diminuito il numero e l'autunno insalubre in Puglia e attorno a Brindisi aveva messo a prova la salute di tutto l'esercito che proveniva dalle salutari regioni della Gallia e della Spagna. |
674 | Nostri, cum undique premerentur, XLVI centurionibus amissis deiecti sunt loco. Sed intolerantius Gallos insequentes legio decima tardavit, quae pro subsidio paulo aequiore loco constiterat. Hanc rursus XIII legionis cohortes exceperunt, quae ex castris minoribus eductae cum Tito Sextio legato ceperant locum superiorem. Legiones, ubi primum planitiem attigerunt, infestis contra hostes signis constiterunt. Vercingetorix ab radicibus collis suos intra munitiones reduxit.Eo die milites sunt paulo minus septingenti desiderati. | I nostri, pressati da ogni lato, vennero respinti e persero quarantasei centurioni. Ma i Galli che si erano lanciati all'inseguimento con troppa foga, li frenò la decima legione, che era schierata di rincalzo in una zona un po' più pianeggiante. A sua volta, la decima ricevette sostegno dalle coorti della tredicesima, che aveva lasciato il campo minore con il legato T. Sestio e si era attestata su un rialzo. Le legioni, non appena raggiunsero la pianura, volsero le insegne contro il nemico e presero posizione. Vercingetorige chiamò entro le fortificazioni i suoi, che si erano spinti fino ai piedi del colle. Quel giorno le nostre perdite sfiorarono i settecento uomini. |
28 | [...] Item aliud est factum eius praeclarum. Petilii quidam tribuni plebis a M., ut aiunt, Catone, inimico Scipionis, comparati in eum atque inmissi desiderabant in senatu instantissime, ut pecuniae Antiochinae praedaeque in eo bello captae rationem redderet; fuerat enim L. Scipioni Asiatico, fratri suo, imperatori in ea provincia legatus. Ibi Scipio exsurgit et prolato e sinu togae libro rationes in eo scriptas esse dixit omnis pecuniae omnisque praedae; illatum, ut palam recitaretur et ad aerarium deferretur."Sed enim id iam non faciam" inquit "nec me ipse afficiam contumelia eumque librum statim coram discidit suis manibus et concerpsit aegre passus, quod, cui salus imperii ac reipublicae accepta ferri deberet, rationem pecuniae praedaticiae posceretur. | [...] Di lui è da rimarcare allo stesso modo un altro episodio. Certi Petilii, tribuni della plebe, a quel che si dice sobillati e spinti contro di lui da M. Catone, nemico di Scipione, chiedevano con grande insistenza in senato che egli facesse il rendiconto del denaro di Antioco e del bottino preso in quella guerra; infatti egli era stato luogotenente di suo fratello L. Scipione Asiatico, comandante in capo in quella provincia. Allora Scipione si alzò e, tirato fuori da un lembo della veste un libro disse che lì erano annotate tutte le somme di denaro e il bottino (preso); disse poi che quel libro era stato da lui portato proprio per essere letto di fronte a tutti e messo nell’erario. "Ma ora non lo farò più – disse – e non mi disonorerò da me stesso", e immediatamente con le sue stesse mani davanti a tutti strappò il libro e lo ridusse a pezzi, perché non riusciva a sopportare il fatto che si chiedesse di rendere conto del danaro facente parte della preda di guerra a chi doveva essere attribuita la conquista della salvezza del dominio e dello Stato romano. |
470 | Caesar eo tempore cum legione una profectus ad recipiendas ulteriores civitates et rem frumentariam expediendam, qua angusta utebatur,erat ad Buthrotum, oppidum oppositum Corcyrae. Ibi certior ab Acilio et Murco per litteras factus de postulatis Libonis et Bibuli legionem relinquit; ipse Oricum revertitur. Eo cum venisset, evocantur illi ad colloquium. Prodit Libo atque excusat Bibulum, quod is iracundia summa erat inimicitiasque habebat etiam privatas cum Caesare ex aedilitate et praetura conceptas: ob eam causam colloquium vitasse, ne res maximae spei maximaeque utilitatis eius iracundia impedirentur.Suam summam esse ac fuisse semper voluntatem, ut componeretur atque ab armis discederetur, sed potestatem eius rei nullam habere, propterea quod de consilii sententia summam belli rerumque omnium Pompeio permiserint. Sed postulatis Caesaris cognitis missuros ad Pompeium, atque illum reliqua per se acturum hortantibus ipsis. Interea manerent indutiae, dum ab illo rediri posset, neve alter alteri noceret. Huc addit pauca de causa et de copiis auxiliisque suis. | Cesare in quel tempo, partito con una sola legione per ricevere la sottomissione delle città più meridionali e per procurarsi del frumento di cui aveva penuria, si trovava nei pressi di Butroto, città di fronte a Corcira. Qui, informato per lettera da Acilio e Murco delle richieste di Libone e Bibulo, lascia la legione e fa ritorno a Orico. Giuntovi, i Pompeiani vengono convocati a colloquio. Libone si fa avanti e porge le scuse per l'assenza di Bibulo, poiché questi era di carattere fortemente iracondo e aveva con Cesare un'inimicizia anche privata nata al tempo dell'edilità e della pretura; per questo motivo aveva evitato il colloquio affinché la sua irascibilità non turbasse il negoziato che si sperava di grandissima utilità. È, dice, e fu sempre grandissimo desiderio di Pompeo che si venisse a un accordo e si deponessero le armi; essi non hanno nessun potere per trattare, perché secondo il decreto del consiglio il comando supremo della guerra e di tutto il resto era stato affidato a Pompeo. Ma, una volta conosciute le richieste di Cesare, essi le avrebbero fatte pervenire a Pompeo e Pompeo, esortato da loro, avrebbe da solo preso le rimanenti decisioni. Durasse frattanto l'armistizio in modo che si potesse fare ritorno da Pompeo e nessuno dei due avversari potesse danneggiare l'altro. A ciò aggiunge poche parole sulle ragioni del conflitto e sulle proprie truppe e milizie ausiliarie. |
751 | Tum vero neque ad explorandum idoneum locum castris neque ad progrediendum data facultate consistunt necessario et procul ab aqua et natura iniquo loco castra ponunt. Sed isdem de causis Caesar, quae supra sunt demonstratae, proelio non lacessit et eo die tabernacula statui passus non est, quo paratiores essent ad insequendum omnes, sive noctu sive interdiu erumperent. Illi animadverso vitio castrorum tota nocte munitiones proferunt castraque castris convertunt.Hoc idem postero die a prima luce faciunt totumque in ea re diem consumunt. Sed quantum opere processerant et castra protulerant, tanto aberant ab aqua longius, et praesenti malo aliis malis remedia dabantur. Prima nocte aquandi causa nemo egreditur ex castris; proximo die praesidio in castris relicto universas ad aquam copias educunt, pabulatum emittitur nemo. His eos suppliciis male haberi Caesar et necessariam subire deditionem quam proelio decertare malebat. Conatur tamen eos vallo fossaque circummunire, ut quam maxime repentinas eorum eruptiones demoretur; quo necessario descensuros existimabat. Illi et inopia pabuli adducti et, quo essent expeditiores, omnia sarcinaria iumenta interfici iubent. | Allora invero non essendo possibile né trovare un luogo adatto per porre il campo né avanzare, i Pompeiani sono costretti a fermarsi e ad accamparsi lontano dall'acqua e in posizione sfavorevole. Ma Cesare, per i medesimi motivi sopra esposti, non li provocò a battaglia e in quel giorno non volle che fossero poste le tende affinché tutti fossero più pronti all'inseguimento, se i nemici, di giorno o di notte, avessero tentato una sortita. Costoro, accortisi della posizione pericolosa dell'accampamento, per tutta la notte portano in avanti le linee di difesa e spostano il campo in altra sede. Continuano lo stesso lavoro anche il giorno successivo fin dall'alba e vi impiegano tutta la giornata. Ma quanto più procedevano nel lavoro e spostavano avanti il campo, tanto più erano lontani dall'acqua e si rimediava al presente male con altri mali. La prima notte nessuno esce dal campo in cerca d'acqua; il giorno successivo, lasciato un presidio nel campo, fanno uscire tutte le truppe per l'approvvigionamento d'acqua, nessuno viene mandato in cerca di foraggio. Cesare preferiva tenerli in tali tormenti e costringerli alla capitolazione piuttosto che risolvere il combattimento con le armi. Tenta tuttavia di circondarli con una trincea e una fossa in modo da impedire al massimo sortite improvvise, alle quali pensava che per forza avrebbero dovuto ricorrere. I nemici, costretti dalla mancanza di cibo e per essere più liberi nei movimenti, fanno uccidere tutte le bestie da soma. |
614 | Apud Helvetios longe nobilissimus fuit et ditissimus Orgetorix. Is M. Messala, [et P.] M. Pisone consulibus regni cupiditate inductus coniurationem nobilitatis fecit et civitati persuasit ut de finibus suis cum omnibus copiis exirent: perfacile esse, cum virtute omnibus praestarent, totius Galliae imperio potiri. Id hoc facilius iis persuasit, quod undique loci natura Helvetii continentur: una ex parte flumine Rheno latissimo atque altissimo, qui agrum Helvetium a Germanis dividit; altera ex parte monte Iura altissimo, qui est inter Sequanos et Helvetios; tertia lacu Lemanno et flumine Rhodano, qui provinciam nostram ab Helvetiis dividit.His rebus fiebat ut et minus late vagarentur et minus facile finitimis bellum inferre possent; qua ex parte homines bellandi cupidi magno dolore adficiebantur. Pro multitudine autem hominum et pro gloria belli atque fortitudinis angustos se fines habere arbitrabantur, qui in longitudinem milia passuum CCXL, in latitudinem CLXXX patebant. | Presso gli Elvezi, Orgetorige fu di gran lunga il più nobile e ricco. Durante il consolato di Marco Messala e di Pupio Marco Pisone, indotto dal desiderio del regno fece una congiura contro i nobili e convinse la sua gente ad uscire dai loro confini con tutti i loro possessi: era cosa facilissima, dal momento che eccellevano su tutti per valore militare, impadronendosi del potere di tutta la Gallia. Li convinse più facilmente per questo, perché gli Elvezi sono confinati da ogni parte per la natura dei luoghi: da una parte dal fiume Reno larghissimo e profondissimo, che divide il territorio degli Elvezi da quello dei Germani; dall'altra parte dall'altissimo monte Iura, che sta tra i Sequani e gli Elvezi; dal terzo lato dal lago Lemanno e dal fiume Rodano, che divide la Provenza dagli Elvezi. Per queste ragioni accadeva sia che potevano sconfinare meno estesamente sia che potevano portare guerra meno facilmente ai popoli confinanti; da quella parte uomini ansiosi di combattere erano travagliati da grande malumore. In ragione poi del gran numero di uomini e della gloria militare e della forza, stimavano avere dei confini angusti che si estendevano in longitudine per 240 mila passi, in latitudine per 180. |
938 | Sunt item, quae appellantur alces. Harum est consimilis capris figura et varietas pellium, sed magnitudine paulo antecedunt mutilaeque sunt cornibus et crura sine nodis articulisque habent neque quietis causa procumbunt neque, si quo adflictae casu conciderunt, erigere sese aut sublevare possunt. His sunt arbores pro cubilibus: ad eas se applicant atque ita paulum modo reclinatae quietem capiunt. Quarum ex vestigiis cum est animadversum a venatoribus, quo se recipere consuerint, omnes eo loco aut ab radicibus subruunt aut accidunt arbores, tantum ut summa species earum stantium relinquatur.Huc cum se consuetudine reclinaverunt, infirmas arbores pondere adfligunt atque una ipsae concidunt. | Allo stesso modo vi sono quelli che si chiamano alci. Di questi la forma e la varietà di pelli è simile alle capre; ma di poco le superano in grandezza e sono monche nelle corna e hanno zampe senza giunture o articolazioni; né si sdraiano per il riposo, né, se per qualche incidente sono caduti, possono rialzarsi, o sollevarsi. A questi gli alberi servono da giacigli: si appoggiano ad essi e così un poco piegati prendono sonno. Grazie alle orme di questi, quando è scoperto dai cacciatori dove siano soliti ritirarsi, scalzano tutti gli alberi dalle radici o li tagliano in quel posto, tanto che si lasci nella sommità l'aspetto di quelli che stanno dritti. Quando secondo l'abitudine gli alci si sono qui appoggiati, col peso fanno cadere gli alberi malfermi ed essi cadono insieme. |
301 | Hesterno, Licini, die otiosimultum lusimus in meis tabellis,ut convenerat esse delicatos:scribens versiculos uterque nostrumludebat numero modo hoc modo illoc,reddens mutua per iocum atque vinum.Atque illinc abii tuo leporeincensus, Licini, facetiisque,ut nec me miserum cibus iuvaretnec somnus tegeret quiete ocellos,sed toto indomitus furore lectoversarer, cupiens videre lucem,ut tecum loquerer simulque ut essem.At defessa labore membra postquamsemimortua lectulo iacebant,hoc, iucunde, tibi poema feci,ex quo perspiceres meum dolorem.Nunc audax cave sis, precesque nostras,oramus, cave despuas, ocelle,ne poenas Nemesis reposcat a te.Est vemens dea: laedere hanc caveto. | Nella giornata di ieri, poiché non avevamo nulla da fare, Licinio,poetammo molto sulle mie tavolette,come ci eravamo promessi di essere raffinati:scrivendo versi leggeri ognuno dei due tra i nostri,giocava ora con un metro, ora con un altro,a botta ed a risposta, fra gli scherzi ed il vino.E me ne sono andato di là, infiammatoDal tuo spirito e dalle tue battute vivaci, Licinio,a tal punto che, povero me! Il cibo non mi rallegrae il sonno mi chiude gli occhi nel silenzio,ma non potendo essere vinto dal sonno per l’eccitazione,mi rigiravo per tutto il letto, desiderando di vedere la luce,per poter parlare subito con te.Ma, le membra spossate per la fatica dopo cheMezze morte rimanevano distese,per questo ti ho scritto una lettera,dalla quale tu possa capire la mia pena.Ora bada di non mostrarti arrogante, e ti prego,uno dei nostri incontri, vedi di non disprezzare, luce dei miei occhi,perché non ti chieda conto della pena a Nemesi.È una dea terribile: Bada bene di non offenderla. |
784 | Caesar primum suo, deinde omnium ex conspectu remotis equis, ut aequato omnium periculo spem fugae tolleret, cohortatus suos proelium commisit. Milites loco superiore pilis missis facile hostium phalangem perfregerunt. Ea disiecta gladiis destrictis in eos impetum fecerunt. Gallis magno ad pugnam erat impedimento quod pluribus eorum scutis uno ictu pilorum transfixis et conligatis, cum ferrum se inflexisset, neque evellere neque sinistra impedita satis commode pugnare poterant, multi ut diu iactato bracchio praeoptarent scutum manu emittere et nudo corpore pugnare.Tandem vulneribus defessi et pedem referre et, quod mons suberit circiter mille passuum spatio, eo se recipere coeperunt. Capto monte et succedentibus nostris, Boi et Tulingi, qui hominum milibus circiter XV agmen hostium claudebant et novissimis praesidio erant, ex itinere nostros ab latere aperto adgressi circumvenire, et id conspicati Helvetii, qui in montem sese receperant, rursus instare et proelium redintegrare coeperunt. Romani conversa signa bipertito intulerunt: prima et secunda acies, ut victis ac submotis resisteret, tertia, ut venientes sustineret. | Cesare ordinò di allontanare e nascondere prima il suo cavallo, poi quelli degli altri: voleva rendere il pericolo uguale per tutti e togliere a ognuno la speranza della fuga. Spronati i soldati, attaccò. I nostri riuscirono con facilità a spezzare la falange nemica lanciando dall'alto i giavellotti; una volta disunita la falange, sguainarono le spade e si gettarono all'assalto. I Galli combattevano con grande difficoltà: molti dei loro scudi erano stati trafitti e inchiodati da un solo lancio di giavellotti; i giavellotti si erano piegati, per cui essi non riuscivano né a svellerli, né a lottare nel modo migliore con la mano sinistra impedita. Molti, dopo avere a lungo agitato il braccio, preferirono gettare a terra gli scudi e combattere a corpo scoperto. Alla fine, spossati per le ferite, incominciarono a ritirarsi e a cercar riparo su un monte, che si trovava a circa un miglio di distanza; lì si attestarono. Mentre i nostri si spingevano sotto, i Boi e i Tulingi, che con circa quindicimila uomini chiudevano lo schieramento nemico e proteggevano la retroguardia, aggirarono i nostri e li assalirono dal fianco scoperto. Vedendo ciò, gli Elvezi che si erano rifugiati sul monte incominciarono a premere di nuovo e a riaccendere lo scontro. I Romani operarono una conversione e attaccarono su due fronti: la prima e la seconda linea per tener testa agli Elvezi già vinti e respinti, la terza per reggere all'urto dei nuovi arrivati. |
108 | Humana ante oculos foede cum vita iaceretin terris oppressa gravi sub religione,quae caput a caeli regionibus ostendebathorribili super aspectu mortalibus instans,primum Graius homo mortalis tollere contraest oculos ausus primusque obsistere contra;quem neque fama deum nec fulmina nec minitantimurmure compressit caelum, sed eo magis acreminritat animi virtutem, effringere ut artanaturae primus portarum claustra cupiret.ergo vivida vis animi pervicit et extraprocessit longe flammantia moenia mundiatque omne immensum peragravit mente animoque,unde refert nobis victor quid possit oriri,quid nequeat, finita potestas denique cuiquequa nam sit ratione atque alte terminus haerens.quare religio pedibus subiecta vicissimopteritur, nos exaequat victoria caelo. | Quando la vita umana giaceva sotto gli occhi (di tutti) a terra in uno stato ignominioso (vergognosamente), oppressa sotto una minacciosa superstizione, che mostrava il capo dalle regioni celesti, incombendo dall’alto sui mortali con il suo terribile aspetto, per la prima volta un uomo greco osò sollevarle contro gli occhi mortali e per primo resisterle contro; lui che né le dicerie degli dei, né i fulmini, né il cielo con il rimbombo minaccioso abbatterono, ma tanto più stimolarono l’ardente vigore dello spirito così che desiderò per primo infrangere gli stretti serrami delle porte della natura. Perciò la viva forza del suo animo vinse e si spinse lontano, al di là delle fiammeggianti mura del mondo, e con la mente e con l’animo percorse tutto l’immenso universo, da dove come trionfatore riporta a noi cosa possa nascere, cosa non possa, e infine per quale motivo ogni cosa abbia un potere definito e un limite saldamente fissato. Perciò la religione posta sotto i piedi è a sua volta calpestata, e la vittoria ci solleva fino al cielo. |
652 | Quibus ex navibus cum essent eiti milites circiter CCC atque in castra contenderent, Morini, quos Caesar in Britanniam proficiscens pacatos reliquerat, spe praedae adducti primo non ita magno suorum numero circumsteterunt ac, si sese interfici nollent, arma ponere iusserunt. Cum illi orbe facto sese defenderent, celeriter ad clamorem hominum circiter milia VI convenerunt; qua re nuntiata, Caesar omnem ex castris equitatum suis auxilio misit. Interim nostri milites impetum hostium sustinuerunt atque amplius horis IIII fortissime pugnaverunt et paucis vulneribus acceptis complures ex iis occiderunt.Postea vero quam equitatus noster in conspectum venit, hostes abiectis armis terga verterunt magnusque eorum numerus est occisus. | Da queste due navi sbarcarono circa trecento dei nostri, che si diressero verso l'accampamento. I Morini, che Cesare al momento della partenza per la Britannia aveva lasciato pacificati, spinti dalla speranza di bottino, circondarono dapprima in numero non altissimo i nostri e intimarono loro la resa, se volevano aver salva la vita. Mentre i legionari, disposti in cerchio, si difendevano, alle grida dei Morini sopraggiunsero rapidamente altri seimila uomini circa. Appena ne fu informato, Cesare, a sostegno dei suoi, inviò tutta la cavalleria presente al campo. Nel frattempo, i nostri ressero all'urto dei nemici e si batterono con estremo valore per più di quattro ore: subirono poche perdite e uccisero molti nemici. E non appena comparve la cavalleria, i nemici gettarono le armi e si diedero alla fuga: i nostri ne fecero strage. |
408 | Dum haec ad Ilerdam geruntur, Massilienses usi L. Domitii consilio naves longas expediunt numero XVII, quarum erant XI tectae. Multa huc minora navigia addunt, ut ipsa multitudine nostra classis terreatur. Magnum numerum sagittariorum, magnum Albicorum, de quibus supra demonstratum est, imponunt atque hos praemiis pollicitationibusque incitant. Certas sibi deposcit naves Domitius atque has colonis pastoribusque, quos secum adduxerat, complet. Sic omnibus rebus instructa classe magna fiducia ad nostras naves procedunt, quibus praeerat D.Brutus. Hae ad insulam, quae est contra Massiliam, stationes obtinebant. | Mentre si svolgono questi avvenimenti nei pressi di Ilerda, gli abitanti di Marsiglia, valendosi del consiglio di L. Domizio, armano diciassette navi da guerra, delle quali undici erano coperte. A queste aggiungono molte piccole barche per incutere col numero stesso terrore alla nostra flotta. Imbarcano un gran numero di sagittari e di Albici, dei quali si è parlato prima, e li incitano con promesse di premi. Domizio si riserva un determinato numero di navi e le equipaggia di coloni e pastori che si era portato appresso. E così allestita la flotta di ogni cosa, con grande baldanza si dirigono verso le nostre navi comandate da D. Bruto e ancorate presso l'isola che si trova di fronte a Marsiglia. |
271 | Odi et amo. quare id faciam, fortasse requiris.nescio, sed fieri sentio et excrucior. | Odio e amo. Come possa fare, forse chiedi.Non (lo) so, ma sento che accade, e soffro. |
889 | Brevi spatio interiecto, vix ut iis rebus quas constituissent conlocandis atque administrandis tempus daretur, hostes ex omnibus partibus signo dato decurrere, lapides gaesaque in vallum coicere. Nostri primo integris viribus fortiter propugnare neque ullum frustra telum ex loco superiore mittere, et quaecumque pars castrorum nudata defensoribus premi videbatur, eo occurrere et auxilium ferre, sed hoc superari quod diuturnitate pugnae hostes defessi proelio excedebant, alii integris viribus succedebant; quarum rerum a nostris propter paucitatem fieri nihil poterat, ac non modo defesso ex pugna excedendi, sed ne saucio quidem eius loci ubi constiterat relinquendi ac sui recipiendi facultas dabatur. | Passato un breve intervallo, così che a stento si dava tempo a mettere in ordine e ad eseguire quelle cose che avevano stabilito, dato il segnale, i nemici correvano giù da tutte le parti, gettavano pietre e giavellotti contro la palizzata. Dapprima i nostri contrastavano fortemente essendo integre le forze, e non mandavano invano dal luogo più alto nessun dardo, come si vedeva una parte di accampamento priva di difensori essere premuta, correvano là e portavano aiuto; ma restavano al di sotto in questo, che i nemici stanchi della lunga durata del combattimento si ritiravano dalla battaglia e subentravano altri con forze fresche; per il poco numero dai nostri nulla di queste cose si poteva fare, e non solo a colui che era stanco non si dava la possibilità di uscire dal combattimento, ma al ferito neppure si dava la possibilità di lasciare quel luogo dove si trovava e di ritirarsi nell'accampamento. |
140 | Cenabis bene, mi Fabulle, apud mepaucis, si tibi di favent, diebus,si tecum attuleris bonam atque magnamcenam, non sine candida puellaet vino et sale et omnibus cachinnis.Haec si, inquam, attuleris, venuste noster,cenabis bene; nam tui Catulliplenus sacculus est aranearum.Sed contra accipies meros amores,seu quid suavius elegantiusve est:nam unguentum dabo, quod meae puellaedonarunt Veneres Cupidinesque;quod tu cum olfacies, deos rogabistotum ut te faciant, Fabulle, nasum. | Ti invito, o mio Fabullo, ad una lauta cena,fra pochi giorni, se tè lo consentono gli dei,purché sia tu a portarti la cena abbondante e succulenta,non senza uno splendore di ragazzae vino e sale e un mucchio di risate.Se - come dico - sarai tu a portare tutto ciò, ti invito,bello mio, ad una lauta cena. Purtroppo il borsellinodel tuo Catullo è pieno solo di tele di ragno.In cambio avrai una sincera, affettuosa accoglienzae in aggiunta quello che c'è di più attraente e raffinato:li offrirò il profumo che Veneri e Amorinihanno donato alla ragazza del mio cuore.tu, o Fabullo, quando lo sentirai, pregherai gli deiche ti trasformino tutto in un unico naso. |
985 | His rebus gestis, Labieno in continente cum tribus legionibus et equitum milibus duobus relicto ut portus tueretur et rem frumentariam provideret quaeque in Gallia gererentur cognosceret consiliumque pro tempore et pro re caperet, ipse cum quinque legionibus et pari numero equitum, quem in continenti reliquerat, ad solis occasum naves solvit et leni Africo provectus media circiter nocte vento intermisso cursum non tenuit, et longius delatus aestu orta luce sub sinistra Britanniam relictam conspexit.Tum rursus aestus commutationem secutus remis contendit ut eam partem insulae caperet, qua optimum esse egressum superiore aestate cognoverat. Qua in re admodum fuit militum virtus laudanda, qui vectoriis gravibusque navigiis non intermisso remigandi labore longarum navium cursum adaequarunt. Accessum est ad Britanniam omnibus navibus meridiano fere tempore, neque in eo loco hostis est visus; sed, ut postea Caesar ex captivis cognovit, cum magnae manus eo convenissent, multitudine navium perterritae, quae cum annotinis privatisque quas sui quisque commodi fecerat amplius octingentae uno erant visae tempore, a litore discesserant ac se in superiora loca abdiderant. | Dopo tali avvenimenti, Cesare lasciò Labieno sul continente con tre legioni e duemila cavalieri, per difendere i porti, provvedere alle scorte di grano, tenersi al corrente della situazione in Gallia e prendere decisioni sulla base del momento e delle circostanze. Dal canto suo, salpò alla testa di cinque legioni e di tanti cavalieri, quanti ne aveva lasciati in terraferma; fece vela verso il tramonto, al soffio leggero dell'africo, che però cessò verso mezzanotte, impedendogli di tenere la rotta: spinto piuttosto lontano dalla marea, all'alba vide che aveva lasciato la Britannia alla sua sinistra. Allora, sfruttando, adesso, la marea, che aveva cambiato direzione, a forza di remi cercò di raggiungere la zona dell'isola che - lo sapeva dall'estate precedente - consentiva un comodissimo accesso. Nel corso della manovra, veramente lodevole fu l'impegno dei soldati: pur con navi da trasporto appesantite dai carichi, senza mai smettere di remare, riuscirono a uguagliare la velocità delle navi da guerra. Approdò in Britannia con tutte le navi verso mezzogiorno, senza alcun nemico in vista; come apprese in seguito dai prigionieri, i Britanni, giunti sul luogo con truppe numerose, erano rimasti atterriti alla vista della nostra flotta: erano apparse, contemporaneamente, più di ottocento unità, comprese le navi dell'anno precedente e le imbarcazioni private che alcuni avevano costruito per propria comodità. Quindi, i nemici avevano abbandonato il litorale e si erano rifugiati sulle alture. |
643 | At barbari, consilio Romanorum cognito praemisso equitatu et essedariis, quo plerumque genere in proeliis uti consuerunt, reliquis copiis subsecuti nostros navibus egredi prohibebant. Erat ob has causas summa difficultas, quod naves propter magnitudinem nisi in alto constitui non poterant, militibus autem, ignotis locis, impeditis manibus, magno et gravi onere armorum oppressis simul et de navibus desiliendum et in auctibus consistendum et cum hostibus erat pugnandum, cum illi aut ex arido aut paulum in aquam progressi omnibus membris expeditis, notissimis locis, audacter tela coicerent et equos insuefactos incitarent.Quibus rebus nostri perterriti atque huius omnino generis pugnae imperiti, non eadem alacritate ac studio quo in pedestribus uti proeliis consuerant utebantur. | Ma i barbari, avendo inteso i propositi dei Romani, avevano mandato in avanti, seguiti dal resto dell'esercito, i cavalieri e gli essedari - reparti che di solito impiegano in battaglia - impedendo lo sbarco ai nostri, che incontravano enormi difficoltà: le navi, per le loro dimensioni, potevano fermarsi solo al largo; i soldati, poi, non conoscevano i luoghi, non avevano le mani libere, erano appesantiti dalle armi e dovevano, contemporaneamente, scendere dalle navi, resistere alle onde, combattere contro i nemici. I barbari, invece, liberi nei movimenti, combattevano dalla terraferma o entravano appena in acqua, conoscevano alla perfezione i luoghi, con audacia scagliavano frecce e lanciavano alla carica i loro cavalli, abituati a tali operazioni. I nostri, sgomenti per tutto ciò, trovandosi di fronte a una tecnica di combattimento del tutto nuova, non si battevano con il solito zelo e ardore dimostrato in campo aperto. |
875 | Quibus ex locis cum longius esset progressus, confecto iam labore exercitu XII milium spatio constitit. Dat suis signum Saburra, aciem constituit et circumire ordines atque hortari incipit; sed peditatu dumtaxat procul ad speciem utitur, equites in aciem immittit. Non deest negotio Curio suosque hortatur, ut spem omnem in virtute reponant. Ne militibus quidem ut defessis neque equitibus ut paucis et labore confectis studium ad pugnandum virtusque deerat; sed hi erant numero CC, reliqui in itinere substiterant.Hi, quamcumque in partem impetum fecerant, hostes loco cedere cogebant, sed neque longius fugientes prosequi neque vehementius equos incitare poterant. At equitatus hostium ab utroque cornu circuire aciem nostram et aversos proterere incipit. Cum cohortes ex acie procucurrissent, Numidae integri celeritate impetum nostrorum effugiebant rurusque ad ordines suos se recipientes circuibant et ab acie excludebant. Sic neque in loco manere ordinesque servare neque procurrere et casum subire tutum videbatur. Hostium copiae submissis ab rege auxiliis crebro augebantur; nostros vires lassitudine deficiebant, simul ei, qui vulnera acceperant, neque acie excedere neque in locum tutum referri poterant, quod tota acies equitatu hostium circumdata tenebatur. Hi de sua salute desperantes, ut extremo vitae tempore homines facere consuerunt, aut suam mortem miserabantur aut parentes suos commendabant, si quos ex eo periculo fortuna servare potuisset. Plena erant omnia timoris et luctus. | Quando si fu allontanato alquanto da queste alture, poiché l'esercito, dopo avere percorso sedici miglia, era ormai sfinito dalla stanchezza, si fermò. Saburra dà il segnale ai suoi, schiera l'esercito in ordine di battaglia e incomincia ad aggirarsi fra le schiere, esortandole; ma impiega la fanteria solo in seconda linea tanto per fare impressione col numero, lanciando invece all'attacco la cavalleria. Curione non viene meno al suo dovere ed esorta i suoi a riporre nel valore ogni speranza. Né ai soldati, sebbene stanchi, né ai cavalieri, sebbene pochi e sfiniti dalla fatica, difettavano zelo e valore per combattere; ma i cavalieri erano in tutto duecento, poiché gli altri si erano fermati durante la marcia. Costoro, ovunque andavano all'attacco, costringevano il nemico a retrocedere, ma non erano in grado di inseguire i fuggitivi troppo oltre né di incitare i cavalli a maggiore foga. Ma la cavalleria nemica incomincia a circondare la nostra schiera da entrambi i lati e ad assalirla alle spalle. Ogni qual volta delle coorti avanzavano all'attacco staccandosi dallo schieramento, i Numidi freschi di forze velocemente sfuggivano all'assalto dei nostri e le circondavano e le tagliavano fuori mentre tentavano di rientrare di nuovo nei loro ranghi. Così non appariva sicuro né mantenere la posizione e conservare lo schieramento né avanzare all'attacco e tentare la sorte. Le milizie nemiche aumentavano di continuo per gli aiuti inviati dal re; ai nostri venivano meno le forze per la stanchezza e quelli che erano stati feriti non erano in grado né di uscire dalla schiera né di rifugiarsi in un luogo sicuro, poiché tutto l'esercito era stretto in una morsa, circondato dalla cavalleria nemica. Costoro, disperando della propria salvezza, come sono soliti fare gli uomini in fin di vita, o commiseravano la propria morte o raccomandavano i propri familiari se mai la Fortuna avesse potuto salvare qualcuno di essi dal quel pericolo. Ovunque non vi era altro che paura e pianto. |
736 | His rebus confectis in Aeduos proficiscitur; civitatem recipit. Eo legati ab Arvernis missi quae imperaret se facturos pollicentur. Imperat magnum numerum obsidum. Legiones in hiberna mittit. Captivorum circiter viginti milia Aeduis Arvernisque reddit. Titum Labienum duabus cum legionibus et equitatu in Sequanos proficisci iubet: huic Marcum Sempronium Rutilum attribuit. Gaium Fabium legatum et Lucium Minucium Basilum cum legionibus duabus in Remis collocat, ne quam ab finitimis Bellovacis calamitatem accipiant.Gaium Antistium Reginum in Ambivaretos, Titum Sextium in Bituriges, Gaium Caninium Rebilum in Rutenos cum singulis legionibus mittit. Quintum Tullium Ciceronem et Publium Sulpicium Cabilloni et Matiscone in Aeduis ad Ararim rei frumentariae causa collocat. Ipse Bibracte hiemare constituit. His litteris cognitis Romae dierum viginti supplicatio redditur. | Terminate le operazioni, parte verso le terre degli Edui; accetta la resa del loro popolo. Qui lo raggiungono emissari degli Arverni che promettono obbedienza, ordina la consegna di un gran numero di ostaggi. Invia le legioni ai campi invernali. Restituisce agli Edui e agli Arverni circa ventimila prigionieri. Ordina a T. Labieno di recarsi nella regione dei Sequani con due legioni e la cavalleria e pone ai suoi ordini M. Sempronio Rutilo. Alloggia il legato C. Fabio e L. Minucio Basilo con due legioni nei territori dei Remi, per proteggere quest'ultimi da eventuali attacchi dei Bellovaci. Manda C. Antistio Regino tra gli Ambivareti, T. Sestio presso i Biturigi, C. Caninio Rebilo tra i Ruteni, ciascuno alla testa di una legione. Pone Q. Tullio Cicerone e P. Sulpicio a Cavillono e Matiscone, lungo la Saona, nelle terre degli Edui, incaricandoli di provvedere ai rifornimenti di grano. Dal canto suo, decide di svernare a Bibracte. Quando a Roma si ha notizia dell'accaduto da una lettera di Cesare, gli vengono tributati venti giorni di feste solenni di ringraziamento. |
304 | Confecto iusto itinere eius diei Caesar traductoque exercitu flumen Genusum veteribus suis in castris contra Asparagium consedit militesque omnes intra vallum continuit equitatumque per causam pabulandi emissum confestim decumana porta in castra se recipere iussit. Simili ratione Pompeius confecto eius diei itinere in suis veteribus castris ad Asparagium consedit. Eius milites, quod ab opere integris munitionibus vacabant, alii lignandi pabulandique causa longius progrediebantur, alii, quod subito consilium profectionis ceperant magna parte impedimentorum et sarcinarum relicta, ad haec repetenda invitati propinquitate superiorum castrorum, depositis in contubernio armis, vallum relinquebant.Quibus ad sequendum impeditis Caesar, quod fore providerat, meridiano fere tempore signo profectionis dato exercitum educit duplicatoque eius diei itinere VIII milia passuum ex eo loco procedit; quod facere Pompeius discessu militum non potuit. | Completata regolarmente la marcia da lui prevista per quel giorno e trasportato l'esercito al di là del fiume Genuso, Cesare si fermò nel suo vecchio campo di fronte ad Asparagio e trattenne tutti i fanti entro le fortificazioni. Mandò fuori la cavalleria col pretesto del foraggiamento, ma diede ordine che rientrasse subito nel campo per la porta decumana. Parimenti Pompeo, compiuto il percorso fissato per quel giorno, si fermò nel suo vecchio campo presso Asparagio. I suoi soldati non erano impegnati in alcun lavoro, poiché le fortificazioni erano integre; pertanto alcuni si allontanavano un po' troppo per fare legna o per cercare foraggi, altri, poiché avevano ricevuto all'improvviso l'ordine della partenza e avevano abbandonato gran parte dei bagagli piccoli e grandi e d'altronde il vecchio campo era vicino e si potevano riprendere le cose abbandonate, depositate le armi nelle tende, lasciavano la trincea. Poiché i Pompeiani non erano in grado di inseguirlo, come egli aveva previsto che sarebbe accaduto, Cesare, dato il segnale di partenza intorno a mezzogiorno, condusse fuori l'esercito e, facendo una marcia lunga il doppio in un solo giorno, si allontanò da quel luogo di otto miglia; Pompeo, essendosi allontanati i suoi soldati, non poté fare altrettanto. |
887 | Qua nova re oblata omnis administratio belli consistit, militesque aversi a proelio ad studium audiendi et cognoscendi feruntur. Ubi hostes ad legatos exercitumque pervenerunt, universi se ad pedes proiciunt; orant, ut adventus Caesaris exspectetur: captam suam urbem videre: opera perfecta, turrim subrutam; itaque ab defensione desistere. Nullam exoriri moram posse, quo minus, cum venisset, si imperata non facerent ad nutum, e vestigio diriperentur.Docent, si omnino turris concidisset, non posse milites contineri, quin spe praedae in urbem irrumperent urbemque delerent. Haec atque eiusdem generis complura ut ab hominibus doctis magna cum misericordia fletuque pronuntiantur. | Presentatasi questa insolita situazione, ogni operazione di guerra viene sospesa e i soldati desistono dal combattimento, mossi dal desiderio di ascoltare e sapere. I nemici, giunti al cospetto dei luogotenenti e dell'esercito, si gettano tutti ai loro piedi; scongiurano di aspettare l'arrivo di Cesare. Essi, dicono, vedono la loro città presa; le opere d'assedio completate, la torre abbattuta e perciò rinunciano alla difesa. Dicono inoltre che, se essi, quando giungerà Cesare, non eseguiranno i suoi ordini, non ci sarà nessun motivo per indugiare nel distruggerla subito, a un suo cenno. Spiegano che, se la torre cadrà del tutto, non si potrà impedire ai soldati, desiderosi di preda, di irrompere nella città, distruggendola. Queste e molte altre simili considerazioni vengono esposte da uomini colti quali erano, con pianti e tono tale da suscitare grande pietà. |
493 | Coniuncto exercitu Caesar Gomphos pervenit, quod est oppidum primum Thessaliae venientibus ab Epiro; quae gens paucis ante mensibus ultro ad Caesarem legatos miserat, ut suis omnibus facultatibus uteretur, praesidiumque ab eo militum petierat. Sed eo fama iam praecurrerat, quam supra docuimus, de proelio Dyrrachino, quod multis auxerat partibus. Itaque Androsthenes, praetor Thessaliae, cum se victoriae Pompei comitem esse mallet quam socium Caesaris in rebus adversis, omnem ex agris multitudinem servorum ac liberorum in oppidum cogit portasque praecludit et ad Scipionem Pompeiumque nuntios mittit, ut sibi subsidio veniant: se confidere munitionibus oppidi, si celeriter succurratur; longinquam oppugnationem sustinere non posse.Scipio, discessu exercituum ab Dyrrachio cognito, Larisam legiones adduxerat; Pompeius nondum Thessaliae appropinquabat. Caesar castris munitis scalas musculosque ad repentinam oppugnationem fieri et crates parari iussit. Quibus rebus effectis cohortatus milites docuit, quantum usum haberet ad sublevandam omnium rerum inopiam potiri oppido pleno atque opulento, simul reliquis civitatibus huius urbis exemplo inferre terrorem et id fieri celeriter, priusquam auxilia concurrerent. Itaque usus singulari militum studio eodem, quo venerat, die post horam nonam oppidum altissimis moenibus oppugnare aggressus ante solis occasum expugnavit et ad diripiendum militibus concessit statimque ab oppido castra movit et Metropolim venit, sic ut nuntios expugnati oppidi famamque antecederet. | Una volta congiuntisi gli eserciti, Cesare giunse a Gonfi, la prima città della Tessaglia per chi giunge dall'Epiro; pochi mesi prima la popolazione di questa città aveva mandato spontaneamente ambasciatori a Cesare per mettergli a disposizione tutti i propri beni, chiedendogli un presidio di soldati. Ma già era giunta colà, gonfiata in molte parti, la notizia, di cui parlammo, della battaglia di Durazzo. Pertanto Androstene, pretore della Tessaglia, preferendo essere compagno della vittoria di Pompeo piuttosto che alleato di Cesare nelle avversità, raduna dai campi nella città tutta la moltitudine di schiavi e liberi, chiude le porte e manda ambasciatori a Scipione e a Pompeo, chiedendo di venire in suo aiuto: egli confidava nelle fortificazioni della città, se avesse ricevuto soccorso in breve tempo; ma non era in grado di sostenere un assedio di lunga durata. Scipione, venuto a conoscenza della partenza degli eserciti da Durazzo, aveva condotto le legioni a Larissa; Pompeo non era ancora vicino alla Tessaglia. Cesare fortificò il campo e diede ordine di costruire scale e gallerie coperte e di preparare graticci in vista di un assalto improvviso. Portati a termine questi lavori, dopo avere esortato i soldati, mostrò loro di quanta utilità sarebbe stato, per alleviare la mancanza di ogni cosa, impadronirsi di una città ricca e ben fornita e nello stesso tempo, con l'esempio di questa, incutere terrore alle altre città e fare ciò in breve tempo, prima dell'arrivo degli aiuti. E così, approfittando di un eccezionale ardore dei soldati, nel medesimo giorno in cui era giunto, dopo le tre pomeridiane, cominciò ad assediare la città dalle altissime mura e la espugnò prima del tramonto; la lasciò al saccheggio dei soldati e subito mosse il campo e giunse a Metropoli prima che vi arrivassero notizie e fama della presa della città. |
85 | Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis, constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris? | Fino a quando, Catilina, continuerai ad abusare della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora il tuo folle comportamento si farà beffe di noi? Fino a che punto si scatenerà questa tua temerità che non conosce freno? Non ti fanno nessuna impressione ne il reparto armato che di notte presidia il Palatino, né le pattuglie che svolgono servizio di ronda in città, né l'ansiosa preoccupazione del popolo, né il concorde accorrere di tutti i buoni cittadini, né questa sede così ben fortificata per la seduta del senato, ne l'espressione del volto dei presenti? Non t'accorgi che le tue trame sono palesi? Non vedi che la tua congiura, conosciuta com'è da tutti i presenti, è ormai tenuta strettamente sotto controllo? Chi di noi, a tuo avviso, ignora cos'hai fatto la notte scorsa e quella precedente, dove sei stato, chi hai convocato, che decisione hai presa? |
669 | Germani multum ab hac consuetudine differunt. Nam neque druides habent, qui rebus divinis praesint, neque sacrificiis student. Deorum numero eos solos ducunt, quos cernunt et quorum aperte opibus iuvantur, Solem et Vulcanum et Lunam, reliquos ne fama quidem acceperunt. Vita omnis in venationibus atque in studiis rei militaris consistit: ab parvulis labori ac duritiae student. Qui diutissime impuberes permanserunt, maximam inter suos ferunt laudem: hoc ali staturam, ali vires nervosque confirmari putant.Intra annum vero vicesimum feminae notitiam habuisse in turpissimis habent rebus; cuius rei nulla est occultatio, quod et promiscue in fluminibus perluuntur et pellibus aut parvis renonum tegimentis utuntur magna corporis parte nuda. | I Germani differiscono molto da questa consuetudine. Infatti né hanno i druidi che sovraintendono al culto, né si interessano dei sacrifici. Annoverano nel numero degli dei solo quelli che vedono e dalla cui potenza sono apertamente favoriti. (Tra questi) il Sole e Vulcano e la Luna, (e) neppure di nome conoscono gli altri. Tutta la vita trascorre nelle cacce o negli interessi dell'arte della guerra. Fin da piccoli si dedicano alla fatica e al disagio. Coloro che si sono mantenuti casti molto a lungo, hanno la massima stima tra loro: alcuni ritengono che questo rafforzi la statura, altri la potenza muscolare. E inoltre considerano fra le cose più turpi avere la conoscenza della donna prima dei vent'anni; e di questo non c'è nessun occultamento, poiché sia si fanno il bagno promiscuamente nei fiumi, sia si servono di pelli o di corte pellicce, lasciando nuda gran parte del corpo. |
387 | Hac oratione habita mirum in modum conversae sunt omnium mentes, summaque alacritas et cupiditas belli gerendi innata est, princepsque decima legio per tribunos militum ei gratias egit quod de se optimum iudicium fecisset, seque esse ad bellum gerendum paratissimam confirmavit. Deinde reliquae legiones cum tribunis militum et primorum ordinum centurionibus egerunt uti Caesari satisfacerent: se neque umquam dubitasse neque timuisse neque de summa belli suum iudicium sed imperatoris esse existimavisse.Eorum satisfactione accepta et itinere exquisito per Diviciacum, quod ex aliis ei maximam fidem habebat, ut milium amplius quinquaginta circuitu locis apertis exercitum duceret, de quarta vigilia, ut dixerat, profectus est. Septimo die, cum iter non intermitteret, ab exploratoribus certior factus est Ariovisti copias a nostris milibus quattor et et XX abesse. | Questo discorso fu tenuto, le disposizioni di tutti furono cambiate in modo meraviglioso, e sommo ardore e brama di fare la guerra nacque, e la decima legione per prima rese grazie a lui per mezzo dei tribuni dei soldati perché aveva fatto di lei un giudizio ottimo, e assicurò che era prontissima a fare la guerra. Poi, tutte le altre legioni trattarono mediante tribuni dei soldati e gli ufficiali dei primi gradi, per scusarsi con Cesare: che esse né avevano dubitato mai, né temuto né pensato che il giudizio intorno alla condotta delle guerra fosse loro, ma del generale. Essendo stata accettata la loro scusa, e essendo stata esplorata la strada per mezzo di Diviziaco, perché aveva la più grande fiducia nei suoi confronti tra gli altri, al fine di guidare l'esercito per luoghi aperti per un giro di più di cinquanta miglia, partì alla quarta veglia, come aveva detto. Non interrompendo la marcia, (Cesare) fu informato dagli esploratori al settimo giorno che le genti di Ariovisto erano lontane dai nostri ventiquattro miglia. |
404 | Hac oratione ab Diviciaco habita omnes qui aderant magno fletu auxilium a Caesare petere coeperunt. Animadvertit Caesar unos ex omnibus Sequanos nihil earum rerum facere quas ceteri facerent sed tristes capite demisso terram intueri. Eius rei quae causa esset miratus ex ipsis quaesiit. Nihil Sequani respondere, sed in eadem tristitia taciti permanere. Cum ab his saepius quaereret neque ullam omnino vocem exprimere posset, idem Diviacus Haeduus respondit: hoc esse miseriorem et graviorem fortunam Sequanorum quam reliquorum, quod soli ne in occulto quidem queri neque auxilium implorare auderent absentisque Ariovisti crudelitatem, velut si cora adesset, horrerent, propterea quod reliquis tamen fugae facultas daretur, Sequanis vero, qui intra fines suos Ariovistum recepissent, quorum oppida omnia in potestate eius essent, omnes cruciatus essent perferendi. | Quando Diviziaco ebbe finito il suo discorso, tutti i presenti, tra grandi pianti, iniziarono a chiedere aiuto a Cesare, il quale notò che solo i Sequani non si comportavano per nulla come gli altri, ma, senza alzare lo sguardo da terra, tenevano la testa bassa, tristi. Stupito, ne chiese loro il motivo. I Sequani non risposero, continuando a rimanere in silenzio, nello stesso atteggiamento di tristezza. Più volte Cesare ripeté la sua domanda, senza ottenere la benché minima risposta. Intervenne ancora Diviziaco: la sorte dei Sequani era molto più misera e pesante di quella degli altri perché non osavano, neppure in una riunione segreta, lamentarsi e implorare aiuto e rabbrividivano per la crudeltà di Ariovisto come se fosse lì presente, anche se era lontano. E poi, perché gli altri, almeno, avevano la possibilità di fuggire; essi, invece, che avevano accolto Ariovisto nei loro territori e avevano visto le loro città cadere nelle sue mani, dovevano sopportare tormenti d'ogni sorta. |
692 | Ea res est Helvetiis per indicium enuntiata. Moribus suis Orgetoricem ex vinculis causam dicere coegerunt; damnatum poenam sequi oportebat, ut igni cremaretur. Die constituta causae dictionis Orgetorix ad iudicium omnem suam familiam, ad hominum milia decem, undique coegit, et omnes clientes obaeratosque suos, quorum magnum numerum habebat, eodem conduxit; per eos ne causam diceret se eripuit. Cum civitas ob eam rem incitata armis ius suum exequi conaretur multitudinemque hominum ex agris magistratus cogerent, Orgetorix mortuus est; neque abest suspicio, ut Helvetii arbitrantur, quin ipse sibi mortem consciverit. | Un delatore svelò l'accordo agli Elvezi. Secondo la loro usanza, essi costrinsero Orgetorige a discolparsi incatenato: se lo avessero condannato, la pena comportava il rogo. Nel giorno stabilito per il processo, Orgetorige fece venire da ogni parte tutti i suoi familiari e servi, circa diecimila persone, nonché tutti i suoi clienti e debitori, che erano molto numerosi. Grazie a essi riuscì a sottrarsi all'interrogatorio. Mentre il popolo, adirato per l'accaduto, cercava di far valere con le armi il proprio diritto e i magistrati radunavano dalle campagne una grande moltitudine di uomini, Orgetorige morì. Non mancò il sospetto, secondo l'opinione degli Elvezi, che si fosse suicidato. |
64 | Druides a bello abesse consuerunt neque tributa una cum reliquis pendunt; militiae vacationem omniumque rerum habent immunitatem. Tantis excitati praemiis et sua sponte multi in disciplinam conveniunt et a parentibus propinquisque mittuntur. Magnum ibi numerum versuum ediscere dicuntur. Itaque annos nonnulli vicenos in disciplina permanent. Neque fas esse existimant ea litteris mandare, cum in reliquis fere rebus, publicis privatisque rationibus, Graecis utantur litteris.Id mihi duabus de causis instituisse videntur, quod neque in vulgus disciplinam efferri velint neque eos, qui discunt, litteris confisos minus memoriae studere, quod fere plerisque accidit ut praesidio litterarum diligentiam in perdiscendo ac memoriam remittant. In primis hoc volunt persuadere non interire animas, sed ab aliis post mortem transire ad alios, atque hoc maxime ad virtutem excitari putant metu mortis neglecto. Multa praeterea de sideribus atque eorum motu, de mundi ac terrarum magnitudine, de rerum natura, de deorum immortalium vi ac potestate disputant et iuventuti tradunt. | I druidi sono soliti tenersi lontani dalla guerra e non pagano come gli altri alcun tributo. Hanno l’esenzione dal servizio militare e l’esonero da ogni altra prestazione. Molti, attratti da così tanti privilegi, sia accorrono alla scuola di propria spontanea volontà, sia sono inviati dai genitori e dai familiari. Lì si dice che imparino un gran numero di poesie. Alcuni di conseguenza rimangono impegnati in questo apprendimento vent’anni. E non credono che sia lecito tramandare quelle per iscritto, mentre si servono dell’alfabeto greco in quasi ogni altra cosa, nei conti pubblici e privati. Mi sembra che essi abbiano istituito questa norma per due motivi poiché non vogliono che il sapere sia trasmesso al popolo e poiché non vogliono che coloro che imparano, confidando nella scrittura, si applichino di meno alle memoria, poiché quasi nella maggior parte delle volte accade che con l’aiuto dei testi scritti abbandonano la cura nell’apprendere e il ricordo. Principalmente vogliono persuadere che l’anima non muore ma dopo la morte passa da un corpo all’altro e ritengono che ciò sproni moltissimo al valore poiché perdono la paura della morte. Inoltre discutono molto delle stelle e del loro moto, della grandezza del mondo e della terra, della natura, della potenza e del campo d’azione degli dei immortali e insegnano molte cose ai giovani. |
662 | Quibus rebus commoti legati milites ex opere deducunt, oppuguatione desistunt; operibus custodias relinquunt. Indutiarum quodam genere misericordia facto adventus Caesaris exspectatur. Nullum ex muro, nullum a nostris mittitur telum; ut re confecta omnes curam et diligentiam remittunt. Caesar enim per litteras Trebonio magnopere mandaverat, ne per vim oppidum expugnari pateretur, ne gravius permoti milites et defectionis odio et contemptione sui et diutino labore omnes puberes interficerent; quod se facturos minabantur, aegreque tunc sunt retenti, quin oppidum irrumperent, graviterque cam rem tulerunt, quod stetisse per Treboninm, quo minus oppido potirentur, videbatur. | Commossi da questi pianti e preghiere i luogotenenti ritirano i soldati dalle opere d'assedio, desistono dall'attacco; lasciano posti di guardia innanzi ai lavori. Raggiunta per un sentimento di compassione una sorta di tregua, si attende l'arrivo di Cesare. Dalle mura i nostri non scagliano nessun dardo; come se la guerra fosse finita, tutti attenuano l'attenzione nella sorveglianza. Cesare infatti aveva per iscritto vivamente raccomandato a Trebonio di non permettere l'espugnazione a forza della città affinché i soldati, troppo scossi e dall'odioso tradimento e dal disprezzo verso di loro e dalla continua fatica, non massacrassero tutti gli adulti; e ciò essi minacciavano di fare. E a stento furono allora trattenuti dal fare irruzione nella città e mal volentieri sopportarono quel divieto poiché pareva che il non avere preso la città dipendesse da Trebonio. |
562 | Eporedorix Aeduus, summo loco natus adulescens et summae domi potentiae, et una Viridomarus, pari aetate et gratia, sed genere dispari, quem Caesar ab Diviciaeo sibi traditum ex humili loco ad summam dignitatem perduxerat, in equitum numero convenerant nominatim ab eo evocati. His erat inter se de principatu contentio, et in illa magistratuum controversia alter pro Convictolitavi, alter pro Coto summis opibus pugnaverant. Ex eis Eporedorix cognito Litavicci consilio media fere nocte rem ad Caesarem defert; orat ne patiatur civitatem pravis adulescentium consiliis ab amicitia populi Romani deficere; quod futurum provideat, si se tot hominum milia cum hostibus coniunxerint, quorum salutem neque propinqui neglegere, neque civitas levi momento aestimare posset. | Su specifica richiesta di Cesare, si erano uniti alla cavalleria l'eduo Eporedorige, giovane di alto lignaggio e di grande potenza tra i suoi, e Viridomaro, altrettanto giovane e influente, ma di diversi natali, che Cesare, dietro suggerimento di Diviziaco, aveva innalzato alle cariche più alte nonostante le sue umili origini. I due lottavano per il primato tra gli Edui, e durante la recente controversia per la magistratura si erano battuti con ogni mezzo l'uno per Convictolitave, l'altro per Coto. Eporedorige, quando scopre il piano di Litavicco, lo riferisce a Cesare verso mezzanotte. Lo supplica di non permettere agli Edui di venir meno all'alleanza con il popolo romano per colpa dei perfidi piani di alcuni giovani, lo prega di tener conto delle conseguenze, se tante migliaia di uomini si fossero unite ai nemici: la loro sorte non avrebbe lasciato indifferenti i loro cari, né il popolo poteva stimarla cosa di poco conto. |
843 | Caesar singulis legionibus singulos legatos et quaestorem praefecit, uti eos testes suae quisque virtutis haberet; ipse a dextro cornu, quod eam partem minime firmam hostium esse animadverterat, proelium commisit. Ita nostri acriter in hostes signo dato impetum fecerunt itaque hostes repente celeriterque procurrerunt, ut spatium pila in hostes coiciendi non daretur. Relictis pilis comminus gladiis pugnatum est. At Germani celeriter ex consuetudine sua phalange facta impetus gladiorum exceperunt.Reperti sunt complures nostri qui in phalanga insilirent et scuta manibus revellerent et desuper vulnerarent. Cum hostium acies a sinistro cornu pulsa atque in fugam coniecta esset, a dextro cornu vehementer multitudine suorum nostram aciem premebant. Id cum animadvertisset P. Crassus adulescens, qui equitatui praeerat, quod expeditior erat quam ii qui inter aciem versabantur, tertiam aciem laborantibus nostris subsidio misit. | Cesare prepose a ciascuna legione un luogotenente e un questore, affinché ciascuno avesse loro testimoni del proprio valore; egli stesso impegnò la battaglia dall’ala destra, perché aveva notato che quella parte dei nemici era la meno forte. Essendo stato dato il segnale, i nostri fecero impeto contro i nemici così fortemente, e i nemici corsero avanti così d’improvviso e velocemente, che non fu lasciato tempo di lanciare i giavellotti contro i nemici. Essendo stati gettati via i giavellotti, si combatté da vicino con le spade. Ma i Germani, essendo stata formata prontamente la falange, secondo la loro usanza, ricevettero l'urto delle spade. Molti nostri soldati si trovarono, i quali saltarono sulle falangi e strapparono gli scudi dalle mani, e ferirono dal di sopra. Mentre l'esercito dei nemici era stato respinto e volto in fuga dall’ala sinistra, dall’ala destra incalzavano fortemente il nostra esercito con il grande numero dei loro. Quando il giovane Publio Crasso, il quale comandava la cavalleria, ebbe avvertito ciò, mandò la terza schiera in aiuto ai nostri che correvano pericolo, perché era più libero rispetto a quelli che prendevano parte alla battaglia. |
634 | Bellicosissimis gentibus devictis Caesar, cum videret nullam iam esse civitatem quae bellum pararet quo sibi resisteret, sed nonnullos ex oppidis demigrare, ex agris diffugere ad praesens imperium evitandum, plures in partes exercitum dimittere constituit. M. Antonium quaestorem cum legione duodecima sibi coniungit. C. Fabium legatum cum cohortibus XXV mittit in diversissimam partem Galliae, quod ibi quasdam civitates in armis esse audiebat neque C.Caninium Rebilum legatum, qui in illis regionibus erat, satis firmas duas legiones habere existimabat. Titum Labienum ad se evocat; legionem autem XV, quae cum eo fuerat in hibernis, in togatam Galliam mittit ad colonias civium Romanorum tuendas, ne quod simile incommodum accideret decursione barbarorum ac superiore aestate Tergestinis acciderat, qui repentino latrocinio atque impetu illorum erant oppressi. Ipse ad vastandos depopulandosque fines Ambiorigis proficiscitur; quem perterritum ac fugientem cum redigi posse in suam potestatem desperasset, proximum suae dignitatis esse ducebat, adeo fines eius vastare civibus, aedificiis, pecore, ut odio suorum Ambiorix, si quos fortuna reliquos fecisset, nullum reditum propter tantas calamitates haberet in civitatem. | Dopo aver assoggettato le genti più bellicose, Cesare vide che ormai più nessun popolo preparava la guerra per resistergli e che, anzi, molti lasciavano le città e fuggivano dalle campagne per non sottostare al dominio in atto. Decide, perciò, di inviare l'esercito in diverse zone del paese. Unisce a sé il questore M. Antonio con la dodicesima legione. Con venticinque coorti manda il legato C. Fabio al capo opposto della Gallia, perché gli giungeva notizia che là alcuni popoli erano in armi e stimava insufficiente il presidio delle due legioni agli ordini del legato C. Caninio Rebilo, che si trovava nella zona. Richiama T. Labieno; la quindicesima legione, che aveva svernato con Labieno, la spedisce nella Gallia togata, a difesa delle colonie dei cittadini romani; lo scopo era di evitare guai - dovuti alle scorrerie dei barbari - simili a quelli capitati l'estate precedente ai Tergestini, che erano stati sorpresi da un attacco improvviso e avevano visto saccheggiate le loro terre. Dal canto suo, punta verso la regione di Ambiorige per devastarla e far razzie; disperando di ridurre in suo potere l'uomo - Ambiorige, atterrito, continuava a fuggire - stimava come cosa più confacente alla propria dignità devastarne i territori, con popolazione, case, bestiame: Ambiorige, odiato dai suoi, se la sorte ne avesse risparmiato qualcuno, non avrebbe potuto ritornare nella sua città, dopo le tante sciagure che aveva provocato. |
182 | Qua re per exploratores cognita summo labore militum Caesar continuato diem noctemque opere in flumine avertendo huc iam rem deduxerat ut equites etsi difficulter atque aegre fiebat possent tamen atque auderent flumen transire pedites vero tantummodo umeris ac summo pectore exstarent et cum altitudine aquae tum etiam rapiditate fluminis ad transeundum impedirentur. Sed tamen eodem fere tempore pons in Hibero prope effectus nuntiabatur et in Sicori vadum reperiebatur. | Venuto a conoscenza della cosa tramite esploratori, Cesare, con durissimo lavoro dei soldati, senza posa di giorno e di notte, era giunto a tal punto nel deviare il fiume, che i cavalieri, sebbene con difficoltà e a stento, potevano tuttavia osarne l'attraversamento, ma i fanti stavano fuori solo con le spalle e la parte superiore del petto ed erano ostacolati nel passaggio dall'altezza delle acque e talora anche dalla rapidità delle correnti. Ma tuttavia quasi nel medesimo tempo veniva diffusa la notizia che il ponte sull'Ebro era quasi completato e che si era trovato un guado nel Sicori. |
205 | Malest, Cornifici, tuo Catullomalest, me hercule, et laboriose,et magis magis in dies et horas.Quem tu, quod minimum facillimumque est,qua solatus es allocutione?Irascor tibi. Sic meos amores?Paulum quid lubet allocutionis,maestius lacrimis Simonideis. | Sta male, o Cornificio, il tuo Catullo,sta male, mio Dio, e soffre;ogni giorno, ogni ora peggiora sempre più.Forse che tu - e sarebbe stata una cosa da nulla, facilissima -gli hai inviato parole di conforto?Sono in collera con tè. È questo tutto il bene che mi vuoi?Mi piacerebbe una parola di consolazione, anche breve,più triste del pianto di Simonide. |
537 | Caesar superius institutum servans decimam legionem in dextro cornu, nonam in sinistro collocaverat, tametsi erat Dyrrachinis proeliis vehementer attenuata, et huic sic adiunxit octavam, ut paene unam ex duabus efficeret, atque alteram alteri praesidio esse iusserat. Cohortes in acie LXXX constitutas habebat, quae summa erat milium XXII; cohortes VII castris praesidlo reliquerat. Sinistro cornu Antonium, dextro P. Sullam, media acie Cn. Domitium praeposuerat.Ipse contra Pompeium constitit. Simul his rebus animadversis, quas demonstravimus, timens, ne a multitudine equitum dextrum cornu circumveniretur, celeriter ex tertia acie singulas cohortes detraxit atque ex his quartam instituit equitatuique opposuit et, quid fieri vellet, ostendit monuitque eius diei victoriam in earum cohortium virtute constare. Simul tertiae aciei totique exercitui imperavit, ne iniussu suo concurreret: se, cum id fieri vellet, vexillo signum daturum. | Cesare, mantenendo l'ordine di battaglia del passato, aveva disposto la decima legione sull'ala destra, la nona sulla sinistra, sebbene fosse stata molto ridotta nelle battaglie di Durazzo; e così a questa aggiunse la legione ottava, facendone appena una di due; e aveva dato l'ordine che l'una fosse di sostegno all'altra. Aveva schierate in linea di battaglia ottanta coorti, il cui contingente era di ventiduemila uomini; aveva lasciato di presidio nel campo sette coorti. Aveva preposto all'ala sinistra Antonio, alla destra P. Silla, al centro Cn. Domizio. Egli stesso si pose di fronte a Pompeo. Non appena si rese conto della tattica bellica nemica che abbiamo detto, temendo che l'ala destra venisse circondata dalla moltitudine dei cavalieri, velocemente levò dalla terza schiera una compagnia per legione e con queste formò una quarta fila che oppose alla cavalleria e indicò che cosa voleva che si facesse: avvertì che la vittoria di quel giorno dipendeva dal valore di quelle coorti. Contemporaneamente ordinò alla terza fila [e a tutto l'esercito] di non andare all'assalto senza il suo comando: quando avesse voluto l'assalto, avrebbe dato il segnale col vessillo. |
867 | Caesar, ubi luxit, omnes senatores senatorumque liberos, tribunos militum equitesque Romanos ad se produci iubet. Erant quinquaginta; ordinis senatorii L. Domitius, P. Lentulus Spinther, L. Caecilius Rufus, Sex. Quintilius Varus quaestor, L. Rubrius; praeterea filius Domiti aliique complures adulescentes et magnus numerus equitum Romanorum et decurionum, quos ex municipiis Domitius evocaverat. Hos omnes productos a contumeliis militum conviciisque prohibet; pauca apud eos loquitur, queritur.quod sibi a parte eorum gratia relata non sit pro suis in eos maximis beneficiis; dimittit omnes incolumes. HS |LX|, quod advexerat Domitius atque in publico deposuerat, allatum ad se ab IIII viris Corfiniensibus Domitio reddit, ne continentior in vita hominum quam in pecunia fuisse videatur, etsi eam pecuniam publicam esse constabat datamque a Pompeio in stipendium. Milites Domitianos sacramentum apud se dicere iubet atque eo die castra movet iustumque iter conficit VII omnino dies ad Corfinium commoratus, et per fines Marrucinorum, Frentranorum, Larinatium in Apuliam pervenit. | Alle prime luci, Cesare ordina che dinanzi a lui siano condotti tutti i senatori e i loro figli, i tribuni dei soldati e i cavalieri romani. Erano cinquanta; appartenevano all'ordine senatorio L. Domizio, P. Lentulo Spintere, L. Cecilio [Spintere] Rufo, il questore Sex. Quintilio Varo, L. Rubrio; vi erano inoltre il figlio di Domizio e moltissimi altri giovinetti e un gran numero di cavalieri romani e di decurioni che Domizio aveva fatto venire dai municipi. Li fa condurre tutti davanti a sé e proibisce ai soldati di insultarli e beffeggiarli; rivolge poche parole, lamentando che da parte loro non è stata dimostrata gratitudine per i grandissimi favori che egli ha loro fatto; li congeda lasciandoli tutti incolumi. I sei milioni di sesterzi, che Domizio aveva portato e depositato nella cassa pubblica, consegnati a Cesare dai duumviri di Corfinio, vengono restituiti a Domizio; Cesare non voleva infatti apparire più equilibrato nei confronti della vita degli uomini che nei confronti del denaro, pur consapevole che quello era denaro dello stato, dato a Domizio da Pompeo per la paga dei soldati. Ordina ai soldati di Domizio di giurargli fedeltà e, lo stesso giorno, muove l'accampamento e, dopo una sosta a Corfinio, in tutto sette giorni, si mette in cammino marciando a ritmo regolare e, attraversato il territorio dei Marrucini, dei Frentani, dei Larinati, giunge in Puglia. |
694 | Huius est civitatis longe amplissima auctoritas omnis orae maritimae regionum earum, quod et naves habent Veneti plurimas, quibus in Britanniam navigare consuerunt, et scientia atque usu rerum nauticarum ceteros antecedunt et in magno impetu maris atque aperto paucis portibus interiectis, quos tenent ipsi, omnes fere qui eo mari uti consuerunt habent vectigales. Ab his fit initium retinendi Silii atque Velanii, quod per eos suos se obsides, quos Crasso dedissent, recuperaturos existimabant.Horum auctoritate finitimi adducti, ut sunt Gallorum subita et repentina consilia, eadem de causa Trebium Terrasidiumque retinent et celeriter missis legatis per suos principes inter se coniurant nihil nisi communi consilio acturos eundemque omnes fortunae exitum esse laturos, reliquasque civitates sollicitant, ut in ea libertate quam a maioribus acceperint permanere quam Romanorum servitutem perferre malint. Omni ora maritima celeriter ad suam sententiam perducta communem legationem ad P. Crassum mittunt, si velit suos recuperare, obsides sibi remittat. | I Veneti sono il popolo che, lungo tutta la costa marittima, gode di maggior prestigio in assoluto, sia perché possiedono molte navi, con le quali, di solito, fanno rotta verso la Britannia, sia in quanto nella scienza e pratica della navigazione superano tutti gli altri, sia ancora perché, in quel mare molto tempestoso e aperto, pochi sono i porti della costa e tutti sottoposti al loro controllo, per cui quasi tutti i naviganti abituali di quelle acque versano loro tributi. I Veneti, per primi, trattengono Sillio e Velanio, convinti di ottenere, mediante uno scambio, la restituzione degli ostaggi consegnati a Crasso. Influenzati dall'autorità dei Veneti, dato che le decisioni dei Galli sono improvvise e repentine, anche i popoli limitrofi trattengono Trebio e Terrasidio con le stesse intenzioni. Vengono stabiliti, rapidamente, dei contatti: i principi stringono patti per non prendere, se non di comune accordo, nessuna iniziativa e per affrontare insieme l'esito della sorte, qualunque fosse. Sollecitano gli altri popoli a difendere la libertà ereditata dai loro padri piuttosto che sopportare la schiavitù dei Romani. Ben presto tutti i popoli della costa ne sposano la causa e mandano un'ambasceria unitaria a P. Crasso: restituisse i loro ostaggi, se voleva riavere i suoi. |
486 | Huius opera Commi, ut antea demonstravimus, fideli atque utili superioribus annis erat usus in Britannia Caesar; quibus ille pro meritis civitatem eius immunem esse iusserat, iura legesque reddiderat atque ipsi Morinos attribuerat. Tamen tanta universae Galliae consensio fuit libertatis vindicandae et pristinae belli laudis recuperandae, ut neque beneficiis neque amicitiae memoria moverentur, omnesque et animo et opibus in id bellum incumberent. Coactis equitum VIII milibus et peditum circiter CCL haec in Aeduorum finibus recensebantur, numerusque inibatur, praefecti constituebantur.Commio Atrebati, Viridomaro et Eporedorigi Aeduis, Vercassivellauno Arverno, consobrino Vercingetorigis, summa imperi traditur. His delecti ex civitatibus attribuuntur, quorum consilio bellum administraretur. Omnes alacres et fiduciae pleni ad Alesiam proficiscuntur, neque erat omnium quisquam qui aspectum modo tantae multitudinis sustineri posse arbitraretur, praesertim ancipiti proelio, cum ex oppido eruptione pugnaretur, foris tantae copiae equitatus peditatusque cernerentur. | Dei fidati e preziosi servigi di Commio, Cesare si era avvalso negli anni precedenti, lo abbiamo detto. In cambio, aveva decretato che gli Atrebati fossero esenti da tributi, aveva loro restituito diritto e leggi e assegnato la tutela dei Morini. Ma il consenso della Gallia, che voleva riacquistare l'indipendenza e recuperare l'antica gloria militare, era così unanime, da rendere chiunque insensibile anche ai benefici e al ricordo dell'amicizia: tutti si gettavano nel conflitto col cuore e con ogni risorsa. Vengono raccolti ottomila cavalieri e circa duecentoquarantamila fanti; nelle terre degli Edui si procede a passarli in rassegna, a contarli, a nominare gli ufficiali. Il comando supremo viene affidato all'atrebate Commio, agli edui Viridomaro ed Eporedorige, all'arverno Vercassivellauno, cugino di Vercingetorige. A essi vengono affiancati alcuni rappresentanti dei vari popoli, che formavano il consiglio per condurre le operazioni. Pieni di ardore e di fiducia si dirigono ad Alesia. Nessuno credeva possibile reggere alla vista di un tale esercito, tanto meno in uno scontro su due fronti, quando i Romani, mentre combattevano per una sortita dalla città, avessero scorto alle loro spalle truppe di fanteria e cavalleria così imponenti. |
248 | Dicebas quondam solum te nosse Catullum,Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,sed pater ut gnatos diligit et generos.nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,multo mi tamen es vilior et levior.qui potis est, inquis? quod amantem iniuria taliscogit amare magis, sed bene velle minus. | Un tempo tu dicevi di conoscere il solo CatulloO Lesbia, e di non volere come amante neanche Giove al mio posto.Allora ti ho amata non soltanto come il volgo ama l'amica,ma come il padre ama i figli ed i generi.Ora ti ho conosciuto, per cui anche se brucio con più violenzatuttavia mi sei molto più vile e leggera.Com'è possibile, dici? Perché un'offesa tale l'amante costringe ad amare di più, ma a voler bene di meno |
993 | Prima luce ex superioribus locis, quae Caesaris castris erant coniuncta, cernebatur equitatus nostri proelio novissimos illorum premi vehementer ac nonnumquam sustineri extremum agmen atque interrumpi, alias inferri signa et universarum cohortium impetu nostros propelli, dein rursus conversos insequi. Totis vero castris milites circulari et dolere hostem ex manibus dimitti, bellum non necessario longius duci; centuriones tribunosque militum adire atque obsecrare, ut per eos Caesar certior fieret, ne labori suo neu periculo parceret; paratos esse sese, posse et audere ea transire flumen, qua traductus esset equitatus.Quorum studio et vocibus excitatus Caesar, etsi timebat tantae magnitudini fluminis exercitum obicere, conandum tamen atque experiendum iudicat. Itaque infirmiores milites ex omnibus centuriis deligi iubet, quorum aut animus aut vires videbantur sustinere non posse. Hos cum legione una praesidio castris relinquit; reliquas legiones expeditas educit magnoque numero iumentorum in flumine supra atque infra constituto traducit exercitum. Pauci ex his militibus abrepti vi fluminis ab equitatu excipiuntur ac sublevantur; interit tamen nemo. Traducto incolumi exercitu copias instruit triplicemque aciem ducere incipit. Ac tantum fuit in militibus studii, ut milium sex ad iter addito circuitu magnaque ad vadum fluminis mora interposita eos, qui de tertia vigilia exissent, ante horam diei VIIII consequerentur. | Allo spuntare del giorno dalle alture vicine all'accampamento di Cesare si scorgeva la retroguardia nemica, violentemente incalzata dagli attacchi della nostra cavalleria, talora resistere e talora venire sbaragliata; altre volte i nemici muovevano all'assalto e, con l'impeto di tutte le coorti insieme, facevano indietreggiare i nostri, poi di nuovo i nostri inseguivano i nemici dopo averli costretti a fare cambiamento di fronte. In tutto l'accampamento poi si formavano capannelli di soldati che si lagnavano che Cesare si lasciasse sfuggire di mano il nemico e che la guerra di conseguenza andasse troppo per le lunghe. Si rivolgevano ai tribuni dei soldati e ai centurioni a pregarli che per mezzo loro Cesare venisse informato di non badare alle loro fatiche o pericoli: essi erano pronti, erano in grado e osavano attraversare il fiume nel punto in cui era stata fatta passare la cavalleria. Incoraggiato dalle loro voci e dal loro ardore, Cesare, pur temendo di esporre l'esercito alla piena di un fiume tanto grande, giudica tuttavia opportuno rischiare e fare il tentativo. Ordina pertanto di selezionare fra tutte le compagnie i soldati più deboli il cui coraggio e forza sembravano non essere all'altezza dell'impresa. Lascia costoro con una legione a guardia dell'accampamento; conduce fuori le rimanenti legioni senza bagagli e, posto un grande numero di bestie da tiro e da soma al di sopra e al di sotto del guado, fa attraversare all'esercito il fiume. A pochi di questi soldati le armi furono portate via dalla corrente; vengono raccolti e sostenuti dalla cavalleria; nessuno tuttavia perde la vita. Fatto passare incolume l'esercito, Cesare schiera le milizie e incomincia a condurre avanti l'esercito disposto su tre file. E nei soldati tanto fu l'ardore che, nonostante l'allungamento della marcia con un giro di sei miglia e il lungo indugio nel guadare il fiume, prima delle tre del pomeriggio raggiunsero quelli che erano usciti dall'accampamento dopo la mezzanotte. |
71 | Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis, constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris? O tempora, o mores! Senatus haec intellegit.Consul videt; hic tamen vivit. Vivit? immo vero etiam in senatum venit, fit publici consilii particeps, notat et designat oculis ad caedem unum quemque nostrum. Nos autem fortes viri satis facere rei publicae videmur, si istius furorem ac tela vitemus. Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat, in te conferri pestem, quam tu in nos [omnes iam diu] machinaris. An vero vir amplissumus, P. Scipio, pontifex maximus, Ti. Gracchum mediocriter labefactantem statum rei publicae privatus interfecit; Catilinam orbem terrae caede atque incendiis vastare cupientem nos consules perferemus? Nam illa nimis antiqua praetereo, quod C. Servilius Ahala Sp. Maelium novis rebus studentem manu sua occidit. Fuit, fuit ista quondam in hac re publica virtus, ut viri fortes acrioribus suppliciis civem perniciosum quam acerbissimum hostem coercerent. Habemus senatus consultum in te, Catilina, vehemens et grave, non deest rei publicae consilium neque auctoritas huius ordinis; nos, nos, dico aperte, consules desumus | O Catilina, sino a quando abuserai della nostra pazienza? Quanto a lungo questa tua follia si prenderà gioco di noi? Sino a quale limite la tua sfrenata audacia si spingerà? Per niente ti hanno sconvolto il presidio notturno del Palatino, per niente le sentinelle, della città, per niente il terrore del popolo, per niente l’orrore di tutte le persone oneste, per niente questo luogo sorvegliatissimo delle riunioni del senato, per niente le espressioni del volto di costoro? Non ti accorgi che i tuoi piani sono di pubblico dominio? Non vedi che la tua congiura, è tenuta sotto controllo dalla conoscenza di tutti questi? Chi di noi credi che ignori che cosa hai fatto la notte scorsa, che cosa quella precedente, dove sei stato, chi hai convocato, quale decisione hai preso? O tempi! O costumi! Il senato capisce ciò, il console lo vede; tuttavia egli è vivo. E’ vivo? Anzi per di più viene anche in senato, partecipa alle riunione degli affari di Stato, indica e designa con gli occhi chi di noi è stato destinato alla morte. Tuttavia sembra che noi uomini forti, facciamo abbastanza per lo stato, se evitiamo i folli attentati di costui. O Catilina, bisognava già da tempo che tu fossi condotto per ordine del console a morte, che fosse ritorta in te la pestilenza, che tu ormai a lungo hai macchinato nei confronti di noi tutti. Se dunque Publio Scipione, uomo prestigiosissimo, pontefice massimo, da privato cittadino fece uccidere Tiberio Gracco, che tentava di sconvolgere parzialmente la costituzione repubblicana; noi che siamo consoli dovremo tollerare Catilina che desidera sconvolgere il mondo intero con stragi ed incendi? Infatti tralascio quei fatti abbastanza remoti, e cioè che C. Ahala uccise con le sue mani Spurio Melio, che progettava nuove rivolte. Un tempo, in questo stato, ci fu, ci fu tale valore che gli uomini forti punivano un cittadino pericoloso con supplizi più aspri del più feroce dei nemici. O Catilina, abbiamo nei tuoi confronti un decreto del senato duro e severo; allo stato non manca il senno, né l’autorità di questa istituzione; manchiamo, lo dico apertamente, noi, proprio noi i consoli. |
849 | Proxima nocte centuriones Marsi duo ex castris Curionis cum manipularibus suis XXII ad Attium Varum perfugiunt. Hi, sive vere quam habuerant opinionem ad eum perferunt, sive etiam auribus Vari serviunt (nam, quae volumus, et credimus libenter et, quae sentimus ipsi, reliquos sentire speramus), confirmant quidem certe totius exercitus animos alienos esse a Curione maximeque opus esse in conspectum exercitus venire et colloquendi dare facultatem. Qua opinione adductus Varus postero die mane legiones ex castris educit.Facit idem Curio, atque una valle non magna interiecta suas uterque copias instruit. | La notte successiva due centurioni marsi con ventidue soldati delle loro compagnie fuggono dal campo di Curione presso Azzio Varo. Costoro, sia che gli riferissero realmente la loro opinione sia che lo compiacessero dicendo cose gradite (e infatti crediamo volentieri a ciò che vogliamo e speriamo che gli altri provino ciò che noi stessi proviamo), lo assicurano che l'animo di tutto quanto l'esercito è contrario a Curione e che è sopra tutto necessario che gli eserciti si incontrino e abbiano possibilità di parola. Spinto da questo parere Varo, la mattina dopo, porta fuori dal campo le legioni. La medesima cosa fa Curione ed entrambi schierano le truppe in una valle non grande che tra loro si frapponeva. |
933 | Agriculturae non student, maiorque pars eorum victus in lacte, caseo, carne consistit. Neque quisquam agri modum certum aut fines habet proprios; sed magistratus ac principes in annos singulos gentibus cognationibusque hominum, qui una coierunt, quantum et quo loco visum est agri attribuunt atque anno post alio transire cogunt. Eius rei multas adferunt causas: ne adsidua consuetudine capti studium belli gerendi agricultura commutent; ne latos fines parare studeant, potentioresque humiliores possessionibus expellant; ne accuratius ad frigora atque aestus vitandos aedificent; ne qua oriatur pecuniae cupiditas, qua ex re factiones dissensionesque nascuntur; ut animi aequitate plebem contineant, cum suas quisque opes cum potentissimis aequari videat. | 1. Non si dedicano all’agricoltura, e la maggior parte del loro nutrimento si basa su latte, formaggio e carne.2. E nessuno (non qualcuno) ha un’estensione fissa di terreno o (possiede) terreni propri, ma le autorità e i capi attribuiscono, di anno in anno, alle famiglie e ai parenti (alle parentele di uomini) che vivono insieme quanto terreno ed in quale luogo sembrò loro opportuno, e l’anno dopo costringono ad andare in altro luogo.3. Di questa consuetudine differiscono molte motivazioni:perché non cambino l’impegno di far guerra con l’agricoltura, presi da una costante abitudine; perché non cerchino di procurarsi ampi terreni e i più potenti non scaccino i più poveri dalle proprietà; perché non fabbrichino troppo accuratamente per evitare le temperature fredde e calde; perché non si levi alcun desiderio di ricchezze, dal quale nascono fazioni e discordie;4. Per frenare la plebe con serenità dell’animo, poiché ognuno constata (vede) che i suoi beni sono resi uguali con quelli dei più potenti. |
482 | Quod ubi Caesar animadvertit, naves longas, quarum et species erat barbaris inusitatior et motus ad usum expeditior, paulum removeri ab onerariis navibus et remis incitari et ad latus apertum hostium constitui atque inde fundis, sagittis, tormentis hostes propelli ac submoveri iussit; quae res magno usui nostris fuit. Nam et navium figura et remorum motu et inusitato genere tormentorum permoti barbari constiterunt ac paulum modo pedem rettulerunt.Atque nostris militibus cunctantibus, maxime propter altitudinem maris, qui X legionis aquilam gerebat, obtestatus deos, ut ea res legioni feliciter eveniret, ' desilite', inquit, ' milites, nisi vultis aquilam hostibus prodere; ego certe meum rei publicae atque imperatori officium praestitero.' Hoc cum voce magna dixisset, se ex navi proiecit atque in hostes aquilam ferre coepit. Tum nostri cohortati inter se, ne tantum dedecus admitteretur, universi ex navi desiluerunt. Hos item ex proximis primi navibus cum conspexissent, subsecuti hostibus adpropinquaverunt. | Quando se ne accorse, Cesare ordinò che le navi da guerra, di forma inconsueta per i barbari e facilmente manovrabili, si staccassero un po' dalle imbarcazioni da carico e, accelerando a forza di remi, si disponessero sul fianco destro del nemico e, da qui, azionassero le fionde, gli archi, le macchine da lancio per costringere gli avversari alla ritirata. La manovra si rivelò molto utile. Infatti, i barbari, scossi dalla forma delle navi, dal movimento dei remi e dall'insolito genere di macchine da lancio, si arrestarono e ripiegarono leggermente. Ma, visto che i nostri soldati, soprattutto per la profondità dell'acqua, esitavano, l'aquilifero della decima legione, dopo aver pregato gli dèi di dare felice esito all'impresa, gridò: "Saltate giù, commilitoni, se non volete consegnare l'aquila al nemico: io, per parte mia, avrò fatto il mio dovere verso la repubblica e il comandante". Lo disse a gran voce, poi saltò giù dalla nave e cominciò a correre contro i nemici. Allora i nostri, vicendevolmente spronandosi a non permettere un'onta così grave, saltarono giù dalla nave, tutti quanti. Anche i soldati delle navi vicine, come li videro, li seguirono e avanzarono contro i nemici. |
743 | Eodemque tempore Domitius in Macedoniam venit; et cum ad eum frequentes civitatum legationes convenire coepissent, nuntiatum est adesse Scipionem cum legionibus, magna opinione et fama omnium; nam plerumque in novitate rem fama antecedit. Hic nullo in loco Macedoniae moratus magno impetu tetendit ad Domitium et, cum ab eo milia passuum XX afuisset, subito se ad Cassium Longinum in Thessalasm convertit. Hoc adeo celeriter fecit, ut simul adesse et venire nuntiaretur, et quo iter expeditius faceret, M.Favonium ad flumen Aliacmonem, quod Macedoniam a Thessalia dividit, cum cohortibus VIII praesidio impedimentis legionum reliquit castellumque ibi muniri iussit. Eodem tempore equitatus regis Cotyis ad castra Cassii advolavit, qui circum Thessaliam esse consuerat. Tum timore perterritus Cassius cognito Scipionis adventu visisque equitibus, quos Scipionis esse arbitrabatur, ad montes se convertit, qui Thessaliam cingunt, atque ex his locis Ambraciam versus iter facere coepit. At Scipionem properantem sequi litterae sunt consecutae a M. Favonio, Domitium cum legionibus adesse neque se praesidium, ubi constitutus esset, sine auxilio Scipionis tenere posse. Quibus litteris acceptis consilium Scipio iterque commutat; Cassium sequi desistit, Favonio auxilium ferre contendit. Itaque die ac nocte continuato itinere ad eum pervenit, tam opportuno tempore, ut simul Domitiani exercitus pulvis cerneretur, et primi antecursores Scipionis viderentur. Ita Cassio industria Domitii, Favonio Scipionis celeritas salutem attulit. | Nel medesimo tempo Domizio giunse in Macedonia; e quando già cominciavano a venire da lui numerose legazioni delle città, fu annunciato, con grande risonanza e clamore generale, che Scipione era vicino con le legioni e che presso tutti aveva suscitato grande fama e stima; infatti, per lo più, di fronte a una situazione nuova il clamore supera la realtà. Costui, senza fermarsi in nessun luogo della Macedonia, con grande impeto marciò verso Domizio e, quando distò da lui ventimila passi, all'improvviso si diresse in Tessaglia contro Cassio Longino. E fece ciò così celermente che la notizia del suo avvicinamento e quella del suo arrivo furono contemporanee. E, per marciare più velocemente, lasciò presso il fiume Aliacmone, che divide la Macedonia dalla Tessaglia, M. Favonio con otto coorti di scorta agli impedimenti delle legioni e ordinò di costruire qui un campo fortificato. Nel medesimo tempo la cavalleria del re Coto, che di solito si trovava presso i confini della Tessaglia, si diresse al volo verso il campo di Cassio. Allora questi, sconvolto dalla paura, venuto a conoscenza dell'arrivo di Scipione e visti i cavalieri che pensava fossero suoi, si diresse sui monti che circondano la Tessaglia e di qui cominciò a marciare verso Ambracia. Ma Scipione, mentre si affrettava a inseguirlo, ricevette una lettera da parte di M. Favonio che gli annunciava che Domizio era vicino con le legioni e di non potere, senza l'aiuto di Scipione, mantenere il presidio affidatogli. Ricevuta questa lettera, Scipione muta piano e direzione; cessa di inseguire Cassio, si affretta a portare aiuto a Favonio. E così, con marcia forzata di giorno e di notte, lo raggiunse proprio al momento giusto per potere contemporaneamente scorgere la polvere dell'esercito di Domizio e vedere le prime avanguardie di Scipione. Così la scaltrezza di Domizio salvò Cassio, la velocità di Scipione Favonio. |
21 | "Sed postquam introgressus" inquit "leo, uti re ipsa apparuit, in habitaculum illud suum, videt me procul delitescentem, mitis et mansues accessit et sublatum pedem ostendere mihi et porrigere quasi opis petendae gratia visus est.Ibi" inquit "ego stirpem ingentem vestigio pedis eius haerentem revelli conceptamque saniem volnere intimo expressi accuratiusque sine magna iam formidine siccavi penitus atque detersi cruorem.Illa tunc mea opera et medella levatus pede in manibus meis posito recubuit et quievit. | Ma dopo che il leone, dice, entrato, come di fatto apparve evidente, in quella sua tana, vide me, da lontano, che mi nascondevo, venne verso di me mite e mansueto, sollevò la zampa e parve mostrarmela e porgendomela come per chiedere aiuto.allora, dice, io estrassi una grossa scheggia che era confitta nella pianta della sua zampa e spremetti il pus che si era formato nell'interno della ferita e, con una certa cura, ormai senza grande timore, stagnai a fondo e detersi il sangue della ferita. |
972 | Eodem tempore tertiam aciem Caesar, quae quieta fuerat et se ad id tempus loco tenuerat, procurrere iussit. Ita cum recentes atque integri defessis successissent, alii autem a tergo adorirentur, sustinere Pompeiani non potuerunt, atque universi terga verterunt. Neque vero Caesarem fefellit, quin ab eis cohortibus, quae contra equitatum in quarta acie collocatae essent, initium victoriae oriretur, ut ipse in cohortandis militibus pronuntiaverat. Ab his enim primum equitatus est pulsus, ab isdem factae caedes sagittariorum ac funditorum, ab isdem acies Pornpeiana a sinistra parte circumita atque initium fugae factum.Sed Pompeius, ut equitatum suum pulsum vidit atque eam partem, cui maxime confidebat, perterritam animadvertit, aliis quoque diffisus acie excessit protinusque se in castra equo contulit et eis centurionibus, quos in statione ad praetoriam portam posuerat, clare, ut milites exaudirent, "tuemini," inquit, "castra et defendite diligenter, si quid durius acciderit. Ego reliquas portas circumeo et castrorum praesidia confirmo." Haec cum dixisset, se in praetorium contulit summae rei diffidens et tamen eventum exspectans.95Caesar Pompeianis ex fuga intra vallum compulsis nullum spatium perterritis dari oportere existimans milites cohortatus est, ut beneficio fortunae uterentur castraque oppugnarent. Qui, etsi magno aestu fatigati (nam ad meridiem res erat perducta), tamen ad omnem laborem animo parati imperio paruerunt. Castra a cohortibus, quae ibi praesidio erant relictae, industrie defendebantur, multo etiam acrius a Thracibus barbarisque auxiliis. Nam qui acie refugerant milites, et animo perterriti et lassitudine confecti, missis plerique armis signisque militaribus, magis de reliqua fuga quam de castrorum defensione cogitabant. Neque vero diutius, qui in vallo constiterant, multitudinem telorum sustinere potuerunt, sed confecti vulneribus locum reliquerunt, protinusque omnes ducibus usi centurionibus tribunisque militum in altissimos montes, qui ad castra pertinebant, confugerunt. | Allo stesso tempo Cesare comandò di attaccare la terza schiera , che era stata inattiva e che si era mantenuta fino a quel momento nel proprio luogo(assegnato).Così sostituiti uomini nuovi e riposati a quelli stanchi, mentre alri li assalivano alle spalle, i Pompeiani non poterono resistere e volsero tutti (le spalle) in fuga.2-Nè in verità Cesare si ingannò che l'origine della vittoria sarebbe nata da quelle corti che erano state collocate nella quarta schiera contro la cavalleria come egli stesso aveva pronunciato nell'esortare i soldati.3-Da queste infatti per prima cosa fu espulsa la cavalleria, dalle stesse fu fatta strage di arcieri e frombolieri, sempre da queste stesse era stato circondato lo schieramento Pompeiano e aveva avuto inizio la fuga.4-Ma Pompeio, appena vide che la sua cavalleria era stata respinta e si rese conto che era stata atterita quella parte in cui aveva molta fiducia, diffidando anche degli altri, uscì dalla schiera e subito si recò a cavallo nell'accampamento e a questi centurioni, che erano stati posti a difesa della porta pretoria, ad alta voce, affinchè i soldati udissero, 5-disse:“Custodite l'accampamento e difendetelo con molta cura, se accadrà qualcosa di più sfavorevole.Io faccio un giro alle porte rimanenti e rinforzo le difese dei presidi”.6-Dopo aver detto questo si recò nel pretorio, diffidando in un momento culminante e aspettando tuttavia gli avvenimenti.95Cesare, spinti i Pompeiani dalla fuga dentro il vallo, pensando che non bisognava dare una pausa ai (nemici) atteriti, esortò i soldati a servirsi dell'aiuto della fortuna e assediare l'accampamento.E questi, sebbene stanchi per la troppa calura (infatti si era giunti a mezzogiorno), tuttavia, pronti nell'animo ad ogni fatica, obbedirono al comando.2 -L'accampamento era difeso accanitamente dalle corti, che erano state lasciate lì a difesa, e anche molto più accanitamente dai Traci e dalle truppe ausiliari dei barbari. Infatti i soldati, che erano fuggiti dalla battaglia, impauriti profondamente (nell'animo) e logorati dalla fatica, abbandonate la maggior parte delle armi e delle insegne militare, pensavano più alla fuga che alla difesa dell'accampamento.3-Ma invece, coloro che sbarravano il vallo, non poterono sostenere troppo a lungo la moltitudine di giavellotti, ma , disfatti dalle ferite, lasciarono il luogo assegnato, e subito tutti, servandosi a capo dei centurioni e dei tribuni militari, si rifugiarono su altissime montagne, che erano vicine all'accampamento. |
334 | Hoc proelio facto et prope ad internecionem gente ac nomine Nerviorum redacto maiores natu, quos una cum pueris mulieribusque in aestuaria ac paludes coniectos dixeramus, hac pugna nuntiata , cum victoribus nihil impeditum, victis nihil tutum arbitrarentur, omnium qui supererant consensu legatos ad Caesarem miserunt seque ei dediderunt et in commemoranda civitatis calamitate ex DC ad tres senatores, ex hominum milibus LX vix ad D, qui arma ferre possent, sese redactos esse dixerunt.Quos Caesar, ut in miseros ac supplices usus misericordia videretur, diligentissime conservavit suisque finibus atque oppidis uti iussit et finitimis (populis) imperavit ut ab iniuria et maleficio se suosque prohiberent. | Essendo finita questa battaglia ed essendo ormai quasi estinta la stirpe e il nome dei Nervi gli anziani che, come si era detto, si erano rifugiati con le donne e i bambini nelle paludi e negli stagni, alla saputa dell’esito della battaglia, giudicando che non vi fosse più limite al potere dei vincitori e nessuna sicurezza per i vinti, con il consenso di tutti i superstiti mandarono dei legati da Cesare e si consegnarono a lui e, ricordando la disfatta subita dalla (loro) città, dissero di essersi ridotti da seicento a tre senatori e, da sessantamila, a malapena a cinquecento uomini atti alle armi. Cesare, affinche sembrasse adoperare clemenza nei confronti dei miseri e dei supplici, li tutelò diligentissimamente concesse di lasciarli nelle loro terre e nelle loro città, ed impose ai popoli confinanti di astenersi, loro ed i loro alleati, dal recar offese o danni a questo popolo. |
813 | Erat C. Crastinus evocatus in exercitu Caesaris, qui superiore anno apud eum primum pilum in legione X duxerat, vir singulari virtute. Hic signo dato, "sequimini me," inquit, "manipulares mei qui fuistis, et vestro imperatori quam constituistis operam date. Unum hoc proelium superest; quo confecto et ille suam dignitatem et nos nostram libertatem recuperabimus." Simul respiciens Caesarem, "faciam," inquit, "hodie, imperator, ut aut vivo mihi aut mortuo gratias agas." Haec cum dixisset, primus ex dextro cornu procucurrit, atque eum electi milites circiter CXX voluntarii eiusdem cohortis sunt prosecuti. | 1. C’era nell’esercito di Cesare un richiamato, Crastino, che aveva guidato il primo manipolo alle sue dipendenze (sotto di lui) l’anno prima, nella decima legione, uomo di singolare valore. 2. Dato il segnale, disse: “ Seguitemi, voi che foste del mio manipolo, e date l’aiuto che avete promesso al vostro comandante. Questa sola battaglia ci resta. Terminatala (dopo averla terminata) sia Egli recupererà la sua dignità sia noi la nostra libertà”. 3. Guardando nello stesso tempo Cesare, disse: “ Farò in modo che oggi, oh comandante, tu sia riconoscente o a me vivo o a me morto. 4. Dopo aver detto queste parole, primo si slanciò avanti, dall’ala destra. |
978 | Compluribus diebus isdem in castris consumptis, cum propius accessisse legiones et Gaium Trebonium legatum cognossent, duces Bellovacorum veriti similem obsessionem Alesiae noctu dimittunt eos quos aut aetate aut viribus inferiores aut inermes habebant, unaque reliqua impedimenta. Quorum perturbatum et confusum dum explicant agmen (magna enim multitudo carrorum etiam expeditos sequi Gallos consuevit), oppressi luce copias armatorum pro suis instruunt castris, ne prius Romani persequi se inciperent quam longius agmen impedimentorum suorum processisset.At Caesar neque resistentes adgrediendos tanto collis ascensu iudicabat, neque non usque eo legiones admovendas ut discedere ex eo loco sine periculo barbari militibus instantibus non possent. Ita, cum palude impedita a castris castra dividi videret, quae trans eundi difficultas celeritatem insequendi tardare posset, adque id iugum quod trans paludem paene ad hostium castra pertineret mediocri valle a castris eorum intercisum animum adverteret, pontibus palude constrata legiones traducit celeriterque in summam planitiem iugi pervenit, quae declivi fastigio duobus ab lateribus muniebatur. Ibi legionibus instructis ad ultimum iugum pervenit aciemque eo loco constituit unde tormento missa tela in llostium cuneos conici possent. | Dopo aver trascorso parecchi giorni sempre nell'accampamento, i capi dei Bellovaci, quando vennero a sapere che il legato C. Trebonio si stava avvicinando con le legioni, nel timore di un assedio come ad Alesia, fanno allontanare di notte le persone inutili troppo anziane o deboli o prive di armi; con loro mandano tutti i bagagli. Mentre dispiegavano la colonna, ancora in scompiglio e in disordine (un gran numero di carri, infatti, segue di solito i Galli anche negli spostamenti brevi), vengono sorpresi dal sorgere del sole. Allora schierano le truppe dinnanzi al loro campo, per impedire ai Romani l'inizio dell'inseguimento prima che la colonna dei bagagli si fosse allontanata abbastanza. Cesare, visto il pendio così erto, non giudicò opportuno attaccare i nemici pronti alla difesa e decise invece di far avanzare le legioni di quel tanto, che impedisse ai barbari di muoversi dalla loro posizione senza rischi, data la minaccia dei nostri. Poi notò che i due accampamenti erano sì divisi da una palude impraticabile - un ostacolo in grado di frenare la rapidità dell'inseguimento - ma che una catena di colli, al di là della palude, raggiungeva quasi il campo nemico e ne era separata solo da una piccola valle. Allora, getta ponti sulla palude, la varca con le legioni e giunge rapidamente su una spianata in cima ai colli, protetta su entrambi i lati da scoscesi pendii. Qui ricompone le legioni e raggiunge l'estremità della spianata, dove forma la linea di battaglia. Da qui, i dardi scagliati dalle macchine da lancio potevano piovere sui nemici disposti a cuneo. |
758 | Interfecto Indutiomaro, ut docuimus, ad eius propinquos a Treveris imperium defertur. Illi finitimos Germanos sollicitare et pecuniam polliceri non desistunt. Cum ab proximis impetrare non possent, ulteriores temptant. Inventis nonnullis civitatibus iureiurando inter se confirmant obsidibusque de pecunia cavent: Ambiorigem sibi societate et foedere adiungunt. Quibus rebus cognitis Caesar, cum undique bellum parari videret, Nervios, Aduatucos ac Menapios adiunctis Cisrhenanis omnibus Germanis esse in armis, Senones ad imperatum non venire et cum Carnutibus finitimisque civitatibus consilia communicare, a Treveris Germanos crebris legationibus sollicitari, maturius sibi de bello cogitandum putavit. | Dopo l'uccisione di Induziomaro, come abbiamo descritto, i Treveri affidano il comando ai suoi parenti, che non desistono dal sobillare i Germani limitrofi, promettendo denaro. Non avendo ottenuto risultato con i Germani vicini, tentano con i più lontani. Trovate alcune genti disposte all'azione, a esse si vincolano con giuramento solenne; quanto al denaro, garantiscono con ostaggi. Accolgono nella loro lega e patto Ambiorige. Informato di ciò, Cesare si accorse che, ovunque, erano in corso preparativi di guerra: i Nervi, gli Atuatuci, i Menapi erano in armi, uniti a tutti i Germani stanziati al di qua del Reno; i Senoni non rispondevano alle convocazioni e si accordavano con i Carnuti e i popoli limitrofi; i Treveri facevano pressione sui Germani con frequenti ambascerie. Quindi, ritenne di dover pensare alla guerra più presto del solito. |
450 | Caesar singulis legionibus singulos legatos et quaestorem praefecit, uti eos testes suae quisque virtutis haberet; ipse a dextro cornu, quod eam partem minime firmam hostium esse animadverterat, proelium commisit. Ita nostri acriter in hostes signo dato impetum fecerunt itaque hostes repente celeriterque procurrerunt, ut spatium pila in hostes coiciendi non daretur. Relictis pilis comminus gladiis pugnatum est. At Germani celeriter ex consuetudine sua phalange facta impetus gladiorum exceperunt.Reperti sunt complures nostri qui in phalanga insilirent et scuta manibus revellerent et desuper vulnerarent. Cum hostium acies a sinistro cornu pulsa atque in fugam coniecta esset, a dextro cornu vehementer multitudine suorum nostram aciem premebant. Id cum animadvertisset P. Crassus adulescens, qui equitatui praeerat, quod expeditior erat quam ii qui inter aciem versabantur, tertiam aciem laborantibus nostris subsidio misit. | Cesare mise a capo di ciascuna legione i rispettivi legati e il questore, perché ognuno li avesse a testimoni del proprio valore; egli stesso guidò l'attacco alla testa dell'ala destra, perché si era accorto che da quella parte lo schieramento nemico era molto debole. Al segnale, i nostri attaccarono con tale veemenza e i nemici si slanciarono in avanti così all'improvviso e con tale rapidità, che non si ebbe il tempo di lanciare i giavellotti. Ci si sbarazzò di essi e si combatté corpo a corpo, con le spade. I Germani formarono rapidamente, secondo la loro abitudine, delle falangi e ressero all'assalto condotto con le spade. Si videro molti soldati romani salire sopra le varie falangi, strappare via con le mani gli scudi dei nemici e colpire dall'alto. Mentre l'ala sinistra dello schieramento nemico veniva respinta e messa in fuga, l'ala destra con la sua massa premeva violentemente sui nostri. Il giovane P. Crasso, comandante della cavalleria, essendo nei movimenti più libero di chi combatteva nel folto dello schieramento, se ne accorse e mandò la terza linea in aiuto dei nostri in difficoltà. |
1,018 | Insula natura triquetra, cuius unum latus est contra Galliam. Huius lateris alter angulus, qui est ad Cantium, quo fere omnes ex Gallia naves appelluntur, ad orientem solem, inferior ad meridiem spectat. Hoc pertinet circiter mila passuum quingenta. Alterum vergit ad Hispaniam atque occidentem solem; qua ex parte est Hibernia, dimidio minor, ut aestimatur, quam Britannia, sed pari spatio transmissus atque ex Gallia est in Britanniam. In hoc medio cursu est insula, quae appellatur Mona: complures praeterea minores subiectae insulae existimantur, de quibus insulis nonnulli scripserunt dies continuos triginta sub bruma esse noctem.Nos nihil de eo percontationibus reperiebamus, nisi certis ex aqua mensuris breviores esse quam in continenti noctes videbamus. Huius est longitudo lateris, ut fert illorum opinio, septingentorum milium. Tertium est contra septentriones; cui parti nulla est obiecta terra, sed eius angulus lateris maxime ad Germaniam spectat. Hoc milia passuum octingenta in longitudinem esse existimatur. Ita omnis insula est in circuitu vicies centum milium passuum. | L'isola ha forma triangolare, con un lato posto di fronte alla Gallia: un angolo di questo lato, verso il Canzio, dove approdano quasi tutte le navi provenienti dalla Gallia, è rivolto a oriente; l'altro, più basso, guarda a meridione. Questo lato è lungo circa cinquecento miglia. Un altro lato è volto verso la Spagna e occidente: su questo versante c'è l'Ibernia, un'isola che si reputa circa la metà della Britannia e che da essa dista tanto quanto la Britannia stessa dalla Gallia. A metà strada si trova un'isola chiamata Mona; inoltre, si ritiene che ci siano molte altre isole minori lungo la costa: alcuni hanno scritto che in esse, nel periodo del solstizio d'inverno, la notte dura trenta giorni consecutivi. Noi non siamo riusciti a raccogliere altre notizie in proposito, malgrado le nostre domande; abbiamo solo constatato che qui le notti, misurate con precisione mediante clessidre ad acqua, sono più brevi rispetto al continente. La lunghezza di questo lato, secondo l'opinione degli autori citati, è di settecento miglia. Il terzo lato è rivolto a settentrione: nessuna terra gli sta di fronte, ma un suo lembo guarda essenzialmente verso la Germania. Si ritiene che si estenda per ottocento miglia. Così, il perimetro totale dell'isola risulta di duemila miglia. |
959 | Genus erat hoc pugnae. Expeditae cohortes novissirnum agmen claudebant pluresque in locis campestribus subsistebant. Si mons erat ascendendus, facile ipsa loci natura periculum repellebat, quod ex locis superioribus, qui antecesserant, suos ascendentes protegebant; cum vallis aut locus declivis suberat, neque ei, qui antecesserant, morantibus opem ferre poterant, equites vero ex loco superiore in aversos tela coniciebant, tum magno erat in periculo res.Relinquebatur, ut, cum eiusmodi locis esset appropinquatum, legionum signa consistere iuberent magnoque impetu equitatum repellerent, eo submoto repente incitati cursu sese in valles universi demitterent atque ita transgressi rursus in locis superioribus consisterent. Nam tantum ab equitum suorum auxiliis aberant, quorum numerum habebant magnum, ut eos superioribus perterritos proeliis in medium reciperent agmen ultroque eos tuerentur; quorum nulli ex itinere excedere licebat, quin ab equitatu Caesaris exciperetur. | Si combatteva in questo modo: le coorti armate alla leggera chiudevano la retroguardia e nei luoghi piani la maggior parte di esse si fermava. Se si doveva salire un monte, la natura stessa del luogo facilmente allontanava il pericolo, poiché dai luoghi superiori quelli che erano andati innanzi proteggevano i compagni durante la salita; quando erano vicini a una valle o a un pendio, coloro che erano innanzi non potevano portare aiuto a quelli che rimanevano indietro; allora la cavalleria, da luoghi più elevati, lanciava dardi alle spalle dei nemici e la situazione era di grande pericolo. Quando ci si avvicinava a posti di tal fatta, non rimaneva che ordinare alle legioni di fermarsi e respingere la cavalleria con grande impeto e, una volta allontanatala, subito di gran corsa precipitarsi tutti insieme nelle valli e così, dopo averle attraversate, di nuovo fermarsi su alture. Infatti non solo non potevano avere aiuto dalla loro cavalleria, sebbene numerosa, ma, atterrita com'era dai precedenti scontri, la tenevano in mezzo alle file e per di più la dovevano difendere. Nessun cavaliere poteva uscire dalla linea di marcia senza essere catturato dalla cavalleria di Cesare. |
681 | Cognito Caesaris adventu Ariovistus legatos ad eum mittit: quod antea de conloquio postulasset, id per se fieri licere, quoniam propius accessisset seque id sine periculo facere posse existimaret. Non respuit condicionem Caesar iamque eum ad sanitatem reverti arbitrabatur, cum id quod antea petenti denegasset ultro polliceretur, magnamque in spem veniebat pro suis tantis populique Romani in eum beneficiis cognitis suis postulatis fore uti pertinacia desisteret.Dies conloquio dictus est ex eo die quintus. Interim saepe cum legati ultro citroque inter eos mitterentur, Ariovistus postulavit ne quem peditem ad conloquium Caesar adduceret: vereri se ne per insidias ab eo circumveniretur; uterque cum equitatu veniret: alia ratione sese non esse venturum. Caesar, quod neque conloquium interposita causa tolli volebat neque salutem suam Gallorum equitatui committere audebat, commodissimum esse statuit omnibus equis Gallis equitibus detractis eo legionarios milites legionis X., cui quam maxime confidebat, imponere, ut praesidium quam amicissimum, si quid opus facto esset, haberet. Quod cum fieret, non inridicule quidam ex militibus X. legionis dixit: plus quam pollicitus esset Caesarem facere; pollicitum se in cohortis praetoriae loco X. legionem habiturum ad equum rescribere. | Ariovisto, informato dell'arrivo di Cesare, gli manda degli ambasciatori: il colloquio sollecitato in precedenza poteva, per quanto lo riguardava, aver luogo, perché Cesare si era avvicinato ed egli stimava di non correre pericolo. Cesare non respinge la proposta, perché riteneva ormai che Ariovisto avesse riacquistato il buon senso, visto che offriva spontaneamente ciò che prima aveva negato, quando ne era stato richiesto. Inoltre, Cesare nutriva grandi speranze che Ariovisto, in considerazione dei grandi benefici ricevuti da lui e dal popolo romano, avrebbe deposto la sua ostinazione, una volta conosciuto che cosa si voleva da lui. Il colloquio fu fissato da lì a cinque giorni. Nel periodo di tempo che lo precedette, si ebbe un'intensa attività diplomatica. Ariovisto pose come condizione che Cesare non portasse al colloquio truppe di fanteria, perché temeva di cadere in un'imboscata: entrambi sarebbero giunti con la cavalleria, altrimenti non si sarebbe presentato. Cesare non voleva che, per il frapporsi di un pretesto, il colloquio saltasse, ma neppure osava mettersi nelle mani della cavalleria dei Galli; decise, perciò, che la cosa più conveniente era lasciare a terra i cavalieri Galli e mettere in sella i soldati della decima legione, nella quale riponeva la massima fiducia, per avere, se c'era bisogno di agire, la scorta più leale possibile. Mentre veniva eseguita l'operazione, uno dei soldati della decima legione, non senza spirito, disse che Cesare aveva fatto per loro più di quanto avesse promesso: aveva detto che li avrebbe presi come coorte pretoria, adesso li faceva passare addirittura al rango equestre. |
197 | Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas,alma Venus, caeli subter labentia signaquae mare navigerum, quae terras frugiferentisconcelebras, per te quoniam genus omne animatum.Te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeliadventumque tuum, tibi suavis daedala tellussummittit flores, tibi rident aequora pontiplacatumque nitet diffuso lumine caelum.Nam simul ac species patefactast verna dieiet reserata viget genitabilis aura favoni,aeriae primum volucres te, diva, tuumquesignificant initum perculsae corda tua vi.Inde ferae pecudes persultant pabula laetaet rapidos tranant amnis: ita capta leporete sequitur cupide quo quamque inducere pergis.Denique per maria ac montis fluviosque rapacesfrondiferasque domos avium camposque virentisomnibus incuties blandum per pectora amorem,efficis ut cupide generatim saecla propagent. | O Venere alma, madre della discendenza di Enea, piacere degli uomini e degli dei, che sotto le stelle rotanti del cielo vivifichi il mare carico di navi, le terre ricche di messi, poiché grazie a te ogni specie di viventi è/viene concepita e contempla generata la luce del sole: te, o dea, sfuggono i venti, te, le nuvole del cielo sfuggono al tuo arrivo, per te la terra laboriosa fa nascere fiori soavi, per te sorridono le distese/acque del mare e il cielo sereno brilla di luce diffusa.Infatti appena si svela l'aspetto primaverile del giorno e il soffio vivificante del vento liberato prende vigore, in primo luogo gli uccelli alati/nel cielo manifestano te e il tuo ingresso, o divina, colpiti nel cuore dalla tua potenza.Poi le greggi selvatiche saltano nei pascoli lieti e attraversano i fiumi impetuosi: così, ciascuno, preso dal fascino ti segue bramosamente dovunque tu cerchi di attirare/condurre.Infatti attraverso mari e monti e i fiumi impetuosi e le case frondose degli uccelli e i campi verdeggianti, infondendo a tutti nel petto un amore soave, fai che bramosamente perpetuino le generazioni secondo le razze. |
865 | His rebus gestis Curio se in castra ad Bagradam recipit atque universi exercitus conclamatione imperator appellatur posteroque die exercitum Uticam ducit et prope oppidum castra ponit. Nondum opere castrorum perfecto equites ex statione nuntiant magna auxilia equitum peditumque ab rege missa Uticam venire; eodemque tempore vis magna pulveris cernebatur, et vestigio temporis primum agmen erat in conspectu. Novitate rei Curio permotus praemittit equites, qui primum impetum sustineant ac morentur; ipse celeriter ab opere deductis legionibus aciem instruit.Equitesque committunt proelium et, priusquam plane legiones explicari et consistere possent, tota auxilia regis impedita ac perturbata, quod nullo ordine et sine timore iter fecerant, in fugam coniciunt equitatuque omni fere incolumi, quod se per litora celeriter in oppidum recepit, magnum peditum numerum interficiunt. | Compiuto ciò, Curione si ritira nell'accampamento presso Bagrada e per acclamazione dell'intero esercito viene salutato comandante supremo; il giorno seguente conduce l'esercito a Utica e pone il campo presso la città. Quando non erano ancora compiuti i lavori dell'accampamento, i cavalieri dagli avamposti annunciano l'arrivo a Utica di grandi rinforzi di cavalleria e fanteria mandati da Giuba; contemporaneamente si vedeva una grande nube di polvere e in un attimo era in vista l'avanguardia. Curione, scosso da questo fatto inatteso, manda avanti la cavalleria per sostenere il primo impeto e fermare l'avanzata del nemico; egli stesso, distolte in breve tempo le legioni dai lavori di costruzione del campo, le schiera in ordine di battaglia. I cavalieri attaccano battaglia e, prima che le legioni possano spiegarsi completamente e prendere posizione, tutti i rinforzi del re, impediti dai bagagli e senza ordine, poiché avevano fatto il cammino scompostamente perché senza timore, sono messi in fuga. La cavalleria rimane quasi del tutto incolume, poiché si ritira velocemente lungo il litorale nella città, ma viene ucciso un gran numero di fanti. |
214 | In sterculino pullus gallinaciusdum quaerit escam margaritam repperit.«Iaces indigno quanta res» inquit «loco!Hoc si quis pretii cupidus vidisset tui,olim redisses ad splendorem pristinum.Ego quod te inveni, potior cui multo est cibus,nec tibi prodesse nec mihi quicquam potest.»Hoc illis narro qui me non intellegunt.” | Un galletto, mentre cercava il cibo in un letamaio,trovò una perla. «Una roba tanto pregiata» disse«e giaci in questo luogo schifoso! Se qualcuno, avidodel tuo valore, ti avesse visto, da moltoavresti ritrovato l’antico decoro. Ma ti ho trovata ioche preferisco di gran lunga il cibo,e ciò non serve né a me né a te».Narro questo per coloro che non mi capiscono. |
509 | At exercitus Afranii omnium rerum abundabat copia. Multum erat frumentum provisum et convectum superioribus temporibus, multum ex omni provincia comportabatur; magna copia pabuli suppetebat. Harum omnium rerum facultates sine ullo periculo pons Ilerdae praebebat et loca trans flumen integra, quo omnino Caesar adire non poterat. | Di contro l'esercito di Afranio aveva ogni cosa in abbondanza. Nei giorni precedenti era stato raccolto e trasportato molto frumento; molto ne veniva portato da ogni provincia; vi era foraggio in grande quantità. Il ponte di Ilerda offriva la possibilità di avere senza alcun pericolo tutto e i luoghi al di là del fiume erano integri nelle loro risorse perché Cesare non poteva assolutamente raggiungerli. |